0 calificaciones 0% encontró este documento útil (0 votos) 70 vistas 10 páginas Barocchi Sobre El Concepto de Lo Inacabado en Vasari
Paola Barocchi, "Finito e non finito nella critica vasariana", Arte Antica e Moderna 3 (1958), pp. 221-235. Estudio pionero acerca del concepto de lo inacabado.
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nella critica vasariana
Estratto da
Antica e Modernadi PAOLA BAROCCHI
Gia altra volta, occupandomi della storiografia vasariana, ho posto in rilievo co-
me una lettura episodica e disgiunta della Torrentiniana e della Giuntina non possa _
dar ragione dei criteri e dei giudizi che sostanziano criticamente le ‘Vite’, ma solo
una ricognizione generale e differenziale dei casi singoli e il confronto delle varianti
giuntine alla stesura del '50 consentano di reintegrare, da accezioni apparentemen-
te frammentarie o contradditorie, una visione critica svolgentesi con vissuta coeren- _
zat, Eccomi ora a far nuovo esperimento di tale convinzione su un concetto vasaria-
no tra i pitt celebri e dibattuti: quello di “perfezione-imperfezione” 0 — con sinoni-
mi pitt familiari, se non esclusivi, al linguaggio moderno — “finito-nonfinito”.
Quando il Vasari scriveva la Torrentiniana i casi pi: clamorosi di “imperfezione”
— Ie ultime ‘Pieta’ michelangiolesche — non gli ponevano ancora l'urgente, asso-
luto problema della loro giustificazione estetica. Egli si occupava della “imperfe- _
zione” soprattutto in funzione strumentale, come di una tecnica esecutiva, allorché,
ti e di Leonardo, che consideravano |’uno il diminuire delle quantita visive®, l’altro
il variare dei colori secondo la luce’, il Vasari consiglia agli artefici di dominare i
mento non si vede da lontano, ma si conosce bene la bella forma delle bracc
delle gambe, et il buon giudizio nelle falde de’ panni con poche pieghe: veranda
semplicita del poco si mostra I’acutezza dello ingegno. E per questo le figure di mar-
mo o di bronzo che vanno un poco alte vogliono essere traforate gagliarde, accioc-
ché il marmo, che é bianco, et il bronzo, che ha del nero, piglino a la aria della
rita e per quella apparisca da lontano il lavoro esser finito, e dapresso si vegge
sciato in bozze. La quale advertenza ebbero grandemente gli antichi, come co
figure tonde e di mezo rilievo che negli archi e nelle colonne veggiamo di Roma
quali mostrano ancora quel gran giudizio che egli ebbero
de essere stato osservato il medesimo grandemente nelle sue opere da Di
(Ricci, I, p. 53.8; cfr. Milanesi, I, p. 150)*.‘Ma gid nelle ‘Vite’ del ’50 il confronto delle cantorie di Luca della Robbia e di
Donatello rivela al critico la maggiore espressivita della “vivace imperfezione” e lo
fa risolvere, nonostante il monito dell'Alberti’, a favore di essa, contro la “perfe-
zione” laboriosa e diligente. «Si vede in quel [coro della musica] di Donato pitt riso-
uta pratica e pitt maestrevole vivezza che non fa perfezzione e finita bont& in quel
di Luca. E vedesi negli artefici egregi avere sempre le bozze pit forze e vivacit’ che
non ha la fine nelle opere loro. Perché il furore dell’arte in un subito esprime il con-
cetto dell’animo; il che non pud fare la diligenza e la fatica nelle cose pulite» (Ric-
ci, I, p. 249). Anche T’espressivita dell’“imperfezione” sarebbe dunque effetto del
“giudizio”, inteso ovviamente come “giudizio dell’occhio”, il quale non pud scinder-
si né dalla pratica, ciot dalla tecnica, né dal fondamento del disegno, anche se ar-
tisti privi di questo e “risoluti”, come Andrea da Fiesole, possono superare artisti
ricchi di disegno e poveri di tecnica. Sono i casi in cui I’incapacita, per eccesso 0
per difetto, dell’esecutore impedisce che la compiutezza dell’opera coincida con la
perfezione espressiva: «A me pare gran maraviglia vedere alcuni scultori che niente
disegnano in carta e coi ferri conducono le cose loro; come fece Andrea da Fiesole
scultore in tutte le opere sue, le quali pitt condusse per pratica e per risoluzione
avuta nei ferri che per disegno o per intelligenza che in tal mestiero egli avesse gia
mai... Fu Andrea nella sua giovinezza intagliatore di fogliami; et appoco appoco la-
vorando il marmo si mise alle figure, come ne fanno vero testimonio l’opere sue, la-
vorate in diversi luoghi. Nelle quali non ci distenderemo molto, perché pitt da pra-
tica che da arte sono lavorate. Nondimeno egli vi si conosce una risoluzione et un
gusto di bont2 molto lodevole. E nel vero, se tali artefici con Ja pratica e col giudi-
cio che hanno accompagnassero il fondamento del disegno, vincerebbero di eccel-
lenza tutti coloro che disegnando perfettamente di continuo, quando vengono a
lavorare il marmo lo graffiano e con istento in mala maniera lo conducono, solo
per non avere le pratiche ne’ fini» (Ricci, III, p. 141 s.; cfr, Milanesi, IV, p. 475 s.).
Solo Leonardo, nella Torrentiniana, propone un problema interpretativo pitt com-
plesso, perché I'incompiutezza delle sue opere non appare al Vasari, come in Dona-
tello, ambientale e quindi episodica, ma inerente alla inesauribile esigenza qualita-
tiva e conoscitiva dell’artefice, e quindi condizione intima della sua fantasia e qua-
si riprova e contrario di perfezione stilistica: «Egli [Leonardo] si mise a imparare
molte cose, e cominciate poi I’abbandonava... Volse la natura tanto favorirlo, che
dovunque e’ rivolse il pensiero, il cervello e 'animo, mostrd tanta divinita nelle
cose sue, che nel dare la perfezzione di prontezza, vivacita, bontade, vaghezza e gra-
zia nessuno altro mai gli fu pari. Trovasi che Lionardo per I'intelligenzia de Varte
comincid molte cose e nessuna mai ne fini, parendoli che la mano aggiugnere non
potesse alla perfezzione de I’arte ne le cose che egli si immaginava, conciosia che
222
i
si formava nella idea alcune difficult& tanto maravigliose che con le mani, ancora
che elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai» (Ricci, III, p. 12 s.;
cfr, Milanesi, IV, p. 18 ss.). Leonardo, non Michelangelo, é, per il Vasari torrenti-
niano, V'artista del non-finito; alla fantasia, pur rivoluzionaria, del Buonarroti pre-
siede, semmai, la condizione contraria, come mostra una serie cospicua di opere
finitissime, a cominciare dalle giovanili”. L’eccezione della ‘Madonna’ laurenziana
é una contingenza che comprova Ia validita del processo creativo in ogni suo sta-
dio: «La Nostra Donna, la quale nella sua attitudine sedendo manda la gamba rit-
ta addosso alla manca con posar ginocchio sopra ginocchio et il puto, inforcando
le cosce in su quella che é pitt alta, si storce con attitudine bellissima in verso la
madre, chiedendo il latte, et ella, con tenerlo con una mano e con l’altra appog-
giandosi, si piega per dargniene; ancora che non siano finite le parti sue, si conosce,
nell’esser rimasta abozzata e gradinata, nella imperfezzione della bozza, la perfez-
zione dell’opra> (Ricci, IV, p. 418 s.; cfr. Milanesi, VII, p. 195).
Comunque, la distinzione tra modi e fini cosi diversi di “imperfezione” dimostra
che gia nel ’50 il Vasari rifiuta canoni di giudizio e punta alla concretezza dei casi
e degli individui, la quale nel ’68 gli si presenta piti ricca e pitt varia, conforme
alla sua maggiore esperienza e alla minore ‘miticita’ della Giuntina‘. In questa an-
che la remota “unione” di Stefano Fiorentino supera il limite della incompiutezza
contingente®, e il confronto fra le cantorie di Luca e di Donatello serve ad appro-
fondire il gia accennato divario tra il “furore” e la “diligenza”: «Pare anco che nel-
le bozze molte volte, nascendo in un subito dal furore dell’arte, si esprima il suo
[dell’opera] concetto in pochi colpi, e che per contrario lo stento ¢ la troppa dili-
genza alcuna fiata toglie la forza ed il sapere a coloro che non sanno mai levare
le mani dall’opera che fanno» (Milanesi, II, p. 171). E V'approfondimento si giova fi-
nanche di un parallelo letterario", che & probabilmente il frutto della consuetudi-
ne di Giorgio col Varchi e col Borghini, difensori del rude e impetuoso Alighieri
contro le censure del distillato e levigato petrarchismo e cultori illustri di rettori-
ca, di poetica, di critica letteraria. Dalla loro conversazione egli deve aver orecchia-
to i motivi dell’estetica umanistica ¢ rinascimentale, tra cui quelli platonici del fu-
rore poetico ¢ del prevalere dell'inventio sulla dispositio e sull'elocutio, variamente
commisti, se non cedenti, al razionalismo della ‘Poetica’ di Aristotile e particolar-
mente vivaci nella scapigliatura fiorentino-veneziana, sovrastata da Pietro Aretino™.
Ma benché tali motivi siano stati gratificati dell’epiteto di romantici, esso non
quadra alla concezione del Vasari, che del “furore” vede chiaramente i limiti e i peri-
coli quando preferisce ai dipinti i disegni di Giulio Romano" e soprattutto quando
rimprovera al Tintoretto il dislivello tra l'invenzione “terribile” e la “baia” dell’e-
secuzione: «Nella medesima citta di Vinezia... ¢ stato ed & vivo ancora un pittore
223chiamato Jacopo Tintoretto... nelle cose della pittura stravagante, capriccioso, pre-
“sto e risoluto, e il pit: terribile cervello che abbia avuto mai la pittura, come si pud
i vedere in tutte le sue opere e ne’ componimenti delle storie, fantastiche e fatte da
lui diversamente, e fuori dell’uso degli altri pittori; anzi ha superata Ja stravagan-
za con le nuove e capricciose invenzioni e strani ghiribizzi del suo intelletto, che ha
Javorato a caso e senza disegno, quasi mostrando che quest’arte @ una baia. Ha co-
stui alcuna volta lasciato le bozze per finite, tanto a fatica sgrossate, che si veggto~
no i colpi de’ pennegli fatti dal caso e dalla fierezza pitt tosto che dal disegno e dal
Sag giudizio» (Milanesi, VI, p. 587 s.). Pochi sono gli esecutori che restano coerenti al
“furore” iniziale e concludono senza raggelar la vena e perdersi nel particolare™;
perché negativo il “furore”, se un'adeguata “fierezza” (un'adeguata — direm-
mo noi — chiarezza di concezione e forza di sintesi) non gl'impedisca di scadere a
a, Valga, come applicazione esemplare di tale con-
furioso e studioso a un tempo, del tardo Ti
improvvisazione o facile pratic
cet, I’acutissimo giudizio sullo stile,
~~ iano: «Ma @ ben vero che il modo di fare che tenne in queste ultime [opere] @ assai
differente dal fare suo da giovane; con cid sia che le prime son condotte con una
certa finezza ¢ diligenza incredibile e da essere vedute da presso ¢ da lontano, ¢ que-
x ste ultime condotte di colpi, tirate via di grosso e con macchie, di maniera che da
. ‘ono vedere ¢ di lontano appariscono perfette. E questo modo &
volendo in cid immitare e mostrare di fare il pratico,
se bene a molti pare che elle
presso non si poss
stato cagione che molti,
hanno fatto di goffe pitture. E cid adiviene perché,
= siano fatte senza fatica, non @ cosi il vero, e s'ingannano, perché si conosce che
sono rifatte e che si @ ritornato loro addosso con i colori tante volte, che la fatica
vi si vede. E questo modo si fatto & giudizioso, bello e stupendo, perché fa parere
nascondendo le fatiche» (Milanesi, VII, p.
vive le pitture e fatte con grande arte,
ie 452)".
: Pur entro una cosi ampia casistica il noninito delle opere tarde di Michelange-
Jo costituiva un fenomeno esorbitante. E vero che il ‘San Matteo’ e i ‘Prigioni’ del-
VAccademia potevano ancora essere, come gia la ‘Madonna’ laurenziana, riprova
‘ contrario di perfezione stilistica e dimostrazione della validita del processo creati-
ma la vicenda della ‘Pieta’ di S. Maria del Fiore ripropone-
consigliando, dato il rilievo dell’artista, una particolare pru-
i della questione:
vo in ogni suo stadio™®;
va il problema in toto,
denza. Rileggiamo il passo della Giuntina che riassume i termin
”.
Nello stesso ordine di idee il Guillaume interpretd il non-finito come un supremo
sforzo di avvalorare il lato pittoresco della scultura: «L’effort qu'il [Michelangelo]
fit toute sa vie pour augmenter le domaine de expression et de l’effet, cet effort lui
rendit la pratique du ciseau pleine de difficultés»; «On entrevoit toujours l'idéal su-
blime; et le talent de I’artiste parait encore supérieur & ses ouvrages. Si, comme on
a dit, le sublime se distingue du beau en ce que celui-ci exprime 'idée de quelque
chose de victorieux et de serein, comme serait I’azur du ciel, tandis que le sublime
emporte avec lui une idée de lutte contre des forces supérieures, comme serait un
vaisseau luttant contre la tempéte, les sculptures de Michel-Ange sont sublimes»*.
"Tali soluzioni stilistiche rimasero naturalmente estranee ai rinascimentalisti,
come il Wilson e il Symonds, i quali motivarono il non-finito con circostanze affat-
to esterne*’; ma il motivo interno della dialettica tra plastica e pittura fu ripreso
dal Thode e sussunto nell’astrazione di categorie hegeliane: 1'“incontentabilita”
“michelangiolesca scaturirebbe dal conflitto tra una religiosita cristiana esprimibile
solo pittoricamente e una imperiosa vocazione alla scultura, arte essenzialmente pa-
gana: «Scultore, Michelangelo non potra mai farsi pittore in senso stretto. Lo di-
viene in quanto, preparando disegni su disegni... valorizza in essi sempre pitt la for-
za espressiva della luce allo scopo di manifestare emozioni pitt intense ¢ numerose;
in quanto, dopo che l'irresistibile impulso del suo genio lo condusse ancora una
volta al marmo, egli cercd di muovere |'immagine plastica con leggieri bagliori, di
attribuirle vita mutevole mediante la rinuncia alla rigida perfezione formale, fin-
ché insoddisfatto distrusse la propria immagine col proprio martello»‘.
"In tal modo, malgrado le proiezioni metafisiche, il non-finito veniva a gravitare
- nell'interiore esperienza michelangiolesca e a postulare in essa, sempre pitt esclusiva-
ia Rodin 6
Glie urseva nell Grice clones iets aresicuil fi cout duce contrainte’ si sigois
sée, qu’elles paraissent vouloir se rompre elles-mémes. Toutes semblent prés de oe
der a la pression trop forte du désespoir qui les habite. Quand Buonarroti fut deve
nu vieux, il lui arriva de les briser réellement. L’art ne le contentait plus, il voulait
Vinfini»®, Pit tardi Aldo Bertini lo definiva come il conflitto tra l’aspirazione intel-
lettuale ad esprimere in forma assoluta un esasperato dinamismo, e la sua impos-
sibile attuazione plastica, conflitto maturato col non occasionale naufragio del mau-
soleo di Giulio IT; Valerio Mariani, invece, al motivo conflittuale sostitui la con-
fessione di un limite espressivo, l’accettazione di un ineffabile, umano pit che figu-
rativo, tra la confessione dell’uomo-artista ¢ quella dell’artista-poeta*’; finché Her-
bert von Einem ha ridotto i motivi sia del conflitto che della confessione nei termi-
ni di un neoplatonismo cristiano. «Durante il lavoro — scrive lo studioso tedesco
— Michelangelo deve essere stato assalito dalla preoccupazione di commettere una _ 3
specie di peccato originale nella liberazione dell’immagine dal blocco..., di mancare
il punto in cui il trasparire dell'idea sarebbe stato pitt intenso... Nella fatica di tro-
vare un compromesso tra l'immensa ricchezza della sua fantasia figurativa e la sua
inclinazione all’ideale, nel tentativo di non sacrificare il finito all’infinito e il natu-
rale al soprannaturale, Michelangelo deve essere stato presto sopraffatto dal senti-
mento dei limiti e dall’impotenza dell’arte, della sua arte pur cosi ricca e potente»*,
Di fronte alla residua astrattezza di interpretazioni cosi generali e alla involu-
zione psicologica degli spunti figurativi Sergio Bettini ha denunciato le insidie del-
la formula ‘non-finito’, da un lato precisandone il valore storico di reazione al ‘fini- _
to’ accademico, dall’altro mostrandola, nella dialettica interiore di Michelangelo, —
come una costante espressiva e come un’affermazione di liberta; benché nemmeno
lui si sia sottratto alle tentazioni, vagheggiando, quasi espressionisticamente, un
Michelangelo “scultore dell'’anima”, di un'anima modernamente disancorata da ogni
sistema fisso di valori. Egli crede che «invece di essere il segno di una menomata_
liberta, le opere cosiddette incompiute di Michelangelo siano I'indice di una mag-
giore liberta conquistata, se...'la liberta vera per I'artista @ V’obbedienza alle legai
della propria intimita creatrice... In quelle statue incompiute Michelangelo ha con’
egli non ignoraovaceayaanipieaar ema aber ontne eestenreae
senso ad un nonfinito inteso come affermazione ¢ conquista, anziché come ne
dal Kriegbaum, dal Carli, fino alla Gengaro e al Kérte**. Si
Tutto questo travaglio interpretativo o trascura la fonte vasariana oppure 1.ta come riferimento erudito 0 di prammatica, anche quando essa avrebbe potuto,
ad una considerazione pit intrinseca, rivelarsi non incongruente con certi spunti
della storiografia moderna e comunque fornire un limite alle sue temerita. Solo
Carlo Aru torna ai passi del Vasari ¢ del Cellini relativi alla pratica scultoria del
Buonarroti, ma per trarne una giustificazione tecnica del non-finito come esigenza
della ‘veduta unica’: «Chi, come Michelangelo, partiva da una visione plastica ben
definita, la quale costringeva tutti gli altri aspetti ad essere accessori e subordinati
rispetto alla visione centrale, preoccupandosi soltanto di ottenere in questa, nel mi-
nimo spazio, con l’equilibrio degli elementi figurativi pit disparati, l'unita della com-
posizione e il massimo dell’azione, chi come lui non aveva di regola la guida di un
modello preciso... poteva pitt facilmente, tolto il ‘soverchio’,... sentire il disagio e li-
nutilita di proseguire il lavoro fino a liberare gli altri lati per contornare tutta la
figura... Mi pare che le precisazioni celliniane valgano per considerare sotto un nuo-
vo aspetto il problema del ‘non finito’ in Michelangelo, e, applicandole con senso di
misura, possono servirci a spiegare l'abbandono di alcune opere, nelle quali il gran-
de scultore non pose pitt mano appena dal marmo comincid a liberarsi una nuova
veduta secondaria — se non addirittura nulla — nella creazione del proprio spirito,
ma che invece, nella realizzazione, considerata da un nuovo punto di vista, poteva
acquistare un particolare valore, il quale, se non distruggeva, attenuava certo la
preponderanza della veduta prima e principale»™.
Gli studiosi pit recenti, svolgendo le implicazioni nominalistiche del Bettini,
preferiscono dissolvere la categoria del non-finito, anziché nelle esigenze di una tec-
nica, nella individualita dell’opera d’arte singola, da valutare di volta in volta in
concreto!. Cosi l’antinomia ‘finito-nonfinito’, impiantatasi sugli ideali classicistici
del Cinguecento e canonizzata a vario titolo dal gusto romantico ed estetizzante, si
esaurisce nel tempo in cui l’esperienza artistica e critica si disancora dai linguaggi
tradizionali e precostituiti, ammettendo la legittimita di qualsiasi modo espressivo.
Ed @ interessante notare come, con cid stesso, un ciclo storiografico plurisecolare si
chiude ricongiungendosi, nel suo termine ultimo e nuovo, a quel troppo negletto
incompreso inizio vasariano che attraverso la “licenza” affermava, con giudizio in-
dividuale e impregiudicato, la perfezione delle opere compiute e incompiute del Buo-
narroti.
1 P. Barocchi, Schizzo di una storia della critica cinquecentesca della Sistina, in ‘Atti dell’Ac-
cademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria’, VIII, 1957, p. 193; IU valore dell'antico
nella storiografia vasariana, in ‘I mondo antico nel Rinascimento. Atti del V Convegno inter:
nazionale di studi sul Rinascimento’, Firenze, 1957, p. 20 dell’estr.
2 L, B, Alberti, Della Pittura, a cura di L. Mallé, Firenze, 1950, p. 59 seg.: «Sono qui regole:
quando al occhio V’angolo sara acuto, tanto la veduta quantita parr minore; di qui si conosce
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qual cagione facei una quantita molto distante quasi parere non maggiore che uno punto. Et
benché cos sia, pure si truova alcuna quantita et superficie di quale, quanto pitt li sia presso,
meno ne vedi et da lunge ne vegga molto pid parte. Vedesi di questo pruova nel corpo sperico.
Adunque le quantita per la distantia paiono maggiori et minori»,
4 Cfr, Leonardo da Vinci, Trattato della pitiura, a cura di A, Borzelli, Lanciano, 1913, § 462:
«Le ombre de’ corpi generate dal rossore del sole vicino allorizzonte sempre saranno azzurre:
© questo nasce per I'undecima, dove si dice: 1a superficie di ogni corpo opaco partecipa del co-
lore del suo obietto. Adunque essendo la bianchezza della parete privata al tutto d’ogni colore,
si tinge del colore de’ suoi obietti, i quali sono in questo caso il sole ed il cielo, perché il sole
rosseggia verso la sera ed il cielo dimostra azaurro; e dove ¢ Yombra non vede il sole, per l'ot-
tava delle ombre, che dice: il luminoso non vede mai le ombre da esso figurate; e dove in tal
parete non vede il sole, quivi & veduto dal cielo; adunque, per la detta undecima, Vombra de
rivativa avr la pereussione nella bianca parete di colore azaurro, ed il campo d’essa ombra ve-
duto dal rossore del sole partecipera del color rosso».
“T passi del Vasari sono tratti, per la Torrentiniana, dalla ristampa curata da C. Ricci,
Roma, 1927, e per la Giuntina dalla classica edizione di G. Milanesi, alle quali facciamo ri-
ferimento con la semplice indicazione del nome del curatore, seguito dal volume e dalla
pagina.
© Op. cit, p. 96 seg.: «Truovasi chi, exprimendo movimenti troppo arditi ed in una me-
desima figura facendo che ad uno tratto si vede il petto e le reni, cosa impossibile et non
condicente, credono essere lodati perché odono quelle immagini molto parer vive quali molto
gettino ogni suo membro; et per questo in loro figure fanno parerle schermidori et istrioni
senza alcuna degnita di pittura, onde non solo sono senza gratia et dolcezza, ma pitt ancora
mostrano l'ingegnio dell'artefice troppo fervente et furioso».
® Cir. L. Venturi, La critica di Giorgio Vasari, in ‘Studi Vasariani. Atti del Convegno In-
ternazionale per il TV centenario della prima edizione delle Vite del Vasari’, Firenze, 1952,
P. 36 seg.; Barocchi, I! valore dell'antico nella storiografia vasariana, op. cit., p. 3.
* Vedi le lodi vasariane sulla ‘Pieta’ di S. Pietro: «Certo @ un miracolo che un sasso, da
principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezzione che la natura a fatica
suol formar nella carne> (Ricci, IV, p. 397; cfr. Milanesi, VII, p. 151); sul ‘David’: «E certo
fu miracolo quello di Michele Agnolo, far risuscitare uno ch'era tenuto per morto.. E vera-
mente che questa opera ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, 0 greche 0 la-
tine che elle si fossero. E si pud dire che né ‘I Marforio di Roma né il Tevere, 0 ‘1 Nilo di
Belvedere, né li Giganti di Monte Cavallo le sian simil in conto alcuno, con tanta misura e
bellezza © con tanta bont& la fini Michel Agnolo. Perché in essa sono contorni di gambe bel-
lissime, et appiccature e sveltezza di flanchi divine; né mai pit: s'é veduto un posamento st
dolce, né grazia che tal cosa pareggi; né piedi, né mani, né testa che a ogni suo membro di
bonta, d'artificio e di parita né di disegno s'accordi tanto. E certo chi vede questa non dee
curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o negli altri da qual si voglia
artefice» (Ricci, IV, p. 399 seg.; cfr. Milanesi, VIT, p. 154 segg.); e sul ‘Mos’: «I capelli
son condotti sottilissimamente, piumosi, morbidi e sfilati, d’una maniera che pare impossi
bile che il ferro sia diventato pennello... Oltre che vi sono i panni straforati ¢ finiti con bel
lissimo girar di lembi, ¢ le braccia di muscoli e le mani di ossature ¢ nervi sono a tanta bel
lezza e perfezzione condotte, e le gambe appresso ¢ Ie ginocchia et i piedi sono di si fatti cal-
zari accomodati, et @ finito talmente ogni lavoro suo, che Moist pud pitt oggi che mai chia-
marsi amico di Dio» (Ricci, IV, p. 403 seg.; cfr. Milanesi, VII, p. 166).
8 Sul diverso carattere della Torrentiniana e della Giuntina cfr. A.M.Brizio, Vite scelte
di Giorgio Vasari, Torino, 1948, p. 18 seg.; Venturi, op. cit. p. 42; S. Bottari, Attuatita det
Vasari, in ‘Studi Vasariani’, op. cit,, p. 77 segg.
® Milanesi, I, p. 451: «Si conosce in quegli spiriti beati [dipinti in S. Francesco di Assisi]
una maniera dolcissima e tanto unita, che pare quasi impossibile che in que’ tempi fusse
fatta da Stefano, che pur Ia fece, sebbene non sono delle figure di questo giro finite se non
le teste».10 Milanesi, II, p. 171: «E chi sa che Parti del disegno, per non dir Ia pitt
sono alla poesia simili, sa ancora che, come Ie poesie dettate dal furore poetico sono le vere
¢ le buione e migliori che le stentate, cosh Vopere degli uomini eccellenti nell/arti del disezno
sono migliori quando son fate a un tratto dalla forza di quel furore, che quando si vanno
ghiribizzando a poco a poco con istento e con fatica; e chi ha da principio, come si dee ave
re, nella idea quello che vuol fare, cammina sempre risoluto alla perfezione con molta age-
volezza. Tuttavia perché gl'ingegni non sono tutti d’una stampa, sono alcuni ancora, ma rari,
che non fanno bene se non adagio. E per tacere de’ pittori, fra i poeti si dice che ill reveren-
dissimo e dottissimo Bembo pend talora a fare un sonetto molti mesi ¢ forse anni, se a coloro
si pud credere che Vaffermano, il che non @ gran fatto the avvenga alcuna volta ad aleuni
uomini delle nostre arti. Ma per lo piti 2 Ia regola in contrario, come si & detto di sopra;
comecché il volgo migliore giudichi una certa delicatezza esteriore ed apparente (che poi
manca nelle cose essenziali ricoperte dalla diligenza) che il buono fatto con ragione ¢ giudi-
ma non cosi ripulito e lisciato»
4 Cir, LE.Spingarn, La critica letteraria nel Rinascimento, trad. ital. Bari, 1905, passim
e soprattutto p. 151 segg.; C. Trabalza, La critica fetteraria nel Rinascimento, Milano, 1915,
P. 6, 103 sege.; B. Croce, Conversazioni critiche, serie III, Bari, 1932, p. 36 segg.; G. Santan
elo, Il Bembo critico e il principio @imitazione, Firenze, 1950, p. 64 segg,, 117 segg, Sulla
poctica di Pietro Aretino vedi pitt in particolare Vintroduzione di S. Ortolani alla scelta di
‘Lettere’, Torino, 1945, da lui curata; e, per la sua possibile influenza sul Vasari, L, Venturi,
Pietro Aretino e Giorgio Vasari, in ‘Mélanges Bertaux’, Paris, 1924, p. 330.
1 Milanesi, V, p. 528: «Si pud affermare che Giulio esprimesse sempre meglio i suoi con-
cetti-ne’ disogni che nell'operare o nelle pitture, vedendosi in quelli pit: vivacita, fierezza
ed affetto; ¢ cid potette forse avvenire perché un disegno lo faceva in un‘ora tutto fiero ed
acceso nelVopera, dove nelle pitture consumava i mesi e gli anni. Onde venendogli a fastidio,
¢ mancando quel vivo e ardente amore che si ha quando si comincia alcuna cosa, non ¢ ma-
raviglia se non dava loro quella intera perfezione che si vede ne! suoi disegni>.
38 Milanesi, V, p. 245 seg.: «Per la quale opera [il ‘Trasporto di S. Marco’, dipinto nella
Scuola di S. Marco] merita Jacopo Palma grandissima lode, e di essere annoverato fra quelli
che posseggono l/arte ed hanno in poter loro faculta d'esprimere nelle pitture le difficulta dei
loro concetti; conciosiaché in simili cose diffcili a molti pittori vien fatto, nel primo abbozaare
Yopera, come guidati da un certo furore, qualche cosa di buono e qualche fierezza, che vien poi
levata nel finire e tolto via quel buono che vi aveva posto il furore; e questo avviene perché
molte volte chi finisce considera le parti e non il tutto di quello che fa, ¢ va (raffreddandosi
gli spiriti) perdendo la vena della fierezza: Ia dove costui stette sempre saldo nel medesimo
proposito © condusse a perfezione il suo concetto, che gli fu allora e sara sempre infinite
mente lodator.
44 Milanesi, VI, p. 577: «Le pitture vogliono essere condotte facili, e poste le cose a’ luoghi
Joro con giudizio, e senza un certo stento e fatica, che fa le cose parere dure e crude: oltra
che il troppo ricerearle le fa molte volte venir tinte e le guasta; perciocché lo star loro tanto
attorno toglie tutto quel buono che suole fare Ja facilita ¢ la grazia ¢ la fierezza, le quali co-
se, ancor che in gran parte vengano e s’abbiano da natura, si possono anco in parte acqui-
Stare dallo studio ¢ dall’arte».
45 Cfr, invece Venturi, op. cit. p. 38: «Al Vasari non accadde mai di porsi sotto un miglio-
re aspetto per intendere Ja personalita dell’artista. Finalmente il carattere imitativo dell'arte
era messo da banda per dar valore al carattere creativo dell/artista, e precisamente a quel
momento creativo in cui V'artista appare il vate ispirato. Ma le condizioni estetiche ed arti-
stiche in mezzo a cui viveva limitarono Je conclusioni che seppe trarre dal suo principio. An
che in questo caso gli nocque la mancanza di una profonda coscienza del fine conoscitivo,
quindi altissimo e necessario, dell’arte. Onde il furore creativo presto si acquetd nella sua
mente nei concetti pit accessibili e pitt esteriori di facilita naturale e di leggiadria, quando
non divenne addirittura il far presto del manierista».
46 I] ‘San Matteo’ «insegna agli scultori in che maniera si cavano le figure de’ marmi senza
232 4
che venghino storpiate, per potere sempre guadagnare col giudizio, le
averst da potervi ritrarre e mutare qualeosa, come acca, se. Bisognasel. (hlaneet it
p. 157 seg.); i ‘Prigioni’ epossono insegnare a cavare de’ marmi le figure con un modo si.
curo da non istorpiare i sassi; che il modo é questo: che se e’ si pigliassi una figura di cera
e daltra materia dura, e si mettessi a diacere in una conca d’acqua, Ia quale acqua essend
per sua natura nella sua sommiti piana e pati, alzando la detta figura a poco a poco del
pari, cosi vengono a scoprirsi prima Ie parti pit rilevate ¢ a nascondersi i fondi, cio’ le parti
pitt basse della figura, tanto che nel fine ella cosi viene scoperta tutta, Nel medesimo modo
si debbono,cavare con lo scarpllo le figure de’ marmi, prima seoprendo le pati pit ilevate
e 0 le pit basse» (Milanesi, i i
no jn B. Cellini, Due Ere me evan pein ence 3 wore
7 Si noti, dopo Lesatteza degli esempi di finito, la parzial ecisione di quelli di
te ee eee eo oot
Milanest, VIL, p. 270: «Ha avuto (Michelangelo) Yimmaginativa tale ¢ si perfelta che le
cose propostosi nella idea sono state tali che con le mani, pet non poter esprimere st grandi
e terribili concetti, ha spesso abandonato Vopere sue, anzi ne ha guasto molic» a
ft BCondivi, Vita di Michelagnolo Buonarrot, (ed. Roma, 1553) Firenze, 116, p. 56:
2 anco di potentisima vit immaginaiva; onde @ nto primieramentec eh poo si ia
Videa sin ariveta, chregi dentro eh formavan, Ph che la mane a aul
20 Firenze 1584, ristampato da G. i i
eneteie 138. tntampato dG Rott in Racclta di lertere ale pttra, cultura ar
4 Firenze 1652, p. 210: «Non voglio Jasciar di riferire cid che mi disse un gran professore
intorno al famosissimo Michelangelo, ciot che pitt volte lascid. in Roma Iopere abbozzate,
perché se bene erano tali che potevano servir d’esemplari ad altri maestri, nondimeno a lui
non riuscivano di perfettissima sodisfazzione. Tali sono i due gruppi di Pietd, de’ quali uno fu
trovato seppellito in una stanza a terreno, e ora si vede publicamente in una officina di Ro-
ma; e Valtro sta nel giardino che fu del Sig. Cardinal Bandino a Montecavallo, E queste due
bozze, oltre Valtre che si veggono tralaseiate, sono di tanta bellezza che Tadeo Zucchero stimd
bene impiegata la sua fatica in disegnarle, colorirle e ridurle in opera.. E da questo arzo-
mentar si pud che non é cosa insolita né indecente ad un consumato artefice lasciar o gua-
star un'opera non finita e rifarla secondo Ia pienezza della sua totale sodisfazzione, impero-
ché questo dimostra non che Yopera sia in sé molto difettosa, ma che molto perfetta ¢ mol
to eccellente sia V'idea che nell'animo ha formato i Maestro per condurla».
Les images ou tableaux de platte pei 5 i
statues de Citrate paeti 47) (oOe acemcotes iad)
2 Le vite de! pit celebriarchiteti, Roma, 176, p. 251
2 Voyage en Italie, contenant Uhistoire et les anecdotes les i Italie
sa daseription| et steed (leh asrin eae erelTa nn eT dP
turelle et les antiquités; avec des jugements sur les owrages de peinture, sculpture ef an
chitecture, [I ed. Parigi, 1768] Paris, 1786, I, p. 597. i te
2 Stora dela sutra, Venezia, i818, Vn 15
2 Vies des fameux architectes depuis la renaissance des arts, av. iptic
ouvrages, Paris, 1781, I, p, 62: «Pline nous parle (lib. XXIV) de aes eee nee
que plus admirés pour étre restés imparfaits: “Saisis d'ume douleur tendre la vue de ces chefs
oeuvre de Vart auxquels la mort de leur auteur a ravi les derniers traits, nous leur prétons
ce qui leur manque, nous suppléons & nos désirs, nous lisons sur Vouvrage toute Ia pureté du
génie qui V'a concu, mais y voyons toutes les beautés qui allaient éclore sous les mains de Vou.
ser et ces mans expirantes, qu sembent encore y Cire attachées, en rehaustent le prix &
* E, Delacroix, Journal, Paris, 1932, II, p. 42 seg., 456; cfr. IL, p. 257; IL, p. 153.
® The seven limps of architecture, New York, 1852, p. 142.
% Op. cit,, TI, p. 40 seg.; cfr. F. Dalmasso, A proposito del “non finito” in Michelangelo, Un
2331953,
giudizio di Delacroix nel ‘Journal’, in ‘Atti del seminario di storia dell'arte’, Pisa-Viaregsi
p. 213 seg.
‘30 Michel-Ange scutpteur, in ‘Gaz. d. BeauxArts’, 1876, I, p. 117.
81 C,H.Wilson, Life and works of Michelangelo Buonarroti, {I ed. Londra, 1876) London,
1881, p. 297: «It has been seen that he [Michelangelo] employed assistants but he was evidently
impatient and dissatisfied that they could not rise 10 what he expected of them. Again. and
again he tried the experiment, but rarely successfully; it cannot have been that he willingly
jeft so many works imperfect, for when in early life he could devote himself without inter:
ruption to the subjects of hhis choice, how exquisite the finish and completeness of hhis statues!
He could not tear himself from them whilst a touch remained to be given to make them per
fect in his eyes»; J.A.Symonds, The life of Michelangelo Buonarroti, {I ed. Londra, 1893] Lon:
don, 1901, Tl, p. 408 sez.: «Some of my critics think I am wrong in maintaining that he |Miche-
tangelo] invariably aimed at finish, and never left a statue imperfect unless he was forced to
do co by external circumstances. It is ingenious to plead that the two male figures in the Sa-
cuisty [il ‘Giorno’ e il ‘Crepuscolo’)... owe their effect to the vagueness of their bloked-out forms,
But this is sentimental, not scientific criticism. The polish given to the Night and Dawing, and
to the statue of Giuliano de’ Medici, proves that Michelangelo, if he had not been interrupted
in his labours at Florence, intended to work the whole series of monumental figures up to the
highest pitch of completeness, Examining the long list of his statuary, we shall find that at no
period of his life did he deliberately and voluntarily leave a piece unfinished... On the other
hand, we know for certain what changes of residence, of work, of groundplan in the monu-
tents projected, caused him to lay down his chisel before large portions of the sculpture for
the mausoleum of Julius, the allegories of the Medicean Sacristy and the Facade of S. Lorenzo
were completed. Both finished and unfinished statues support my argument. Those which are
brought in parts to a high state of finish, and which yet remain imperfect — such as the Capti-
ve of the Louvre, and the great Pieta in the Duomo at Florence — establish it beyond all power
of refutation»
32 Michelangelo, Berlin, 1902-13, IL, p. 697 seg,
38 Phidias et Michel-Ange, in ‘La Revue’, LXXXVI, 1910, p. 14
34 71 problema del non finito nettarte di Michelangelo, in ‘LiArte’, I, 1930, p. 134: «A
questo punto possiamo riprendere la tesi del Thode: non impossibilita di esprimere un content
fb cristiano mediante la forma classica denotano questi abbozzi, ma il tormento di non poter
esprimere quella intensificata vita che @ il movimento mediante la forma assoluta. Un conflitto
tra aspirazione intellettuale © realizzazione artistica. Questo desiderio della forma assoluta &
desiderio chimerico, @ il tributo pagato dal genio al gusto della propria epoca, e Michelangelo,
qui & Verrore del Thode e di moti altri critici, raggiunge la perfezione artistica pitt spesso nelle
Gpere che si allontanano da questo ideale intellettuale che in quelle che pitt vi si accostano.
Mediante quel concetto di plasticita esasperata... comprenderemo facilmente che ill non finito
nella scultura non sia per nulla in contraddizione ad essa, ma sia il suo stesso mezzo di espres:
Sone: il conflitto sorge soltanto fra di esso ¢ ill giudizio critico di Michelangelo». Aderiscono
alla tesi del Bertini anche C. Tolnay,The Youth of Michelangelo, Princeton, 1943, p. 171 («We be-
lieve that Bertini interpreted better than his adversaries the significance of the “unfinished” in
Michelangelo. On the other hand it is difficult toadmit with him that the tortured movement of
his figures is an expression of the artist's mood of dissatisfaction during his work. It seems to us
rather that Michelangelo has embodied in his figures a more general human experience having
‘an objective significance»), e L. Becherucei, Andrea del Sarto, Milano, 1955, p. 12.
3 Note michelangiolesche, in ‘L’Arte’, II, 1931, p. 268 segg.: «Per tentare di spiezare... il sig
ficato misterioso di questi “momenti” michelangioleschi, non conviene vederli soltanto come
problemi figurativi, ma come frammenti, o “stati d’animo” che, espressi per via plastica, con:
{engono perd non soltanto nell'indeterminatezza della forma, ma nella incertezza della stessa
“quadratura” generale dell'opera (pentimenti fondamentali, varianti di proporzioni, diminuzio-
ne improvvisa di figure nei gruppi) il segno d'un dramma che non & tutto artistico, ma profon.
damente umano»; Laspra catena’ in Michelangelo, in ‘La Cultura’, X, 1931, p. 52 segg: «In quel
234
momenti Jo spisto di Michelangelo & trassinato a dire eld che non ® umano promanziar
der per vin seultoreagullo che nepput le ale possonoetenare ol sebn ne ¢ conse
spezati i marmt (sei qual le vision del “cone=tio” sembrava magleamente trasformars dat
timo in ato come un miagsio Inman allassetato vagglatore) naice Ia poesia: ‘NS pings,
ne scotpr fa pb che quiet Il marmo diviene in queglt atin Sdentico al compo delfartista
he ste ne via via mancando anche la carne mortale di Miche-
%® Unvollendetes und Unvollendbares i i
t u res im Werk Michelangelos, Bonn, s.t
2 Sul non fnito di Michelangelo, in ‘La Nuova Talia VI, 135, p. fey
seg’ A Lentut, Storia delfarte italiana, a scultura del Cinguecento,X, 2 Milano, 1936, p. 8
sea: F. Kolegbaum, Michelangelo Buonarrot. Di Bildwerk, Berlin, 194, D.21 seg: B. Carli, Mi
Chelangelo, Bergamo 192, p. 39; M. L. Gengaro, Sul valore della plastica michelangiolesca, in
Bollettino dellstituto di Archeologia e Storia delVArte, X, 1943, p. 39 seg.: W. Kort D.
lem des nonfinito bei Michelangelo, in ‘Romisches Jahrbuch f, Kunstgeschichte’, VII, 1935,
ene . Kunstgeschichte’, VII, 1955,
3 La veduta unica e il problema del non finito in Mi
e problema ito in Michelangelo, in ‘L’Arte’, VI
seas, Aderace alla sua tes anche 8. Botiari, Michelangelo, Catania, 19, Beste ae
0 ‘gusto’ ¢ il ‘sentimento’ determina il ‘non finito’ e nemmeno Vaspirazione al ‘
to tondo’ con Ta congiunta impossbilit di famervare in sso Ia Sela e vias ested Gal
vimenti, ma la esigenza opposta di mantenere le sculture sl piano delle pitture, di non Pee
cio® Vintensita della vision, aggiungendo a quello centrale altsi punt di vst, Gl aera
nit fondamentale della composizone, Ia intensita del suo ritmo accentrato e possenter.
Cae Dee eer ‘non finite! di Michelangelo ta sua ultima Pied, in ‘Em.
CXIL, 1951, p. 99 segg.; F. Russoli, Za scultura di Michelangelo, Mil 5
«. ns
235,
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