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Liturgie de Eglise Particuliere Eglise Universelle

Ce document présente les actes de la 22e Semaine d'études liturgiques de l'Église Saint-Serge. Plusieurs conférences ont été présentées sur diverses liturgies comme la liturgie byzantine, la liturgie alexandrine, la liturgie arménienne, etc. Différents sujets ont été abordés tels que les influences entre les liturgies, les réformes liturgiques, et l'identité d'une Église exprimée à travers sa liturgie.

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Liturgie de Eglise Particuliere Eglise Universelle

Ce document présente les actes de la 22e Semaine d'études liturgiques de l'Église Saint-Serge. Plusieurs conférences ont été présentées sur diverses liturgies comme la liturgie byzantine, la liturgie alexandrine, la liturgie arménienne, etc. Différents sujets ont été abordés tels que les influences entre les liturgies, les réformes liturgiques, et l'identité d'une Église exprimée à travers sa liturgie.

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LITURGIE

DE L'ÉGLISE PARTICULIÈRE
ET LITURGIE
DE L'ÉGLISE UNIVERSELLE
CONFÉRENCES SAINT-SERGE
XXII" SEMAINE D'ÉTUDES LITURGIQUES

Paris, 30 juin - 3 juillet 1975

EDIZIONI LITURGICHE - 00192 ROMA


Via Pompeo Magna, 21
1976
BIBLIOTHECA «EPHEMERIDES LITURGICAE
«SUBSIDIA»

COU.Eeno CUR.-\. A. PISTOIA, C.M., El' A. M. TRIACCA, S.D,B., RECTA

7
INDICE

pag.

Presentazione (A. M. TRIACCA, S.D.B.). 7


J. J. VON ALLMEN, Les liturgies réformées et leur portée
pour l'oecuménisme 17
C. ANDRONIKOF, La liturgie exprime·t·elle l'identité spi·
rituelle d'une Église? . 29
M. ARRANZ, S.J., Les grandes étapes de la liturgie byzan·
tine: Palestine· Byzance - Russie. Essai d'aperçu
historique . 43
P. DE CLERCK, Liturgies des petits groupes et catholicité 73
E. COTHE1'IET, L'attitude de l'Église naissante à l'égard
du Temple de Jérusalem . 89
1. H. DALMAIS, O.P., La liturgie Alexandrine et ses rela·
tions avec les autres liturgies . 113
M. S. GROS, La Liturgie Narbonnaise témoin d'un chan·
gement. rapide des rites liturgiques 127
P.-M. Gy, L'unification liturgique de l'Occident et la
liturgie de la Curie Romaine . 155
A. KNIAZEFF, « Ad libitum du Supérieur» 169
M. KOVALEVSKY, Le chant de la liturgie chrétienne: pé-
rennité de ses principes dans la diversité de ses
manifestations 183
P. KOVALEVSKY, Trois réformes liturgiques en Russie:
1551, 1620 et 1652 . 195
B. KRIVOCHElI'Œ, Quelques particularités liturgiques
chez les Grecs et chez les Russes et leur signifi·
cation 211
E. MÉLIA,Notes sur l'Hagiographie et l'Hymnographic
Géorgiennes 231
6 INDICE

pag.
J. PI NELL. a.s.B., Unité et diversité dans la Liturgie
Hispanique 245
A. RADOVIC, Réformes liturgiques dans l'Église de Grèce 261
CH. RENOUX, Liturgie Arménienne et Liturgie Hiéroso-
Iymitaine 275
A. M. TRIACCA, S.D.B., Liturgie Ambrosienne: amalga-
me hétérogène ou «specificum» influent? Flux,
reflux, influences 289
G. WINKLER, Armenia and the graduai decline of its
own liturgical practices through the expanding in-
fluence of Holy See from the XI-th to XIV-th
century 329
D. WEBB, Les Livres d'Heures avant et après la Réforme 369
N. K. RASMUSSEN, a.p., Unité et diversité des Pontifi-
caux latins au VIII', IX' et X' siècles. 393
PRESENTAZIONE

Poteva apparire temerario affront are il tema Liturgia della


Chiesa particalare e Liturgia della Chiesa zmiversale nel breve
arco di cinque giorni, quanti sono stati quelli della XXII Set-
timana di Studi Liturgici di S. Sergio (30 giugno-3 luglio 1975).
Questa, almeno, poteva es sere l'impressione provata prima deI
fatto; d'altra parte, la stessa impressione potevano avere i par-
tecipanti alla precedente Settimana Liturgica'. i quali, prima di
scegliere tale argomento, avevano discusso notevolmente sul
fatto che la Chiesa Univers ale non è la semplice somma delle
chiese locali, né la Chiesa locale è una semplice parte della
Chiesa Univers ale. Nella Chies a locale si' rende concretamente
visibile l'intera realtà ecclesiale; cioè: l'intero mistero « Chiesa »
con tutti i caratteri costitutivi dell'ecclesialità, ivi compresa la
liturgia come la caratteristica più eminente e più importante.
In effetti, perà, non esiste la liturgia della Chiesa Universale,
bensi ogni liturgia è espressione di una Chiesa particolare. Co-
gliere il significato specifico e la tonalitil espressiva che le di-
verse liturgie, nell'ambito della vitalità delle Chiese locali, hanno
sviluppato, significa sottolineare quanta le Chiese particolari
stesse hanno voluto realizzare salvando la differenziazione tra
una Chiesa e l'altra, conformemente alla diversità di esigenze
poste daIl'opera di evangelizzazione, oltre che alla Iibera pres en-
za operativa dello Spirito nelle singole comunità, neIle quali si
invera la li turgia della Chiesa.
L'insieme delle relazioni costituisce - a nostro giudizio - la
premessa analitico-storica e analitico-diagnostica per l'interpre-
tazione di alcuni fatti ancora non sufficientemente studiati e dai
quali si potranno dedurre insegnamenti pratico-operativi che ser-
viranno anche per la retta applicazione ed attuazione, in campo

l efr. P. KOVALEVSKY, Vingt-et-unième Semaine d'Etudes Liturgiques à St.


Serge de Paris, in: Epl1emerides U/lII/!,Îcae 88 fl974) 284-385; B. BOTTE, La
vingt-et-unième Semaine de Saint-Serge, in: Revlle théologique de Louvain 5
(1974) 518-519. Gli atti sono stati editi in qucsta 3tcssa collana. crr. AA.VV ..
La Maladie et la Mort du Chrétien dans la liturgie. Conférences Sainl-Serge.
XXle Semaine d'Etudes Liturgiques. Paris jer·4 juillet 1974 (Roma 1975).
8 ACHILLE M. TRIACCA

cattolico-romano, di quanto è contenuto nell'articolo 4 della Co-


stituzione Liturgica del Concilio Vaticano II '_
In pratica, a S_ Sergio sono stati toccati idealmente tre
ce11.tri di interesse.
Dapprima, i problemi specifici concernenti le relazioni cli
una liturgia con un'altra 0 gli influssi e i conclizionamenti di
una fonte liturgica su altre; nell'ambito delle liturgie d'Oriente,
in particolare, la grande famiglia bizantino-greca e bizantino-
russa (M_ Arranz), georgiana (E. Mélia), le liturgie alessanclrine
(H.I. Dalmais) e armena (A. Renoux; G. Winkler); e tra le litur-
gie d'Occidente: la romana (P.-M. Gy; N.K. Rasmussen), ambro-
siana (A.M. Triacca), ispano-visigotica (J. Pinell), narbonese (M.
Gros).
A questo gruppo cli relazioni - che hanno messo in rilie-
vo anche le cause della soppressione, della sparizione, clella per-
Inanenza di usi liturgici Iocali come espressione viva di una
Chies a locale vitale 0 come testimonianza cli una non giusti-
ficata, 0 addirittura egemonica, sopraffazione cli una Chies a su
un'altra - si affiancano cinque altre reZalioni, che hanno re-
cato un contributo specifico al problema clelle riforme litur-
giche nell'ambito della Chies a Ortodossa. Si sono avvicendati
sulla ribalta i problemi riguardanti l'adattamento previsto per il
typikon (A. Kniazeff); le particolarità Iiturgiche presso i Russi e
i Greci e il loro posto nella pietà e nel comportamento religioso
popolare (Mgr. Basilio Krivocheine); le tre riforme liturgiche
operatesi in Russia nel 1551, nel 1620 e nel 1652 (P. Kovalevsky);
la riforma liturgica in Grecia (A.H. Radovic); il permanere dei
principi nella diversità di manifestazioni del canto liturgico (M.
Kovalevsky).
Infine, un terza gruppo di relazioni è stato particolarmente
suggestivo, tale da caratterizzare le dense giornate di studio. Si
tratta deI problema dell'identità di una Chiesa attraverso la li-
turgia (C. Andronikof); deI tempio gerosolimitano come crite-
rio di specificità della liturgia cristiana CE. Cothenet); dei « Li-

2 Sacro.sanctwl1 COl1cilit/1J1, 4: «Traditioni dl!nique fideliter ollseqw!Ils, Sa-


crosanctum Concilium dcclarat San:::tam Mntrem Ecc1csiam m-rmcs ritlls legiti11lc
agl1.itos aequo jure atque honore habere, eo!>que hl poslerulIl servari et
ol1lninwde fovcri veUe, atque optat, ut, ubi opus sit, caute ex integro ad
rncntern sanae traditionis recognoscantur ct nova lIi~ore, pro hodiernis adiunclis
t:t neccssilatibus, donentur» Ci cor.',IVl .'>0110 1105tri)-.
PRESENTAZIONE
._------ 9

vres des heures" anglicani dopa la Riforma in Inghilterra come


data di fatto di un tipico adattamento a riadattamento locale
di un'espressione della preghiera (D. Webb). Una questione inte-
ressantissima come quella delle liturgie locali e della loro con-
vergenza ecumenica nella Chiesa Riformata fu trattata portando
l'attenzione su usi e abusi della periodicità e deI ritmo cele-
brativo della liturgia eucaristica che sempre più si andà ridu-
cendo nel decorso deI tempo, per giungere, mediante un sua
progressivo ricupero, a fomire un principio ecumenico come
quello della deconfessionalizzazione deI cuita in nome di una
convergenza celebrativa (J.-J. Von Allmen). Non mancà una dia-
gnosi deI fatto, sempre più presente nell'odierna compagine ec-
clesiale, dei piccoli gruppi che celebrano la liturgia, diagnosi
seguita da tilla valutazione critica deI loro rapporta con le altre
comunità liturgiche (P. de Clerck).

***
Alla XXII Settimana Liturgica di San Sergio per la prima
volta non era presente l'impareggiabile Padre Botte. Egli do-
veva tenere, come al solito, la relazione introduttiva, ma si vide
costretto a inviare uno schema di quanto avrebbe voluto svi-
luppare. Ne presentiamo il testa co si come fu letto, all'apertura
della Settimana, dalla professoressa Mademoiselle F. Petit, se-
gretaria di P. Botte.

LES LITURGIES LOCALES DANS L'ANTIQUITÉ CHRÉTIENNE

C'est la première fois depuis les origines des Semaines de


Saint-Serge que je suis absent. Au moment où je me préparais
à !aü-e une introduction au sujet de la Semaine rai été terrassé
J

par la maladie. Et je ne puis donner que des élémel1ts de ce


que j'avais préparé.
J'avais remarqué simplemel1t un certain nombre de faits.
Le premier, c'est que la liturgie, prise dans son ensemble,
n/est pas originaire d'un seul lieu: il y a une diversité des origi-
nes liturgiques.
Un deuxième fait, c'est l'intervention de l'épiscopat, qui a
incontestabZe1nent joué un rôle hnportant dans le n'laintien de
la tradition liturgique.
10 ACHILLE M. TRIACCA

Un troisième fait, c'est que les emprunts, les échanges d'une


liturgie à l'autre se sont faits dans une certaine indifférence aux
controverses théologiennes. Ainsi, la liturgie des Nestoriens a
adopté des textes venus de l'orthodoxie grecque.
Enfin, le problème de l'adaptation aux situations nouvelles
s'est toujours posé. L'adaptation s'est faite progressivement dans
toutes les liturgies. Elle affecte surtout les modes d'expression:
chant, gestes, décor. Le problème se pose aujourd'hui encore, en
particulier dans les jeunes Eglises.
Voilà donc où j'en étais, et je n'ai pas eu le temps de déve-
lopper davantage.
Mais il y a une chose qui me console. J'ai toujours été un
peu inquiet de l'avenir des Conférences de Saint-Serge. Non pas
que je me considère comme indispensable - personne ne l'est-,
n1ais j'ai tout de 1nên1e une certaine responsabilité: 011 nz'a con-
sidéré comme l'ancêtre, le patriarche. Et je vois aujourd'hui que
l'avenir des Semaines n'est pas du tout en danger. Car le pro-
gramme de cette année est un des plus beaux qui ait jamais été
proposé à Saint-Serge. Je félicite tous les conférenciers, tous ceux
qui ont oeuvré à approfondir le problème. Ce n'est pas seulement
U/l problème historique; il a aussi des résonnances profondes
dans la pastorale.

***

Quale, dunque, sarà 10 sbocco della problematica toccata 0


accennata 0 comunque sem pre soggiacente aile relazioni di que-
sta XXII Settimana Liturgica di San Sergio? Difficile formulare
una risposta concreta. Tuttavia ci sia consentito far seguire una
serie di osservazioni.

1. E' innegabile che, al di là della presa di coscienza ri-


flessa (che pub operarsi 0 meno nell'ambito di una Chiesa),
veramente si deve convenire che è la liturgia che fa la Chies a
al momento stesso in cui la Chies a fa la liturgia. In altri ter-
mini, esiste un profondo legame di causalità che unis ce la litur-
gia e la Chiesa.
Infatti la liturgia come evento che attualizza, in forza dello
Spirito, il mistero di Cristo, è la ragion d'es sere dei mistero di
PRESE~T AZIONE 11

salvezza effettivamente presente ed operante nella compagine


dell'umanità: la Chiesa '.
E' infatti l1ella e per la Iiturgia che viene manifestata ed allu
stesso tempo realizzata l'umone dei fedeli con Cristo e tra di
loro. Nella liturgia il «Kyrios» attiva ed unifica realmente-mi-
stericamente in sé i fedeli offrendo lora Se stesso. Nella parte-
cipazione alla Iiturgia i fedeli esprimono nella lora vita e rive-
lano agli altri il mistero di Cristo e l'autentica natura della
Chiesa '. E' quindi evidente che la realtà della Chiesa locale
rientra come componente essenziale indispensabile (sia teorica-
mente sia operativamente) nella realtà della liturgia-celebrazione,
e viceversa. In questo sensu l'immagine di Chies a che emerge
dall'esperienza delle liturgie celebrate da piccoli gruppi 5 non
puà essere quella di Chiesa particolare contrapposta a Chiesa Uni-
versale, bens! quella di « comunione di comunità Iiturgiche » pro-
tese verso il reale apprafondimento e l'effettivo conseguimento
della cattolicità della Chiesa. Il che puà essere conseguito là
dove la liturgia è autentica, essendo essa azione deI «Christus
totus» e cioè di Cristo-Capo e di tutta la Chiesa visibile ed
incarnata nella dimensione locale, poiché la Iiturgia come cele-
brazione non puà svolgersi che in un determinato momento e in
un « tempo» concreto e in un « luogo» concreto. Naturalmente,
le coordinate « spazio-tempo » non sono da considerarsi se non
teologicamente. In altri termini, la delimitaziane spaziale-tempo-
raIe è quella data da una comunità che perà trascende 10 spazi,,-
tempo in virtù della Iiturgia che ivi è celebrata e che rende la
comunità liturgica, in un certo senso, sopra-spaziale e sopra-tenl-
porale.

2. Le diverse manifestazionl della Iiturgia (sempre inten-


dendo quella autentica) sono la concretizzazione della fede-vis-
suta dalla Chies a locale.

J Cfr. A.M. TRLo\CCA, Il I1lÎslero della Chiesa comlllûrà di salvezza, in: AA.VV.,

Corso introdllttivo al Mis/ero della 8alvezza (Roma 1971) 93-114, specie llO-ln.
~ Cfr. Sacrosanctum Cotlciliwl1, 2: "Liturgia cnirn, pet qUltl1l ... Sllmme eo
confert ut fideles l'ivendo exprimant et aliis mallifestent mysterium Christi pl
gellllÎl1am verae EccLesiae natt/ram" (i corsivi sono ancura Hostri).
, Si nati che non identifichiamo arfatto questi piccoli gruppi con le co-
siddette "comunità di base". JI n05tro disCOI"sO è più generalc cd abbraccia
quindi anche le liturgie di gruppi particolarÎ, peI" le quali cfr. A.M. TRl:\CCA,
Celebraz.loni Liturgiche per «llOn-adlilti »: aperture, utopie a futunJ della ri-
forma lilurgica? [niziali cOl1siderazioni pastorali, in: SalesiamllH 37 (1975)
765·791.
12 ACHILLE M. TRIACCA

La presenza nella Chiesa di una liturgia particolare dice


vitalità locale, cioè: vita deI « depositum fidei » con tonalità spe-
cHiche. Dunque, di per sé è inconcepibile che una Chiesa tenti
di sopraffare un'altra Chiesa, cercando di sopprimere quanto di
autentico è ivi presente. Se cià si è storicamente verificato, la
si deve deplorare 0 scusare in quanto moite volte sono state
delle coordinate di tipo socio-politico a operare cià che da un
punto di vista teologico-liturgico è inconcepibile e che costitui-
rebbe un errore gravissimo, perché equivarrebbe a voler far ta-
cere 10 Spirito che intende elevare la Iode al Padre in tonalità
liturgico-espressive proprie ad una Chies a locale. Questa, infatti,
vive la liturgia (sem pre nell'accezione di liturgia autentica) den-
tro la tradizione, l'esperienza, e la comunione con altre Chiese
locali.

3. A ben considerare i dati forniti dai relatori alla Setti-


mana Liturgica parigina, si devono dedurre delle conseguenze di
vario genere nel campo della ricerca e della riflessione. Le clas-
sifichiamo, tanto pel' avviare tale riflessione, nell'ordine se-
guente:

a) l motivi che hanno indotto di quando in quando le di-


verse liturgie locali sia verso una uniformità eucologica e sia,
conseguentemente, verso una fissazione liturgico-espressiva, in
genere esulano dal campo teologico-(religioso)-liturgico, per scon-
finare in condizionamenti socio-culturali, in fattori geo-politici,
in movenze apologetiche, eortologiche, ecc. Cià che importa no-
tare èche tutte le volte che c'è stata sopraffazione di una litur-
gia su di un'altra, si è riscontrato in quella sopraffatta un de-
pauperamento eucologico collaterale ad un certo consolidamento
fissistico delle formule sopravvissute alla «fase di fagocita-
zione ».

b) Tutto il rigoglio di formulari e formule liturgiche di-


verse presenti nella Chiesa sta a dire che in ogni singola mani-
festazione della liturgia si verifica la legge dell'incarnazione del
comune deposito della fede in espressioni liturgiche tipiche, che
in seguito risulterà difficile disincarnare completamente, a meno
di abrogarle. Tuttavia, ogni abrogazione, 0 autoritativamente in-
detta 0 casualmente operata, si è risolta sempre in un grave
depauperamento della vita ecclesiale.
- - - - ..=----- -------=.13
- - - - - PRESENTAZIONE
c) Da una riflessione accurata sui dati nasce la consape-
volezza che ogni frazione di " Ecclesia » culturalmente omogenea
gode il diritto inalienabile di autodeterminarsi nella realtà litur-
gica, sem pre perà in « koinonia» con le altre chiese e in modo
particolare con la Chies a Metropoli e con quella "Princeps ».
Infatti, se è vero che la Trinità non abbisogna delle formule
cristallizzate di una cultura e che l'oggettività de! culto non au-
menta né diminuisce con la bellezza, con l'aulicità, con l'adegua-
tezza dell'eucologia, è perb vero che di tutto questo ha bisogno
l'uomo.
Le Chiese locali in possesso di questa verità e te se ad at-
tuare il bene dei loro fedeli concretizzarono l'auto determina-
zione liturgica con il creare, il ricreare, il fondere e il rifondere
periodicamente il deposito eucologico, arricchendolo e adeguan-
dolo di volta in volta alle peculiari esigenze di ogni epoca.
d) La diversità di formule espressive liturgiche sta a dire
vita ecclesiale. Per esprimere la vita ecclesiale non ci si pub
canalizzare in una sola manifestazione. Nella liturgia, che è azio-
ne di Cristo e che è quindi unica, la poliedricità di manifesta-
zioni locali sta a indicare l'unità nella molteplicità. Questo è un
paradigma proprio della cristianità. Ogni manifestazione litur-
gico-celebrativa 0 liturgico-eucologica è la comprova della veri-
dicità della tradizione cristiana.

4. Come osservazione finale, vorremma attirare l'attenzione


sul fatto che, dall'insieme dei dati riferiti nelle relazioni qui
riportate, viene comprovata una delle leggi tipiche della realtà
liturgica e cioè la legge dell'universalità della tradizione liturgica,
che si incarna nella legge dei particolarismo delle tradizioni li-
turgiche '.
Questa legge si verifica presso tutte le liturgie Orientali ed
Occidentali, se la si considera in assoluto. Infatti la realtà della
"tradizione liturgica» finisce con il visibilizzarsi in una delle
concrete manifestazioni 0 tradizioni liturgiche.
Ci sia lecito prospettare qui la verifica di questa legge come
una delle attuazioni concrete dei perpetuarsi di quanto insegna
]'Incarnazione dei Verbo. L'Incarnazione dei Verbo è sempre un

6 Cfr. IDEM, Introdllzione gCl1erale alla litllrgia = Pontificio Istituto Liturgico-


5. Anselmo (Roma 1971-1972) 5-27, spccie 22-23.
14 ACH1LLE \if. TRTACCA
~------------~=

evento di stupenda condiscendenza: una ricerca degli uomini me-


ravigliosa, incomprensibile, totale, senza alcuna riserva (eccetto
la contaminazione dei peccato). Cià è compiuto dal Verbo con
un'intenzione apertamente orientata verso una piena convergen-
za di intenti con il Padre nello Spirito. L'Ecciesia possiede la
incombenza delicata e grande di vivificare, in tutti i tempi e
per ciascun uomo personalmente, il gesto di avvicinamento che
il Verbo compi nella sua incarnazione storica.
L'azione della Ecclesia è la stretta continua azione dello
stesso evento misteriosamente attuato in ciascun istante della
storia della salvezza.
Da qui deriva che l'assunzione ecclesiale della dimensione Ii-
turgica rappresenta sempre una peculiare fase nella storia della
salvezza. Essa ha in sé una incomparabile densità perché spinge
ad integrare l'aspetto e la dinamica propria alla Chies a locale
con quella liturgica, che è di per sé sovratemporale (perpetua-
cultica) e sovralocale (cattolica).
La compenetrazione delle rispettive qualità tra Liturgia e
Chies a locale dà origine a due modelli strettamente paralleli.
L'unive1'salità della Chies a locale e la perennità della tradi-
zione liturgica corrono di pari passo, come pure la concretezza
della Chies a locale e la vitalità di una specifica tradizione litur-
gica tra le molteplici esistenti.
Come, d'altra parte, la Chies a locale supera la dimensione
dello spazio per raggiungere l'wûversalità dello spazio (la catto-
licità nel senso reale ed etimologico), cosi la concreta manife-
stazione liturgica oltrepassa la dimensione dei tempo per rag-
giungere la perennilà nel tempo (l'unicità dei culto) proprie dei
sacerdozio di Cristo (Unico Mediatore), che si incarna appunto
nella concreta manifestazione liturgica '.

In conclusione, si puà asserire che è nella vitalità ecclesiale,


nella poliedricità e varietà espressiva della liturgia che si con-
cretizza la presenza della volontà di comunione ecclesiale con
le altre « liturgie-chiese locali » in nome di una condizione pari-
tetica di veridicità.

Di questo aspetto abbiamo trattato già ùa tempo più diffusamentc. Cfr.


1
Chiesa locale e liturgia. Linee metodologiche rnutuate dalla Cristologia,
ID1D.·l,
in: Rivista Litll,.gica 59 (1972) 108-121.
PRESENTAZIONE 15

Cio che deve attrarre la nostra attenzione èche ogni flusso


e riflusso tra una liturgia e l'ait ra si riduce a convergenza di
verità.
Metodologicamente ci si potrebbe chiedere se è lecito pro-
cedere alla scoperta della verità correndo casualmente attraverso
verità anche solo parziali. E' pmdente imbarcarsi in un'avven-
tura allineandosi a volte con chi cerca ancora la verità, pur nella
consapevolezza che la propria liturgia fa pregare la verità?
Lasciando intatto l'interrogativo, diciamo che si deve accet-
tare la ricerca da parte di tutti per poter accettare un progresso
nell'approfondire un'indagine che, se fatta con sincerità ed im-
pegno, porta facilmente all'accennata convergenza, nella certez-
za della indefettibile promessa di Cristo alla Sua Chiesa che si
va concretamente realizzando nella liturgia locale, non solo nel
suo esse ma anche nel suo fieri.

Roma, Università Pontificia Salesiana


6 Gennaio 1976 - Epifania dei Signore

Achille M. TRIACCA
LES LITURGIES RÉFORMËES
ET LEUR PORTËE POUR L'OECUMÉNISME

Dans cet exposé, je me propose tout d'abord de faire un


rapide inventaire des motifs et des résultats des transformations
liturgiques demandées et réalisées par la Réforme réformée
(pour la Réforme luthérienne et la Réforme anglicane, les pro-
blèmes se posent un peu autrement). Il faudra ensuite relever
quelques repères pour l'histoire ultérieure du culte réformé, et
je terminerai en cherchant à voir ce que les liturgies réformées
peuvent apprendre à celles des autres Églises et ce qu'elles
peuvent apprendre d'elles. Tout cela sera évidemment rapide
et schématique, d'autant que je m'en tiendrai uniquement à la
liturgie majeure: celle qui rassemble les fidèles au jour du Seig-
neur.

* * '*
L'évidence historique montre que, sous réserve du respect
d'une certain nombre de principes de base, l'Église a la liberté
de formuler son culte de manière qu'il soit vraiment le sien.
c'est-à-dire le culte de telle Église située dans le temps et dans
l'espace. L'unité chrétienne dans et par la liturgie n'est pas à
confondre avec une uniformité chrétienne dans et par la litur-
gie. Mais quels sont ces principes de base qui, s'ils sont respectés,
qualifient un culte comme culte chrétien? La tradition catéché-
tique de J'Église réformée répond à cette question en proposant
quatre critères fondamentaux. Dans son explication du décalo-
gue, à propos du respect du jour de repos, le Catéchisme de
Heidelberg (1563) rappelle en effet que ce que Dieu ordon-
ne là, c'est « que je fréquente assidûment les saintes assenl-
blées, surtout le jour du repos, pour y entendre la Pal'Ole
de Dieu et pour pw,ticiper aux saints sacrements, pour invoquer
publiquement le Seigneur et pour contribuer chrétiennement à
l'assistance des pauvres »1, Il faut donc que s'y retrouvent les

1 Question 103, Le Catéchisme de Heidelberg, Neuchâtel, 1963, p. 49s. Pour


une répOl1Sl; identique, \"oir J. C.\I.\"IN, Institution de la ReliglO1t cJtrérienne, IV.
17,44; La Confessioll helvétiq/le postériellre (1566), chapitre XXII, Neuchâte1.
1944, p. 127; V. POLL,\:.:rs, Ururgia sacra (1551-1555), rééd. A.C. HONDRfS, Leiden,
1970, p. 31; eLc.
18 JEAN-JACQUES VON ALLMEN

quatre moments qui, selon Actes 2, 42, permettent à l'Église de


« persévérer» en tant qu'E.glise 2. Si ces quatre éléments sont
respectés, le culte est un culte chrétien, quels que soient, en
principe, le mode et les manifestations de ce respect. En effet,
s'il faut commencer par souligner que le culte chrétien est un
culte non pas arbitraire et inventé, mais un culte que l'on cé-
lèbre par obéissance, il faut dire aussi et ensuite que ce culte
doit aussi être célébré avec liberté. Pour être chrétien, il n'a
donc pas besoin d'être partout et toujours le même dans sa
forme. Il s'exprime en effet aussi et nécessairement par des « cé-
rémonies », et celles-ci - de tradition ancienne unanime - sont
laissées à la discrétion des Églises. Comme le souligne justement
La Confession helvétique postérieure de 1566 en son chapi-
tre XVII: L'unité de l'Église «ne gist point en ceremonies et
façons de faire exterieures: mais en la verité et unité de la foy
Catholique. Et la foy Catholique ne nous est pas donnée par
des loix humaines mais par la saincte Escriture: le sommaire
de laquelle se trouve au Symbole des Apostres. Pour ceste raison
nous lisons que du temps des Pères anciens il y a eu diversité
de ceremonies, libres toutefois, et à la volonté de chacune Église,
par laquelle diversité nul n'a jamais estimé que l'unité Eccle-
siastique fust rompue» 3.
Au XVI- siècle, ni plus ni moins qu'en n'importe quel autre
siècle d'ailleurs, ce n'était donc pas désobéir à l'enseignement
apostolique ni sortir de l'unité de l'Église que de revendiquer,
pour une Église locale, la liberté liturgique. Cependant, si l'Égli-
se réformée s'est alors distancée, et distancée très sérieusement
de la formulation latine médiévale du culte, ce n'est pas pour
user de son droit à la liberté en ce qui concerne les «cérémo-
nies ». Ce n'est pas davantage parce qu'elle était lasse de l'uni-
formité liturgique qui régnait alors - elle tiendra elle-même
beaucoup à une certaine rigidité liturgique uniforme' - et ce

J. C.-\LVIN, ibid. renvuie expressément au kxte ùu livre des Actes.


2
Op. cit., p. lODs; cfr. aussi ibid., chapitl,c XIII: "II n'est pas aussi requis
3
que les prières publiques, quant à la forme et au temps savent pareilles en
toutes les Eglises: car chacune Eglise peut user en cela ùe sa libertê, comme
Soc rates dit en son histoire (Lib. V. 22,40). Qu'en nul pays ou region on ne
pourra trouver deux Eglises qui s'accordent pleinement en priant ... » (p. 128s.).
Voir encore J. C:\lVTN, fl1SfiTlltiOlI, TIl. 19,8; IV. tO, 15, 29, 32; V. POLU:\lTS.
op. cil., p. 45, etc.
4 La citation du chapitre XXIII ùe La Confessiol1 heh'étique postériellre
rappelée à la note précédente ne se contente pas seulement d'insister sur la
libené des E.glises pal ticulières ou locales en cc qui concerne les cérémonies.
LITURGIES REFORMÉES ET LEUR PORTÉE OECUMÉNIQUE 19

n'est pas non plus qu'un impérieux besoin de créativité liturgi-


que l'ait tenaillée. C'est d'abord et principalement parce que ce
culte latin médiéval lui parassait désobéir à ce que le Christ
avait voulu et institué pour son Église; c'est ensuite, et subsi-
diairement parce qu'elle a dû admettre que la situation ecclé-
siale qu'elle se proposait de guérir était tellement délabrée que
sa propre obéissance s'en trouvait provisoirement comme empê-
chée. Reprenons ces deux points.
Au culte dominical médiéval d'Occident - c'est donc de
lui seulement que je parle ici' -la Réforme helvétique, française,
écossaise, néerlandaise ou danubienne faisait le grief de ne plus
être celui qu'exige l'obéissance à ce que nous appremlent les
documents de l'Église ancienne', et ceci surtout sur les quatre
points suivant: premièrement, le culte latin médiéval négligeait
la proclamation vivante de la Parole de Dieu en l'écartant en
fait de la liturgie dominicale principale ou alors en l'isolant, pour
les églises majeures, dans des cultes homilétiques marginaux:
le prône'; en second lieu, il mettait en question, à cause de la
théologie alors courante de la messe, l'unicité et la suffisance de
la mort réconciliatrice du Christ en prétendant renouveler le
sacrifice de la Croix; il contestait aussi, à cause du culte des
saints, le caractère unique de la médiation salvatrice de Jésus-
Christ; enfin il se protégeait mal contre la magie et le clérica-
lisme en tolérant ou en favorisant des pratiques superstitieuses
et en étant célébré dans une langue que la majorité des baptisés

Elle ajoute en effet que si les ceremonies peuvent être" toutesfois accordantes,
cela est digne de grande recommandation et doit cstre imité des autres»
(ibid.); c'est J'avis général.
, L'attitude trè-s négative de la Réforme à l'endroit du monachisme et de la
vic religieus~ a provoqué presque partout le remplacement de l'office des
heures par des offices homilétiques publiques, et l'attitude tout aussi négative
de la Réforme ~I l'endroit du culte des saints a entraîné la suppression des
fêtes qui n'étaient pas eelles du Christ. (Voir p.ex. La Confession lwlvétique
poslérieure, chapitres XXIII et XXIV, op. cil., p. 129-133).
6 La liturgie de GenèYe de 1542 porte le titre symptomatique de «La
Forme des prieres ct des chantz ecclcsiastiques, auec la maniere d'administrer
les Sacrements & consacrer le mariage: selon la cOllslwne de l'Eglise ancienne»
Uoll. Calvilli opera seiee/a, ed. P. B.-\RTH et G. NTESEl., München, 1952, vol. II,
p. 1-58 = Edition facsimile, Kassel/BascI, 1959). Sur cette volonté d'assimilation
~l la pratique de l'E.glisc ancienne, cf. H.O. OLD, The pUlrislic rouIs of reformaI
lI'()rship, Ziirich, 1975.
7 On se rappelle que plusieurs des réformateurs avaient commencé leur
ministère en occupant dans les églises cathédrales ou collégiales la charge
spécialisée de prédicateurs. Voir p. ex. E. WElSM.-\KN, «Der Predigtgottesdienst
und die verwandten Formen », Leiturgia, I-landbuch des evangclischcn Got-
tcsdil.:'llstcs, Kassel, vol. III, 1956, p. 19-49.
20 JEAN-JACQUES VON ALLMEN

ne COll1prenait pas. L'obéissance liturgique exigeait donc que


la prédication de la Parole reprenne sa fonction et sa place litur-
giques déterminantes, que l'eucharistie soit libérée d'une in-
terprétation avant tout sacrificielle, que l'ensemble du culte soit
résolument recentré christologiquement et qu'il redevienne le
culte offert consciemment par les fidèles qui le célèbrent.
Mais une telle restauration du culte chrétien authentique
se heurtait sur un point central à une difficulté d'ordre pastoral:
on était convaincu qu'une célébration de la cène qui n'était pas
aussi communion de tous les baptisés - du moins de ceux qui
n'étaient pas excommuniés - à la cène ne correspondait pas
au repas que le Christ avait institué; on était convaincu aussi
qu'une communion qui privait de la coupe ceux qui ne faisaient
pas partie du clergé s'en trouvait falsifiée - mais on se trou-
vait devant un état de fait qui paraissait empêcher, à moins de
ménager des étapes, un retour à ce qu'il aurait fallu faire pour
obéir: depuis des générations, l'écrasante majorité des fidèles
avait pris l'habitude de ne communier qu'une fois l'an, à Pâques.
Aussi, s'il était possible sans trop de difficulté de rendre la coupe
aux laïcs (ce qui fut fait partout), il ne l'était apparemment pas
de les faire passer d'une communion annuelle à la communion
hebdomadaire. Calvin s'explique: «Il serait bien à désirer que
la communication de la saincte Cène de Jésus-Christ fust tous
les Dimanches pour le moins en usage ... Mais pource que l'infir-
mité du peuple est encore telle qu'il y ait danger que ce sacré
et tout excellent mystère ne vint en mépris s'il estoyt si souvent
célébré, ayant égard à cela, il nous a semblé bon que en attendant
que le peuple qui est encores aucunement débile sera plus con-
firmé, cette saincte Cène soit usitée une fois chacun mois en
l'ung des trois lieux où se font maintenant les prédications,,",
ou même seulement quatre fois par an '. Seulement cette réduc-

a Cité par E. B~RSIF.R, Projet de reV/SIOIl tic la Lilllrgie des ~glises réformées
de France, Paris, 1888, p. XVI, n. l.
~ Voir «Les OrdonnanCt!s Ecclésiastiques de l'Ëglisc de Genève. 1561»
apllcl W. NlESEL, Die Belœl111117isecl1riftcll l/lld Kirche!lordl1lmgeJ1 der nael,
Coltes Wort reformiertel1 Kirclte, MiillChcll, 1938. p. 51. - Certaines E.glises
réformées connaissaient, il cst nai, une célébration eucharistique plus fré-
quente: la Confession d'Erlauthal, 1562, stipule: «Coenam Damini singulis
diebus daminicis iuxta Christi ritum administramus, praemissa caneione ct
adhartatiane» (E,FiK. MUELLER, Die Bekellntnisschriflen der reformiertel1
Kirche, Leipzig, 1903, p. 347); à Bâle aussi on pouvait communier chaque
dimanche puisque, par alternance des paroisses, il est vrai, il y avait une
célébration hebdomadaire (E. SHEHELIN, Das Buch der Basler Refunnatiun,
LITURGIES REFORMÉES ET LEUR PORTÉE OECUMÉNIQUE 21

tion, ou cette amputation liturgique, qui ne devait être que


provisoire, s'est si bien installée dans la tradition cultuelle ré-
formée que non seulement on en a oublié le caractère provisoire,
mais que souvent c'est l'exemple de Genève qui a été suivi plu-
tôt que celui des f.glises qui connaissaient une célébration eucha-
ristique plus fréquente w.
C'est à ces divers moments qu'est dû ce qui caractérise la
vie liturgique réfonnée, ce qui lui a donné non pas d'abord une
caractéristique locale mais bien plutôt un aspect confessi01111el.
Celui-ci a fait de la liturgie réformée primitive une liturgie réso-
lument christocentrée, une liturgie qui donne à la Parole une

BaseI, 1929, p. 206) ct 1'on trouve une situation analogue dans certaines églises
d'Ecosse (cf. W. MAXWELL, An OutlÙ1e of Christian Worship, London, 1958, 7~ cd.,
p. 117, n. 4); à Strasbourg, il y avait service eucharistique chaque dimanche en
la cathédrale ct une fois par mois au moins dans les autres paroisses (W.
MAXWELL, op. cil., p. 105); dans les eglises du Palatinat la cène était célébrée
au moins une fois par mois en ville, et au moins une fois tous les deux mois
dans les campagnes (cf. W. NIESEL, op. cit., p. 187. Voir aussi mon étude sur
Le saint ministère selo/! la conviction et la volonté des Réformés dll XVI~
siècle, Neuchâtel, 1968, p. 154, Il. 67).
10 Il vaudrait la peine de faire à ce sujet quelques recherches historiques
pour comprendre les raisons théologiques pour lesquelles l'.l!glise réformée,
dans l'en.semble, s'est contentée d'une vie eucharistque atrophiée. Je pense
qu'un telle recherche aboutirait à trois raisons majeures pour lesquelles
l':Ë.glise réformée a consenti à cet appauvrissement. La première, c'est l'anticatho-
licisme qui s'est développé parmi ses membres: il importait de marquer
nettement la différence entre un «catholicisme), commandé par la vie eucha-
ristique et un "protestantisme» commandé par la vie homilétique et catéché-
tique. La deuxième c'est qu'on a presque Forcément des doutes sur la nécessité
de la vIe sacramentelle quand on affirme que le sacrement ne donne pas
autre chose et ne donne surtout pas plus que ce que donne la Parolc. La
dernière - c'est ici surtout que les recherches pounaient apporter du
nouveau - c'est que l'on comprenait la cène comme une sorte de prélude au
jugement dernier. Je pense à la coloration si fortement pénitentielle des
liturgies de cène, à l'invitation pressante de s'examiner soi-même pour ne pas
communier indignement, à l'excommunication publique que le pasteur, «au
nom et en l'aucthorité de nostre Seigneur Jesus Christ », prononçait contre
({ tous idolatres, hlasphemateurs, contempteurs de Dieu, heretiques, et tous
gens qui font sectes à part, pour rompre l'unité de l'Eglise, tous periures,
tous eeux qui sont rebelles à peres et meres, et à leurs supéril~urs, tous
séditieux, mutins, hateurs, noiseux, adulteres, paillars, larrons, ravisseurs,
avaricieulx, yvrognes, gounnans, et tous ceux qui meinent vie scandaleuse et
dissolue: leur denonceant qu'Hz avent à s'abstenir de ceste saincte Table,
de paour de polluer et contaminer les viandes sacrées que nostre Seigneur
Jesus Christ ne donne sinon à ses domestiques et fidclles» (Opem Call1i1li
selecla, vol. II, p. 47 = J. BECKl\f.\N:\':, Quellen ZUI" Geschichte des chri.~tlic11C11
Cottesdienstes, Gütersloh, 1956, p. 162). Voir encore, plus de cent cinquante ans
plus tard, une formule cl'excommunication publique presqu'identique dans
La Litl/rgie 011 la Maniere de celelJrer le Service divin qui est établie dans les
Eglises de la Principauté de Neufchatel et Vallangin, Bâle, 1713, p. 110. Cf.
aussi H.O. OLD, up. cit., chapilre V la. Si la eène doit être prot.égée par une
défense si formidable, personne n'a grande envie d'en multiplier l'exercice.
22 JEAN-JACQUES VON ALLMEN

part prépondérante, une liturgie qui n'amenuise pas la partici-


pation du peuple en faveur de celle du seul clergé, mais une
liturgie ordinairement amputée de la célébration eucharistique.
Avant de mesurer quelques-uns des effets de cette ampu-
tation, il faut dire un mot de cette participation du peuple, car,
à première vue, la liturgie réformée traditionnelle est bien assez
cléricale. Mais à première vue seulement. On est certes frappé
de voir que, généralement, l'Amen qui devrait permettre au
peuple d'assumer les prières dites en son nom est prononcé par
le ministre qui préside plutôt que par les fidèles. On est frappé
aussi par la suppression assez générale des dialogues liturgiques
traditionnels"; mais en regard, il faut se rappeler que le culte
est entièrement célébré de manière à être compris du peuple -
la langue du culte est toujours celle du peuple et les prières
secrètes n'existent plus - et que la Réforme a rendu au peuple
le droit et la possibilité de chanter les grandes oeuvres de Dieu
par des cantiques et des chorals nouveaux (pour le luthéranis-
me) et par une mise en vers et en musique des psaumes (pour
les réformés); il faut se rappeler encore qu'elle a inséré le par-
tage des biens, expressions de la KOINONIA que cite Act. 2,42, dans
le déroulement du culte, faisant de celui-ci le lieu-source de la
diaconie chrétienne.
On n'attendra pas d'un membre de l'Église réformée qu'il
minimise l'importance positive de la réforme liturgique du XVI"
siècle. Le positif est là en effet, et généreusement là. On ne lui
en voudra pas non plus de penser que les Églises de Bâle, de
Zurich, de Genève, de Strasbourg, d'Edimbourg, du Palatinat,
des Pays-Bas avaient le droit d'opter pour des" cérémonies» qui
se distinguaient de celles de l'Église catholique-romaine, encore
qu'on ait lieu de souligner que les Églises luthérienne et angli-
cane, si proches de la réformée en ce qui concerne la conviction
de la nécessité d'une réforme liturgique profonde ont pu la faire
sans trop défigurer le schéma liturgique traditionnel ". Ce qui
me paraît grave toutefois dans cette réforme nécessaire, posi-
tive et légitime, c'est qu'on ait osé mettre fin - même si c'était
à titre provisoire - à la coïncidence antérieurement unanin1c
entre jour du Seigneur et repas du Seigneur. Renoncer à l'ordo

11 Il faut cependant noter ici la louable exception de la liturgie eucharistique


de Zwingli. Cf. J. BECKl\HNN, op. cit., p. 14255. = F. SCBl\nf)T-CL.I,.l·Sl~G, Zwingli
aIs Liturgiker, Gocttingen, 1952, p. 1295s.
LITURGIES REFORMÉES ET LEUR PORTÉE OECUMÉNIOUE 23

liturgique traditionnel ", remplacer le lectionnaire commun par


le retour à la lectio continua librement choisie par le pasteur,
réduire le calendrier des fêtes à celles du Christ ", c'était non
seulement permis, mais sans doute nécessaire et souhaitable:
il fallait marquer au niveau du culte aussi que l'Église avait
besoin d'une réforme en profondeur, et il fallait passer à cette
réforme par des actes. Mais l'on doit se demander si le risque
n'était pas trop grand pour être couru de se couper de ce qui
avait été la tradition liturgique fondamentale de l'Église, à sa-
voir le jumelage, au jour du Seigneur, de la proclamation de
l'Evangile et de la célébration eucharistique. Ne devait-il pas
en résulter ce qui en effet en est résulté et qui est malheureux,
voire faux: une tradition liturgique ordinaire d'un culte carac-
térisé positivement certes par la proclamation et l'audition de la
Parole de Dieu mais caractérisé aussi, négativement, par l'absen-
ce de l'eucharistie, et une tradition liturgique extraordinaire d'un
culte « complet» plutôt rare" - avec pour corollaire soit des
hésitations sur la nécessité de la cène, soit une compréhension
terrifiante de celle-ci J'.

***

Que sont devenues, au cours des générations subséquentes,


les liturgies réformées du XVI" siècle? Il n'est pas possible, bien
sûr, de répondre à cette question autrement que par quelques
constatations très sommaires et générales, étant entendu que je
me réfère seulement à des liturgies qui ont trouvé l'approbation

12 On sc rappeUe l'irritation du pasteur neuchâtelois J.F. Ostcrvald contre


«nos réformateurs" Qui «ont horriblement défiguré » le culte «sous prétexte
de réforme" (Lettres inédites adressées de 1686 il 1737 il. J.A. Turrellilli,
publiées par E. de BlTIJE, Paris et Genève, 188ï, vol. H, p. 39;=;5S.).
13 Dont cependanl on gardait partout certains 01éments con.,>titutifs: l'oralson
dominicale, la confession de la foi apostolique, le récit de l'institution, le
gloria - comme dans la liturgie de Zwingli - le sUl"sum corda ou du moins
sa paraphrase - comme dans les liturgies dc Genève ou du Palatinat., ou celle
de V. Pollanus, etc.
lt Voir p. ex. les ordonnances du Palatinat de 1563, apl/d W. N1ESEi., O/J. cil.,
p. 205; La Confessioll hel~'ét;lJ.ue postérieure, p. BOs.
15 Cf. J. SCH\\"ETZER, Zur Ordtlll11g des Gottesdiellstes i/1 del1 ,/aÔ"' Got/cs
Wort reformierle,., GCJ/lc;lUlell der delltsdlspradIigeJ1 Sr.:/llI'ei::., Zürich, 1944,
p. Ils.
1~ Je n'ignore pas que c'est aussi par une sorte ù'eHroi devant le sérieux
de la communion que l'eucharistie connaissait si souvent une célébration san'>
communion ùu peuple.
24 JFAN-JACQl:ES VON ALLMEN

officielle des synodes. Je ne tiens donc pas compte des numbreux


essais contemporains de créativité liturgique, d'abord parce que
ces essais sont peu marqués, d'ordinaire, par l'appartenance con-
fessionnelle de ceux qui les proposent, ensuite parce qu'ils n'ont
pas - ou pas encore - trouvé l'approbation des autorités des
Églises.
Il me paraît possible de réduire ce qu'il y a à dire ici à deux
points: le premier c'est la lente reconquête d'une célébration
eucharistique plus fréquente; l'autre c'est la progressive assi-
milation de l'ordre du culte réformé à la tradition liturgique
classique.
Il faut cependant reconnaître tout d'abord que jusqu'à ces
tout derniers temps, aucun effort vraiment résolu n'a été entre-
pris pour rendre régulièrement au jour du Seigneur le repas du
Seigneur. Le soupir dépité de Calvin contre l'impossibilité pas-
torale de multiplier les services de cène, on continue à l'entendre
exhalé avec plus ou moins de conviction. C'est ainsi que Jean-
Frédéric Ostervald (1663-1747), qui a joué un rôle si important
dans l'histoire liturgique des Églises réformées de langue fran-
çaise, voudrait lui aussi que la cène soit célébrée plus fréquem-
ment, et que l'Église rejoigne sur ce point la coutume de l'Église
ancienne "; mais il le fait un peu du bout des lèvres, car sa
doctrine des sacrements était trop hésitante pour motiver un
tel projet au point de vouloir vraiment le faire aboutir lB. Ce
même voeu sera exprimé à nouveau cent cinquante ans plus
tard, lors du second essai de réformer la vie liturgique des
Églises réformées de langue française, essai rattaché au nom du
pasteur parisien Eugène Bersier (1831-1899) 19. Il n'aura guère de
succès non plus ... On réentendra ce voeu dans le monde réformé
anglosaxon'" et même dans les Églises réformées de Suisse alle-

JO Cf. Traité des sources de la COITUptiOll qlli règne aujourd'IU/y parmi


les Chrestiens, paru sans nom d'auteur à Amsterdam en 1700, seconde partie
p. 27; Jo.\i\', FRED, OSTERVALDII, ... Ethicae christimme Compcl1diwtl, Bft1c, 1739,
p. 302.
t8 Voir mon étude L'Église el ses fonctions d'après lean-Frédéric Ostervald,
Neuchâtel, 1947, p. sass.
JO E. BERSIER, op. cit.} p. XLII: «L'idéal que nous devrions poursui"J"C, cc
serait évidemment le cultc chrétien primi.tif, c'est-à-dire la célébration de 1::1
communion, autour de laquelle tout ùendra se grouper dans un ordre
naturel. A défaut de cette célébration, qui est encore parmi nous trop rare,
il faut que les grands faits chrétien:. qu'ellc commémore soient affirmés dans
le culte public_. ».
20 Cf. p. ex. J.M. BARKLCY, The Wursl1ip of the Rcformed C/wrc!1, London,
1966, p. 74s5.
LITURGIES REFORMÉES ET LEUR PORTÉE OECUMÉ~TQUE 25

mande ". Il faudra cependant attendre le mouvement liturgique


contemporain - exprimé par exemple dans le groupement vau-
dois «Église et Liturgie» ou dans la vie cultuelle de la com-
lllunauté de Taizé - pour que la cène con1mence chez nous à
reconquérir en fait la place qui lui est due et qui de tout temps
lui était reconnue de droit. Cette reconquête ne se fait toutefois
pas sans peine, sans exiger un considérable effort catéchétique
et pastoral, sans imposer à ceux qui la veulent et la poursuivent
une patience qui parfois conduit au bord du découragement.
« Comme on a mal compris l'Église réformée, comme elle s'est
mal comprise elle-même quand, plus tard, elle passa pour une
Église sans sacrements, voire hostile aux sacrements », disait K.
Barth en commentant la Confession écossaise de 1560 22 • C'est
pourtant cette image d'une Église pour le moins hésitante au
sujet de la vie sacramentelle qui qualifie encore aujourd'hui
l'Église réformée, même si - de façon que je crois désormais
irréversible - les étapes qui mènent à la restauration de la com-
munion dominicale hebdomadaire commencent enfin à être fran-
chies (du moins dans les Églises réformées de langue fran-
çaise, beaucoup plus ouvertes, compréhensives et courageuses
sur ce point, beaucoup plus convaincues aussi, que les Églises
réformées germanophones par exemple) ".
Ce qu'il faut mentionner en second lieu, c'est que l'Église
réformée n'est pas seulement en voie de reconquérir, même
péniblement, la coïncidence entre le dimanche et l'eucharistie;
elle se réhabitue aussi aux grands textes liturgiques classiques.
Certes, ils n'étaient pas absents des liturgies du XVI' siècle, bien
que parfois tronqués, et souvent placés dans l'ordre du culte
de manière inusitée. Mais la concentration quasi exclusive du

21 Voir p. l'X. J. SCHWETZER, qui remarque combien désirable serait «dass


ùt!rcinst das Abendmahl den ihm zukommcnden Platz im Sonntagsgottcsdicnst
unserer Kin:he wieder erhtilt » (op. cil., p. 2i), mais qui, dans l'énumération des
«rechtmassige Stücke eines reformierten Gottesdienstes II omet ensuite pure-
ment et simplement la célébration eucharistique (p. 39-74}t
2Z «Wie hat man die reforrnierte Kirche missvcrstanden, \Vic hat sic sich
wohl auch sc1ber miss\'erstandcn, wenn cs spater den Anschein gcwinncn
konnte, aIs ware sie eine sakramentslosc und wohl sakramentsfeindlichc
Kirche", Gotleserkenntnis l//ld Gotlesdie/lsl l1ach refurma{ol"ischer Lehrc, Zol-
IikonfZUrich, 1938, p. 184.
2J J'ai été frappé de voir que dans le KommcJ1tar J. Teil du Ziircller
Kirchel1bw.:I1, s.d. (1969) on ne propose même pas un accroissement des services
eucharistiques. Ils sont, pratiquement, réservé!> aux jours de grandes rêtl's
(cf. p. 68).
=2"'6'---_______--'JEAN~JACQUES VON ALLMEN

culte sur la proclamation de la Parole, au début, puis plus tard,


l'écho que trouvaient dans la vie liturgique les hésitations et
les fluctuations doctrinales qui affaiblissaient l'Eglise, avaient
détaché la liturgie réformée d'un ordo régulier. J. F. Ostervald
a été le premier, si je vois bien, à chercher à rétablir dans l'Eglise
réformée - encore bien prudemment, il est vrai - le déroule-
ment classique du culte chrétien (même quand le culte était
amputé de la célébration eucharistique), et son exemple a eu
un rayonnement tout à fait disproportionné au regard des di-
mensions modestes de l'Eglise neuchâteloise dont il était pasteur.
Après lui, la situation s'est à nouveau détériorée, tant sur le
plan du déroulement du culte où, comme au temps des Juges,
chacun faisait un peu ce que bon lui semblait, que sur celui
des retombées, sur la liturgie, des hésitations, des ambiguïtés,
des conflits, des divagations qui parcouraient les Eglises réfor-
mées en ce qui concerne le contenu de la foi chrétienne. Parlant
de la révision de la Liturgie de Genève de 1802, E. Bersier note:
« ... l'église de Genève a cru devoir introduire dans sa liturgie
des formules multiples et des prières adaptées aux tendances
diverses et même contradictoires qu'elle abrite dans son sein;
on y trouve deux modèles de confession des péchés commen-
çants de la même manière et bifurquant quelques lignes plus
bas; les doubles formulaires du baptême et de la sainte Cène ré-
pondent à un but analogue; il en est de même des prières pour
les grandes fêtes chrétiennes et dont les unes affirment avec
puissance les faits surnaturels que ces fêtes commémorent, tan-
dis que les autres les traitent comme de simples symboles de
vérités spirituelles ... " ". Quand on mesure de telles liturgies à
l'adage lex orandi, lex credel1di, on doit se dire en effet que la
foi de l'Eglise réformée ressemblait fort à une maison divisée
contre elle-même. Ce n'est pas que cette situation détestable ait
entièrement disparu; mais si certaines liturgies sont restées at-
tachées au système de présenter diverses variantes pour chaque
moment de l'ordre du culte ", l'ordo classique paraît retrouver
un certain rôle normatif, surtout dans les liturgies réformées de

~4Op. cir., p. XXXI.


25C'est notamment le cas, récemment. de la Li/tln~ie !Jour les paroisses
de lallgue fra/lçaise de l'Église réformée du Canton de Berne (1955), qui sur cc
point est d'une générosité déconcertante. Il faut reconnaître cependant que
c'est davantage pour faire droit à un pluralisme liturgique qu'à un pluralisme
docl ri/lUi.
LITURGIES REFOR~fÉES ET LEUR PORTÉE OECUMÉNIQUE 27

langue française" et anglaise". Je ne pense pas qu'il s'agisse


là d'une manifestation de convoitise, de la faim et de la soif
de retrouver les platées de viandes égyptiennes abandonnées au
XVI' siècle. Il ne doit pas s'agir non plus d'un mimétisme catho-
licisant provoqué par un réflexe d'infériorité confessionnelle. Il
doit s'agir plutôt d'une redécouverte du mouvement profond qui
a conduit l'Église ancienne de la nue obéissance à l'ordre du
Seigneur à l'ossature commune principale du culte chrétien. On
rappellera aussi que ce mouvement liturgique réformé - même
s'il est encore loin de s'être assuré l'adhésion de la totalité des
fidèles - retrouve d'autres éléments encore qui caractérisent la
vie liturgique de la grande tradition" catholique,,: l'usage d'un
lectionnaire se répand de plus en plus chez nous, et il n'est pas
jusqu'à ces problèmes {( extérieurs» et en tout cas marginaux
- tels celui des règles théologiques à suivre pour la construc-
tion d'un lieu de culte, ou celui de ce que les Allemands appel-
lent la Paramentik - qui ne nous occupent, préoccupent et, au
gré de certains, suroccupent.
Progressive reconquête de la cène hebdomadaire, progres-
sive réadaptation à l'ordre liturgique classique, et ceci sans re-
nier les convictions et la volonté profondes de ses Pères du XVI"
siècle, voilà, ce me semble, ce qui caractérise aujourd'hui la vie
liturgique de l'Église réformée.

***

Quand on réfléchit au dialogue oecumemque entre les tra-


ditions réformées et les traditions" catholiques ", que dire de sa
portée pour la théologie et la célébration du culte? Sans vouloir
m'illusionner, sans vouloir non plus nier ce qui demeure faible
et inquiétant de part et d'autre, je crois quand même possible
de dire que nous avons appris à nous écouter et à tenir compte,
les uns et les autres, de ce que nous pouvons nous apporter
réciproquement .

• 6 Église réformée de France, 1955; paroisses de langue française du


Canton de Berne, 1955; communauté de Taizé, etc.
27 Book ni COIIl1/1017 nider of the Churdl of Scurlwlll, 1952; The Book of
common lI orship approved by the general Assembly of the Presbyterian ChuJ"ch
J

in the United States of America, 1946. - À lire le Ziircl1er Kirchellbtlch de 1969


par exemple, on doit constater que le mouvement d'un retour à une liturgie
de type classique y est notablement moins accentué.
28 JEAN-JACQUES VON ALLMEN
~-----------------

Nous réformés demandions et denlandons encore aux tra-


ditions liturgiques « catholiques» une réforme sur quatre points:
que la prédication de la Parole de Dieu, la viva vox evallgelii
retrouve dans le culte la place éminente qui est la sienne tant
que le Royaume de Dieu n'est pas établi avec puissance - que
le culte ne laisse le moindre doute sur l'unicité et la suffisance
du sacrifice du Christ au Golgotha pour réconcilier Dieu et le
monde - que l'Église jubile tellement d'avoir retrouvé, en Christ,
l'accès à Dieu, qu'elle ne cherche pas à la rejoindre par d'autres
voies - que le culte, s'il est mystère, ne soit pas mystérieux pour
ceux qui le célèbrent, qu'il soit leur affaire à tous et compré-
hensible par tous.
Mais si c'est cela que nous demandions et demandons en-
core, nous n'en sommes pas dispensés pour autant d'écouter et
de faire droit à ce que les traditions liturgiques « catholiques»
demandaient et demandent à la nôtre. Cette interpellation porte,
elle aussi, sur quatre points. Le premier, et de tous le plus
fondamental, c'est que nous reconnaissions que la fréquence de
la célébration eucharistique fais aussi partie de sa juste et légi-
time administration - que cette anamnèse n'isole pas l'oeuvre
du Christ des préludes et des fruits de cette oeuvre, c'est-à-dire
que le cuIte fasse l'anamnèse de l'histoire du salut en son entier
et pas seulement de son point culminant - que l'écrin {( céré-
monial» qui porte le culte que l'Église offre à Dieu n'ait pas
peur d'attester, même maladroitement, qu'avec la venue du Christ
la gloire du Royaume a déjà atteint le monde et son histoire -
que le cuIte, s'il est celui de tout le peuple de Dieu, n'en exige
pas moins une présidence spécifique, constitutive de sa légitime
célébration, commandée par l'institution du Christ plutôt que
pour de simples raisons sociologiques.
Que peut-on attendre du jeu dialogal de ces interpellations
réciproques? La réponse me paraît claire: on en peut attendre
une «déconfessionalisation» de nos cultes dans ce qui les op-
posait polémiquement, et une progressive convergence des deux
types de célébration. Or quand nos cultes se ressembleront tel-
lement qu'ils finiront pas s'identifier, un pas considérable sera
fait pour retrouver J'unité. Car on ne comprendra plus alors
pourquoi le même culte ne serait pas le cuIte de la même Église.

Jean-Jacques VON ALLMEN


LA LITURGIE EXPRIME·T·ELLE L'IDENTITÉ SPIRITUELLE
D'UNE IËGLISE?

Le titre de la conférence qui m'avait été confiée pour cette


22' Semaine d'Etudes Liturgiques de l'Institut Saint-Serge était
à l'origine: «La liturgie comme identité spirituelle d'une Egli-
se». Ce titre est porté dans notre programme, qui a été im-
primé bien avant que je n'eusse commencé de travailler à cet
exposé. Il préjuge les conclusions de celui-ci puisqu'il affirme a
priori que la liturgie exprime l'identité d'une Eglise, sous-en-
tendu d'une Eglise particulière, conformément au thème géné-
ral de notre Semaine. Réflexion faite, il m'a paru intellectuelle-
ment plus honnête de donner une tournure interrogative à ce
titre, permettant ainsi une réponse positive ou négative selon
que j'aurais réussi ou non dans ma recherche.
Je suppose évident que nous prenons ici le terme « identité"
au sens psychologique et, plus précisément, expressément même,
au sens spirituel, pour signifier la propriété ou le caractère d'un
être personnel qui. quelles que soient les circonstances, se con-
naît comme demeurant un seul et même sujet, ou moi. C'est
ainsi que nous considérons une Eglise comme une personne
exprimée par un nIoi et par un nIoi chrétien, à savoir: en tant
que serviteur de Dieu appelé à la filiation et à l'héritage, et qui
s'adresse liturgiquement au Dieu trinitaire.
Cette personne ecclésiale n'est pas simple, elle est compo-
site et multiple, mais elle a une conscience catholique d'elle-même.
Elle exprime celle-ci en tant que moi ou que nous. Les exemples
où un Église dit nous sont surabondants: qu'il suffise de citer les
prières eucharistiques. Il y a d'autres exemples de prières à la
première personne du singulier, très significatives, du moins
pour la conclusion à laquelle je crois devoir aboutir en fin de
compte. Nous les connaissons par coeur, mais je me permets
d'en rappeler une ou deux. Il s'agit des prières du matin (dont
l'une est plus exactement de minuit) et du soir.

« Tu m'as fait lever pour que je veille et que glorifie Ta puis-


sance. Maintenant donc illumine mes yeux intelligents (ta ommata
tès dianoias), ouvre ma bouche pour que je m'exerce à Tes paroles
30 CONSTANTlN ANDRONIKOF
:=:C~=--- _ _ __

(ta stoma tou meletal1 ta logia SOli) et que je comprenne Tes pré-
ceptes (tas entolas sou) et que je fasse Ta volonté, et que je Te
chante par la confession du coeur (en exomologèsei kardias) et que
j'exalte Ton nom très saint, du Père et du Fils et du Saint Esprit )}.

Une autre prière, également anonyme, est adressée au Fils:

«Gloire à Toi... car par Ta divine et philanthropique provi-


dence, Tu m'as rendu digne, moi pécheur et indigne, de me lever
de mon sommeil et d'obtenir l'accès de Ta sainte demeure. Reçois
aussi, Seigneur, la voix de ma prière, comme (Tu le fais) de tes
Puissances (angéliques) saintes et noétiques, et consens à ce que
le coeur pur et l'e~prit (pneU/na) humble, j'élève vers toi 111a louange
de mes lèvres impures, afin que moi aussi je devienne le compagnon
(koinôl1os) des vierges sages ... et que je te glorifie, Toi Dieu le
Verbe qui es glorifié dans le Père ct l'Esprit ».

L'illumination de l'intelligence, l'initiation à la parole di-


vine par l'énergie divine, l'action et la confession en connais-
sance de cause sont des leitmotivs de la liturgie en général;
notre deuxième prière les rattache directement à l'entrée dans
le Royaume parmi les compagnes de l'Epoux, et au sein du
choeur angélique. Dès qu'il se dresse pour prier, l'homme se
pose comme membre de l'Eglise. Son moi prétend à la religion
universelle révélée par le Christ.
Sans quitter le temple secret de son coeur où il prie sans
la présence physique de ses frères, mais sans se séparer d'eux
par l'esprit, le moi s'exprime aussi parfois en tant que nous:

« Donne-nous, avec un coeur vigilant et une pensée sobre et


claire, de passer par la nuit de cette vie présente, en attendant
l'avènement du jour éclatant de Ton Fils monogène ... et que nous
soyons prêts à entrer ensemble dans la joie de la demeure divine
de sa gloire ... Car Tu es la lumière véritable ... et tma le créé Te
chante dans les siècles des siècles» (S. Basile).

Ou encore:
« Seigneur, aie pitié de nous, car nous espérons en Toi ... dé-
livre-nous de nos ennemis. Car Tu es notre Dieu et nous sommes
Tes gens, tout est oeuvre de Tes mains, et nous invoquons Ton
nom» (slavon).

Ce qui est une paraphrase d'Apoc. XXI,3, péricope qui elle-


même reprend Ex. XXXIII,27 et Is. VIII,8,
LITURGIE ET IDENTITÉ SPIRITUELLE D'UNE ÉGLISE 31

Si de la prière privée (que l'on peut considérer elle aussi


comme une opération liturgique, puis que nous prions Dieu par
Je Fils et avec l'Esprit "qui pousse en nous des gémissements
ineffables) », si de cette prière « privée» nous pas.c;;.nns à la
prière communautaire, nous voyons tout de suite que le moi
est presque toujours remplacé par Je nous (sauf, par exemple,
le cas très rare où le prêtre prie pour lui-même, mais c'est
pour être rendu digne de bien présider à l'assemblée eucha-
ristique). Liturgiquement, le moi ne va pas sans le nous. Lorsquc
des prières avant la communion ou des hymnes du Carême sont
à la première personne du singulier, il est bien évident qu'elles
n'en concernent pas moins toutes les personnes qui vont com-
munier et qui participent à J'office, ne serait-ce que par le fait
qu'elles y sont lues à haute voix ou chantée.
Cependant, la liturgie tend à utiliser le moi quand elle vise
le péché, qui est avant tout une affaire personnelle, sous l'angle
de la contrition, de la pénitence, de l'ascèse du coeur, du corps
et de l'esprit, ainsi que nous le constatons pendant le Carême
et les semaines préparatoires; alors que la doxologie dogmati-
que est plutôt l'affaire du nous. Il n'en reste pas moins que
nous aussi, in corpore, nous denlandons le salut: « Aie pitié de
nous! Sauve-nous! ».
Si le cri de Luther: (( Je ne veux pas me sauver sans mes
frères» est profondément chrétien et liturgique, l'inverse est
tout aussi vrai, par référence au Christ, selon la doctrine géné-
rale de l'homoousios (" nous sommes de sa race ») et de l'amour
pour Dieu et entre frères, qui est une des réalités liturgiques,
déduite de l'être même de Dieu, selon l'enseignement de Jean
(<< car Dieu est amour»).
La prière liturgique n'en reste pas moins toujours person-
nelle: le nous n'est nullement anonyme par comparaison avec
le moi. Le nous est l'ensemble donné des fidèles, qui sont frères
parce que les fils adoptifs du même Père et les co-héritiers du
même Fils. Tous ces qualificatifs ou titres marquent des rela-
tions personnelles de chaque moi avec Dieu et des mois entre
eux. C'est d'ailleurs bien parce que cet ensemble est composé
de mois, ce dont il est à tout instant conscient, qu'il peut se
concevoir en tant que tel et dire « nous» de lui-même. L'Eglise
n'est pas une société, elle est une communauté ou une assemblée
32 ------
CONSTANTIN ANDRONIKOF
~-----

qui affirme sa personne par le pronom personnel de la première


personne du pluriel.
La liturgie exprime précisément que l'Eglise est une per-
sonnalité composite: elle est formée de mois irréductibles qui
bâtissent le 110US, lequel culmine dans le Moi absolu, c.à.d. de
compréhension infinie, qui est la Personne Unique du Fils, in-
tégrant toutes les personnes humaines, et la « fonction intégrale"
de chacune en particulier. Le nous personnel de la liturgie est
une très bonne définition de l'Eglise. A poursuivre l'analogie des
ensembles, si l'Eglise, en tant que Corps du Christ, est l'en-
semble des ensembles et si, étant incorporée par la Deuxième
Hypostase, elle est infinie, à aucun moment on ne saurait dire
que le «nous" par lequel l'Eglise s'exprime n'intéresse qu'une
Eglise particulière. En effet, un ensemble infini d'ensembles ne
peut pas avoir pour parties des ensembles finis, l'infini n'étant
pas constitué par une somme de quantités finies, même en nom-
bre infini. Les ensembles « particuliers" qui composent le corps
infini de Dieu sont donc eux-mêmes infinis. Autrement dit, une
Eglise « particulière" n'est pas moins infinie, ou catholique, que
l'Eglise universelle.
S'il n'y a aucune difficulté à reconnaître l'identité spirituelle
de l'Eglise universelle en tant que ce« grand ensemble ", puisqu'el-
le est le Corps du Christ et le Temple du Saint-Esprit, il n'est
peut-être pas aussi simple de tenter d'identifier spirituellement
une Eglise particulière selon sa liturgie. Naturellement les styles
architectural, iconographique, hymnographique, musical ainsi que
la langue particularisent une Eglise en la rattachant à une
histoire, à une culture. Toutefois ce sont là des modalités d'ex-
pression, qui permettent de déterminer la forme extérieure d'une
Eglise, son identité numérique, formelle ou empirique et non
pas sa personnalité profonde, son moi vrai devant la face du
Seigneur. Son identité spirituelle, nous allons donc devoir la
chercher dans le contenu de sa liturgie, dans son se11S dogmati-
que, intellectuel et cordial ou, si l'on veut, dans la symbolique
et dans la mystique de sa liturgie.
Logiquement, les signes de cette identité devraient se trou-
ver dans des rites qui, a priori, contiennent un maximum de
traits particuliers, des offices ou des sacrements qui intéressent,
par exemple, un lieu déterminé. Ainsi, prenons le cas d'une li-
turgie qui semble justement «fonder» une Eglise locale: la
LITURGIE ET rm:::~TITÉ SPTRTTliELLE D'UNE ÉGLISE 33

Dédicace. Voyons les signes d'identité que les textes comporte-


raient.
Et d'abord, quel est le sens général de la dédicace d'une
église? En bon témoin de la tradition, Eusèbe nous le rapporte
clairement: c'est" l'union des membres du Corps du Christ en
une seule harmonie d'hommes assemblés» (Hist. eccl. X,III,4;
S.e., Paris, 1958, p. 80). Et que dit le cérémonial? Au moment
de la déposition des reliques, le Sacramentaire Gélasien indique:
{( La où l'on vénère une relique, là est supposé reposer la tota-
lité du corps» (II,2; ed. Mohlberg, Rome, 1960, n. 80S).

Une antienne du rite romain (c. 950) développe:


{( Entrez, saints de Dieu, car la demeure de votre séjour a été
préparée par le Seigneur; ct le peuple des fidèles suit votre entrée
avec joie }}.

Nous voyons nettement expdmées ici la doctrine de l'Eglise


Corps du Christ et celle de la communion des saints ou du
peuple de Dieu.
Ce même rite assimile l'église locale dédicacée au Royaume.
Voici un répons tiré de l'Apocalypse: "Haec est Ierusalem civi-
tas magna ... ». Voici le psaume 86: "A Sion l'on dit: "Mère!",
car tout homme y est né ... » (pendant l'aspersion extérieure);
et, non moins caractéristique, le Ps. 121: "Jérusalem, bâtie com-
me une ville où tout ensemble fait corps. Car c'est là que mon-
tent les tribus de Dieu» (chanté pendant l'aspersion intérieure).
Il y a comme une confirmation cosmique de cet universalisme
dans le symbolisme éclatant de la prise de possession de l'église
nouvelle au nom du Seigneur: l'évêque consécrateur écrit sur
du sable ou de la cendre l'alphabet en grec et en latin, d'alpha à
oméga et d'a à z, selon deux diagonales, pendant l'antienne:
« Que ce lieu est à craindre! Il n'est en vérité rien d'autre que
la maison de Dieu et la porte du ciel» (Ordo rom. 41, ou franc;
l'antienne est n1entionnée dans le Pontifical romano-germanique,
c. 950; elle est répétée à l'Introït de la messe de la dédicace).
Même thème dans la prière prononcée au moment du scellement
des reliques: "Dieu très haut, qui gardes ce qui est en haut
et au milieu et en bas, qui renfermes en l'enveloppant en toi-
même tout le créé, qui mnnel1'l creatllram i1'ltrinsecus wnbiendo
concludis» (Ordo l'O1/!. 42; e. 750).
34 CONSTANTIN ANDRONIKOF

Ainsi donc cette nouvelle église, particulière et locale, s'in-


tègre à l'ensemble du cosmos, du ciel et de la terre, dont elle
représente comme une icône sacrée. Le rite byzantin le précise
et insiste aussi sur la dimension anthropologique et sotériologi-
que de J'événement: «Ce temple vénérable est consacré el1 sym-
bole de la très sail1te Eglise et aussi de notre tabernacle inté-
rieur". Le texte développe ce thème de la transfiguration per-
sonnelle en s'adressant au lnoi:

« Homme, rentre en toi-même, deviens l'homme nouveau ... et


célèbre la dédicace de l'âme, lès psychès ta enkaillia (la rénova-
ti()n). De la présente fête, retire ce fruit, qui est d'opérer en toi
un changement de joie. C'est ainsi que l'honwze se renol/velle, c'est
ainsi qu'est célébré le jour inaugural de la Dédicace ».

Puis, comme dans le cérémonial romain, la prière byzantine


s'étend au créé tout entier et, de l'Ancien au Nouveau Testa-
ment, elle embrasse le cosmos par le nous universel du peuple
de Dieu:

«Après avoir donné tes ordres à Moïse ... ils purent édifier la
tente du témoignage où se déroulaient (es ordonnances rituelles,
images et ombres de la vérité ... Par tes saints et illustres apôtres,
tu as inauguré le culte en esprit comme aussi la grâce du taber-
nacle véritable, et par eux, Seigneur des Puissances, tu as établi
par toute la terre les saintes églises et tes autels ... par la descente
et la grâce de ton saint et vivifiant Esprit, donne-nous la force
d'accomplir sans condamnation la dédicace de ce temple ... afin que
nous puissions t'y louer par des hymnes ct par la célébration de tes
mystères ... Maître et Seigneur, notre Dieu, espoir de tous les confins
de la terre, exauce-nous.,.» (après l'entrée de l'évêque, prière du
diacre),

Et voici la prière de la consécration proprement dite:


« Seigneur du ciel et de la terre, qui dans ta sagesse ineffable
as fondé ta sainte Eglise ct qui as établi sur terre l'ordre du sacer-
doce comme une image du mystère exercé au ciel par les anges ...
Rendus puissants en oeuvre et en paroles par Dieu le Père, (les
disciples du Fils) nous ont transmis le baptême d'adoption des fils .. ,
Et nous, tout pécheurs que nous soyons, nous gardons leur tradi-
tion, nous nous prosternons devant Toi, Dieu éternel... Fais de cet
autel que nous avons érigé un lieu très saint pour que nous, qui nous
tenons ici devant lui comme devant le trône redoutable de ta royau-
té, nous te servions sans condamnation, te présentant des suppli-
cations pOHT nous-mêmes et pour tOltt le peuple,., »,
LITURGIE ET IDENTITÉ SPIRITUELLE D'UNE ÉGLISE 35

La communion des saints et la sanctification du créé sont


encore proclamés au moment de la déposition des reliques:
« Notre Dieu, qui as accordé aux saints martyrs ... la gloire de
voir leurs reliques portées par toule la terre et conservées dans
tes saintes églises pour s'y épanouir en fruits de guérison ... rends·
nuus dignes d'offrir sur cet autel sacré le sacrifice non sanglant ».

Où chercherons-nous encore les caractères de l'identité du


11loi et du nous d'une Eglise? Dans les prières d'intercession
pour le peuple, pour les célébrants, dans les collectes? Glanons
au fil des âges et par toute la chrétienté. Voici la prière sur
le peuple de l'eucologe de Sérapion:
« .. ' Fais de nous tes serviteurs, purs et irréprochables, nous
nous consacrons à toi; reçois·nous, ô Dieu de vérité, reçois ton
peuple ... qu'ils soient en mesure d'être comptés parmi les anges,
que tous soient élus et saints».

Que trouvons-nous dans la liturgie de saint Jacques?


« Nous t'offrons, Seigneur, le sacrifice pour les saints lieux ...
en premier lieu pour la sainte et glorieuse Sion, la mère de toutes
les églises, et pour toWes les églises, pour ton Eglise sainte, catho·
lique et apostolique ... Souviens·toi, Seigneur, de nos saints pèr~s
et de tous les évêques ... et spécialement de notre père (un tel), de
tout le clergé ... Souviens·toi, Seigneur, des prêtres d'ici et de par-
tout. .. de toute la hiérarchie ecclésiale, de toute la fraternité chré·
tienne et de totlt le peuple qui aime Je Christ ».

Que dit l'anaphore syriaque dite des Douze Apôtres?


« Nous t'offrons ce sacrifice spirituel pour tous les hommes,
pour tO/1 Eglise universelle, pour les évêques ... pour mon indignité.
pour les prêtres et les diacres. pour tous les croyants de la région,
pour tout le peuple des fidèles ... et à nos pères et frères qui sont
morts dans la vraie foi... »,

Et la liturgie arménienne?
«( Nous te rendons grâces, ô Père tout-puissant, de nous avoir

préparé l'Eglise comme port assuré, temple de sainteté.. , »,

Et l'anaphore de saint Basile?


« Ayant résidé dans ce monde et donné ses préceptes salutaires, ..
il nous a amenés à te connaître, toi vrai Dieu et Père, et il nous
36 CONSTANTIN ANDRONIKOF

a acquis pour lui-même comme Hli peuple élu, lm sacerdoce royal,


une race sainte ... ».

Faut-il rappeler les paroles clarissimes qui donnent tout


son sens au nous ecclésial?
« Toi, ô Dieu ... apprends-nous à parfaire la sainteté dans ta
crainte, afin que, recevant ... notre part de tes saints mystères,
nous soyons unis au Corps sacré et au Sang de ton Christ ... et que
nous possédions le Christ descendu dans nos coeurs ct que nous
devenions les temples de ton Esprit Saint ».

Le congé de la liturgie byzantine met le point d'orgue à


cette symphonie ecclésiale: "Seigneur, sauve ton peuple et bé-
nis ton héritage! »,
Les collectes vont-elles être plus spécifiques et, par leurs de-
mandes concrètes, appliquées à la réalité de l'Eglise locale, de
la paroisse, du monastère, vont-elles nous aider à identifier l'Egli-
se particulière? Voici une demande des Constitutions Aposto-
liques:
" Nous te présentons l'offrande pour ce peuple, pour qu'il
devienne la louange du Christ, un sacerdoce royal, une nation
sainte ... ". Où sont les limites entre le particulier et l'universel?
Mais la collecte concerne aussi des besoins précis, des cho-
ses matérielles, historiques, locales, des personnes déterminées.
Nous savons que c'est une des constantes de la liturgie, qu'elle
remonte au je, siècle, où l'épître aux Corinthiens de saint Clé-
ment de Rome mentionne une ektenè deèsis, que des litanies
analogues, sous forme dialoguée entre le diacre, le choeur et le
prêtre se trouvent dans les liturgies éthiopienne, copte dite de
S. Cyrille d'Alexandrie, nestorienne, syrienne de S. Jacques, mo-
zarabe (au Samedi Saint entre les leçons vétéro-testamentaires),
dans celle de S. Marc (tant copte que grecque), dans l'armé-
nienne grégorienne, dans l'ambrosienne, dans la gallicane, etc.
Prenons pour exemple la grande collecte de la pratique byzan-
tine, avec sa gradation de l'universel au particulier. Moins déve-
loppées, les autres litanies sont de structure analog.. e.
"Pour la paix d'en-haut et le salut de nos âmes ...
" Pour la paix du monde entier, dans lequel se trouvent les
saintes Eglises de Dieu ... ».
« Pour l'union de tous ... »,
LITURGIE ET IDENTln1 SPIRITUELLE n'UNE ÉGLISE 37

cc Pour cette sainte maison-ci et pour ceux qui y entrent ... ».


(c Pour notre évêque»; voilà des mentions particulières, mais
elles sont aussitôt suivies par: ({ l'ordre vénérable des prêtres»
(le presbytérium local ou le sacerdoce en général 7), «le diaco-
nat dans le Christ» (même question), «pour tout le clergé et
tout le peuple» (où il n'y a plus rien de particulier)_
« Pour les dirigeants» temporels et locaux. Attestée déjà par
Tertullien, S. Cyprien, les papes Félix III et Gélase, tombée en
désuétude, mais remise en honneur localement, cette mention
est peut-être particularisante, mais elle n'a rien à voir avec
l'identité spirituelle.
«Pour cette ville-ci, ou village ou monastère», c'est-à-dire
pour le lieu terrestre où est topographiquement et historique-
ment implantée l'Eglise dans san empirie, mais aussitôt: «pour
toute ville, tout pays », sans article (empirie universelle); «et
pour tous ceux qui y vivent par la foi, en au lais », c'est-à-dire
partout.
Viennent ensuite les demandes pour l'harmonie et la fécon-
dité du cosmos matériel, ({ pour ceux qui sont à l'épreuve, en
voyage, etc. », c'est-à-dire que la prière de cette Eglise-ci s'étend
à tous ceux qui sont en dehors de ses limites empiriques, « pour
nous-mêmes », qui nous y trouvons, mais sans référence expres-
se à ces limites. Enfin, l'invocation de la Théotokos et de tous
les saints, la dédicace « de nous-mêmes, les uns les autres et de
toute notre vie au Christ Dieu », l'ecphonèse doxologique conclu-
sive portent toutes un caractère universel.
Au terme de cette liste d'exemples, que l'on pourrait amplifier
pendant des heures et dont je vous prie d'excuser l'aspect fasti-
dieux, ma thèse semble assez nettement indiquée: l'identité dont
la liturgie donne le sentiment est celle des membres de l'Eglise,
et non point celle d'une Eglise particulière. Le contenu et le sens
de la liturgie identifient les fidèles à l'Eglise universelle. Ils ne
leur impartissent pas une identité distincte de celle-ci. La litur-
gie n'est ni nationaliste, ni ethnocentrique, ni individualisante.
Elle est catholique. Elle personnalise le « moi }) comme le « nous »
dans et par l'Eglise universelle.
La liturgie de la paroisse ou de la cathédrale, d'une Eglise
nationale (autochtone ou dans la diaspora), d'une chapelle fa-
miliale ou institutionnelle, d'une aumônerie militaire ou univer-
sitaire, un Te Deum, la pratique occidentale des messes de ma-
38 CONSTANTIN A~DRONIKOF

riage OU pour un défunt, puur un groupe social ou profession-


nel, les sacrements, le sacre d'un évêque, l'ordination d'un prêtre,
peuvent revêtir l'aspect d'une fonction particulière, mais celle-
ci est la fonction de l'Eglise il1 corpore. Les célébrants sont tou-
jours des concélébrants. La liturgie les identifie par référence
à l'Eglise, elle effectue une identification en ecclésialisant les
fidèles, en les affirmant membres in actu de l'Eglise.
La liturgie n'a de sens en soi, n'a de sens pour le moi et
pour le nous des concélébrants que si elle est celle de l'Eglise,
non pas particulière, mais catholique. Cette évidence dogmati-
que de l'ecclésiologie est abondamment et lumineusement attestée
par toute la liturgie.
Cela vaut même pour les Eglises divisées et séparées: ni la
messe catholique romaine ni l'anglicane ni les protestantes ni
l'orthodoxe n'ont de valeur ontologique ni de sens en dehors de
l'Eglise. La lex orandi n'a pas d'autre fondement que l'Eglise et
l'identité spirituelle de ceux qui l'exécutent n'a pour défini-
tion fondamentale que l'Eglise. Toutes les liturgies sont celles
de l'Eglise une; sinon, elles ne sont que des paroles creuses,
flatus vocis, étrangères au Corps, extérieures au Temple. La situa-
tion de fait ne change en rien la réalité ontologique. Si l'eucha-
ristie romaine et l'eucharistie constantinopolitaine ne sont pas
celles de l'Eglise du Corps et du Sang du Christ, elles ne sont
plus des eucharisties chrétiennes. L'Eglise elle-même ne peut
être qu'une, ou elle n'est pas l'Eglise du Christ, qui célèbre le
mystère de la Très Sainte Trinité, Dieu unique. Or il n'y a pas
d'autre Eglise. Et si les célébrants ne sont pas membres de
l'Eglise une et universelle, ils n'acquièrent point ou ils perdent
leur identité spirituelle, car ils s'aliènent de leur propre mystère,
du mystère de leur personne en Christ. Ils ne peuvent pas ef-
fectuer liturgiquement " la dédicace de leur âme" pour devenir
des « hommes nouveaux»} les seuls qui soient vivants et doués
d'une identité spirituelle.
« Quand vous communierez, on vous dira: "Le Corps du Christ",
et vous répondrez: "Amen!", Mais vous devez former vous-mêmes
le Corps du Christ. C'est donc le mystère de vous-mêmes que vous
allez recevoir}) (Augustin: Ser1110 272; PL XXXVIII, 1246).

Si l'identité spirituelle de chaque membre de l'Eglise se for-


me en fonction de son adoption et de sa divinisation par le Fils
et par l'Esprit dans l'Eglise afin que ce membre puisse ontolo-
LITURGIE ET IDENTITÉ SPIRITuELLE D'UNE-
ÉGLISE 39
-_ _ _----=-c

giquement et liturgiquement dire: «Abba, Père! »; si l'identité


spirituelle de chaque ensemble ecclésial se forme en fonction
de son identification mystérique avec l'ensemble des ensembles,
à savoir: l'Eglise, qu'il symbolise actuellement; si l'Eglise elle-
même ne devient pleinement elle-même que dans l'eschaton du
Corps du Christ, c'est-à-dire dans le plérôme de la Jérusalem
Céleste, dont chaque Eglise et chaque autel sont encore une
fois le symbole, nous sommes amenés par la liturgie elle-même
à proclamer ce qui est précisément un lieu commun: la dimen-
sion empirique de l'Eglise, inscrite dans le devenir historique
des Eglises, ne prend sens et valeur que par rapport à sa nature
ontologique, laquelle est eschatologiquement l'Eglise universelle
de l'unique Jérusalem Céleste.
Que l'Eglise locale symbolise par essence et que Iiturgique-
ment elle soit l'Eglise universelle, c'est une donnée de l'ecelé-
siologie chrétienne, évidente pour des Pères comme S. Ignace
(Ep. Phi/ad.; Ephes.; Rom.), S. Justin (Apo/. 1,65-67), S. Irénée
(Comr. Haer. IV,17,5l, comme l'Aréopagite (Hier. Eccl. III), pour
des auteurs modernes aussi divers que FJorovsky, Afanassieff ou
Louis Bouyer; est-il besoin de le rappeler? La véritable identité
d'une Eglise particulière tient donc à son identification avec
l'Eglise universelle; et la liturgie en témoigne à chaque instant.
La liturgie d'une Eglise n'est liturgie chrétienne que parce
qu'elle est la liturgie de l'Eglise. Liturgiquement parlant, certes
au sens ontologique et non formel, il n'y a pas d'Eglise parti-
culière. Chaque liturgie n'est pas autre chose que le symbole
de l'unité de l'Eglise et son mystère est la réalité du mystère
de l'Eglise, intégralement.
Les Eglises particulières, locales, nationales, familiales (cf.
l'apôtre Paul) incarnent historiquement l'Eglise catholique. Leur
liturgie est la lex orandi de celle-ci et l'identité qu'elle manifeste
est celle du Corps du Christ. Leur moi comme leur nous sont
ceux du Tout-Homme, c'est-à-dire du Dieu-Homme, tout de même
que le Verbe incarné est la Personne idéale et vraie de l'humanité
ecclésiale toute entière. « L'Eglise une vit avant tout en tant
qu'unité invisible dans la multitude visible» (S. BOULGAKOV: One
holy, catholic and apostolic Church, in « The Journal of the Fel-
lowship of St. Alban and St. Sergius », 1931, June, n. 12, p. 18).
Sous tous ses aspects, l'identité liturgique est une. Si la liturgip.
actualise la fonction sacerdotale du peuple de Dieu, il n'y a qu'un
40 CONSTANTIN A\J:DRONIKOF

peuple de Dieu, qui est le nous de l'Eglise. Si elle est la sanctifi-


cation du monde, le créé de Dieu est unique, et la création toute
entière gémit dans l'attente de la gloire du salut des Fils de
Dieu. Si elle est la prière d'une Eglise particulière, même infini-
tésimale, celle-ci n'en est pas moins eschatologiquement infinie
par identification avec le plérôme, et sa prière est celle des mem-
bres dn Corps nnique. Elle n'est pas concevable en dehors de la
COilllTIUnion des saints, des vivants et des morts, des puissances
angéliqnes et de la Mère de Dien; et la sainteté est donnée à
l'Eglise. Sancta sanc!is! Aucun d'entre eux ni aucun groupe
d'entre eux ne sont à part dans l'Eglise, car leur identité ne se
réalise que dans l'Eglise. «Un membre de l'Eglise est catholi-
que pour autant qu'il est en union avec l'Eglise invisible dans
la Vérité" (BOULGAKOV, L'Orthodoxie).
La liturgie est fonction d'une donnée immédiate de la con-
science ecclésiale: celle de le continuité de l'Eglise, de son iden-
tité permanente dans l'histoire et au-delà de celle-ci. Cet élément
fondamental de «la psychologie des profondeurs" de l'Eglise
en oraison se manifeste pratiquement, même dans le domaine
formel: une invention liturgique n'acquiert une valeur ecclésiale
et ne devient saintement opérante qu'après son intégration dans
le corps de l'Eglise, quand elle y devient traditionnelle.
Il en va de même pour les sacrements (et les «sacramen-
taux,,) qui ne sont que la manifestation particulière du mystère
des mystères, qui est celui de l'Eglise elle-même, « en tant que
la Théanthropie, que l'Incarnation du Verbe et que la Pente-
côte de l'Esprit, qui demeurent dans leur puissance imprescrip-
tible ... L'Eglise est le mystère du monde, mystère qui s'actualise
comme sacrement. Aussi, la définition la plus générale du sacre-
ment est-elle l'opération manifestée de l'Eglise en l'homme ... Le
mystère de l'Eglise et son unité intégrale précèdent les sacre-
ments et les fondent; ils sont le noumène des sacrements, qui
en sont comme les phénomènes" (BOULGAKOV: L'Epouse de
l'Agneau, p. 297). Nous pourrions dire pareillement que les Egli-
ses particulières sont les phénomènes du noumène ecclésial.
Leur identité à toutes et à chacune consiste à s'entendre annon-
cer: «Vous vous êtes approchés de la montagne de Sion et de
la ville du Dieu vivant, la Jérusalem Céleste, et des myriades
d'anges en réunion de fête, et de l'Eglise des premiers-nés ... et
de Dieu, le juge de tous, et des esprits des justes parvenus à la
LITURGIE ET IDENTITÉ SPIRITllELLE D'ONE l~GLISE 41

perfection, ct de Jésus, médiateur d'une alliance nouvelle, et du


sang de l'aspersion» (H éb. XII,22·24).
Cette conception de la liturgie et de l'identité spirituelle
qu'elle entraîne, que la liturgie elle-même semble indubitable-
ment fonder (sans parler de l'Ecriture), est certes inséparable
de l'ecclésiologie. Du point de vue « oecuménique », prier en com-
mun, c'est confesser l'Eglise une et s'identifier par elle et en elle.
Nous sommes donc pris dans une contradiction inéluctable et
qui reste, pour l'instant, insurmontable: s'unir pour la prière
commune, c'est se reconnaître membres de l'Eglise; se diviser
entre confessions, c'est constater et admettre l'impossibilité de
la prière commune. Ce paradoxe devient évident, dans son impla·
cable douleur, à la limite, c'est·à·dire à l'eucharistie.
Résumant toute la théologie byzantine en la matière, nous
pouvons vraiment dire qu'« en tant que prière solennelle adres-
sée au Père par la communauté humaine adoptée, unie dans le
Fils incarné et invoquant l'Esprit, l'eucharistie est vraiment le
sacrement de l'unité divine accordée aux hommes » (MEYENDORFF:
Initiation à la théologie byzantine, Paris, 1975, p. 238). La litur-
gie oecuménique, partant de là, ne peut être que la liturgie
universelle ou catholique. C'est alors seulement qu'elle est le
symbole de l'Eglise. Si elle maintient la particularité d'Eglises di·
verses sans leur donner leur véritable identité ecclésiale, le sym·
bole est vidé de son sens.
La liturgie manifeste par elle·même qu'elle est l'opération
des membres du Corps du Christ, du sacerdoce royal des élus de
Dieu, qui sont temple du même et de l'unique Esprit, à l'image
du Dieu·Homme qui priait et qui prie son Père. La langue, la
mélodie, l'art de la liturgie véhiculent l'empirie historique et
culturelle d'une Eglise, son vêtement ou sa forme; ils sont ses
moyens d'expression. Mais le sujet qui s'exprime liturgiquement
est l'Eglise. Son identité profonde et réelle est précisément celle
de l'Eglise, incarnation de la Personne absolue et qui compose
avec elle « le plérôme de celui qui remplit tout en tout» (Eph.
I,23). C'est là, et là seulement, que réside l'authentique identité
spirituelle d'une Eglise particulière, qui n'est Eglise que si elle
n'est pas ontologiquement particulière.
Quelles qui soient sa différenciation, son ethnisatiol1 et sa
cléricalisation ultérieures, la liturgie reste l'oeuvre de la koinô·
nia, de la sobornost', par son contenu comme par l'opération
~4=2________--=C",0cc:NST ANTIN ANDRONIKOF

de ses mystères; sinon, elle cesse d'être la prière de l'Eglise. Cela


est net dans tous les offices et sacrements, cela est parfaitement
évident pour la liturgie des liturgies, qui culmine et résume l'en-
semble de la prière ecclésiale: l'eucharistie, qui est « la récapi-
tulation du mystère de toute l'économie du salut" (Théodore le
Studite: l Adv. Iconomachos, PG XCIX, 340 c); on encore, qui
est « le mystère synaxeôs eipoun koinônias, l'accomplissement
des accomplissements, teZetôn teZetè". «Il est presque impos-
sible, ajoute l'Aréopagite, qu'un mystère hiérarchique s'accom-
plisse sans que la très divine eucharistie, concluant chaque sancti-
fication, en amenant le sanctifié vers l'Un, ne parachève sa com-
munion avec Dieu par les dons des sacrements accomplis" (Hier.
EeeZ. III,!).
Le baptême, sacrement initial et fondateur, n'est-il pas lui
aussi le vivant témoignage de cette identité spirituelle des cro-
yants comme prêtres, attestant l'opération de l'Eglise universelle,
incarnée dans chacun de ses membres? Les multae ecclesioZae
effectuent leur liturgie en tant que l'Una sancta. Cela est vrai non
seulement pour les Eglises au sein d'une même confession,
mais encore pour celles des confessions différentes, et tant pour
les orthodoxes que pour les hétérodoxes.
Et cela nous amène entre autres à une conclusion « parti-
culière" qui elle non plus n'aura de sens que si elle devient
catholique. Nous la formulerons en citant le Père Georges Flo-
rovsky: «Le véritable problème de la réconciliation chrétienne
est non pas celui d'une corrélation de traditions parallèles, mais
bien celui de la réintégration de la Tradition altérée" (The Ethos
of the Orthodox Church, in «The Ecumenical Review", 1960,
vol. 12, p. 197). La liturgie en est une voie sûre. Elle est inchoa-
tive pour la réintégration et l'apocatastase de l'Eglise.
Et pour terminer, comme il convient à Dieu, sur un ton litur-
gique, laissez-moi vous rappeler un chant de la Pentecôte: «Ve-
nez, peuples, vénérons la divinité tri-hypostatique ... Une seule
Déité, que nous vénérons tous" (vêpres du samedi de Pentecôte,
hymne attribuée à l'empereur Léon VI).

Constantin ANDRONIKOF
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE:
PALESTINE - BYZANCE - RUSSIE

ESSAI D'APERÇU HISTORIQUE

La pratique liturgique des Eglises byzantines est dirigée par


le Typikon. Le Typikon, qui est appelé par les auteurs russes
l'oeil de l'Eglise (OKO TSERK6vNOE), est considéré par les Byzan-
tins, en théorie du moins, comme l'arbitre suprême de toutes
les questions ayant trait à la célébration du culte et à l'obser-
vance des jeûnes. Beaucoup de personnes pieuses ne se posent
même pas de question critique à son sujet: date d'origine, pos-
sible développement historique, explication des contradictions
et des lieux parallèles, etc. Nous ne prétendons pas faire ici le
procès d'un livre vénérable et digne de tout respect, mais sim-
plement proposer une vue synthétique de son développement
historique, en nous appuyant sur le témoignage direct des docu-
ments connus, comme sont les manuscrits liturgiques, plus que
sur les renseignements indirects des historiens.
Une distinction se rend imprescriptible, cependant, avant
d'aller outre. Le mot typikon n'a pas toujours le même sens. Par
typikon on peut comprendre deux choses. D'abord le livre de ce
nom. Dans ce sens-là il n'y a pas un seul typikon mais plusieurs:
le Typicon de la Grande-Eglise (Sainte-Sophie de Constantinople),
le Typikon de Saint-Sabas, le Typikon Studite, pour ne citer que
les très grands chefs de file. Il y a de grandes différences entr'eux,
aussi bien qu'entre les typika locaux dérivés d'eux. Une seconde
notion de typikon est celle de la tradition liturgique globale que
chacun de ces livres, de façon très incomplète d'ailleurs, repré-
sente. Au fond, un typikon-livre suppose l'existence d'une tradi-
tion liturgique contenue dans d'autres livres (tels que eucholo-
ges, horologes, psautiers, lectionnaires, livres hymnographiques,
etc.) et il suppose aussi une liturgie vivante, pratiquée et connue
de tous; le typikon-livre n'apportera que la solution à des pro-
blèmes difficiles, ou consacrera l'introduction de pratiques nou-
velles, survenant à d'autres pratiques qu'il prétend remplacer.
Nous emploierons dans ce travail le mot typikon dans son
sens restreint de livre liturgique ou plutôt de livre de rubriques
44 MIGUEL ARRANZ

et de casuistique liturgique. Les traditions correspondantes aux


différentes rédactions du typikon·livre, nous les appellerons tout
simplenlent tradition, usage, praxis, etc. Si le mot rite n'avait
pas une si mauvaise réputation. c'est lui qui aurait convenu Je
mieux. En rapportant la pensée des autres, des auteurs ortho·
doxes surtout, nous donnerons au mot typikon le sens que ces
auteurs en général lui donnent: livre et tradition ensemble.
Les études critiques de l'histoire du Typikon ont eu leur dé·
but en Russie à la fin du siècle passé.
En 1885 parut à Moscou l'ouvrage capital de 1. Mansvetov:
Règlement Ecclésiastique (Typikon): sa formation et SOI1 histoire
dans l'Eglise grecque et dans l'Eglise russe '. Une recension de
96 pages de la plume de A. Dmitrievsky était publiée trois ans
plus tard dans le périodique Lecture Chrétienne de Saint·Péters·
bourg '. Le jeune professeur de Kiev jugeait sévèrement le tra-
vail de Mansvetov, non pas parce qu'il traitait la question de fa-
çon critique, mais parce qu'il le faisait de manière incomplète.
L'étude de l'histoire du Typikon semblait à Dmitrievsky impos-
sible tant qu'on n'aurait pas recherché et publié un plus grand
nombre de documents liturgiques du passé. On connaissait assez
en Russie les documents slaves mais pas assez les grecs. Dmi-
trievsky savait de quoi il parlait puisque, depuis 1886, il avait
consacré deux années à visiter les bibliothèques d'Orient et de
l'Italie à la recherche des manuscrits nécessaires pour son grand
projet (hélas réalisé seulement en partie, dans les trois volumes
de sa Description des manuscrits liturgiques conservés dans les
bibliothèques de l'Orient Orthodoxe) 3 d'une collection des docu-
ments liturgiques byzantins. Nous avons fait un peu l'histoire
de l'activité scientifique de ce « Goar russe" dans notre article:
Les archives de Dmitrievsky dans la Bibliothèque d'Etat de Le-
l1ingrad 4,
Un nouvel essai d'histoire du Typikon parut en 1910 dans
l'ouvrage du professeur de Kiev, M. Skaballanovich: Typikon
cOl1m1el1té. Exposé du Typikol1 avec introduction historique 5.

1 1. M,\:\SVETOV, Tserk6vrl'Y Ustaav (tipik). Ego obrazovdnic i sud'ba \' Gré-


cheskoi i Rtisskui Tsérkvi, Moscou 1885.
2 Khristidllskuc Chténie, 1888, 2, 480-576.
3 A. D,\HTRIEVSKY, Opisâllie liwrgic1leskill nikopisei klwral1iâ.shchihsia v !Jibliu-
tJkall Pravosldvnogo Vosl6ka, T, Kiev 1895; JI. KÎey 1901; III, Pdrograd 1917.
40rientalia Christiana Periodica, 40 (1974) 61-83.
~ M. SK.\B.\LL.4.NOVTCn, Tolkovy lipikôrl. Obïu.mitel'l1oe iûo:;.hél1ie Tipiko/la s
istoric1œskim vve.dél1iem, l, Kiev 1910; II, Kiev 1913.
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 45
----- --------

L'auteur tenait compte non seulement des travaux de Dmitrievsky,


mais aussi des autres documents liturgiques de l'antiquité pré-
byzantine connus en Russie. En fait il disposait la matière par
siècles, sans omettre le premier, et donc en commençant par
la liturgie du temple de Jérusalem, de la Didachè, etc. Le der-
nier chapitre historique: A partir du IX' siècle, est certainement,
de notre point de vue, le meilleur.
Dernièrement le père A. Schmemann, dans son Introduction
à la Théologie Liturgique', a proposé une synthèse d'histoire
de la Liturgie byzantine, de grande valeur théorique. Il prend
en grand considération les travaux des liturgistes orthodoxes du
passé mais il n'ignore pas les grands noms des liturgistes occi-
dentaux qui ont préparé la réforme liturgique romaine. Son
livre, écrit avant le Concile Vatican II, fait oeuvre de prophétie
au sujet de ce que le Concile allait redécouvrir. Nous critique-
rions cependant dans cet ouvrage le désir de synthèse totale qui
l'anime: le Typikon, pour le père Schmemann, est la résultante
de deux forces liturgiques: la tradition des églises séculières
et la tradition monastique. L'auteur ne tient pas suffisamment
compte du fait que dans l'Eglise byzantine ne régnait pas un
seul Typikon avec deux traditions différentes, mais bien deux
Typika irréductibles entre eux et qui donc n'admettaient pas de
synthèse: le Typikon de la Grande-Eglise (de tradition donc sé-
culière) et le double Typikon monastique du Stoudion et de
Saint-Sabas; ce dernier, étant le vainqueur absolu dans la com-
pétition, est le seul qui mérite aujourd'hui le nom de Typikon
tout court. Il ne peut cependant pas être considéré comme une
synthèse de toute la tradition byzantine.
Avec Mansvetov nous pensons que l'histoire du Typikon
(au sens large) peut être divisée en trois étapes. La succession
de ces étapes pourra par moments être plus logique qu' histori-
que, mais dans l'ensemble les deux aspects coïncident.
La première étape comprend la formation du cycle journa-
lier, la deuxième celle du cycle pascal, la troisième celle du cycle
des ll10is.
A la première étape, journalière, correspond la fixation des
livres de base de l'office qui sont l'Euchologe et l'Horologe.

6 A. SCHMEMi\NI\, Vvedénie v Liturgicheskoe Bogosluvie, Paris 1961; A.


SCHMEMANN, Introduction to Liturgical Theology, London 1966.
46 MrGUEL ARRANZ

l'Euchologe qui comprend essentiellement la liturgie de la


messe et les prières à réciter par le prêtre (et le diacre) à l'office,
entraîne avec lui les lectionnaires, et avec ceux-ci le calendrier.
L'Harol age, en soi, ne comporte que peu d'hymnographie. Il est
constitué par un ensemble de psaumes fixes, de prières mo-
nastiques et de quelque tropaire plus ancien; le Psautier peut
de sa part se substituer à l'Horologe ou se juxtaposer à lui.
A la seconde étape, correspond la formation du cycle pascal
et dominical, avec l'apparition de l'Oktoîchos et des Triôdia du
Carême et du temps pascal.
La troisième finalement est celle de la formation du cycle
complet des douze mois avec une fête ou mémoire par jour.
Une poésie très abondante est distribuée dans les douze volu-
mes des Mînaia ou mensuels. C'est seulement vers cette époque
qu'apparaissent les rédactions du Typikon tel que nous l'enten-
dons aujourd'hui.
Mais il faut examiner la question encore sous un autre point
de vue: celui de la géographie. L'ensemble de l'office byzantin a
en effet un double point de départ: Constantinople et Jérusa-
lem, et plutôt que la ville sainte elle-même, les monastères des
alentours de Jérusalem et en premier lieu Saint-Sabas. Nous
disons bien: office byzantin, c.-à-d. l'office tel que nous le con-
naissons aujourd'hui et dont nous prétendons faire une essai
d'histoire d'après les manuscrits conservés. Nous ne voulons donc
pas nous engager dans les sables mouvants des documents litur-
giques pré-patristiques ni même patristiques, ce qui pourrait COll-
stituer la pré-histoire byzantine. Il est certain que l'office byzan-
tin ne s'est pas créé du néant et qu'il doit avoir eu des ancêtres
sûrement vénérables, et d'ailleurs communs avec les autres tra-
ditions liturgiques d'Orient et d'Occident.
En nous limitant ainsi à la tradition byzantine proprement
dite, la double patrie de cette liturgie ou rite nous oblige à
tenir compte de certains événements historiques importants qui
eurent lieu en Palestine et à Constantinople. Deux dates nous
paraissent décisives pour le développement de la liturgie en Pa-
lestine: d'abord, la dévastation presque totale des sites et des
institutions chrétiennes par les Perses en 614 et ensuite la
dévastation de 1009, oeuvre du calife Hakim. A Constanti-
nople deux dates aussi de destruction et de ruine marquent
la liturgie locale: d'abord la première vague iconoclaste, à par-
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 47

tir de 726, et ensuite la prise de Constantinople par les Latins,


en 1204. A chacune de ces dates, la vie liturgique normale a été
interrompue. Une restauration a suivi chaque fois, qui a refait
les ponts avec le passé tout en créant du nouveau. Ces hyatus
en tout cas se remarquent; on peut parler d'époques différen-
tes et essayer ainsi de placer les manuscrits connus dans les
grands rayons d'une bibliothèque idéale, à double comparti-
ment: Jérusalem et Byzance, chacun de ces compartiments di-
visé à son tour en trois rayons: avant les Perses, après les
Perses et après Hakim, pour Jérusalem; avant l'Iconoclasme,
après l'Iconoclasme et après les Francs, pour Constantinople.
Nous ajouterons un troisième compartiment à cette bibliothè-
que idéale, destiné celui-ci à la Russie. Son sort, nous anticipons
dès maintenant, a été sur ce point étroitement lié à celui de
Constantinople, dont l'Eglise russe a été fille et héritière.

1 - PREMIÈRE PÉRIODE:
FORMATION DU CYCLE JOURNALIER

De cette période, à vrai dire, nous ne connaissons que bien


peu de choses précises et documentées, surtout pour ce qui est
de la Palestine; là, nous avons à faire avec une tradition mo-
nastique pratiquée très librement par une constellation de pe-
tits monastères qui ont laissé à peine quelque trace de leurs
pauvres couvents, pillés et détruits par les Perses, mais aucune
de leurs bibliothèques, si toutefois ils en avaient une.
Nous connaissons assez bien la vie de S. Sabas 7 lui-même,
moine cappadocien acclimaté en Palestine, considéré par la tra-
dition comme disciple de Chariton, d'Euthyme, de Théoktiste
et de Gérasime, dont il aurait reçu la diatypôsis ou règle. En fait,
Sabas n'a fait que s'insérer dans une vie monastique déjà existan-
te; il a été un habile administrateur des monastères fondés,
même s'il a dû subir la contestation et la rébellion des moines.
Ordonné prêtre, il était l'archimandrite de tous les monastères
de la Palestine, par désignation du patriarche qui l'a même
chargé de certaines affaires à Constantinople.

7 Par Cyrille le Scythopolite: A.-J. FESTt:GltRE, Les Moines d'Orient, III, 2,


Paris 1962.
48 MTGLTEL ARRANZ

Nous savons qu'il exigeait des moines la connaissance par


coeur du Psautier outre que celle du "otV6.!v 't'ijç <jJot"I-''l'8(otç. Sous
cette dénomination les liturgistes russes découvrent une ébau-
che de l'Horologe. Nous sommes prêts à les suivre bien volon-
tiers, mais malheureusement nous n'avons aucun détail d'un
tel kanôn.
Il existe un document du XII-XIII' s., publié par Dmitrievsky
dans sa Description des n1arzuscrits, considéré comme le testa-
ment (ZAVESHCHANIE) de S. Sabas, même si son vrai titre dit:
TLI7tOÇ XC(! 7tocpocôocrtç XIX! \l61'-0ç -rijç O'e;~IX(j!LtC'LÇ Ào:upctç "t'ocr &:y(ou Lcf~­
~ot ".Deux pages en tout dans l'édition de Dmitrievsky: un texte
plus disciplinaire que liturgique. On y trouve quelque règle
sur la célébration de la messe et une grande insistance sur
l'agrypnia à célébrer entre le samedi et le dimanche. Dans d'au-
tres passages du bios on trouve encore des allusions aux heures
de l'office: le kanôn (de bon matin), les lychnika (qui seraient
les vêpres), la troisième, la sixième et la neuvième heure. Pas
de détails malheureusement.
Un document de cette époque, du début du VII' s., transmis
au XI' s. par Nicon de la Montagne Noire au ch. 29 de ses H er-
mîneiai, dit la Narratio abbatwn Joannis et Sophronii', est bien
plus explicite, même si le soupçon nous reste que Nicon ou ses
copistes aient pu manipuler un peu le texte. Les abbés Jean et
Sophrone semblent bien être Jean Moschus, l'auteur du Pré
Spirituel, et Sophrone, le futur patriarche de Jérusalem et restau-
rateur de la liturgie après le passage des Perses. Ils font visite
à un vénérable solitaire du Sinaï, l'abbé Nil, qui en guise d'hospi-
talité les fait participer à son agrypnia, la nuit entre le samedi
et le dimanche: vêpres, très semblables à celles de l'Horologe
actuel, repas et kanôn, contenant toutes les parties bibliques de
l'orthros actuel, avec le Psautier en entier à la place des ka-
thismata et trois épîtres (Jacques, Pierre, Jean) comme lectu-
res entre les psaumes. Pas d'élément hymnodique dans cet of-
fice. Seules compositions non bibliques: le Phôs hi/aro11, le
Gloria in excelsis, le Credo et 450 Kyrie, eleison. «Père, pourquoi
n'observez-vous pas la taxis de l'Eglise catholique et apostoli-

~ Ms Sinaï gr. 1096: A. DMLTRIEVSKY, Opisanie I, 222-224 (cf. note 3).


9 A. LONGO, Il testo integrale della «Narraziolle degli abati Giovanni e Sutra·
Ilio)) attraverso le «HerIllÎlleiai" di Nicone, dans Rivista degii Sftuli Bizal/fini e
Neoellenici, N.S. 2-3 (XII-XIII) (1965·1966) 251-252; cf. 1. DOENS, Nicon de la MOll~
fagne Noire, dans «By:;:antioll» 24 (1954) 131-140.
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 49

que?» demandent les visiteurs étonnés de J'absence de tropai-


res. Et J'abbé de donner ses raisons: les tropaires sont réservés
au clergé tandis que les moines ne sont pas des clercs. Faut-il
conclure de là que J'office monastique hors du Sinaï et celui
des églises séculières étaient les mêmes, et que seul Nil faisait ex-
ception? C'est possible. En tous cas nous ne connaissons ni l'office
des églises séculières, ni des autres monastères, tandis que celui
de l'abbé Nil ressemble beaucoup à celui de l'Horologe actuel.
Nous ne connaissons pas l'Euchologe de Jérusalem de cette
époque. Il a dù exister un livre, au moins pour la célébration
de l'eucharistie selon le formulaire de Saint Jacques ainsi que
pour l'administration des sacrements. Au IV' siècle, le Journal
de voyage d'Egérie '", au V' s. le Lectionnaire Arménien n et au
VII' s. le Lectionnaire Géorgien" supposent la célébration d'un
office populaire et cathédral très développé. Malheureusement
l'office de tous les jours ne nous est pas connu. Un article de
Ch. Renoux, de grande valeur documentaire, consacré à la litur-
gie de Jérusalem, vient de paraître dans le bulletin ELEONA de
Toulouse ". Jérusalem finira par emprunter l'Euchologe de Con-
stantinople, probablement après la campagne de Hakim, au dé-
but du XI" s., au même moment où Antioche aussi le fera en
renonçant à la richesse anaphorique propre.
Nous connaissons bien mieux l'Euchologe de Constantino-
ple. Le premier témoin est le fameux Barberini 336 du VIII-IX'
siècle. Nous l'avons déjà plusieurs fois présenté dans nos articles
sur les Heures de l'office asmatikos ". Si on pense que ce codex
est une copie originaire de J'Italie Méridionale, on peut très bien
croire que l'original constantinopolitain est lui aussi au moins
de cette époque, c.-à-d. du VIII' s. Un manuscrit de cet eucho-
loge, le Sinaï gr. 959 (XI" s.) ", attribue les prières de la Panny-

10 Ed. HÉLÈNE PETRÉ, Juurrwl de voyage (= Sources Cl1rétiennes 21), Paris 1948.
11 Cf. infra note 13.
12 Idem.
13 CH. RF.l\:ou\, HierusolYlIlitmw T, dans Eleol1a, Jan. 1974, Juill. 1974, Dei.
1974, Janv. 1975, Avril 1975; et aussi: Note sur la fête des Patriarches, Eleona,
Ani! 1974.
14 Articles sur les prières des Heures de l'ancien Euchologe dans Orientalia
Cllristiw/{/ Pe,-iodica, XXXVII-XLI: Vêpres, Matines, Petites Heures (Mcsonykti-
kon, Prime, Tierce, Sexte, None) et Pannyehis. Nous comptons continuer la
!-iérie par la !-iecondc partie des Vêpres (avec les Présanctifiés et les Vêpres de
la Pentecôte) ct par l'ornce de Carême appelé Tritoektî, ou Trithektî.
l~ A. DMITRIF.\'SKY, Opisclnie II, 42; errata corrige: dans notre article, Les
prières presbytérales de la «PaHJ1)'c-'his» de l'ancien Euchologe b)'zantin et la.
«Pa1ûkhida» des défunts, dans Or. Cllr. Pero XL (1974) 321 (note 2) où on lit
Ovisal/ie 11, 62, il faut lire Opisdnie 11, 42.
50 MIGUEL ARRANZ

chis au patriarche S. Germain I, mort en 733, ce qui pourrait


bien indiquer un remaniement définitif du livre, par les soins
du patriarche auteur d'un commentaire liturgique: Historia Ec-
clesiastica ou Exp/ication de /a Divine Liturgie (PG 98). Pour
ce qui est de la messe et des sacrements, la tradition de Constan-
tinople restera en vigueur jusqu'à nos jours dans toutes les
églises byzantines. Nous avons déjà dit comment cet euchologe
s'est imposé dans des églises qui avaient un euchologe propre
au moins aussi vénérable que celui de Constantinople: Antioche,
Jérusalem et Alexandrie. Cela va nous permettre, à partir de ce
moment, de ne plus nous occuper de cette partie de l'Eucho-
loge qui est consacrée à l'eucharistie, aux sacrements et aux
bénédictions, et qui ne présente donc qu'une faible évolution
historique, et de nous dévouer exclusivement à l'histoire de
l'office des Heures.
L'Euchologe de Constantinople possédait une liturgie des
Heures complètement différente de celle des moines palestiniens,
connue dans la tradition byzantine sous le nom de asmatikos ou
asmatikî ak%uthia ". Six offices journaliers: Vêpres, Minuit,
Matines, Tierce, Sexte, None, sans compter la Messe ou Liturgie.
La Pannychis, pour la première vigile de la nuit, la veille des
fêtes et en Carême, une trentaine de fois par an; la Tritoektî
à la place de la Messe en Carême. Ces offices étaient essentielle-
ment composés d'un grand nombre de prières sacerdotales (au
moins cinq pour les Petites Heures), précédée chacune par une
litanie ou au moins par une monition diaconale, et suivies, en
général, par un antiphônon psalmique selon la distribution du
Psautier constantinopolitain. Cette distribution du Psautier est
attribuée au patriarche Anthimos (535-536) H. De cet office nous
conservons toutes les prières avec leurs rubriques respectives
dans les plus anciens manuscrits de l'Euchologe (entre le VIII"
et le Xlr s.); nous conservons les psautiers distribués selon le

lB Cf. par ex. Symeon de Thessalonique, De Sacra Precatione, ch. 346-348 (PG
155, 624 et 55.); O. STRUNK, Byzantin Office at Hagia Sophia, dans Dumbarton
Oaks Papers, 9·10 (1955-56) 175-202. Cf. aussi le Typikul1 de Sail1/e-Sophie dont
nous connaissons trois documents: Dresde A. JO';' (XI" s.) (éd. certaines parties:
A. DMITRIEVSKY, Drevnéishie patridrshie tipik6ny: Sviatogr6bsky Ierusalîmsky i
Velikoi Konstanlil1opol'skoi Tsérkvi, Kiev 1907), Patmos gr. 266 (IX-X~ s.) (éd. A.
D.l\UTRIEVSKY, Ovisânie L 1 sS.), ct Hagios-Stavros 40 (xe s.) (éd. J. MATEOS, Le
Typicon de la Grande Eglise, [:::: Or Ch,. An 165, 166], Rome 1962, 1963).
Il Cardo J.-B. PITRA, Juris Ecclesiastici Graecorum Historia et Monumenta II,
Romae 1868, 297-209. Cf. aussi DACL, Il: «antienne» de H. Leclercq et «anti-
phone» de L. Petit.
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 51

kanôn de Constantinople 18 et en outre nous conservons des co-


dex (plus récents), avec les incipits en notation musicale et les
rubriques prévoyant la distribution des antiphôna, par jour de
la semaine et par office, selon le schéma de Constantinople ".
Les prières sacerdotales de ces offices disparaissent petit à petit
des euchologes de rédaction plus récente, dans la mesure où l'offi-
ce asmatikos lui-même cède le pas à l'office monastique de
l'Rorologe; il ne reste aujourd'hui qu'une partie des prières des
Vêpres et des Matines: elles sont récitées en secret par le prêtre
pendant l'exécution des psaumes du début de ces offices. De la
décadence de cet office très solennel se fait témoin au XV' s.
Syméon de Thessalonique, en mettant la responsabilité d'ailleurs
sur les envahisseurs francs 20.
Cet office ne comprenait presque pas d'hymnes (à l'excep-
tion de quelque petit tropaire). Toute l'hymnographie de l'épo-
que se réduit aux kontakia des jours de fête. Ces kontakia, attri-
bués en grande partie au syrien Roman le Mélode et à d'autres
auteurs prestigieux, étaient exécutés hors de l'office, générale-
ment à la fin de la Pannychis festive ". L'abbé Marin a dressé
une liste de ces compositeurs de kontakia; parmi eux il y a natu-
rellement des constantinopolitains: le patriarche Serge, Georges,
Dometius, etc., et il y a aussi des hiérosolymitains: Elie, Oreste,
Sophrone, Anastase, etc. Il n'aurait pas été inutile de vérifier ces
noms et les respectives compositions de ces auteurs; cela aurait
pu nous éclairer davantage sur l'office des églises séculières de
Jérusalem à cette époque d'avant les Perses.
Au sujet de l'office célébré par les très nombreux moines de
Constantinople de l'époque antérieure à l'Iconoclasme ", nous ne
savons pas grand chose, à part de vagues allusions à l'office des
moines acémètes. Par définition ces moines ne dormaient pas
et ils assuraient un office perpétuel. Cela semble exclure un of-
fice par Heures à certains moments du jour.

18 Psautiers: Musée Historique de Moscou (G/M) coll. Khludov ou Lobkovsky


129 delta (IX" s.); Bibl. Nat. Paris Anc. f. gr. 20 (Ixe s.); Barberini gr. 285 (XIe
s.); etc.
19 Les codex Bibl. Nat. d'Athènes 2061 et 2062; cf. art. de O. STRUNK. Un
travail de thèse sur ces manuscrits est en préparation à notre Institut Oriental
par Monsieur Kosmas Georgiou de Thessalonique.
20 PG 155, 325.
21 Cf. notre article sur la Pannychis, p. 338-339.
22 Cf. ABBÉ MARD';:, Les moines de Constantinople, 1897.
52 MIGUEL ARRANZ

Les n10ines non·acémètes, installés à côté des églises sécu-


lières, selon l'habitude des pieux fondateurs de la Polis, sui-
vaient probablement l'office asmatikos prévu par le grand Eu-
chologe. Peut-être suivait-on déjà ]'Horologe palestinien. Mais
ceci n'est qu'une hypothèse peu probable, puisque, en Palestine
même, bien après l'arrivée des Perses, comme nous allons le voir
bientôt, l'Horologe n'était pas encore fixé.

II - DEUXIÈME PÉRIODE:
FORMATION DU CYCLE PASCAL ET DOMINICAL

En Palestine, cette période commence avec la restauration


monastique après les dévastations et pillages causés par les Per-
ses (rien qu'à Saint-Sabas il y eut 44 moines massacrés). Cette
restauration est l'oeuvre de l'archimandrite Modeste (puis pa-
triarche) et de Sophrone (lui aussi moine et patriarche). Sy-
méon de Thessalonique attribue à celui-ci la rédaction du Ty-
pikon ".
A Constantinople, cette période débute un siècle et demi
plus tard, par la restauration monastique de Théodore Studite,
après la première vague iconoclaste. Le monastère du Stoudion,
qui, avant l'Iconoclasme, avait suivi la tradition acémète, suivra
avec Théodore les usages de Saint-Sabas.
Ainsi on aura à Constantinople la célébration simultanée de
deux offices: l'office des églises séculières ou asmatikos, d'un
côté, et l'office monastique de l'Horologe dans les monastères stu-
dites, de l'autre. On assistera à un inévitable phénomène d'osmo-
se entre les deux traditions. Le Typikon de Sainte-Sophie laisse
percer cette infiltration monastique studito-sabaÏte en maints
endroits; cela varie de codex à codex: moins dans Patmos 266
du IX' s., davantage dans Hagios-Stavros 40 du X' s., encore plus
dans Dresde A 104 (où nous avons déjà une Pannychis mixte pour
la fête de S. Théodore Stratilate). Au XV' s. Syméon de Thes-
salonique a introduit définitivement l'Octoèque monastique dans
l'office asmatikos encore en vigueur dans sa cathédrale.

23 PG 155, ch. 302-303. Cf. aussi: typikon de la Biblioth. Lenin de Moscou,


coll. Rumiantsev 35/491 (XIIIe 5.) qui place la rédaction de Sophrone avant
la destruction des Perses.
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 53

L'Horologe monastique des Studites, pour sa part, sentira


aussi l'influx de l'asmatikos, expliquant par là des différences no-
tables, déjà remarquées par Nicon de la Montagne Noire, entre
le Typikon des Studites et le Typikon sabaïte pur des Palesti-
niens. Disons dès maintenant par anticipation que la différence
principale entre les deux typika, au moment où Nicon écrit (le
début de notre troisième période), se trouve dans l'office des
heures de la nuit: agrypnia totale (ensemble de Vêpres-Matines)
en Palestine, Apodeipnon solennisé et appelé "pannychis" (se-
lon la praxis des églises séculières) chez les Studites constan-
tinopolitains.
L'élément nouveau qui va révolutionner l'office monastique
palestinien à partir du VII' s. sera l'introduction massive de
l'hymnographie à côté de l'Horologe, en rehaussant sa sobriété
et sa concision. Ce sera un vrai retour de flamme, si on se rap-
pelle la résistance farouche des moines de l'époque précédente
aux trop aires et au chant en général des églises séculières. Il
est d'ailleurs possible que l'hymnographie dont nous parlons
n'ait pas été toujours chantée, une récitation rythmée ayant pu
assez souvent suffire.
Nous pensons que l'introduction des hymnes chez nos moi-
nes palestiniens doit avoir quelque rapport avec l'efflorescence
de la poésie arabe à cette époque; le même phénomène s'observe
chez les Juifs: leur office synagogal, réglé pratiquement de fa-
çon définitive vers les années 135 p.C. par l'école rabbinique de
Jamnia, sera lui aussi complété et presque submergé (pensons
par exemple à l'office du Jour de Kippur) par la poésie, à partir
du VII-VIII' s. Peut-être, comme chez les Syriens quelques siè-
cles plus tôt, par l'hymnographie a-t-on cherché à remplacer une
prédication devenue difficile, sinon impossible, à cause de la
législation des Perses au IV' s. et de celle des Arabes au VII-VIII'.
Les grands hymnographes de cette période sont d'abord les
moines de Saint-Sabas et un peu plus tard ceux du Stoudion de
Constantinople. Le premier hymnographe de Saint-Sabas semble
avoir été Sophrone lui-même, moine d'abord, puis patriarche
(t 640). La grande série cependant des hymnographes sabaïtes
appartient au VIII' siècle: André de Crète Ct 720), Jean Da-
mascène (t 780), Côme de Maïum (t 787) et toute la longue sé-
rie de Sabas junior, Babylas, Aristobule, Grégoire le neveu de
Jean Damascène, les deux Etiennes, (dont le sinaïte mort en
54 MIGUEL ARRANZ

807) et les frères Théodore et Théophane métropolite de Nicée


(t 850). Le chef de file des hymnographes studites est naturel-
lement Théodore (t 826) suivi par son frère Joseph (métropolite
de Thessalonique). L'abbé Marin cite une longue liste de ces
moines poètes, Inais pour nous ils ont déjà moins d'intérêt,
car leur oeuvre n'ajoute rien de décisif à notre thème. Le même
abbé Marin établit une liste de poètes byzantins siciliens du
VII' s.; il serait intéressant de s'occuper d'eux de plus près pour
établir la place liturgique de leurs compositions: sont-elles desti-
nées à l'office asmatikos ou à l'office monastique de l'Horologe?
Nous laissons la question ouverte, tout en supposant que c'est
pour l'office asmatikos qu'il composaient; autrement ils auraient
précédé Jean Damascène et même André de Crète. L'Institut des
Etudes Byzantines de l'Université de Rome est en train de publier
une collection des 12 Mînaia, composés uniquement d'hymno-
graphie inédite des Byzantins de l'Italie Méridionale. L'abondan-
ce ne semble pas nuire à la qualité cependant.
Deux livres importants caractérisent et concrétisent cette
créativité des hymnographes: l'Ocloèque et le Triode. Le pre-
mier attribué à Jean Damascène et le second à Théodore Studite.
S'il faut croire ces attributions exactes, il faut dire que l'office
palestinien est tellement ancré à Constantinople que celle-ci
devient à son tour source créative. Evidemment, la personnalité
et le talent de Théodore, aussi bien que le vide profond créé par
la première crise iconoclaste, ont dû jouer en faveur de l'implan-
tation de cet office. La seconde vague d'Iconoclasme n'a fait
qu'affermir ces positions.
L'attribution de l'Oktoîkhos à Jean Damascène est à pren-
dre avec nuance. Un spécialiste de la question, Ch. Hannick ",
pense que l'Octoèque n'a été ni commencé ni complété par Jean
Damascène. Celui-ci aurait recuilli des pièces poétiques pré-
existantes en y ajoutant beaucoup de sa propre composition; le
livre comme tel aurait été complété encore après lui. La dénomi-
nation de Octoèque ou Oktoîkhos ne daterait que du douzième
siècle. L'Octoèque s'est formé petit à petit; on eut d'abord des
recueils de pièces homogènes: kanones, stichîra, kathismala.
Chaque fête possédait un nombre variable de compositions disper-
sées dans ces différents livres. Le chantre ou le supérieur pou-

24 Le texte de l'Okloechus (= Dinlmlche) Chevetogne 1972, 37-60.


LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 55

vaient choisir les pièces nécessaires pour leur office. Les typika
plus anciens (surtout les typika studites) fixent une fois pour
toutes les pièces pour chaque office en indiquant leur incipit. Puis,
un seul livre contenait toutes les pièces dans l'ordre voulu, en
mettant ensemble kanones, stichîra, kathismata, etc. Les collec-
tions les plus anciennes conservées sont des recueils de stichîra
du VIII-IX' s.
Il exista un octoèque simplement dominical tout voué à la
Croix et à la Résurrection; puis apparurent des octoèques con-
tenant aussi des pièces pour les apôtres, les martyrs, les défunts,
etc. Finalement vinrent les octoèques pour huit semaines com-
plètes, disposés selon les huit tons.
Le double Triôdion (du Carême et du temps pascal) est
attribué aux frères Joseph et Théodore Studite. Ils ont été sans
doute les compilateurs de l'ouvrage et même les principaux com-
positeurs des pièces qui le composent, mais non les seuls au-
teurs; selon le synaxarion de Xanthopoulos (XIV' s.), placé au
début du Triôdion de Carême, les premières compositions, les
kanones de la Semaine Sainte, sont de Côme, moine de Saint-
Sabas et évêque de Maïum. D'autres auteurs antérieurs aux Stu-
dites sont André de Crète et Jean Damascène. Peut-être, fau-
drait-il distinguer, avec N. Cappuyns, entre trois rédactions ou
types de triôdia, qu'il distingue à partir des titres et des attri-
butions des ving-trois codices par lui étudiés 24 bis : type oriental ou
hiérosolymitain (Côme de Maïum, André de Crète, Jean Da-
mascène, Marc, André l'aveugle, Etienne); type constantinopoli-
tain non-studite (Théophane Graptos, Joseph, Kazia, Léon le Sa-
ge, Siméon Métaphraste, Taraise, Georges de Nicomédie) et, fi-
nalement, type studite (Joseph de Thessalonique, son frère Théo-
dore Studite, Clément, Antoine, Nicolas).
Le type oriental serait le plus ancien mais aussi le plus
simple et le moins développé. Les deux autres types sont con-
temporains, mais le studite s'est formé plus rapidement et de
façon plus complète. L'actuel Triôdion, qui est le seul qui a été
imprimé, est une combinaison des trois types, avec une note
studite plus marquée.

24bis Le TriÔdioll. Etude historique sur sa constitution et sa formation. Thèse


de doctorat à l'Institut Pontifical Oriental, Rome 1935.
56 MIGUEL ARRANZ

Le Triôdion ne contient pas uniquement, con1n1e son non1


pourrait l'indiquer, les séries de tropaires destinés à accompa-
gner trois cantiques ou odes de l'office des Matines; il contient
aussi des diôdia, des tetraôdia, des kanones de huit odes et un
kanôn de neuf odes. Mais il contient encore des stichlra, des
kathismata poétiques, des tropaires en général et même les cour-
tes lectures des matines qu'on appelle synaxaria.
Une question pourrait se poser ici, ruais nous ne faisons
que la soulever. Comment se fait-il qu'aux féries de Carême où
l'office devrait être plus long, le kanôn des Matines ne contient
que trois cantiques bibliques ou odes, tandis qu'aux dimanches
et à toutes les autres fêtes de l'année il en contient neuf? On
répond habituellement que ceci s'explique par le fait que pen-
dant le Carême on a conservé un schéma plus ancien, dans le-
quel les Matines ne possédaient que trois cantiques. Cette ré-
ponse ne tient pas compte du fait que tous les anciens horologes
connus prévoient la série complète des neuf cantiques. (Nous
ne voulons pas toucher ici la question du cantique du Deutéro-
nome, ou deuxième ode, qui en général est omis hors du Carême).
Nous pensons que le système à trois cantiques ou triôdion,
loin d'être l'original, n'est qu'une adaptation ou abréviation opé-
rée à cette époque. Dans le texte que de ces cantiques nous don-
nent les psautiers palestiniens 24 te l', les sept premiers sont ap-
pelés cantiques, le huitième, qui est l'hymne des trois enfants
de Babylone, est appelé hymne, et le Magnificat et le Benedictus
qui suivent, unis en un seul cantique aujourd'hui, sont appelés
prières. Si notre hypothèse a quelque chance d'être exacte, les
auteurs du Triôdion auraient réduit le kanôn de neuf cantiques
en une triade par jour, composée d'un des sept premiers can-
tiques, de l'hymne et des deux prières néo-testamentaires unies,
et cela du lundi au vendredi. Le samedi on aurait eu deux can-
tiques, plus l'hymne et les prières. Le dimanche, à la vigile on
conservait le kanôn complet des six cantiques (en supprimant
celui du Deutéronome) plus l'hymne et les deux prières néo-testa-
mentaires.
Le Triôdion non seulement nous fournit tous les textes né-
cessaires pour le Carême et le temps pascal, mais il est aussi
le premier typikon qui existe. Les textes, surtout au début du

24tel" Par ex. Lellillgr, gr. 216, Psautier Porfiri (JX 9 5.); cf. infra.
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 57

Carême, sont accompagnés par des rubriques précises et abon-


dantes dans lesquelles nous trouvons des renseignements précis
sur le schéma général de l'office.
Ces rubriques du Triôdion étaient bien nécessaires, car les
horologes que nous possédons de cette époque sont très pauvres
en rubriques. Nous devons même dire que nous n'avons pas un
seul horologe de cette deuxième période qui soit en tout pareil
il l'Horologe actuel. Il faudra attendre le XII" s. pour avoir un
horologe proche parent du nôtre.
Le Sinaï gr. 863 25 du IX· s. est un horologe du monastère
de Saint-Sabas qui ne contient que les Heures du jour: Prime,
Tierce, Sexte, None, l'office des Typika (qui ici est un office de
communion), les Vêpres et l'office de la première heure de la
nuit, qui malheureusement n'est pas complet. Seuls les trois
derniers offices présentent une vraie ressemblance avec ceux de
notre Horologe, tandis que la psalmodie des quatre petites Heu-
res est fort différente.
Un autre horologe de la même époque, le Sinaï 864, est
encore plus curieux. Il commence par None qui est composée de
sept psaumes. Suivent douze psaumes et deux tropaires. Puis
deux kanones de 24 tropaires chacun, distribués en huit odes
précédées chacune de l'heirmos correspondant du Grand Kanôn
de S. André de Crète. Suit un Mesonyktikon très semblable au
nôtre, quoiqu'avec d'autres éléments. Suivent encore des kano-
nes et des stichîra. Cela ferait penser plutôt à un livre pour
l'office de nuit à l'usage d'un moine solitaire.
Un document d'une époque postérieure, mais de tradition
archaïque, pensons-nous, est le fameux Haro/age Araméen publié
par M. Black 25b;'. Il contient déjà toutes les Heures de l'Horologe
actuel, mais il lui manque certaines parties importantes de
l'office.
Un autre document remarquable de cette époque, daté de
862, est celui du Psautier dit de Porfiri (Len. gr. 216); il s'agit
d'un psautier arrangé selon la distribution classique en 20 divi-
sions, chacune étant subdivisée à son tour en trois doxai ou

Z5 J. MATEOS, VII JlOt"ologioll illéclit de Sai/1t-Sabas (= Sltldi e Testi 233) Cité


du Vatican 1964. 47-76.
2~bjs A Christian Palestil1ian Syl"iac Horologioll (BerliN MS 01". Ocr. 1019)
Cambridge 1954.
58 l\UGUEL ARRANZ

staseis. Le tout est suivi des cantiques bibliques ou odes. C'est


son titre qui est important: (c Psalmodie comme nous la chan-
tons dans la sainte Anastasis ». Puisque le Psautier est égal par-
tout, c'est sa distribution en 20 kathismata qui est attribuée au
Saint-Sépulcre. Ce psautier devait servir à une « psalmodia cur-
rens» semblable, sinon identique, à celle encore en vigueur
aujourd'hui: deux divisions le matin, après l'hexapsalmos des
Matines de l'Horologe, et une le soir, après le psaume introduc-
tif des Vêpres. Nous ne savons pas si l'Horologe de Saint-Sa-
bas était suivi aussi au Saint-Sépulcre.
Par un document de 1122, le Hagios-Stavros 43, que Papa-
dopoulos-Kerameus a publié" sous le nom de Typikon de l'Ana-
stasis, mais qui n'est qu'une espèce de triôdion allant du diman-
che des Rameaux à la semaine après Pâques, et qui serait un té-
moin non pas de la praxis du XII" s., mais bien de celle d'avant
les Croisades, et donc antérieur à Hakim et à l'année 1009, nous
savons que les Spoudaioi assuraient certains offices au Saint-
Sépulcre. Ces Spoudaioi étaient-ils des moines de Saint-Sabas?
L'office décrit par le Typikon-triôdion de l'Anastasis crée plus
de problèmes qu'il n'en résout. L'office décrit par les rubriques
qui se trouvent à côté des textes poétiques et qui sont très
abondantes et détaillées, est un office patriarcal et prévoit un
grand nombre de prêtres et de diacres. A côté de certains usa-
ges venant en ligne droite d'Egérie et des Lectionnaires Armé-
nien et Géorgien ", l'office se déroule selon le schéma de l'Horo-
loge actuel, à part quelque office de l'asmatikos, comme la Pan-
nychis des trois premiers jours de la Semaine Sainte. Il con-
tient déJà des triôdia et même des diôdia, ce qui supposerait
d'après notre hypothèse une origine studite. Les divisions du
Psautier, par ex. les kathismata 2 et 3 aux matines du dimanche
des Rameaux, occupent la place qu'ils ont aujourd'hui. Cela
pourrait signifier que soit l'Horologe actuel soit le Psautier ac-
tuel étaient déjà employés simultanément au Saint-Sépulcre.
Ce document témoignerait aussi de l'existence d'un Horologe as-
sez proche de l'actuel, et de plus de son emploi dans une grande

(= 'AVCÛ.ÉJ!:'tCL 'lEpoaO)..Ulwnxi'!ç ~'t'a.xuo)..oyt:a.ç Il), St.-Pétersbourg 1894.


Z8
Cf. l'étude comparative de G. BERTO~IÈRE, The Historical DevelopmetU of
:17
the Easter Vigil and Related Services in the Greek Churc11, (= Or Chr An 193)
Rome 1972, 12-18. Nous tenons à remarquer l'importance de cet ouvrage pour
l'étude des documents de la tradition byzantine; il part de j'étude systéma-
tique d'un point concret de la liturgie qui est la célébration de l'office pascal
tout au long de l'histoire.
LES GRANDES ETAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 59

église séculière. N. Uspensky, dans son travail sur l'agrypnia ",


approfondit le thème des rapports entre les offices respectifs
de Saint-Sabas, du Saint-Sépulcre et des Spoudaioi.
Trois documents méritent encore notre attention vers la fin
de cette deuxième période: le Kanonarion du Sin. gr. 150 (X-XI"
s.), l'Hypotypôsis du monastère du Stoudion (Vatop. 322, XIII-
XIV' s.) et la Diatypôsis de S. Athanase de l'Athos (Ibirôn 754,
XVI' s.), tous trois publiés par Dmitrievsky ". Ces trois documents
sont les premières ébauches de Typikon monastique que nous
connaissons. Aucun d'eux ne s'appelle encore typikon.
Un kanonarion (en slavon SKAZANTE) est en principe une
liste des lectures du N.T. qu'on fait à la messe. Cela suppose un
calendrier qui va de Pâques au Samedi-Saint en faisant le tour
du cycle des dimanches. Au kanonarion du propre du temps fait
suite le kanonarion des synaxeis ou synaxarion (en slavon So-
B6RNIK), liste des fêtes du cycle des mois qu'on célèbre avec
une certaine solennité et qui pourtant ont des lectures néotesta-
lnentaires propres. En général, le synaxarion comnlence au 1er
septembre.
Aux dates de ce double calendrier on peut rencontrer des
rubriques plus ou moins étendues; on peut aussi ajouter une
courte mention sur la vie du saint du jour. Le kanonarion-syna-
xarion était un appendice indispensable à l'évangéliaire et au
praxapostolos. Les éditions russes de ces livres possèdent encore
de tels appendices: le Skazanie et le Sob6rnik.
Notre Kanonarion Sin. 150 est aussi un appendice à un
évangéliaire, malgré son volume de 29 feuillets et l'abondance
de ses rubriques; très importantes sont ses rubriques pour la
nuit de Pâques. Il semble provenir de l'Italie Méridionale, car
son calendrier, essentiellement constantinopolitain, contient
néanmoins quelque mémoire propre de l'Italie. Bertonière, qui a
étudié les rites de la nuit de Pâques ", le place parmi les docu-
nlents studites.
L'Hypotypôsis est un embrion de Typikon monastique pour
le monastère du Stoudion. La Diatypôsis est très semblable à l'Hy-
poty pô sis. Dans la Diatypôsis, le fondateur de la Grande Laure

za N. USPENSKY, Chin vsénoshclmogo bdénia l' Gréclles!wi i RI18skoi Tsérkl'i,


Académie Ecclésiastique de Leningrad 1949.
~u Opisdnie l, 172, 224 et 238. Pour la Hypotypôsis cf. aussi PG 99.
30 Cf. note 27.
60 MIGUEL ARRANZ

de l'Athos parle à la prenuere personne. Dans les deux cas, la


description de l'office de la nuit de Pâques occupe la partie prin·
cipale, avec d'autres prescriptions liturgiques pour d'autres dates
du calendrier, sans être pour autant un vrai kanonarion comme
le Sin. 150. Grand espace occupent dans l'Hypotypôsis cl dans
la Diatypôsis les prescriptions regardant la discipline et l'admi·
nistration monastique.
Très importante apparaît l'introduction à la Hypotypôsis;
nous la réduisons ici dans une traduction très libre:

«Les traditiuns que par divine inspiration suivent les saints


monastères sont nombreuses et variées; parmi les autres il y a
celle que nous observons; nous l'avons reçue de notre père et COll-
fesseur Théodore, et non seulement nous, mais beaucoup d'autres
moines la suivent comme étant la meilleure el principale, car elle
évite les excès et les défauts. C'est pourquoi, en suivant les pré-
ceptes du père (ou des pères) nous mettons par écrit cette tradi-
tion pour les générations futures ... Et nous commençons cette règle
(sYl1taxis) là où notre salut lui-même a commencé: A propus de la
fête de Pâques, il faut savuir, que passée la deuxième vigile de la
nuit ... ».

D'après cette introduction, S. Théodore n'aurait pas laissé


de règle ou de typikon écrit, mais ses successeurs auraient sup·
pléé pour que la tradition de Théodore, qui est suivie par beau·
coup de moines, puisse être connue par les générations à venir.
On constate aussi la coexistence de plusieurs traditions monasti-
ques différentes, toutes bonnes et inspirées par Dieu; le rédacteur
préfère naturellement la sienne.
Digne d'attention aussi le fait que le fondateur du premier
monastère de l'Athos a suivi la tradition studite. Cela nous le
savions déjà grâce à un typikon studite géorgien du monastère
d'Ibîrôn, copié sur celui de la Grande Laure et publié par Ke·
kelidze: le Synaxarion de Georges Mtatsmindeli ".
Le tout dernier témoin de cette deuxième période de l'histoi-
re du Typikon, même s'il pouvait déjà être mis en tête de la
période suivante, est Nicon de la Montagne Noire que nous avons
déjà cité.

31 K. KEKEUDZE, Gruzillskie lirllrg[clleskie pdl11iallliki \..' olécheslVelmyh


kfligokhranilishcl1ah, Tiflis 1908, 473.
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE
-- _ .. _ - - - - - ----_.
61

Nicon, prévoyant des destructions comparables à celles qui


avaient ruiné les monastères de la Palestine au VII' s., se donne
comme but d'écrire en résumé, en un seul volume, tout ce qui
d'après lui devait être sauvé. Il compose d'abord les Hermîneiai
vers 1059, comme anthologion de la doctrine patristique autour
du Sermon de la Montagne (nous en avons déjà parlé au sujet
de la Narratio abbatUln); puis il écrit un résumé de son résumé
dans le Mi/cran Biblion en 1077. Finalement, en 42 chapitres (ou
43), il veut recueillir tout ce que précédemment lui-même a
écrit en différentes occasions au sujet de la vie monastique et dp
beaucoup d'autres choses pratiques: c'est son Taktikon. En Rus-
sie existent des traductions de cet ouvrage à partir du XIII-XIV' s.
Beneshevich avait commencé la publication du texte grec selon
le ms 5il1. 441 32• Dans son introduction, (p. 21 de Beneshevich)
Nicon constate qu'il existe une grande diversité de typika: il
y a des typika studites et des typika hiérosolymitains; il aurait
voulu les harmoniser et en faire une synthèse, mais cela est im-
possible; ni les typika studites ne concordent entre eux, ni les
hiérosolymitains entre eux. Il est même allé à Saint-Sabas pour
se faire expliquer sur place l'état des choses, mais il n'a pas
reçu de réponse satisfaisante; c'est pourquoi il décide d'écrire
un typikon tout nouveau pour ses frères. Ce typikon, qu'il appelle
encore: Kanonarion, c.-à-d. Typikon, n'est pas un vrai kanona-
rion, car il n'indique pas l'ordre des lectures. Comme typikon par
contre il est exhaustif, en faisant la description de chacune des
Heures de l'Horologe et en choisissant ses prescriptions (celles
par exemple relatives à la distribution du Psautier) tantôt dans
le Typikon de Jérusalem, tantôt dans celui du Stoudion ou de
la Sainte-Montagne. Selon sa description on peut dire que l'office
prévu par Nicon est très proche de l'actuel. Il suppose aussi
l'existence du Mînaion et de son double emploi avec l'Octoèque
dont nous allons bientôt parler. Aux chapitres liturgiques suc-
cèdent des chapitres très détaillés sur les jeûnes et les carêmes
et sur la nourriture en général. Finalement, on a un très bref
synaxarion avec la seule indication du saint du jour.
Quels sont ces typika auxquels Nicon fait allusion? Nous ne
les connaissons pas et il nous est difficile d'imaginer à quoi ils
pouvaient ressembler. Les manuscrits des typika que nous con-

32 Taktikon Nikolla Chernogurlsa, Petrograd 1917.


62

naissons sont du XII-XIII" siècle, donc d'un siècle ou deux après


Nicon. Le Taktikon de Nicon est une pierre milliaire dans l'histoi-
re du Typikon: plus par son typikon que par son témoignage
sur l'existence d'autres typika, il est l'anneau manquant entre
les premières ébauches du Typikon qui sont le Kanonarion et
la H ypotypôsis-Diatypôsis monastiques d'une part, et les typika
déjà complets que nous connaissons, d'autre part. Nicon est à
cheval entre la deuxième et la troisième période de notre histoire
du Typikon.

III - TROISIÈME PERIODE: FORMATION DU CYCLE


DES MOIS ET DES TYPIKA COMPLETS

En renvoyant le Mînaion à cette troisième période, Mansve-


tov ne voulait certainement pas dire que des fêtes fixes (aux
jours du mois) comme Noël, l'Epiphanie, l'Exaltation de la Croix,
la Dormition, etc. aient eu leur origine à cette période. Le calen-
drier complet ou synaxarion de l'Eglise de Constantinople, qui
est à la base des typika, soit studites soit palestiniens, est déjà
fixé dans le Typikon de la Grande-Eglise du IX' s., et il lui est
donc certainement antérieur. Les hymnes correspondantes à la
plupart des fêtes du Seigneur, de la Théotokos et des saints les
plus importants, apparaissent dès la période précédente dans
les collections des stichîra, kanones, etc. On les trouve aussi
en appendice au Triôdion. Mais c'est seulement à cette époque
du XI-XII' s., qu'apparaissent les mînaia systématiques, avec
une série de pièces poétiques pour chaque fête ou mémoire du
calendrier. Nous possédons aujourd'hui douze volumes, un par
mois, de ces collections hymnographiques. Si on pense à la quan-
tité d'hymnographie restée inédite en Italie Méridionale et si
on sait que dans l'Eglise Orthodoxe on continue encore à en
produire, on imagine bien que le problème devant lequel se
trouvaient les chantres n'était pas simple. En principe, chaque
jour de l'année possède deux séries plus ou moins complètes
de stichîra et de kanones pour former un seul office: les pièces
de l'Octoèque et celles du Mînaion c.-à-d. l'hymnographie du com-
mun du jour de la semaine et celle du propre du sanctoraI. Dans
quelle mesure on puisera dans l'Octoèque ou dans le Mînaion,
cela dépendra du degré d'importance de la solennité du saint,
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 63

mais aussi du jour de la semaine et de la personne à qui les


pièces de l'Octoèque font allusion; à la Vierge le mercredi, à
Jean Baptiste le mardi, aux apôtres le jeudi, etc. En Carême et
à Pâques c'est le Triôdion qui est en compétition avec le Mînaion.
Comment régler cette concurrence perpétuelle? C'est le Typikon
qui s'en chargera.
Un typikon complet comprendra donc: le kanonarion ou
liste de péricopes bibliques, le synaxarion ou calendrier des douze
mois, les rubriques de cérémonies ou offices spéciaux (et cela
de deux manières: soit par une série de chapitres "en résumé" en
appendice au début ou à la fin du livre, soit par des notes
journalières annexées au kanonarion ou au synaxarion); on aura
aussi à l'occasion des carêmes ou dans un appendice, un traité
sur les jeûnes et sur la nourriture en général. En plus, on aura
l'incipit des stichîra ou des kanones, réglant chaque fois la con·
currence entre le Mînaion d'une part et l'Octoèque et le Triôdion
de l'autre. Beaucoup de manuscrits auront encore une introduc·
tion de la part du rédacteur du typikon qui nous renseigne sur
son monastère et sur les problèmes de fondation ou de construc·
tion, ou encore sur l'état de la vie monastique en général et en
particulier, etc. On trouve très peu de manuscrits avec tous les
éléments indiqués, mais d'autre part, chaque famille de typika
suivra sa méthode dans l'ordre et la disposition de ces éléments.
Ceci permet aisément une classification des typika par familles.
Nous connaissons donc deux grandes familles: la studite et
la sabaïte ou hiérosolymite. La première est aujourd'hui éteinte,
seule la seconde est celle officielle du Typikon tout court.

LE TYPIKON STUDITE

A en juger par les manuscrits, c'est le typikon le plus ré·


pandu vers le XII' siècle.
Il correspond à la tradition monastique de Théodore Stu-
dite. Théodore redécouvre l'esprit de Saint Basile et met en va-
leur sa formule de monachisme urbain, tout adonné à la prière
et au travail, mais au milieu d'un monde que le moine doit aider
à vivre en chrétien. L'office de Saint-Sabas convient assez bien
à cette spiritualité, à condition de ne pas perdre de vue le but,
64 ~~~~~-
M rGUEL ARRANZ

disons, apostolique et pastoral. L'austérité de l'office palestinien


est tempérée par son acclinlatation à Constantinople et par
l'assimilation de maints éléments pris de l'office asmatikos des
églises séculières. Donc exécution musicale non seulement des
éléments poétiques, récemment introduits par l'Octoèque du Da-
mascène, mais aussi des parties fixes de l'Horologe, comme sont
les psaumes des Vêpres et des Matines. Même la " psalmodia cur-
rens» sera exécutée en musique. On arrive à vouloir combiner
l'Euchologe de Constantinople avec l'Horologe, en faisant entrer
dans celui-ci lcs synaptaï et les prières presbytérales du pre-
mier. Les rédactions studites de l'Euchologe (que dans notre
article sur les Matines nous aVOnS groupées sous la lettre D) 33
portent la marque de cette adaptation un peu forcée des priè-
res destinées aux antiphôna de l'asmatikî akolouthia, aux divi-
sions du Psautier selon le système palestinien, qu'on appellera
aussi antiphôna.
Elément principal des typika studites sera donc la descrip-
tion de l'office des Matines de Pâques selon la tradition du
Saint-Sépulcre; cette description se trouvera dans les typika
plus anciens, comme dans l'Hypotypôsis, en tête du codex en
suivant le schéma du kanonarion des lectures bibliques qui com-
mence à Pâques. Cette description de l'office de Pâques sera
très opportune à Constantinople où les Matines du jour de Pâ-
ques selon l'asmatikos ne prévoient aucune cérémonie extraor-
dinaire. D'autres typika commenceront par le Triôdion (attri-
bué avec raison aux Studites), et donc avec le début du Carême.
D'autres commenceront avec le synaxarion de la Grande-Eglise,
par le le, septembre. Souvent le tout sera précédé par Une série
de chapitres en epitomô (en résumé) qui règlent les questions
générales de la psalmodie, du nombre des stichîra, etc. Ces cha-
pitres se trouvent déjà dans le Taktikon de Nicon.
Nous verrons plus loin que les typika palestiniens com-
mencent, par contre, par l'agrypnia du samedi au dimanche, et
donc par la description de l'office des Vêpres.
Le pl us ancien typikon studite que nous connaissons est
celui du patriarche Alexios de Constantinople, ancien moine du
Stoudion, qui en 1034 le donna au monastère de la Dormition

33 Les prières presbytérales des matines byzcmtines Il, dans Or. Chr. Pero 38
(1972) 85 SS.
LES GRANDES ÉTAPES DE L\ LITVRGIE BYZ.I\::-J:TTNE 65

qu'il venait de fonder près de la ville. Nous ne connaissons pas


l'original grec, mais nous possédons six copies slaves allant du
XI' au XV' s., presque identiques dans leur texte. Skaballano-
vich" démontre que c'est le typikon que S. Théodose Pechérsky
en 1051 ou en 1062 adopta dans son monastère de Kiev. l.es
Russes appellent ce typikon le Studiisko-Aleksievskii Ustav. Ces
typika commencent par le début du Carême, donc par le Triô-
dion, mais tous ne sont pas complets. Curieusement le plus an-
cien parmi eux s'arrête après le Triôdion et continue par un
kontakarion avec notation musicale, qui nous ramène à l'asma-
tikos. Skaballanovich au même endroit dit qu'avant l'introduc-
tion de ce typikon studite en Russie, on y a célébré selon le
Typikon de la Grande-Eglise. C'est la thèse de tous les liturgistes
russes, et notamment de Dmitrievsky qui a écrit deux travaux à
ce sujet: La liturgie dans l'Eglise Russe dans les cinq premiers
siècles (1882) et La liturgie dans l'Eglise Russe au XVI' siècle
(1884). N. Uspensky aussi a traité la question au VU' chapitre
de son ouvrage: L'office de la veillée nocturne dans l'Eglise
Grecque et dans l'Eglise Russe (1949). Nous-mêmes en nous occu-
pant des euchologes provenant de la cathédrale de Sainte-Sophie
de Novgorod, nous les avons classifiés dans le groupe B (eucho-
loges de type cathédral, mais incomplet) et dans le groupe D
(euchologes supposant l'office de l'Horologe pratiqué par les
Studites). En Russie donc, de même qu'à Constantinople, on
suivait une double tradition parallèle, celle de la Grande-Eglise
et des églises séculières et celle des monastères studites. Nous
dirons un mot plus tard sur l'apparition du Typikon sabaÏte ou
de Jérusalem, au XIV-XV' siècle, en Russie.
La Géorgie, avec sa vocation de bibliothécaire de Byzance,
nous a conservé des témoignages à peu près de toutes les trois
périodes de l'histoire du Typikon.
Nous avons déjà parlé du Lectionnaire Géorgien du VII' s.
comme témoin de la tradition cathédrale de Jérusalem.
Kekelidze nous décrit un Mînaion-Triôdion du IX' s. et sur-
tout un Octoèquc-Mînaion du xe s. ~5, donnant une tradition ar-

3.j Tolk6vy Tipikôll (cf. note 5) I, 399. Ces documents sont: Bibl. Typogr.
Moscou (TsCADA) 285/142/1206 (XI-XII" s.), Bibl. SyrlOd. Moscou (CIM) 33Ù/3S0
(XII·XIII" s.), Sainle-Sap/lie Novgorod (CPB Leilil1gmd) 1136 (XIIle s.), Bibl. Typogr.
144/1236, Bibl. Synod. 333/381 (a.D. 1398), Bibl. Synod. 905/382 (XV' s.). Selon Ska-
ballanovich lcs cinq derniers sont presque identiques.
"Cf. note 30 bis, 352 et 372.
66 MIGUEL ARRANZ

chaïquc qui ne suit pas encore le synaxarion de Constantinople,


et, ce qui est plus, qui contient des indications sur les mo-
nastères et sur les lieux de pèlerinage monastiques de la Pa-
lestine. Ceci donc pour la deuxième période, avant l'année 1009.
Pour la troisième période nous avons des typika géorgiens
soit de type studite soit de type sabaïte. Studite est le Typikon
de Georges Mtatsmindali d'Ibîrôn selon trois codex de Tiflis
et deux de Leningrad, tous les cinq du XI-XII' siècle, décrits par
Kekelidze ". Ce typikon, copié d'après celui de la Grande Laure ",
est assez proche encore de la Hypotypôsis-Diatypôsis.
Un typikon géorgien sabaïte est par contre celui de Shio-
Mgimve, du XIII' siècle, décrit aussi par Kekelidze"; il semble
transmettre la tradition du monastère de Saint-Syméon près
d'Antioche.
Les documents de la tradition studite les mieux conservés
sont sans doute les typika de l'Italie Méridionale. Nous nous
sommes occupés spécialement de celui de Messine, le plus ancien
de tous ceux qu'on connaît, de l'an 1131 (même si la datation
du manuscrit, non du Typikon comme tel, nous a été contestée) 39.
Au début du XII' siècle la politique des Normands en Italie Mé-
ridionale a été tolérante envers les traditions religieuses des
populations de culture byzantine. Le fondateur du monastère du
Patîrion de Rossano au début du XII' s. a visité Constantinople
et a séjourné chez les moines du Mont-Athos. A son retour il a
apporté une grande quantité de livres, parmi lesquels probable-
ment aussi des livres liturgiques. Nous connaissons trois familles
de typika italo-studites: la famille paléo-calabraise avec Grotta-
ferrata comme centre, même si le codex conservé de son typi-
kon n'est que de la fin du XIII" siècle; la famille calabro-sici-
lienne avec Messine comme tête d'archimandritat de plus de
quarante monastères; et finalement la famille apulienne, avec le
monastère de Casole comme centre. De chaque famille nous

3tia.c., 473.
37 Cf. Q.C., 486.
38 a.c., 313.

39 M. ARRANZ, Le Typicol1 du 11'1Onastère du Saint-Sauveur à Messine (== 0,..


C/I/. Ail. 185) Rome 1969. Cf. JULTE~ LEROY, La date du Typicol1 de Messine et
ses manuscrits, dans Bollettino della Badia Greca di Gratta/errata, N.S. 24 (1970)
39-55. Le P. Leroy le voudrait du XIII~ S., mais à ses raisons peu convaincantes
s'oppose encore le fait que les trois catalogues de l'ensemble des 175 mss de
la bibliothèque du Saint-Sauveur concordent dans la datation du nôtre (Mess.
115) au XII" s. En outre toute la tradition sicilienne attribue ce codex à la
main de l'archimandrite fondateur (t 1149).
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 67

possédons de nombreux codex. Dmitrievsky a publié des frag-


ments importants de certains de ces codex dans le 1" volume
de sa Description des manuscrits, dans lequel On trouve d'ail-
leurs d'autres documents studites. La tradition studite en Italie
s'est maintenue plus longtemps qu'à Constantinople ou sur le
Mont-Athos. Le monastère de Messine n'a changé son typikon
studite pour celui de Saint-Sabas qu'à la fin du XVI' siècle, et
cela par imposition du Pape et non sans résistance des moines.
De Constantinople même nous ne conservons qu'un seul ty-
pikon studite, celui du monastère de l'Evergetîs, du XII' s.,
publié intégralement par Dmitrievsky dans le même 1" volume
de la Description.
Du Mont-Athos nous ne connaissons pas de typikon studite
en grec après la Diatypôsis de S. Athanase. Il nous faut nous
contenter des témoignages indirects des Géorgiens.

LES TYPIKA SABArTES 39hi,

Aux typika sabaÏtes est consacré tout le III' volume de la


Description de Dmitrievsky. La seconde partie du volume con-
tient une vingtaine de typika manuscrits du Mont-Athos, allant
du XV' au XIX' siècle; étant donnée leur date récente, ces ma-
nuscrits n'ont pas une grande importance pour notre étude. La
première partie du volume au contraire comporte 135 manuscrits
(souvent de très brefs fragments), tous de la tradition de Saint-
Sabas; Dmitrievsky les classifie en cinq différentes rédactions:
cinq manuscrits, les plus intéressants, du XII-XIII" s., appar-
tiennent à la rédaction hiérosolymitaine; ce sont des manuscrits
palestiniens. 116 manuscrits, allant de la fin du XIII' s. au XVI',
sont de rédaction constantinopolitaine; trois manuscrits du dé-
but du XIII' s. et du XIV' s., appartiennent à la rédaction sinaÏ-
tique; quatrc codex, du XIV-XV' s., sont de rédaction de Tré-
bizonde; finalement, sept manuscrits appartiennent à la rédac-
tion Serbo-Bulgare. A cela Dmitrievsky ajoute les références des
principales éditions vénitiennes du Typikon sabaïte. Naturelle-
ment il manque tout un chapitre sur les manuscrits de la rédaction

39bis Pour plus de détails sur ces typika, cf. M. SKABALL.o\."':OVICH, O.C., p. 414 ss.
68 MIGUEL ARRANZ

russe. Cette rédaction est très abondante mais nous savons que
Dmitrievsky n'a publié que les manuscrits se trouvant hors de
la Russie, ceux qui étaient moins '1 la portée des liturgistes
russes.
D'un premier coup d'oeil sur l'index de ce UI" volume de
Dmitrievsky, on peut aussitôt se rendre compte des étapes qu'a
suivies la diffusion du Typikon de Saint-Sabas dans le monde
byzantin.
Les manuscrits les plus anciens sont ceux de rédaction pa-
lestinienne et sinaïtique: XII-XIII' s. Dans ces régions le Typi-
kan studite ne semble pas avoir pénétré.
La rédaction constantinopolitaine du Typikon de Saint-Sa-
bas est la mieux représentée en nombre d'exemplaires. Les plus
anciens sont du XIII' s., époque de laquelle nous ne trouvons
guère de manuscrits studites à Constantinople.
Skaballanovich (p. 413) pense que la prise de Constanti-
nople par les Latins, qui a marqué la fin de l'office asmatikos
à Sainte-Sophie, a été un coup mortel aussi pour l'office mo-
nastique des Studites, qui étant plus solennel et plus complexe
que celui des Sabaïtes, avait besoin de plus de structure por-
tante que celui-ci. L'absence de manuscrits studites et l'abon-
dance de manuscrits sabaïtes favoriseraient une explication dans
ce sens. Les manuscrits de cette rédaction se trouvent éparpillés
surtout dans les bibliothèques de l'Athos. Evidemment ils ont
servi aux moines. Il faut penser que la célébration solennelle
des Studites ne pouvait pas satisfaire les hagiorites, plus pro-
ches, par leur esprit et leur façon de vivre, des moines des
déserts de la Palestine, que des moines des villes comme
étaient les moines du Stoudion. Le système des jeûnes, plus
sévères dans le Typikon de Saint-Sabas, donnait à celui-ci un
prestige plus grand auprès des athonites. (Cf. Skaballonovich,
p. 412).
C'est finalement ce Typikon, qui après avoir remplacé petit
à petit le Typikon studite, est arrivé aux honneurs de l'impres-
sion à Venise en 1545 ou 1546. Par là il est devenu le Typikon
de toute l'Eglise Byzantine. L'Eglise de Grèce aujourd'hui suit
un typikon dit Typikol1 de la Grande-Eglise du Christ, qui n'est
qu'une réélaboration du Typikon de Saint-Sabas avec quelque
nouveauté, qui très probablement appartient à la praxis héritée
de l'ancien Typikon de la Grande-Eglise.
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 69

Une classification des manuscrits sabaïtes encore plus éla-


borée que celle de Dmitrievsky, a été établie par N. U .pensky
dans son étude sur l'office de l'agrypnia, office qui, rappelons-
le, n'était pas célébré par les Studites ni par la Grande-Eglise
de Constantinople, qui à sa place avaient la Pannychis. Puisque
la description de l'agrypnia est le point de départ des typika
sabaïtes, nous pouvons faire très aisément l'histoire du Typi-
kon sabaïte et de son extension en suivant Uspensky.
Le IV< chapitre de son ouvrage porte comme titre: Diffu-
sion de l'agrYPlûa en Palestine. Ici Uspensky étudie les docu-
ments que A. Dmitrievsky place dans les chapitres de rédac-
tion palestinienne: Sin. 1094, 1095 et 1096 ", décrivant les usages
de Saint-Sabas même, au XII' s.; de rédaction sinaïtique, le
ms Si". 1097 H décrit les usages de Sainte-Catherine du Sinaï,
au XIII" s.; le ms géorgien du monastère de Shio-Mgimve", dé-
crit la praxis du monastère de Saint-Syméon près d'Antioche; et
finalement le ms Patr. Jerusalem 311 43 qui décrit les usages d'un
monastère palestinien non identifié.
L'insistance dans la description détaillée de l'office de la
veillée nocturne nous présente un cadre optimum de cette célé-
bration. L'agrypnia avait été un des rares points sur lesquels
Sabas lui-même avait donné des instructions. La veillée domini-
cale est un temps fort de la prière communautaire dans la tra-
dition sabaïte. Une question cependant peut être soulevée à
propos des manuscrits du XII< s. que nous venons de citer:
l'agrypnia, était-elle réellement célébrée au XII' s.? Si oui, tous
les moines devaient savoir comment elle se déroulait, et alors
la description minutieuse des typika était inutile. Ne pourrait-
on pas plutôt penser que la veillée ne se célébrait plus à cette
époque et que les typika veulent la restaurer? Sans doute on
pourrait penser que c'est à l'occasion des destructions de 1009
que la tradition de la veillée s'était arrêtée; mais il n'est pas
improbable que cette interruption ne soit bien antérieure à ces
événements. D'abord, il y a Je fait que Théodore n'a pas retenu
cette agrypnia dans son office de Constantinople; il est difficile
d'imaginer que Théodore se soit permis une réforme si radicale

-la Opisdllie III, l, 65. 20.


u Opi5anie III, 394.
42 KEKELIDZE, V.C., 313.
43 Opisdnie III. 346.
70 ).,UGUEL ARRANZ

de l'office; peut-être qu'en son temps elle ne se célébrait pas


en Palestine. n y a un autre fait qui va dans ce sens, c'est que
l'Octoèque, attribué à Jean Damascène, (qui est aussi considéré
comme le restaurateur du Typikon), ne semble pas présenter
de traces d'un office d'agrypnia continu. Vêpres et Matines
semblent indépendantes les unes des autres et même séparées
par le Mesonyktikon.
Uspensky a consacré le V' chapitre de son travail à l'implan-
tation de l'agrypnia à Constantinople même et dans le reste du
territoire byzantin. L'agrypnia ici, selon les typika conservés, de-
vant s'acclimater dans une tout autre ambiance que celle des
monastères de Jérusalem, perd aussitôt certains de ses éléments
et par contre en assimile d'autres provenant de l'asmatikos ou
de la praxis studite. Au Mont-Athos, auquel Uspensky dédie son
chapitre VI", l'agrypnia trouve un terrain beaucoup plus propice
et plus semblable à celui de la Palestine, même si quelque élé-
ment studite perce encore dans ces typika. Bientôt cependant
l'agrypnia n'est plus célébrée chez les Byzantins grecs que dans
de rares occasions; elle est célébrée à peine un peu plus souvent
au Mont-Athos.

LE TYPIKON SABA rTE EN RUSSIE "bi,

L'introduction du Typikon de Saint-Sabas sera cause d'une


vraie révolution liturgique en Russie. Je résume les deux cents
pages du VII' chapitre de N. Uspensky: La Russie depuis son
baptême avait pratiqué la liturgie de Saint-Sophie, c'est à dire
l'asmatikî akolouthia, dans les églises séculières, et un peu plus
tard la liturgie monastique du Typikon studite du patriarche
Alexis, dans les monastères. La religiosité et le génie russes
avaient totalement slavisé ces traditions byzantines, en faisant
de la liturgie un des piliers de la culture du Moyen Age russe.
n est vrai que les liturgistes russes de ces cinq premiers siècles
puisaient directement dans les sources grecques, en traduisant
chacun selon son savoir et donnant ainsi lieu à une quantité
remarquable de variantes dans les textes et surtout dans les
rubriques.

43bis Cf. SK.4.B,\LL.4.NOVICH, 415 55. les mss slaves du Typikon de Saint-Sabas.
LES GRANDES ÉTAPES DE LA LITURGIE BYZANTINE 71

Au XIV" siècle, au temps du métropolite Iiturgiste Cyprien


de Kiev, apparaît en Russie le Typikon de Saint-Sabas, avec son
agrypnia. Petit à petit il se fraie un chemin. En 1429 il est adopté
par le célèbre monastère de la Trinité et de Saint-Serge près
de Moscou; à Novgorod en 1441; cn 1494, à Solovky. Tous les
manuscrits slaves du Typikon de Saint-Sabas suivent la rédac-
tion constantinopolitaine. Et il est curieux de voir, remarque
Uspensky, que les Russes acceptent de Constantinople l'office
de l'agrypnia, que Constantinople ne célébrait plus avec le sens
primitif avec lequel le célébraient les moines de la Palestine.
En Russie l'agrypnia se trouvera en rivalité avec les Vêpres
et la Pannychis, célébrées très solennellement avec assistance des
grands-princes et de la noblesse. Cette Pannychis russe est une
vraie héritière de celle de Constantinople par son caractère po-
pulaire et il est possible que le goût des Russes pour les akathistoi
vienne de là, car on sait que la Pannychis comportait le chant
solennel du kontakion (genre auquel appartient l'akathistos). Le
Molében, d'ailleurs, qui est un office hors du cursus de l'Horo-
loge, n'est qu'une dérivation de la Pannychis, ainsi que l'est la
Panikhida des défunts.
La rivalité entre l'ancien office et le nouveau n'a pas amené
d'ailleurs d'exclusion réciproque totale. Il y a eu accomoda-
tion. Après les Vêpres-Pannychis on a célébré l'agrypnia Vêpres-
Matines. Les nuits de l'hiver russe étaient assez longues pour
permettre ces offices fleuves. Les chinovniki ou pontificaux des
cathédrales de Moscou et de Novgorod ont conservé des rubri-
ques très intéressantes sur le mélange des trois traditions con-
stantinopolitaines: l'asmatikî, la studite et la sabaïte.
L'édition slave du Typikon de Saint-Sabas en 1610, 1633 et
1634 (et l'histoire mouvementée de ces éditions mériterait déjà
un chapitre à part) a contribué beaucoup à l'implantation défi-
nitive de cette tradition, encore que non totalement libre d'élé-
ments conservés des traditions russes antérieures: le chant an-
tiphonal, par exemple, du psaume introductoire et des premiers
psaumes du Psautier aux Vêpres du samedi soir. Pour rester
dans le concret, il faut dire que toute cette psalmodie antipho-
nale dans la tradition studite était exécutée de façon peu con-
vaincante, par un choix de versets et demi-versets qui rendaient
le psaume incompréhensible (le BLAZHÉN MuzH, par exemple).
Le Typikon de Saint-Sabas, revenant à une tradition plus austère
72 MTGUEL fl.RRANZ

et plus logique aussi, avait quelque raison de s'inlposer, sur~


tout si on pense à l'aide que les autorités ecclésiastiques lui
ont donnée, par souci de revenir à l'unité de tradition avec les
Grecs, et en pensant que le Typikon de Saint-Sabas étai! le seul
typikon authentique. On ne sait que trop bien quelle énergie
le patriarche Nicon a développée pour revenir à ce qu'i! pensait
être les sources. L'édition définitive du Typikon sabaïte en Rus-
sie est de 1682. A partir de cette date, seule la tradition de
Saint-Sabas a été admise. L'agrypnia devait être célébrée tous
les samedis soirs dans toutes les églises de Russie. L'agrypnia
est encore aujourd'hui très populaire en Russie, même si elle ne
suit que de très loin les prescriptions du Typikon. Elle ne dure
nulle part toute la nuit; deux ou trois heures à la tombée de la
nuit le samedi, est sa durée normale, Vêpres et Matines compri-
ses. Certes, ce n'est pas l'agrypnia prévue par Saint Sabas pour
veiller la nuit du samedi au dimanche.
Skaballanovich dans son Typikon commenté 44 nous raconte,
amusé, un expériment liturgique réalisé à Kiev avant 1913, à
l'intérieur des murs de l'Académie Ecclésiastique: la célébra-
tion de l'agrypnia selon toutes les prescriptions du Typikon. La
préparation de cette célébration, qui a duré depuis 18h00 du
samedi à Ih50 du dimanche, a demandé des mois de travail
et une somme importante d'argent car il a fallu imprüner cer-
tains textes inexistants prévus par le Typikon. Malgré l'enthou-
siasme des participants et le désir de recommencer l'expérience,
celle-ci n'a plus eu lieu.
Le mythe de l'immobilisme liturgique des Byzantins est
bien cela: un mythe. L'Eglise Byzantine, au cours de son histoire,
a su trouver à chaque époque, plus par instinct de la sobomost'
que par prescription hiérarchique - ce qui n'exclut pas le poids
de certaines personnalités fortes et éclairées - quelle était la meil-
leure façon de rassembler ses enfants dans la prière. Si quel-
qu'un aujourd'hui pouvait devenir anxieux au sujet de l'avenir
de la Liturgie Byzantine, il ne nous reste qu'à lui conseiller de
faire confiance au sens ecclésiastique de toute l'Eglise Ortho-
doxe; comme le bon père de famille, Elle saura trouver dans son
trésor des prières vieilles et des nouvelles, car la voix de l'Epouse
est accompagnée par celle de l'Esprit dans sa prière essentielle
de tous les siècles: Viens, Seigneur Jésus!
Miguel ARRANz, S.J.
44 II, 330.
LITURGIES DES PETITS GROUPES ET CATHOLICITÉ

Il y a cent ans disparaissaient, sous l'influence des idées


liturgiques centralisatrices de Dom Guéranger, les derniers restes
des liturgies de Gaule, vestiges d'une époque où l'Occident avait
connu des traditions liturgiques diverses. L'existence de ces li-
turgies particulières représente-t-elle un idéal, ou faut-il au
contraire considérer qu'aujourd'hui la centralisation, romaine
ou autre, correspond mieux à la planétarisation croissante du
monde? Je préférerais ne pas donner à cette question une ré-
ponse théorique; fidèle à une méthode chère aux liturgistes, et
dans la foulée de la plupart de ceux qui m'ont précédé à cette
tribune, je décrirai plutôt les faits, et m'interrogerai ensuite
avec vous sur les questions que ces faits nous posent.
Mais alors que la majorité des conférenciers nous ont décrit
des faits du passé, mettant en relief tantôt les particularités des
liturgies locales, tantôt les mouvements d'uniformisation, il m'a
été demandé par les organisateurs de la Semaine Liturgique
d'étudier des pratiques liturgiques actuelles, celles des commu-
nautés de base. J'ai pris cette dernière expression en un sens
très large; j'ai envisagé l'agir liturgique des assemblées qui, pour
l'un ou l'autre motif, ne se conforment pas aux rubriques et uti·
lisent d'autres textes que ceux des livres liturgiques. Ces assem-
blées étant le plus souvent restreintes, je parlerai des "petits
groupes ", qu'il s'agisse d'une équipe d'Action catholique, de res-
ponsables paroissiaux, des participants à une session ou à une
liturgie domestique, ou de groupes méritant la qualification de
communautés de base. Mon objectif est donc de décrire les ex-
pressions cultuelles des petits groupes, et de réfléchir avec vous
sur les questions qu'elles posent en fonction du thème de notre
rencontre.
Mais avant d'entamer cette description, précisons encore de
quels groupes il s'agit. Il ne m'a pas été possible de réaliser une
enquête, par manque de temps et de compétence, et aussi parce
que ces groupes sont le plus souvent spontanés et ne tiennent
guère à être observés. Ce que je vous dirai se base donc sur ce
que j'ai moi-n1ême vu, en Belgique la plupart du temps, sur ce
74 _ _ _ _ _ _ _ _c.P=AUL DE CLERCK

que j'ai entendu dire et sur ce que j'ai pu lire. Si de telles pra-
tiques existent aussi en Amérique du Nord et du Sud, mon champ
d'observation se limite cependant à l'Europe occidentale, au sein
du catholicisme, depuis une dizaine d'années. Je ne me livrerai
pas à l'analyse sociologique de ce phénomène, qui a été faite
ailleurs '; je soulignerai seulement l'extrême diversité de ces
groupes, tant au plan liturgique qu'à d'autres points de vue: il ne
faudrait pas croire que ce sont tous groupes « contestataires »; il
ne suffit pas non plus qu'un groupe soit petit pour pratiquer
une liturgie de ce genre. Dernière remarque: en parlant de litur-
gie, j'entendrai surtout la liturgie eucharistique, car ces grou-
pes n'en pratiquent guère d'autre, ce qui n'est d'ailleurs pas sans
poser problème; de toute façon, la célébration d'un éventuel
baptême dans de tels milieux répondrait, je pense, aux mêmes
caractéristiques que celles de leurs eucharisties '.

1. CARACTÉRISTIQUES DES LITURGIES


DE PETITS GROUPES

Les traits spécifiques de la liturgie des petits groupes me


paraissent être au nombre de quatre; ils concernent le lieu de
la célébration, l'utilisation de formes liturgiques nouvelles, le

1 Sur le phénomène des petits grQupes, on peul lire: D. B4.RBE, Demail1, Tcs
co"mulIlatttés de base, Paris. Cerf, 1970 (en Amérique latine). Collectif, Les
groupes informels dans l'Eglise, Strasbourg, Cerdic, 1971. Cet ouvrage d'analyse
comporte des approches sociologiques (pp. 11-H,9), des éludes historiques
(pp. 169-233) et des réflexions théologiques (pp. 235-309). G. PAIBIF.'\T, Groupes
libres ef foi chrétie1llle, Paris-Tournai-Montréal, Descléc de Brou\Vcr~Bellar­
min, 1971. Ph. WARNIF.R, Le phéllOmèl1c des communautés de base, Paris, Des-
cJéc de Brouwer, 1973. D. HERVIEU-LEGER, De la mission il la protestation. L'évo-
lutioll des étudiants chrétiens, ( Sciences /tH/naines et religion), Paris, Cerf, 1973.
J. RE.MEY-L. VOYE, Groupes informels dans l'Eglise d'aujourd'hlli. Analyse socio-
logi(/ue, dans Questions liturgiques, t. 54 (1973), pp. 146-156.
~ Les pratiques liturgiques des petits groupes ont déjà été décrites par:
D. LEGER, La liturgie des "col7lmwlattlés de base », dans La MaisoN-Dieu 109
(1972), pp. 60·71. CELAM, Liturgie ec conmlllllautés clzrétien11es de base, dans
l.a Maison·Dieu 114 (1973), pp. 114-126. Voir aussi Y. CO:-tGAR, Initiatives locales
et normes universelles, dans La MaÏ501z-Dieu 112 (1972), pp. 54-69. Plusieurs revues
ont consacré des numéros entiers à des thèmes proches du nôtre; ainsi par
l'xemple: Lillfrgia .Y comunidades de base, dans Phase n. 52 (1968) (points de
vue sociologiques et liturgiques). Chiese locali e litlfrgia, dans Rivista littfrgica
59 (1972). SUl" la «créativité », lire: Liturgie et vie chrétienne n. 68 (1969);
Paroisse et liturgie 1970, n. 6 ct 1972, o. 6; La M.aisUlf-Dielf 111 (1972) et 114
(1973); Ephemerides lilurgicae, t. 89 (1975, n. 1) avec une bibliograpl1ie très
détailléc. Rappelons aussi l'Instruction Actio pasfordis Ecdcsiae sur les messes
pour des groupes particuliers, publiée par la Congrégation pour le Culte divin
le 15 mai 1969, dr. La DOClfmel1lalion catholique, t. 67 (1970), pp. 213·215.
LITUHGIES DES PETITS GROUPES ET CATHOLICITÉ 75

lien de la liturgie avec la vie du groupe et la volonté d'authen-


ticité.

1. AFFRANCHISSEMENT PAR RAPPORT Al' LIEU HABITUEL DE LA CÉ-


LÉBRATION, l'église ou même la chapelle comportant un choeur ct
une nef.
On pourra s'étonner de voir ci ter en premier lieu un fac-
teur aussi peu théologique; il a en fait une très grande impor-
tance, car le lieu que l'on occupe conditionne très fort le type
de liturgie que l'on peut y célébrer.
Pour des raisons sur lesquelles je reviendrai plus loin, les
petits groupes préfèrent célébrer l'eucharistie hors d'un sanc-
tuaire, dans une salle, parfois en plein air (lors d'un camp, par
exemple), ou simplement dans une maison d'habitation que cer-
tains, plus férus d'histoire des origines chrétiennes, compare-
ront à la domus ecc/esiae de jadis. Deux types majeurs de dispo-
sition se retrouvent: ou bien l'on se regroupe autour de la table
familiale, ou bien on se met en cercle. Cette distance par rap-
port au lieu sacré entraîne d'importantes conséquences:
a) il est rigoureusement impossible d'adopter les mêmes
modes de célébration que dans une église: il suffit de penser
au rite d'entrée, à la salutation: comment saluer, dans les for-
mes prévues par les livres liturgiques, des personnes avec qui
l'on vient de passer plusieurs heures et qui s'asseyent autour
de la même table? Je connais de près un groupe qui célèbre
la Semaine Sainte dans la maison d'un de ses membres, qui
comporte une grande pièce centrale; la prière y atteint une très
grande intensité, mais il est impossible, pour une simple raison
de disposition, d'y faire une adoration de la Croix comme on
le ferait dans une église.
b) La participation de tous est eXlgee, et une participa-
tion qui doit s'exprimer. Plus le groupe est petit, plus la contrain-
te est forte. Ceci exclut évidemment de ces liturgies de petits
groupes ceux qui ne souhaitent pas cette participation très di~
recte ou qui se font une autre idée de la liturgie.
cl Le prêtre revêt rarement des vêtements liturgiques, ou
parfois une simple étole; les «ornements» rappellent trop le
sanctuaire et ne cadrent pas avec l'environnement choisi.
76 PAUL DE CLERCK
-------

cl) Le matériel liturgique et l'ornen1entatioH s'en trouvent


égalemel1t tral1sformés: le calice est le plus fréquemment rem-
placé par une coupe, souvent en terre cuite; au lieu d'hosties,
on utilise du pain ordinaire.
Tous ces éléments, qui découlent fondamentalement du
lieu dans lequel on se trouve, sont parfois interprétés de ma-
nière idéologique: on accentuera alors la différence par rapport
à tout ce qui rappelle la liturgie officielle, dans la volonté de
s'en contre-distinguer.

2. CONSCIENCE D'AVOIR AUTORITÉ SUR LES FORMES LITURGIQUES.

J'emploie à dessein le mot "autorité", car je pense que


c'est bien cela qui est en jeu: qui a autorité sur la liturgie? Ceci
pose bien sùr un problème d'eccIésiologie. Mais pour la plupart
de ces groupes, il va de soi qu'ils peuvent exprimer leur prière
comme ils l'entendent, même si en fait la liberté qu'ils s'arrogent
est souvent limitée. Cette auto-régulation liturgique se fait tan-
tôt de manière sereine, tantôt de manière revendicatrice, et on
qualifiera alors ces phénomènes de "liturgies sauvages" ou
d'" underground church". Les bases de cette attitude me pa-
raissent doubles:
- la théologie de la liturgie a retrouvé, par delà la concep-
tion grégorienne et tridentine que le Père Gy nous a décrite
avant-hier, que la liturgie était l'oeuvre du Peuple de Dieu;
comme l'écrit le P. Congar, c'est l'Ecclesia qui est sujet intégral
de l'action liturgique '. Cette justification théologique, pour capi-
tale qu'elle soit, me paraît cependant exercer peu d'influence
sur les petits groupes, du moins au niveau de la conscience
claire;
- l'idée même de "réforme" de la liturgie signifie que
cette dernière n'est pas un donné sacré, intouchable, qui s'impo-
se à tous; parIer de réforme, c'est tout à la fois:
supposer que l'état actuel de ce que l'on veut réformer est
insatisfaisant;

3 Y. CONGAR, L'«( Ecclesia" Olt COl1111lWlUltfé chrétienne, slfjet intégral de.


tactioll liturgique, dans J.-P. JUSSl'.-\. - Y. CO~G.\R} La litnrgie après Vatican Il,
(UlZwn SaiTetam 66), Paris, Cerf. 1967, pp. 241-282.
____~L='~T~U~R:G,=I=E=S_D~E=.S==P_E_·T_'_T_S_G_R_O=L~;_P_E=S_E_T__C~A_T=H=0=L=I~C=I=T=É~________77

avoir des idées sur la manière de réformer, et sur le but


à atteindre par un renouvellement;
-- penser qu'on a pouvoir sur la réalité en question.

Or depuis trente ans on a tellement parlé de réforme litur-


gique, on l'a espérée, le Concile l'a décidée, le Consilium l'a
réalisée, au point que beaucoup y ont cru! Mais certains ont
estimé que la montagne avait accouché d'une souris, et puisque
l'idée de réforme était en l'air, puisque la liturgie n'était plus
un ensemble intouchable, ils ont fait un pas de plus sur la voie
qui leur paraissait ouverte. Cela d'autant plus que les instances
officielles ont elles-mêmes parlé d'expérimentation; puisque donc
il fallait faire des expériences en vue d'arriver à une liturgie
valable, pourquoi ne pas aller un peu plus loin que les nou-
veaux livres liturgiques ne le prévoyaient? Tout cela devenait
d'autant plus facilement réalisable que le Concile avait décidé
l'utilisation des langues vivantes.
Sur quelles formes liturgiques les petits groupes ont-ils
conscience d'avoir autorité?
Surtout sur les textes. Les textes eucologiques en premier
lieu; dans le Missel de Paul VI, c'est certainement l'ensemble
des oraisons qui est ressenti comme l'élément le plus inadapté.
Le remplacement de ces oraisons fut facilité par l'efflorescence
de livres de prières d'un style nouveau, dont le premier et le
plus marquant fut le Bid om vrede de H. Oosterhuis, paru en
néerlandais en 1966 et traduit en français en 1968 sous le titre
Quelqu'un parmi nous. Il faut ici attirer l'attention de ceux qui
ne connaissent pas de près les milieux catholiques, sur l'immense
production de textes eucologiques que nous avons connue ces
dix dernières années; à côté de la traduction des oraisons lati-
nes du Missel de Paul VI, dont certaines d'ailleurs sont nouvel-
les, nous assistons à une abondante création de textes qui cir-
culent en polycopiés, ou qui sont publiés dans des revues de pa-
storale liturgique, ou qui ont été rassemblés en recueils, tels ce-
lui d'Oosterhuis.
Après les oraisons, on s'est mis à composer des prières eu~
charistiques; le Missel de Paul VI en comporte trois nouvelles,
en plus du Canon romain. Ce choix fut très vite jugé trop res-
treint, et certains groupes se mirent à composer des prières
78 .
PAUL DE CLERCK
-_ . - - - '-"----

eucharistiques pour tous les dimanches de l'année et mên1e pour


diverses circonstances 4.
Le résultat c'est qu'en fait, aux yeux des petits groupes au
moins, le missel officiel est considéré comme un recueil parmi
d'autres; de livre normatif, il est devenu instrument de travail.
Ou, pour reprendre une expression de G. Stefani 5, nous nous
trouvons devant une série de textes liturgibles, c'est-à-dire suscep-
tibles d'être utilisés dans la liturgie, mais sans avoir l'autorité
suffisante pour s'imposer comme liturgiques.
Quant aux textes bibliques utilisés dans la liturgie, la réfor-
me conciliaire en augmenta considérablement le nombre; les
petits groupes profitèrent de cet élargissement, mais il n'est pas
rare d'y entendre la lecture de textes profanes, textes poétiques
comme ceux de K. Gibran ou textes des ({ nouveaux prophètes )}
(Gandhi, M. Luther King, Dom Helder Camara ... ), qui sont uti-
lisés pour introduire aux textes bibliques ou pour les commen-
ter, ou parfois simplement pour les remplacer.
Si les petits groupes ont conscience d'avoir autorité sur les
textes liturgiques, surtout sur les formulaires de prière, il faut
reconnaître que leurs créations eu co logiques prennent place ha-
bituellement dans les structures traditionnelles de la liturgie.
Cela parce que ces petits groupes se situent dans le contexte
cultuel de la liturgie romaine, dont les structures fondamentales
ont été étudiées et vulgarisées par le mouvement liturgique; aussi
parce qu'il n'y a finalement pas trente-six manières de faire l'Eu-
charistie et que c'est bien l'Eucharistie chrétienne que ces grou-
pes tiennent à célébrer. Les changements que l'on constate par
rapport à l'Ordo missae sont par exemple la suppression du
Credo, souhaitée par certains liturgistes aussi, ou du Gloria, ou
de l'acte pénitentiel, ou encore l'abrègement de l'offertoire. La
liturgie de la Parole par contre est souvent beaucoup plus déve-
loppée, soit en nombre de lectures, soit en durée, de même que
la prière universelle. Il faut signaler, parmi les faits exception-
nels, la pratique que j'ai entendu rapporter une fois ou l'autre,
selon laquelle la communion a lieu immédiatement après la con-
sécration, ce qui me paraît une abomination liturgique.

~ Il faut reconnaître que l'usage de ces nouveaux textes eucologiques dépasse


de loin les petits groupes; en Belgique en tout cas, nombreuses sont les paroisses
qui en font un emploi courant.
~ Citée par Cl. BERNARD, Du bon Wiage des livres et des tex les litllrgiques,
dans Paroisse et liturgie, 1972 Il. 6, pp. 469-470.
---
LITURGIES DES PETITS GROUPES ET CATHOLICITÉ 79

3. VOLONTÉ DE FAIRE DE LA LITURGIE L'EXPRESSION DE LA PRIÈRE


COMMUNE DU GROUPE DANS SA SINGULARITÉ (non dans sa particu-
larité), dans son hic et nunc. C'est ce que révèlent les expres-
sions qui sont devenues de véritables slogans dans les petits
groupes: « partir de la vie», « célébrer la vie». C'est le mê-
me esprit que présuppose la question fréquemment entendue:
« Avons-nous quelque chose à célébrer? ». La liturgie ne s'impose
plus comme un ensemble tout fait, et si l'on envisage une cé-
lébration, il ne suffira pas de prendre le missel et de l'ouvrir à
la messe du jour. La question: «Avons-nous quelque chose à
célébrer?» présuppose, du moins est-ce ainsi que je la com-
prends, que les membres du groupe aient pu au préalable relire
leur vie à la lumière de l'Évangile, y déceler l'histoire du salut
en train de se réaliser, y percevoir la présence, toujours voilée,
du Ressuscité pour laquelle ils pourront rendre grâce, ainsi que
prendre une conscience plus vive de leur péché et de ce qui re-
tarde la venue du Règne. Ils pourront alors entrer dans une
célébration qui ne soit pas - autre expression chère aux petits
groupes - du « plaqué ».
Quelles conséquences cette mentalité a-t-elle sur la liturgie?
a) Elle s'oppose à priori à une liturgie toute faite, à un
programme liturgique fixé d'avance, et bien sûr à un calendrier '.
Après un week-end de travail ou une réunion quelconque, il ap-
paraîtra aberrant de prendre les lectures de la messe du jour
ou de fêter saint Grégoire le Grand ou les martyrs de l'Ougan-
da ... On se demandera au contraire ce qui, dans le travail réa-
lisé ensemble ou dans le vécu du groupe, peut mener à la prière,
ou comment l'éclairer par l'Évangile. Et l'on choisira les lectu-
res en ce sens. Le calendrier et l'Année liturgique, on s'en doute,
résistent mal à cette opération; si les grandes fêtes (Pâques,
Noël, Pentecôte ... ) s'imposent d'elles-mêmes, les fêtes sans ré-
percussion sociale ou les fêtes jugées ( pieuses}) sont purement
ct simplement oubliées. Le culte des saints n'est pas un point
cardinal de la spiritualité des petits groupes ...
h) Le rôle du prêtre s'en trouve considérablement modi-
fié. Le changement de rôle, qui découle déjà des conditions spa-
tiales dans lesquelles se déroulent ces liturgies, est encore ac-
centué par le refus d'une liturgie toute faite. Il est exigé du

G Lire à ce propos E. DEKKERS, Peut-Otl programmer à l'avance Wle célébratiotl


liturgique? ùans Paroisse et liturgie, 1970 n. 6, pp. 491-500.
80 ._--
PAUL DE CLERCK
----

prêtre qu'il puisse jeter un regard évangélique sur la vie du


groupe, et au besoin l'interpeller, ou qu'il entende comment tel
ou tel membre du groupe interprète chrétiennement la situation,
et qu'il puisse à partir de là bâtir la liturgie. Un célébrant qui
ne se révèle pas capable de « jouer le jeu» avec le groupe, dans
des relations égalitaires, se sent vite indésirable. De même que
la possession d'un diplôme en bonne et due forme ne garantit
plus aujourd'hui que l'on soit reçu comme enseignant, il ne
suffit plus d'avoir été ordonné validement pour être reçu com-
me ministre d'un petit groupe.
c) Une célébration liturgique exige une préparation. Une
préparation immédiate d'abord, au sens où il faut bâtir la cé-
lébration à partir de la situation du groupe, chosir les textes,
voir quels moyens d'expression employer. Je connais ainsi des
groupes de jeunes qui depuis des années se rassemblent le sa-
medi soir pour l'Eucharistie, mais quelques-uns, à tour de rôle,
consacrent chaque semaine une soirée à préparer cette célébra-
tion.
Préparation plus lointaine aussi, car dans cette mentalité,
il devient impossible de situer l'Eucharistie au début d'une acti-
vité, ou à l'ouverture d'une année scolaire; elle doit nécessaire-
ment être précédée d'un vécu plus ou moins commun. Dans les
termes utilisées par la Constitution sur la Liturgie, on dirait
que l'Eucharistie apparaît comme un sommet plus que comme
une source.
d) Enfin, la volonté de situer l'Eucharistie au coeur de
la vie mène à célébrer dans les lieux où le groupe s'est constitué
et a travaillé. Ceci explique la distance par rapport aux lieux
de culte, dont nous parlions au début; les membres des petits
groupes ne voient pas pourquoi, après avoir échangé, travaillé,
chanté, ou s'être affrontés dans telle pièce, ils devrai~nt changer
de local pour prier. Cette attitude reflète aussi, contentons-nous
de signaler ce trait, une évolution du sens du sacré: autrefois
investi dans des objets ou dans des lieux, le sacré est perçu plus
spontanément aujourd'hui dans les personnes et dans la qualité
des relations humaines.

4. REFUS D'UNE LITURGIE ACCEPTANT UN HIATUS ENTRE CE QUI


y EST PROCLAMÉ ET LA RÉALITÉ DE L'ASSEMBLÉE. Une des raisons
pour lesquelles ces personnes ne supportent plus les assemblées
LITURGIES DES PETITS GROUPES ET CATHOLICITÉ 81

liturgiques habituelles, c'est que celles-ci prennent trop facile-


ment leur parti du fossé entre ce qui est dit dans l'Évangile et
annoncé dans l'Eucharistie d'une part, et ce qui se passe dans
l'assemblée concrète d'autre part. On parle d'amour dans cha-
que phrase Ue reprends ici leurs critiques), et l'on ne regarde
même pas son voisin; on y est appelé à ({ communier ». et l'on
ne se connaît pas, pire: on ne prend même pas la peine de
faire connaissance; le Royaume y est annoncé et comme entrevu,
et l'on ne se demande pas quelles transformations il exige dans
notre manière de vivre.
En opposition avec ces pratiques qu'ils dénoncent, les mem-
bres des petits groupes:
- exigent des relations entre les participants à la liturgie,
de manière à ce que la communion eucharistique trouve au
moins un début de réalisation dans une communion fraternelle;
toute l'assemblée, par exemple, se donnera la paix, avec une
certaine chaleur;
- refusent une liturgie « démobilisatrice », qui donne bon-
ne conscience du simple fait d'avoir rempli ses «devoirs reli-
gieux », sans que la manière de vivre en soit influencée;
- désirent ne pas nier les conflits qui surgissent inévitable-
ment dans les groupes, mais les affronter évangéliquement pour
que le groupe progresse.

À ces quatre caractéristiques de la liturgie des groupes de


base, j'ajouterai une remarque concernant les groupes charis-
matiques, bien qu'ils ne proviennent pas, le plus souvent, du
même milieu. Grâce au mouvement charismatique, appelé aussi
«pentecôtisme catholique », qui nous vient des États-Unis, on
redécouvre d'une part qu'il existe d'autres formes possibles et
valables de prière que la seule Eucharistie, et cette redécouverte
profite à d'autres groupes que les charismatiques; d'autre part,
la spontanéité de la prière qui y est en vogue libère l'expression
et rejoint par ce biais-là le rejet de prières toutes faites constaté
dans les petits groupes.
À travers ces caractéristiques, une dominante apparaît: d'une
liturgie qui se présente comme un donné, couché dans des livres,
comme un opus à réaliser selon des rubriques, on passe à une
liturgie conçue comme la célébration de l'histoire concrète du
salut par un groupe d'hommes et de femmes. Je voudrais à ce
82 PAUL DE CLERCK

propos poser une question aux spécialistes: quelles sont les


causes de l'apparition des livres liturgiques? Sans avoir étudié
la question pour elle-même, il me semble personnellement que
l'ignorance des célébrants fut une cause non négligeable: si Hip-
polyte prévoit qu'un prêtre plus inspiré que lui prononce une
autre prière eucharistique', Augustin et les Conciles africains
de son époque demandent que les formulaires soient soumis
aux évêques, à cause des hérésies qu'ils véhiculent parfois '. En
étudiant les textes de prière universelle qui nous ont été con-
servés, j'ai été frappé de constater combien la période de consti-
tution des livres liturgiques coïncide avec la chute de la culture
en Occident, et combien, malgré la mise par écrit, les textes
s'appauvrissent encore dans la barbarisation ambiante, pour de-
venir de simples membres de phrases juxtaposés, du type: "Pro
pas tore nostro, et omni clero eius }} 9.

II. CAUSES DE CES PHÉNOMÈNES

Pour comprendre ces faits dans leur intégralité, il faudrait


procéder à une analyse sociologique, et chercher en quoi les con-
ditions socio-économiques actuelles déterminent ces réactions.
En plus de phénomènes très généraux comme l'urbanisation et
les conditions de travail, je pense qu'il faudrait noter deux points:
- la vogue des idées de spontanéité, d'expression libre, de
créativité; il est clair que cette mentalité, dans laquelle baignent

? «Que l'évêque rende grâces comme nous l'avons dit plus haut. Il n'est
pas du tout nécessaire qu'il prononce les mêmes mots que nous avons dits,
comme s'il s'efforçait de (les dire) par coeur, en rendant grâces à Dieu; mais
que chacun prie selon ses capacités. Si quelqu'un est capable de prier assez
longuement et (de dire) une prière solennelle, c'est bien. Mais si quelqu'un,
quand il prie, dit une prière mesurée, qu'on ne l'en empêche pas, pourvu qu'il
dise une prière d'une saine orthodoxie »: La Tradition apostolique n. 9, éd.
B. BOTIE, Münster 1963, p. 29; en note, l'éditeur precise qu'« une prière faite
"avec mesure" ne peut être qu'une prière moins longue et plus simple ll.
e Il Il a également plu (aux Pères) que les prières approuvées par le Concile
soient utilisées par tous, qu'il s'agisse de praefatiunes, de commendationes ou
de manus impositiones; que d'autres prières qui sont tout à fait contre la foi
ne soient pas prononcées, mais que l'on dise celles recueillies par des hommes
sages »: Concile de Carthage de 419, c. 103; cfr. E. DEKKERs, Créativité et
orthodoxie dans la Lex Orandi, dans La Mais011-Dieu 111 (1972), pp. 20-30.
9 P. DE CLERCK, La «prière universelle» dans les liturgies latines anciennes,
à paraître dans les Liturgietvissenschaftliche Quellen lmd Forschul1gen.
LITURGIES DES PETITS GROUPES ET CATHOLICITÉ 83

nos contemporains et surtout les jeunes 10, a une répercussion


sur la manière de vivre la foi et sur le comportement liturgique;
- la relativisation du livre par les moyens modernes de
communication sociale. Des théoriciens comme Mac Luhan ont
montré comment les moyens de communication sociale dont
dispose une civilisation déterminent des cultures différentes;
alors que le manuscrit est par définition rare, qu'on le lit à
haute voix et qu'il modèle une culture orale, le livre peut être
lu par chacun et mène à un certain individualisme. Les moyens
de communication actuels dévoilent les limites du rationalisme,
relancent les valeurs communautaires et produisent une culture
où sont promus le travail en équipe, les échanges, les carrefours.
On pourrait réécrire l'histoire de la liturgie à partir de là. Le
P. De Smet a écrit des pages suggestives à ce propos dans son
bilan de dix années de réforme liturgique ".
Laissant ces analyses sociologiques, qui ne sont pas de ma
compétence, je me bornerai à relever deux éléments d'ordre
ecclésiastique qui causent les mutations liturgiques observées
dans les petits groupes.
1. D'abord le passage à la langue vivante. Pour le dire de
manière paradoxale, passer du latin au français, c'est bien plus
que de changer de langue! Peu de gens ont probablement perçu,
il y a dix ans, toutes les implications de cette décision. Je suis
pour ma part de plus en plus frappé par le fait que l'usage
d'une langue vivante met en route un processus constant d'adap-
tation aux gens à qui l'on s'adresse. Tant que l'on emploie le
latin, on utilise les mêmes textes pour les enfants, les jeunes et
les adultes, les urbains ou les ruraux; comme le célébrant est
incapable de modifier les textes, écrits dans une langue aujour-
d'hui morte, la liturgie acquiert une réelle objectivité: tous les
fidèles entendent les mêmes textes, et ils ont d'ailleurs le loisir
de les écouter ou de prier d'une autre manière. Mais dès que le

la Cfr. D. HAMELINE, La créativité. Fortune d'un concept ou concept de


fortune?, dans La Maison~Dietl 111 (1972), pp. 84-109. Au cours de l'échange qui
suivit l'exposé, le Père D. Dye attira l'attention des participants sur les com-
préhensions différentes du rite qui vivent dans la culture actuelle, et qui
constituent de réels clivages parmi les membres des assemblées liturgiques.
11 S. DE SMET, Liturgie académique, poétique ou engagée? Réflexions sur la
bibliographie de dix ans d'études liturgiques, dans Questions liturgiqtles, t. 55
(1974). pp. 36 55.
84 PAUL DE CLERCK

Iiturge parle la langue des fidèles, il a la prétention de se faire


comprendre, et se trouve donc entraîné dans un mouvement
d'adaptation incessante au public qui est le sien: d'où l'efflo-
rescence de toutes les messes de groupes et l'insatisfaction de
beaucoup de fidèles devant les grandes assemblées où il faut
nécessairement choisir un type de langage et donc privilégier
tel groupe, qui sera le plus souvent la classe moyenne.
Provoquant une adaptation au niveau du langage, le pas-
sage aux langes vivantes implique également une adaptation au
niveau de la culture. Une fois les textes latins traduits, il a fallu
peu de temps pour se rendre compte, de manière dramatique,
que notre liturgie formulée en latin était née dans un autre
monde culturel dont elle portait inexorablement l'empreinte,
mais que depuis le XII' siècle, depuis la Renaissance surtout, un
autre monde était né, et qu'en notre XX' siècle l'écart entre ces
mondes culturels se creusait de manière chaque jour accélérée.
Aussi je pense, pour ma part, que nous ne sommes qu'au
début d'une réforme liturgique.
2. Seconde cause intra-ecclésiale des changements liturgi-
ques dans les petits groupes: l'idée même de réforme liturgique,
dont j'ai déjà développé les implications, et aussi le voeu de
« participation active» inscrit dans la Constitution sur la Litur-
gie. Nous avons tellement insisté sur la nécessité d'une «parti-
cipation pleine, consciente et active» aux célébrations liturgi-
ques, et nous avons déployé tant d'efforts en ce sens que nous
ne devons pas nous plaindre aujourd'hui si certains fidèles ré-
pondent à notre appel, quitte à comprendre les choses d'une
manière quelque peu différente de celle que nous avions prévue ...

III. LITURGIES DES PETITS GROUPES ET CATHOLICITÉ

Puisque notre semaine d'études s'est proposée d'étudier les


relations entre les liturgies des Églises locales et la liturgie de
l'Église universelle, demandons-nous maintenant quelles ques-
tions la vie liturgique que j'ai décrite pose lorsqu'on la consi-
dère sous cet angle. Je ne me lancerai pas dans de grandes envo-
lées théologiques, mais je me contenterai de poser quelques ques-
tions pour que nous puissions y réfléchir ensemble.
LITURGIES DES PETITS GROUPES ET CATHOLICITÉ 85

1. QUESTIONS ECCLÉSIOLOGIQUES

a) Le programme des Conférences porte comme titre: «Li-


turgie de l'Église particulière et liturgie de l'Église universelle ».
Quelle que soit la valeur de cette distinction, nous y sommes
habitués, et sur la base du développement historique de la litur-
gie, noUs pensons qu'il est légitime qu'une Église particulière,
l'Église copte par exemple, ou autrefois l'Église hispanique, ait
une liturgie qui lui soit propre. Lorsque nous parlons en ce sens
d'Églises et de liturgies «particulières», nous envisageons une
communauté chrétienne de taille assez grande, avec un ou plu-
sieurs évêques, voire un patriarche, et une liturgie ordonnancée.
Or la description que je vous ai faite, si elle est fidèle aux
faits, présente une réalité toute différente, puisque c'est chaque
groupe de chrétiens qui, dans le cadre d'une tradition liturgique
donnée, gère sa propre vie liturgique. Sous peine de tout con-
fondre, on ne peut donc parler à propos de ces groupes ni
d'Église particulière, ni de liturgie particulière, car ils n'ont nul-
lement l'intention de codifier leurs usages et de créer une nou-
velle famille liturgique.
Même si les communautés de base ont la prétention de
n'être pas seulement des «groupes dans l'Église» comme le
sont des équipes d'Action catholique, différentes de la paroisse
tout en acceptant l'existence de celle-ci, mais des « groupes-Égli-
ses» qui se constituent en marge des paroisses et tendent à as-
sumer l'ensemble des tâches ecclésiales, je pense que nous ne
pouvons pas les considérer sans plus comme des Églises parti-
culières au sens théologique du terme, qui implique la présence
d'un évêque.
b) Cette remarque à visée clarificatrice me mène à une
question: la distinction Église particulière - Église universelle
est-elle valable, et est-elle la meilleure qui soit?"'. L'expression
« :Ëglise universelle », au sens où nous la comprenons aujour-
d'hui, ne suppose-t-elle pas un développement historique de l'Égli-
se qui a connu la centralisation? N'est-ce pas seulement après
une certaine unification des Églises locales que ['on peut ma-
nier le couple Église universelle - Églises particulières? Il me

12 On peut lire, sur cette question, les réflexions de H. de LUBAc, Sglises


particulières et l1glise universelle, Paris. Aubier, 1971.
86 PAUL DE CLERCK

semble que si la tradition ancienne avait bien évidemment le


sens de l'universalité de l'Église, elle s'exprimait cependant autre-
ment que nouS: le Nouveau Testament et les documents anciens
ne parlent pas d'Église universelle, mais de "l'Église de Dieu
répandue ici et par tout l'univers ». Autrement dit, la théologie
ancienne est celle de l'Église de Dieu, qui s'incarne à Corinthe
comme à Ephèse, mais elle ne connaît pas deux aires d'exten-
sion différentes de l'Église, j'une s'étendant sur toute la terre,
l'autre se limitant à une surface réduite.
À la distinction Église universelle - Églises particulières,
les communautés de base substituent la notion de " communion
de communautés », cette communion étant le résultat d'une ma-
nière plus ou moins semblable de comprendre la foi et le rôle
de l'Église dans la société actuelle. Même si les critères de cette
communion devaient être affinés, n'y a-t-il pas dans cette notion
de communion de communautés une manière plus riche de
comprendre les liens entre les Églises ou les communautés
d'Église, une compréhension plus proche en tout cas des réalités
actuelles, et qui pourrait être utile à la recherche oecuménique?
c) L'ecclésiologie vécue par ces groupes n'est-elle pas le con-
grégationalisme? La question vient d'emblée à l'esprit lorsqu'on
relit aujourd'hui la controverse entre anglicans et puritains au
XVII' siècle en Angleterre, controverse au sein de laquelle les
questions de prière liturgique fixe ou de prière spontanée ont
été longuement débattues ".
La question peut être posée, et elle nous permet de mieux
discerner ce qui est en jeu. Je pense cependant, et cette réponse
s'éclairera enCore par la conclusion de mon étude, que chaque
courant théologique s'enracine dans un cadre historique concret,
et que le nôtre risque d'être fort différent de celui de l'Angleter-
re du XVII' s. Avant de classer les phénomènes et les personnes
à l'aide de nos étiquettes théologiques toutes faites, essayons
d'abord de comprendre de par l'intérieur ce qui se passe, ana-
lysons les problèmes et aidons ceux qui s'y débattent à en sortir,
en étant conscients des risques inhérents à toute situation.

13 H. DAVIES, Prière liturgique et prière spontanée dans le débat el1tre


anglicans et puritains, dans La lvIaison-Dieu 111 (1972), pp. 31-42.
LITURGIES DES PETITS GROUPES ET CATHOLICITÉ 87

2. QUESTIONS LITURGIQUES

a) La question de l'adaptation.
Nous vivons aujourd'hui un paradoxe. Alors que Vatican II
a remis en valeur la théologie de l'Église particulière et a donné
aux Conférences épiscopales des pouvoirs en matière liturgique,
c'est la première fois dans l'histoire de la liturgie romaine que,
dans une telle proportion au moins, ont été composés des textes
destinés à l'Église universelle! Jusqu'à présent, et les divers
exposés de cette Semaine l'ont bien montré, les textes liturgiques
avaient toujours été rédigés pour telle Église particulière, voire
même à telle occasion, et c'est à cause de leurs qualités intrin-
sèques ou de circonstances "politiques" qu'ils ont été repris
par d'autres Églises. La liturgie de l'Église romaine n'est rien
d'autre, finalement, que la liturgie d'une Église particulière qui
a été étendue petit à petit à tout l'Occident, puis, par les Mis-
sions, à tous les continents!
Pour ceux qui ne connaissent guère le fonctionnement de la
réforme liturgique issue de Vatican II, je rappellerai que les
différentes fonctions liturgiques à réviser l'ont toutes été à
Rome, grâce à des experts de tous les pays; le nouveau texte
latin une fois mis au point, il appartient aux Conférences épis·
copales de l'adapter pour leur région.
Mais ce plan de travail s'avère·t-il réalisable? Cette idée
d'adaptation est-elle adéquate? Les faits liturgiques observés
dans les petits groupes ne nous forcent-ils pas à considérer qu'à
côté de la réforme liturgique opérée par en haut, et stimulée
par elle, une réforme liturgique est occupée à se réaliser à la
base? Une nouvelle liturgie peut-elle être confectionnée dans des
bureaux d'experts, puis adaptée sur le terrain, avec le présup-
posé qu'elle soit diversement adaptable à des régions aussi dif-
férentes que la France, le Zaïre ou la Corée? Ou bien ne faut-il
pas se rendre à l'évidence qu'une réforme liturgique de l'ampleur
de celle promulguée par Vatican II est une opération beaucoup
plus complexe, qui demande une négociation plus longue et plus
serrée?

b) Naissance d'une nouvelle liturgie" particulière,,?


Finalement, assistons-nous, dans les liturgies de petits grou-
pes, à la naissance d'une nouvelle « liturgie particulière» au sens
88 PAUL DE CLERCK

strict du terme? Je n'en sais rien! Ce qui est sûr, c'est que nous
vivons une époque de vie liturgique intense, de création abon-
dante; nous assistons à un bouillonnement, qui à mes yeux n'a
pas que des inconvénients. Comme disait Jean XXIII, « le change-
ment, c'est peut-être bien la pagaille; mais la stagnation, c'est
la mort certaine }}.
La question importante, me semble-t-i!, et c'est le sens du
titre que j'ai donné à cet exposé, c'est qu'à travers des pratiques
liturgiques aujourd'hui différentes, l'unité et la catholicité de
l'f.glise s'approfondissent. Que les particularités ne deviennent
pas particularismes, voire schismes, mais que la diversité as-
. sure une réelle catholicité. La réponse à cette question, je pense
qu 'elle est dans nos mains, dans la clairvoyance de nos esprits
et dans la chaleur de nos coeurs. Nous avons la chance, nous
tous ici, de pouvoir réfléchir à ces questions à loisir, et d'avoir
reçu la formation pour le faire. Si, dans un réflexe de peur, nous
esquivons la confrontation avec les petits groupes, sous pré-
texte que leurs moeurs liturgiques ne sont guère légitimes, nous
risquons de manquer une occasion peut-être unique d'un renou-
veau liturgique profond, parce que sorti de la culture d'un peuple.
Rappelons-nous les directives de l'Apôtre, qui nous invite au
discernement: «N'éteignez point l'Esprit. Ne méprisez pas les
prophètes. f.prouvez toutes choses et retenez ce qui est bon"
(I Th V, 19-21). Si nous avons assez de force spirituelle pour
porter ces situations mouvantes, et les problèmes des hommes
qu'elles révèlent, nous pourrons faire aboutir ces efforts là où
l'Esprit le voudra, et mener nos contemporains à la rencontre
de Celui que tous nous reconnaissons comme le Seigneur du
monde.

Paul DE CLERCK
L'ATTITUDE DE L'ÉGLISE NAISSANTE
À L'ÉGARD DU TEMPLE DE JÉRUSALEM

L'histoire de la liturgie montre qu'il s'est toujours mani-


festé une tension entre la liturgie de l'Eglise universelle, - ou
du moins d'un siège épiscopal prédominant, - et celle des égli-
ses particulières. Tension inévitable et féconde, dans la mesure
où elle évite à l'unité de devenir uniformité desséchée, et où
elle empêche le groupe particulier de s'enfermer dans un isole-
ment funeste. Cette tension, les premiers chrétiens l'ont vécue
à divers niveaux, comme on le voit par exemple à la lecture
des Epîtres aux Corinthiens ou des Actes des Apôtres. Pour ré-
pondre à l'aimable invitation de votre Président, je m'efforcerai
de présenter l'un des aspects du dossier Universalisme-Particu-
larisme à propos du Temple de Jérusalem: quelle fut, à son en-
droit, l'attitude des premiers chrétiens? sur quelles indications
du Maître, à la fois pratiques et théoriques, pouvaient-ils se ba-
ser pour déterminer leur conduite vis-à-vis du Lieu que le Sei-
gneur avait choisi pour y faire habiter son Nom?
Sujet passionnant, mais démesuré: pensez par exemple à la
masse d'articles consacrés au seul épisode de l'expulsion des ven-
deurs du Temple 1 ou au discours d'Etienne, contestant avec une
vigueur prophétique, l'institution même du Temple '.

t Bonne présentation d'ensemble des problèmes dans l'article d'E. TROCME,


L'expulsion des marchands du Temple, in NTS 15 (1968/69), p. 1-22: l'A. réfute
l'interprétation de Brandon (coup de force contre les autorités du Temple dans
le style zélote) et propose pour le récit le plus ancien (Mc 11, 15-17) le Sitz im
Leben suivant: « la prédication et les débats où la primitive Église exprimait
ses convictions au sujet de l'usage qui devait être fait des parvis du Temple,
en particulier du Parvis des Gentils» (p. 13). Dans la vie de Jésus, l'événement
se situe quelques mois avant la passion et fait accéder Jésus au rang d'« homme
public» (E. TROCME, Jésus de Nazareth, vu par les témoins de sa vie, Coll.
Bibliothèque Théologique, Delachaux et Niestlé, 1971, p. 125-131).
L'attitude de Jésus est considérée comme celle d'un « réformateur reli-
gieux li> par M.-E. BorSMARD {Commentaire sur la Synopse de la Bible de jéru-
salem, Paris, Cerf, 1972, p. 336). - Selon R.H. HIERS (Purification of the Temple:
Preparation for the Kingdom of Gad, in JBL 90 [1971], p. 82·90), Jésus veut
accomplir la purification du sanctuaire prévue par Zach 14,21 et Mal 3, 1-3 en
vue de l'avènement du Royaume.
2 M. SIMON, St Stephen and the Hellenists in the Primitive Church, Londres,
1958. - Bibliographie sur le discours d'Etienne dans l'art. « Prédication aposto-
lique », D.B.s., t. 8, c. 266 s. (par J. Schmitt).
90 EDOUARD CQTHENET

Une limitation stricte du sujet s'impose. Sans prétendre dres-


ser un status quaestionis complet, je voudrais d'abord signa-
ler quelques études marquantes sur le sujet, en partant d'un
article très remarqué d'O. Cullmann paru en 1959. Je m'intéres-
serai non pas à la reconstitution événementielle des faits, mais
aux diverses motivations théologiques que l'on observe dans
l'attitude des premiers chrétiens vis-à-vis du Temple. Nous nous
demanderons en terminant quelle est la portée toujours actuelle
de cette tension.

STATUS QUAESTIONIS

O. CuIImann s'est toujours intéressé à la littérature pseudo-


clémentine et au milieu des Ebionites qui s'y exprime. De là
vient la place qu'il leur fait dans un article qui nous servira
de point de départ pour ce status quaestionis: "L'opposition
contre le Temple de Jérusalem, motif commun de la théologie
johannique et du monde ambiant" '.
A juste titre, Cullman part de l'observation que le judaïsme
palestinien de l'époque du N.T. n'est nullement cette grandeur
homogène que nous sommes tentés de croire. "II y avait àla
fin du le, s. en Palestine d'une part le judaïsme officiel, d'autre
part un judaïsme plus ou moins ésotérique qui renfermait déjà
des éléments hellénistiques" '. A cette diversité dans le judaïsme
correspond une diversité dans le christianisme palestinien. De
cette conception générale des choses, Cullmann donne une il-
lustration à propos du Temple. Il relève d'abord toutes les cri-
tiques contre lui qui s'expriment dans les documents de Qum-
rân, chez les Samaritains; on s'étonnera qu'il ne traite pas pour
lui-même du mouvement "baptiste", jadis étudié par J. Tho-
mas (1935) '. Cullmann montre alors comment cette critique du
Temple se retrouve dans le groupe d'Etienne (les Hellénistes) et
dans le IV' Evangile, dans les Pseudo-Clémentines et il en con-
clut à la filiation suivante: "Judaïsme ésotérique - Hellénistes

3 NTS 5 (1958/59), p. 157-173. Nos citations sont données d'après la repro-


duction de l'article dans Des Sources de l'Evangile à la formation de la théo-
logie chrétienne (coll. Bibliothèque Théologique), Delachaux et Niestlé, 1969,
p. 2541.
4 Art. cit., p. 26.
5 J. THOMAS, Le mouvement baptiste en Palestine et Syrie (150 av. J.-Ch. - 300
ap. J.-Ch.), Gembloux, 1935.
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 91

des Actes - groupe johannique. Le groupe johannique s'est re-


cruté surtout dans les milieux de Jean-Baptiste, et il est appa-
renté étroitement (sinon identique) au groupe d'Etienne dit des
"Hellénistes" » 6,
Les larges avenues ouvertes par Cullmann demandent à être
explorées plus à loisir. Du point de vue essénien, plusieurs bon-
nes études ont paru pour déterminer dans quelle mesure les gens
de Qumrân, exilés loin du Temple, avaient développé l'idée
que leur communauté formait le véritable sanctuaire; par là
même en quelle mesure ont-ils contribué à la « spiritualisation
du culte»? Dans cet ordre d'idée, trois contributions s'imposent
à l'attention du chercheur:
-La notion d'Alliance dans le Judaïsme aux abords de
l'ère chrétienne, par Annie Jaubert (Paris, Seuil, 1963). Elle re-
lève avec soin les textes d'après lesquels la communauté se con-
sidère comme le véritable sanctuaire (p. 152-163), puis elle met
en relief l'idéal sacerdotal de la communauté (p. 164-180) qui
compte bien réintégrer le Temple de Jérusalem.
- The Temple and the Community in Qumran and the New
Testament, par Bertil Gartner (Cambridge, 1965).
- Die Umdeutung des Kultus in der Qumrangemeinde und
im Neuen Testament (Goettingue, 1971), par Georg Klinzing'.
De beaucoup le livre de Klinzing est le plus riche; il pré-
sente une discussion méthodique des textes. L'A. met bien en
valeur la conviction des gens de Qumrân de constituer une
communauté-sanctuaire, mais il minimise l'attachement au Tem-
ple et aux sacrifices. Le Rouleau du Temple, dont nous attendons
impatiemment la publication par les soins de Yigael Yadin, de-
vrait nous éclairer sur ce point B.
Le dossier « Etienne» est renouvelé par la thèse d'un exé-
gète américain: M.H. Scharlemann, Stephen: A Singular Saint
(Rome, 1968). Cet A. s'est intéressé aux relations entre le discours
d'Etienne et la théologie des Samaritains. On relève en parti-
culier l'importance donnée à la promesse d'un Prophète com-
me Moïse (Dt 18,15 cité en Act. 7,37). Les contacts entre le

~ Art. cie., p. 40.


10n trouvera mon compte-rendu dans Revue de Qumrdn n. 30 (1973),
p. 291-294.
8 Rapport préliminaire de Y. Yadin à l'Académie des Inscriptions (8 dé-
cembre 1967), que j'ai résumé à l'art. Qwnrân, dans les Tables du DTC, col. 3&45.
92 EDOUARD COTHENET

discours d'Etienne et la tradition textuelle du Pentateuque sa-


maritain ne suffisent cependant pas à rattacher Etienne au grou-
pe de Samarie. On relèvera de toute façon que les Samaritains
ne sont pas opposés à la théologie du Temple ni au culte sacri-
ficiel'; l'opposition porte sur le Lieu, Jérusalem. Nous sommes
loin de l'Evangile johannique (Jn 4,21).
Un étudiant de Cullmann, Lloyd Gaston, a publié en 1970
une thèse volumineuse (538 pages): No Stone on Another. Stu-
dies in the Significance of the Fall of Jerusalem in the Synoptic
Gospels (Leyde). Les lecteurs de langue française semblent avoir
été découragés par l'importance du livre et la variété des sujets
abordés: je n'ai relevé qu'une modeste recension 10, L'ouvrage
méritait mieux. Gaston distingue soigneusement deux thèmes:
la chute de Jérusalem et la ruine du Temple. D'un point de vue
méthodologique on ne saurait le lui reprocher; par contre il lui
manque de voir combien les deux sujets sont connexes: com-
ment un Juif peut-il penser à Jérusalem sans penser au Temple?
Gaston commence par une étude de Marc 13: pour lui, Jésus a
menacé Jérusalem de destruction si elle ne se convertissait pas.
Annonce conditionnelle de style prophétique (cf. Jer 18,1-12), qui
a été transformée par les Evangélistes en annonce catégorique,
de telle sorte que la ruine de la Ville Sainte est présentée comme
le jugement de Dieu sur le peuple infidèle et le signe de la
rupture de l'Alliance. A l'égard du Temple, l'attitude de Jésus
peut être qualifiée de " sublime indifférence" ". Jésus lui-même
ne s'est pas prononcé à son sujet; la prophétie sur la profanation
du sanctuaire (Mc 13, 14-19) émane d'un prophète chrétien, par-
lant au nom du Christ ressuscité, lorsque Caligula projetait d'in-
staller sa statue dans le Lieu saint. Par contre Jésus a annoncé
l'avènement du Règne de Dieu en présentant la communauté
qu'il fondait comme le nouveau Temple. Constamment, au cours
de l'exposé, nous aurons à revenir sur cette thèse.
Quand on lit les études de Cullmann, Scharlemann, Gaston .. ,
on risque d'avoir l'impression que la critique contre le Temple

t Sur la théologie des Samaritains, consulter P. MACDONALD, The Theology


of the Samaritans, Londres, 1964.
10 P. DE ROBERT, in Etudes Théologiques et Religieuses (Montpellier), 1971,
p. 93 s. - Signalons l'excellente analyse faite en allemand par G. DELLING, in
TLZ 96 (1971), c. 585·587.
Il Op. cil., p. 102. En sens contraire, Y.M.-J. CONGAR avait justement souligné
« la piété de Jésus pour le Temple D (Le mystère du Temple), Paris. Cerf, 1958,
p. 140.145.
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 93

de Jérusalem constituait le courant prédominant. Le dépouille-


ment du livre de J. Jeremias, Jérusalem au temps de Jésus "',
n'aide pas le lecteur à rétablir la situation, car J. Jeremias, vo-
lontairement, s'en tient aux aspects socio-économiques. Le Tem-
ple apparaît comme le siège d'un commerce actif, disons le mot,
d'un trafic fort rentable pour le haut clergé! Les valeurs spiri-
tuelles, attachées au Temple, sont laissées de côté, J. Jeremias
en parlant dans d'autres publications ". L'abstraction scientifi-
que n'est pas sans danger; dans son ouvrage Lecture matérialiste
de l'Evangile de Marc, Fernando Belo s'appuie sur Jeremias pour
en tirer des conclusions qui étonneront sans doute le savant pro-
fesseur de Goettingue! ".
Pour une plus juste approche des choses, signalons d'abord
la thèse du regretté J. le Moyne sur Les Sadducéens 15. Elle nous
oblige à revoir le dossier; les Sadducéens ne sont pas dans l'en-
semble ces prêtres jouisseurs et incrédules que dénoncent les
Pharisiens, leurs ennemis de toujours!
Il faut reg;retter que n'ait pas été publiée une thèse de M.
Marsch, présentée à l'Institut Catholique de Paris, en 1970: Le
rôle du Temple dans la conscience juive, notamment à l'époque
de Yabné ". En raison de l'origine «laïque" du mouvement pha-
risien et de l'opposition traditionnelle de ses docteurs contre
les Sadducéens, on est tenté, dans une lecture moderne des évé-
nements, de penser que les Pharisiens étaient beaucoup plus at-
tachés à la synagogue et à leurs maisons d'étude qu'au Temple
et aux sacrifices. M. Marsch montre au contraire comment la
pensée du Temple, disons mieux la spiritualité du Temple, struc-
ture l'existence juive. La conscience d'être éloigné du Sanctuaire
affine le sentiment d'être séparé de Dieu et provoque le retour
par la conversion, l'étude et la prière.
«Jusque dans le moindre détail de la vie quotidienne, c'est
le Temple à Jérusalem qui constitue le centre, le contenu et la force
motrice de l'existence juive en Exil. Ce dynamisme intérieur se

12 Traduction française de J. Le Moyne, Paris, Cerf, 1967 sur la 3~ éd. alle-


mande, Jerusalem zur Zeit Jesu (1962).
13 J. JEREMIAS. Jérusalem et les païens (Cahiers Théologiques n. 39), Dela-
chaux et Niestlé, 1956, p. 49-65; Théologie du Nouveau Testament (coll. Lectia
divina n. 76), Paris, 1973 p. 305·308. - Bon aperçu d'ensemble dans l'ouvrage de
R.J. McKELVEY, The New Temple. The Church in the New Testament, Oxford,
1969, p. 25-57.
14 Lecture matérialiste de l'Evangile de Marc, Paris, Cerf, 1974, p. 117-120.
94 EDOUARD COTHENET

dégage de la tension constante entre le souvenir de la destruction du


Temple et l'espérance de sa reconstruction» (p. 11).
a Le retour (teshouba) comme migration géographique est im-
pensable sans Je retour comme motion spirituelle, et de même le
Retour à Dieu n'a aucune réalité sans le retour à Sion. Retour
géographique et retour spirituel, deux aspects d'une même réalité
indissociable» (p. 81).

L'étude toute récente de R. Le Déaut sur le Judaïsme 17 va


dans le même sens: «Une fois admise l'existence de quelques
tendances plutôt réticentes à l'égard du Temple, on doit recon-
naître que la masse du peuple y demeurait très attachée et qu'il
jouait un rôle de premier plan dans la piété juive du 1or siècle ».
Telle est la conclusion qu'il nous faut retenir si nous voulons
comprendre combien il était difficile pour les premiers chré-
tiens de se situer par rapport à un sanctuaire si vénérable par
ses souvenirs et si chargé d'espérance.

I. LE TEMPLE, COMME SANCTUAIRE DE LA PAROLE

Dans toutes les religions on retrouve des lieux sacrés, com-


me souvenirs d'une hiérophanie initiale lB, et comme lieux de
consultation de la divinité. En raison du caractère spécifique du
Yahvisme, un lien tout spécial existe entre le sanctuaire et la
Parole du Dieu vivant. C'est ainsi que, d'après le Document Elo-
histe, Moïse se rendait chaque jour à la Tente de Réunion; là
Yahvé parlait à Moïse face à face, comme un homme parle à
SOn ami (Ex 33,11). Pour Amos, c'est de Sion que Dieu fait en-
tendre son rugissement contre les iniquités des peuples (Am 1,2).
Faut-il rappeler la place exceptionnelle que le Temple tient dans
la théologie d'Isaïe? Pour le développement de l'universalisme 19
un oracle revêt une particulière importance, celui qui prévoit

lS J. LE MOYNE, Les Sadducéens (coll. Etudes Bibliques), Paris, Gabalda, 1972.


18 Brève présentation dans Nouvelles de l'Institut Catholique de Paris, jan-
vier-avril 1971, p. 41 S.
17 R. LE DifAUT, art. Judaïsme, in Diet. de Spiritualité, t. 8, c. 1510-1514.
18 M!RCEA ELIADE, Traité d'Histoire des Religions, Paris, Payot, 1953, p. 315 sv.
18 P.-E. DION, Dieu universel et peuple élu. L'universalisme religieux en Israël
depuis les origines jusqu'à la veille des luttes maccabéennes (coll. Lectio divina
n. 83), Paris, Cerf, 1975.
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 9S

l'élévation, au-dessus de toutes les montagnes, de la montagne


de la Maison de Yahvé. Les peuples y monteront en pèlerinage:

«Ils diront: "Venez et montons à la montagne de Yahvé,


à la Maison du Dieu de Jacob,
pour qu'il nous instruise de ses voies
et que nous marchions dans ses sentiers.
Car de Sion sortira la Loi,
et la parole de Yahvé, de Jérusalem ... » (Is. ?,3 5.) 20,

A leur manière, les Sages font écho à cette tradition du


Temple comme du lieu où parle le Seigneur. Dans la première
partie des Proverbes, l'allégorie de Dame Sagesse qui a bâti sa
maison et invite les passants à prendre part à son festin fait
allusion au Temple (Prov 9,1-6). Après avoir parcouru en vain
toute la terre pour y trouver un reposoir, la Sagesse fixe sa rési-
dence à Sion:
«Dans la Tente sainte, devant Lui, j'ai officié, et de même en
Sion je me suis établie» (Sir 24,10).

On ne s'étonnera donc pas que les Evangélistes, chacun à sa


manière, aient souligné la place du Temple dans le ministère
de Jésus. D'après les Synoptiques, Jésus y fait acte d'autorité
en expulsant les vendeurs et en prêchant avec assurance. La
série des controverses que rapporte Marc oppose le Maître à
chacun des groupes du Judaïsme: Sadducéens (11,27 sv; 12,28),
Pharisiens et Hérodiens (12,13 sv); scribes (12,28). Le discours
sur la ruine de Jérusalem et du Temple achève sur le mode tra-
gique J'enseignement du Maître (Mc 13 par.). De son côté, Jean
scande la vie de Jésus par les pèlerinages à Jérusalem et il nous
rapporte en détail les discussions houleuses que Jésus soutient
dans les parvis du Temple avec les Juifs. Enseignement au grand
jour, comme Jésus le rappellera à Anne (Jn 18,20) ".
De tous les Evangélistes, Luc est celui qui a le plus insisté
sur la prédication de Jésus au Temple pour établir un lien entre
le temps de Jésus et le temps de J'Eglise naissante. H. Conzel-

20 P.-E. OrON, op. cit., p. 49·53 (oracle pré-exilique). Sur les développements
de cette espérance, voir A. CAUSSE, Le mythe de la nouvelle Jérusalem du Deu-
téro-Esaïa à la III" Sibylle, in RHPR 18 (1938), p. 377-414, et De la Jérusalem
terrestre à la Jérusalem céleste, in RHPR 27 {1947), p. 12-36.
11 Le contexte johannique semble meilleur que celui donné par les Synopti-
ques à ce logion (Mc 14,49 par.).
96 EDOUARD COTHENET

mann, dans son livre classique Die Mitte der Zeit", a fortement
souligné ce point, non sans exagération d'ailleurs. Il a noté que
l'expulsion des vendeurs du Temple perdait de sa consistance
propre pour n'être qu'une introduction à l'enseignement au
Temple:
« Jésus était chaque jour à enseigner dans le Temple. Les grands
prêtres et les scribes cherchaient à le faire périr, et aussi les chefs
du peuple; mais ils ne trouvaient pas ce qu'ils pourraient faire,
car tout le peuple, suspendu à ses lèvres, l'écoutait» (Luc 19,47 5.).

A la différence de Marc, Luc donne l'impression d'une pé-


riode qui se prolonge, à mettre sur le même plan que la pré-
dication en Galilée ou le voyage vers Jérusalem. Cette époque
se caractérise par l'absence de miracles et l'insistance sur la
prédication. Par là Luc veut débouter les Juifs de leurs pré-
tentions: en droit le Temple est le lieu de la prédication chré-
tienne! Aux mains des Juifs, il n'est plus qu'un édifice profane,
et sa destruction intervient à juste titre comme conséquence de
la condamnation de Jésus.
Suggestives, les indications de Conzelmann appellent cepen-
dant une mise au point. A. George présente les remarques sui-
vantes:

te On peut douter que Luc ait vu dans la scène des vendeurs

chassés une prise de possession du Temple, puisqu'auclUl indice po-


sitif ne marque cette prise de possession et puisque Jésus annonce
la ruine de ce sanctuaire (21,6; cf. 13,35).
Luc ne sépare pas le Temple de la cité (Luc 4,9; Act 21,20-30;
22,17-18) ...
Surtout Luc introduit dans cette section deux péricopes sur
Jérusalem qui constituent son apport le plus original (19,41-44; 21;20-
24) »".

Il me semble que c'est le schéma Promesse-Accomplissement


qui commande la présentation de Luc. Dans son oeuvre, il veut
avant tout montrer la diffusion de la Parole de Dieu; c'est ce

Z2 H. CoNZELMANN, Die Mitte der Zeit, le éd.. Tubingue, 1954; v e éd., 1964,
p. 68-71. A. George s'est inspiré de cet ouvrage en y apportant de précieuses
mises au point. dans La construction du troisième Evangile, in De Jésus aux
Evangiles. Tradition et Rédaction des Evangiles synoptiques (Gembloux, 1967),
p. 1(){)'129.
Z2 A. GEORGE, art. cit., p. 113 .. Voir aussi du même auteur: Israël dans l'oeuvre
de Luc, in RB 75 (1968), p. 481-525.
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 97

que soulignent les refrains sur la croissance de la Parole (Act


6,7; 12,24). Or cette Parole retentit d'abord au Temple: annonce
à Zacharie d'une part, proclamation du Nom de Jésus au Tem-
ple d'autre part (Act 3 et 4). Cette théologie du Nom (3,16), en
dehors duquel nul ne peut être sauvé (4,12), prend d'autant plus
de relief qu'elle retentit dans le Lieu même où, selon une ter-
minologie chère au Deutéronome, Yahvé a décidé de faire habi-
ter son Nom (Dt 12,5,14,18,26 etc). 24. Ainsi s'accomplit l'attente
d'une Révélation plénière.
La Parole de Dieu ne peut être enfermée dans les limites
étroites d'un peuple. Etienne est suscité pour opposer au temple
fait de main d'homme le tabernacle construit par Moïse selon
le modèle céleste (Act 7,44). Au Temple même, Paul reçoit révé-
lation de sa mission lointaine:· «Alors que j'étais en prière dans
le Temple, raconte-t·i!, il m'arriva un jour de tomber en extase
et je vis le Seigneur qui me disait: "Vite, quitte Jérusalem sans
tarder, car i!s n'accueilleront pas le témoignage que tu me ren-
dras ... Va, c'est au loin, vers les nations païennes, que je vais,
moi, t'envoyer" » (Act 22,18,21). On songe à la vocation d'Isaïe qui,
lui aussi, est envoyé à la suite d'une vision au Temple. Mais
pour l'un l'envoi concerne le peuple de Juda, pour l'autre les
nations païennes.
En conservant précieusement les souvenirs de la commu-
nauté palestinienne sur la fréquentation du Temple, comme lieu
de la prédication et de la prière", Luc n'a donc pas fait seuIe-
ment oeuvre d'historien. Comme théologien de l'histoire du sa-
lut, il témoigne de la fidélité de Dieu à ses promesses et de

zt Sur cette théologie du Nom de Yahvé. voir G. VON RAn, Théologie de


l'Ancien Testament, 1. l, p. 163 et l'étude plus approfondie de R. DE VAUX, Le
lieu que Yahvé a choisi pour y établir son nom, in Das Ferne und Nahe Wart,
BZAW n. 125 (1967). p. 219-228.
25 Sur la prière au Temple, voir S. ZEITLIN, The Temple and Worship: A
Study of the Development of Judaism, in J.O.R. 51 (1961), p. 209-241. On y
trouvera de précieuses indications sur les bénédictions et les Psaumes qui
accompagnaient l'offrande des sacrifices. - Je ne puis comprendre la démonstra-
tion de L. GASTON, selon lequel, du point de vue de Luc, les Apôtres ne se
joignaient pas à la prière du Temple (op. cit., p. 98 sv). Le texte d'Act. 3,1 est
pourtant clair!
La présentation de Luc selon lequel Paul accepte de participer à un rite
de purification au Temple (Act. 21,24) a suscité l'incrédulité de plusieurs criti·
ques. Paul avait pourtant déclaré qu'il se faisait Juif ~vec les Juifs (I Cor 9,20).
Nous nous permettons de renvoyer à notre art. Pureté et Impureté. III. Dans le
Nouveau Testament, in DES, t. 9, col. 546.
98 EDOUARD COTHENET

l'unité du plan divin. C'est dans le même sens que Paul pouvait
écrire en finale de son épître aux Romains:
« Je l'affirme en effet, c'est au nom de la fidélité de Dieu que
Christ s'est fait serviteur des circoncis, pour accomplir les promes-
ses faites aux pères; quant aux païens, ils glorifient Dieu pour sa
miséricorde. selon qu'il est écrit: C'est pourquoi je te célébrerai
parmi les nations païennes, et je chanterai en l'honneur de ton
nom» (Rom 15,8-9).

II. LES CONTROVERSES CONTRE LE CULTE

Plusieurs scènes de l'Evangile nous permettent d'entrevoir


le respect et la joie avec lesquels Jésus entrait dans la "Cité
du grand Roi» (Mt 5,35), lors des pèlerinages, et s'adressait à
son Père dans la " maison de prière», destinée à tous les peuples
(Is 56,7 cité en Mc 11,17).
Et pourtant l'Evangile nous a conservé une série de contro-
verses, dans lesquelles non seulement Jésus prend ses distan-
ces par rapport aux prescriptions rituelles, mais se pose comme
le Centre nouveau de médiation entre les hommes et Dieu. Dès
l'apparition de la Formgeschichte, le genre des controverses a
fait l'objet de solides études ". Les critiques s'accordent à re-
connaître son enracinement dans le terroir palestinien. Comme,
à plusieurs reprises, c'est la conduite des disciples qui est incri-
minée (par exemple Mc 2,18,24) ou que les opposants s'adres-
sent non à Jésus lui-même mais à ses disciples (par ex. Mc 2,16),
on a supposé que ces controverses ont pris forme dans les com-
munautés palestiniennes aux prises avec les critiques des Pha-
risiens. Tout en déclarant que le cadre est rédactionnel, Bult-
mann pour sa part reconnaît la valeur de ces discussions pour
déterminer le message de Jésus: "Le caractère général de la
vie et de l'activité de Jésus paraît exactement rendu par ces
dialogues sur un fond de souvenirs historiques» ". Gaston, lui,
s'intéresse avant tout à ces controverses comme révélatrices de

26 M. AI.BERTZ, Die synoptischen Streitgespriiche, Berlin, 1921. R. BULTMANN, Die

Geschichte der synoptischen Tradition. Trad. franç. de A. Malet, Paris, Seuil,


1973, p. 58·75.
27 R. BULTMANN, trad. franç., p. 71.
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 99

l'attitude des chrétiens de Palestine dans leur opposition au


culte du Temple ".
L'Evangile de Marc contient deux collections de controver-
ses, l'une au début du ministère de Galilée (2,1-3,6), l'autre à
Jérusalem (11,27-12,37). Rappelons le contenu de la première
série: pardon et guérison d'un paralysé à Capharnaüm, - appel
de Lévi et repas avec les pécheurs, - pourquoi ne pas jeûner? -
les épis arrachés un jour de sabbat, - guérison le jour du sab-
bat. La conclusion annonce déjà la passion: «Une fois sortis,
les Pharisiens tinrent aussitôt conseil avec les Hérodiens contre
Jésus, sur les moyens de le faire périr" (Mc 3,6). On voit ainsi
que, dans cette série de discussions, Marc nous transmet les
raisons majeures de la rupture entre le Judaïsme officiel et
Jésus.
Par quelques exemples, soulignons à la suite de Gaston la
portée de ces controverses. Lors de la première, la réflexion
« Qui peut pardonner les péchés sinon Dieu seul? " (Mc 2,7) cor-
respond à la théologie commune du Judaïsme. Jamais il n'est dit
que le Messie aurait ce pouvoir". Dans sa miséricorde Dieu a
offert les moyens de l'expiation: les sacrifices pour le péché
accomplis au Temple selon le rituel du Lévitique, et la céré-
monie annuelle du Yôm Kippur. Ici Jésus revendique l'autorité
de remettre les péchés; il l'exerce par sa simple Parole en ré-
ponse à la foi de l'infirme et de ses porteurs. La pointe de la
controverse suggère que la médiation entre Ciel et Terre passe
désormais par le Fils de l'homme. Le texte parallèle de Mt
envisage expressément que le pouvoir exercé par Jésus est
transmis à ses disciples (Mt 9,8) '". La communauté messianique,
suscitée par l'appel à la conversion, se recrute parmi les pé-
cheurs auxquels Jésus adresse la Parole libératrice.
De façon significative, l'appel de Lévi suit la guérison du
paralytique. Dans un cas, l'infirme devait être porté sur un
brancard, dans l'autre il s'agit d'un bien-portant assis à son comp-
toir, mais prisonnier de son mammon. La même Parole qui
redresse le paralytique met en mouvement le publicain: «Suis-
moi! ". La communauté de vie, manifestée par le verbe si ex-

2AL. GASTON, No Stone on another, p. 7S~102. Nous renvoyons pour la contro-


verse sur la pureté rituelle (Mc 7 et par.) à notre article Pureté ... III. Dans le
Nouveau Testament, D.B.S., t. 9, c. 532-538.
n STR.-BILLERBECK, t. l, p. 495.
30Cf. E. COTHENET, Sainteté de l'IE.glise et péchés des chrétiens, dans Liturgie
et Rémission des péchés, Rome, 1975, p. 86 s.
100 EDOUARD COTHENET

pressif akolouthein ", se traduit au grand jour par la joie du


repas de fête. Pour bien saisir la force libératrice de ces brèves
indications de Marc, il faut avoir présent à l'esprit l'importance
des repas de communauté chez les Pharisiens et la rigidité des
observances rituelles. Communauté de " séparés », les Pharisien,
s'engagent à suivre toutes les règles de pureté rituelle que la
Tora imposait aux seuls prêtres, dans l'exercice de leurs fonc-
tions au Temple. En côtoyant publicains et pécheurs, bien plus
en partageant leur table, Jésus va à l'encontre des mouvements
les plus religieux du Judaïsme d'alors qui se caractérisent par
un même mot d'ordre: Se séparer ". Jésus apporte ainsi la
révélation d'une autre forme de pureté: non plus la pureté
qui se conserve par isolement, mais la pureté active, rayonnante
qui se réalise en se donnant: «Ce ne sont pas les bien-portants
qui ont besoin de médecin, mais les malades; je suis venu ap-
peler non pas les justes, mais les pécheurs» (Mc 2,17). Matthieu
développe la controverse en ajoutant une référence à Osée: "Al-
lez donc apprendre ce que signifie: C'est la miséricorde que je
veux et non le sacrifice» (Os 6,6 cité en Mt 9,13 et 12,7). Par là
Matthieu donne à la controverse une signification anti-cultuelle ".
L'élément de rupture, présent en chacune de ces discussions,
est vigoureusement exprimé par la parabole du vin nouveau.
"Personne ne met du vin nouveau dans de vieilles outres;
sinon, le vin fera éclater les outres, et l'on perd à la fois le
vin et les outres; mais à vin nouveau, outres neuves» (Mc 2,22).
On sait l'importance donnée par Marcion à ce passage. Son in-
terprétation outrancière ne correspond pas aux intentions de Jé-
sus, comme on peut le voir dans les controverses sur le sab-
bat. Contrairement à ce que l'on dit parfois, Jésus n'a pas
condamné la pratique du sabbat, mais il est venu rappeler le
vrai sens de l'institution divine, contre toutes les déformations
de la casuistique pharisienne. H. Hübner n'a pas eu tort de
souligner la portée théo-logique d'une déclaration comme celle
de Mc 2,27: Dieu a fait sa Tora pour l'homme et s'est mis lui
même du côté de l'homme ". Jésus nous apporte ainsi une véri-

31 Voir notre art. Imitation du Christ, dans Dictionnaire de Spiritualité,


t. 7, c. 1542-1548.
3a Art. Pureté, in DBS, t. 9, col. 509,5135, 519.
3S L. GASTON, loc. cit., p. 8l.
3t H. HtlBNER, Das Gesetz in der synoptischen Tradition Witten-Luther-Verlag,
1973, p. 123. '
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 101

table révélation sur Dieu: Deus pro homine! en restituant au


sabbat sa vérité de jour de joie et de liberté, en en faisant le
jour par excellence du Salut. Rappelons la manière dont Jésus
justifie le choix du sabbat pour la guérison de la femme voûtée:
" Cette femme, fille d'Abraham, que Satan a liée voici dix-huit
ans, n'est-ce pas le jour du sabbat qu'il fallait la détacher de
ce lien? " (Luc 13,16 et la note 1 de la TOB).
De ces controverses se dégage une impression d'ensemble:
" N'y a-t-il pas ici plus que le Temple?" (cf Mt 12,6). Une nou-
velle échelle de valeurs s'établit, de nouvelles médiations, par la
Parole et le geste purificateur de Jésus, - pensons au lépreux
purifié. Jésus romprait-il délibérément avec l'institution sacrifi-
cielle du Temple? C'est l'interprétation des Ebionites, selon un
texte conservé par Epiphane:
«Je suis venu pour détruire les sacrifices, et si vous ne cessez
pas d'offrir des sacrifices, la Colère ne s'éloignera pas de vous» 35,

Dans le même sens, on pourrait citer le récit johannique de


l'expulsion des vendeurs du Temple. Jean est le seul à mention-
ner les boeufs et les brebis qui encombrent le parvis. Si Jésus
blâme les marchands de colombes, il sévit contre les maquignons:
"S'étant fait un fouet avec des cordes, il les chassa tous du
Temple et les brebis et les boeufs" (Jn 2,15).
Si telle est l'interprétation de Jean ", correspond-elle exacte-
ment aux intentions de Jésus sur le moment ou ne prolonge-t-elle
pas le sens du geste prophétique du Maître, compte tenu de la
nouvelle situation ecclésiale? L'épisode du didrachme pour le
Temple, propre à Matthieu (17,24-27), oblige l'historien à la pm-
dence "'. Dans sa rédaction actuelle, la péricope suppose que le
culte sacrificiel est accompli au Temple et que les chrétiens sont
partagés sur l'attitude à prendre. Par une réponse de Jésus, le
cas de conscience est éclairé. Porte-parole des Judéo-chrétiens,
Pierre considère comme allant de soi que son Maître paie le
didrachme, signe tangible d'appartenance au peuple élu et par-

36 EpIPHANE, Raer. XXX,16,4.


Déjà ORIGÈNE, In Joannem X, § 138 s (dans S. Chrét. n. 157, p. 470). R.
:li!
SCHNACKENBURG est favorable à cette interprétation (Das Johannesevangelium,
Herder, 2" éd., 1967, p. 370 5).
:!'1 S. LÉGASSE, Jésus et l'impôt du Temple (Matthieu 17,24-27) dans Science et
Esprit 24 (1972), p. 361-377, s'appuyant sur H. MONTEFIORE, Jesus and the Temple
Ta:<, in NTS 11 (1964/65). p. 60-71.
102 EDOUARD COTHENET

ticipation de chacun aux sacrifices. « A la maison », c'est-à-dire


dans le cercle restreint des disciples, Jésus apporte un autre
éclairage: «Quel est ton avis, Simon? Les rois de la terre, de
qui perçoivent-ils taxes ou impôts? De leurs fils ou des étran-
gers? ». Il va de soi, en Orient, que les fils et cousins et ar-
rière-cousins d'un Emir sont exempts! Pourtant, malgré le prin-
cipe de liberté, Jésus ordonne de payer le didrachme pour éviter
le scandale. C'est ainsi que sur un sujet où s'opposaient les Sad-
ducéens et les Pharisiens, Jésus ouvre une voie nouvelle. Bien
qu'il considère que le système sacrificiel a fait son temps, il ne
veut pas rompre brutalement avec les anciens usages. Telle est
la conclusion de S. Légasse: «La halakhah personnelle (de Jésus)
aurait donc été que tous, sans distinction, subvinssent au culte
par des offrandes volontaires. Seule la crainte de voir son geste
interprété comme un refus de tout le système cultuel juif l'aurait
amené à des concessions sur le plan pratique ... Témoin suprême
d'une religion intérieure, inscrivant sans doute à son program-
me l'inauguration d'un culte renouvelé et spirituel (cf. Mc 14,58
par.), Jésus est encore loin» de la position d'Etienne (Act 7,48).
Paul n'invoquera-t-il pas de même la nécessité de respecter la
conscience des faibles? (1 Cor 9,20; Rom 14-15; cfr. Act 21,18,24) ".
Dans l'ensemble, la thèse de G. Schrenk nous apparaît so-
lide: «Toute l'esquisse synoptique comporte au sujet de Jésus
deux éléments: approbation du culte du Temple comme la voie
déterminée par Dieu pour l'honorer et suprématie de Jésus sur
le Temple» 39. Essayons maintenant de préciser les vues d'ave-
nir de Jésus.

III. L'ANNONCE DU TEMPLE NON FAIT DE MAIN D'HOMME

A la différence de Luc, Marc et Matthieu s'accordent à don-


ner, lors du procès juif de Jésus, une place importante à l'accu-

3B S. LÉGASSE, art. cU., p. 376 s. Cf. J. JEREMIAS, Théologie du Nouveau Testa-


ment, t. I, p. 259.
3t G. SCHRENK, art. Hieron, in TWNT, t. 3, p. 241 s. - On notera que si les
Ebionites condamnent les sacrifices, ils n'en restent pas moins très attachés
au Temple comme au lieu de l'adoration: «Perseverant in bis consuetudinibus,
quae sunt secundum Legem, et judaico charactcre vitae, ut et Hierosolymam
adorent, quasi domus sit Dei» (IlllirŒE, Adv. Haer. 1,26,2).
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 103

sation de vouloir détruire le Temple ". Selon Marc des faux té-
moins déclarèrent au Sanhédrin:
«Nous l'avons entendu dire: Je détruirai ce Temple fait de
main d'homme et en trois jours j'en rebâtirai un autre non fait
de main d'homme» (Mc 14,58).

La parole incriminée prend dans Matthieu une forme un


peu adoucie:
« Cet homme a dit: Je peux détruire le sanctuaire de Dieu et le
rebâtir en trois jours» (Mt 26,61).

L'opposition mise par Marc entre cheiropoiètos et acheiro-


poiètos semble faire allusion à la vision de Daniel: détachée
de la montagne sans main d'homme, la petite pierre détruit le
colosse aux pieds d'argile (Dan 2,34,44 s). En apparence cette
déposition ne joue pas un rôle décisif dans le procès, puisque
les témoins ne s'accordent pas sur la teneur exacte de la parole
de Jésus. Pourtant l'accusation revient avec insistance lors de
la crucifixion. Dans une scène qui nous fait entendre les griefs
majeurs du judaïsme contre le Crucifié, les passants s'écrient:
«Hé! Toi qui détruis le Sanctuaire et le rebâtis en trois jours,
sauve-toi toi-même en descendant de la croix» (Mc 15,30).

Cette mise en demeure prend un relief particulier chez Mat-


thieu. Comment ne pas évoquer la seconde tentation, où le Diable
invite le Fils de Dieu à se lancer du haut du pinacle du Temple? 41.
« Si tu es Fils de Dieu, jette-toi en bas, car il est écrit: Il don-
nera pour toi des ordres à ses anges et ils te porteront sur leurs
mains pour t'éviter de heurter du pied quelque pierre» (Mt 4,6).

La même interpellation au Fils de Dieu revient à l'heure de


la crucifixion:
« Toi qui détruis le sanctuaire et le rebâtis en trois jours, sauve w

toi toÏ-même, si tu es le Fils de Dieu, et descends de la croix!»


(Mt 27,40).

40 Outre les commentaires, on consultera les ouvrages de B. GARTNER, R.J.


McKELVEY, G, KLINZING (mentionnés ci-dessus) et R. SIMON, Retour du Christ
et reconstruction du Temple dans la pensée chrétienne primitive, in Aux sources
de la tradition chrétienne (Mélanges M. Goguel), Delachaux et Niestlé, 1950,
p. 247-257.
41 Voir B. GERHARDSSON, The Testing of Cod's Son (Matth. 4:1-11 et par.),
Lund, 1966, p. 56-59, et Jésus livré et abandonné d'après la Passion selon saint
Matthieu, in RB 76 (1969), p. 206-227 (221).
104 EDOUARD COTHENET

En écho à cette sommation blasphématoire, les Synoptiques


relèvent qu'aussitôt la mort de Jésus le voile du Temple se dé-
chira en deux du haut en bas (Mt 27,51 par.). Scène eschatolo-
gique, comme le souligne vigoureusement Matthieu, avec le trem-
blement de terre et la résurrection anticipée de nombreux saints.
C'est la fin de l'ancien monde et l'aube du monde nouveau ". Au
delà de la théologie propre à Matthieu ou à Marc, ces récits
nous renvoient à la réflexion des communautés palestiniennes
qui méditent le mystère pascal à la lumière de la théologie du
Temple. L'attente de la Demeure eschatologique, définitive, de
Dieu avec les hommes se trouve réalisée sous le mode parado-
xal de Pâques.
S'il est évident que le logion sur le Temple a alimenté la
controverse entre Juifs et chrétiens de Palestine, la reconsti-
tution de la parole authentique de Jésus pose de difficiles
problèmes. En quel sens le témoignage est-il qualifié de faux?
A quelle forme donner la préférence, la forme synoptique ou la
forme johannique: «Détruisez ce temple ·(au sens de: Si vous
détruisez) et, en trois jours, je le relèverai" (Jn 2,19)? ".
Une discussion détaillée nous entraînerait trop loin. Je me
bornerai à rapporter l'hypothèse nouvelle de Gaston et à en exa-
miner le bien-fondé. Cet auteur part du fait que Luc a omis le
logion sur le Temple dans son Evangile, mais y fait allusion
seulement à propos d'Etienne. Des faux témoins déclarent:

«L'homme que voici tient sans arrêt des propos hostiles au


Lieu saint et à la loi; de fait, nous lui avons entendu dire que ce
Jésus le Nazaréen détruirait ce Lieu et changerait les règles que
Moïse nous a transmises)} (Act 6,14).

Gaston en conclut que l'annonce de la destruction du Tem-


ple ne remonte pas à Jésus, mais à Etienne. Pour sa part, Jésus
a seulement annoncé l'édification d'une Communauté-sanctuai-
re ". A l'appui de sa manière de voir, Gaston conteste qu'il ait
existé avant 70 une tradition apocalyptique sur un nouveau Tem-

42 Voir J. RAnERMAKERS, Au fil de l'évangile selon saint Matthieu, Heverlee-


Louvain, 1972, t. 2, p. 345-350.
43 Sur l'indépendance de la tradition johannique par rapport à la tradition
synoptique, voir C.R. DODO, Historical Tradition in the Fourth Gospel, Cam-
bridge, 1963, p. 88-91.
'" L. GASTON, Zoe. cit., p. 229-241.
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 105

pie 45 ou sur le rôle du Messie dans son inauguration (contre


J. Jeremias 46). Je cite la conclusion de Gaston:
«Dans aucune de nos sources nous n'avons trouvé de parallèle
réel à la déclaration attribuée à Jésus en Mc 14,58. Quoiqu'il y ait
un bon degré d'opposition au temple de JéTIlsalem avant 70, seuls
quelques passages discutables suggèrent que ce sera la fonction du
Messie de le détruire; nulle part il n'est indiqué que le Messie re-
bâtira le nouveau Temple. Le Ta'eb samaritain restaurera non le
Temple futur, mais le tabernacle, et c'est parmi les Samaritains
que nous nous attendons à trouver la plus forte opposition au temple
de Jérusalem. Cela prendra son importance quand nOliS discute-
rons de l'arrière-plan de la pensée d'Etienne» 47.

La démonstration de Gaston appelle bien des critiques. Du


point de vue de l'authenticité d'une déclaration, retiendra·t-on
comme seul valable le critère de conformité avec le milieu am-
biant? Ce serait dépouiller l'enseignement de Jésus de tout ce
qui fait son originalité. Si l'on considère la forme littéraire, l'op-
position détruire-bâtir que l'on trouve dans toutes les formes
du logion (Mt-Mc d'une part: kataluein-oikodomein; Jn d'autre
part: luein-egeirein) correspond à cette prédilection de Jésus
pour le parallélisme antithétique, dans lequel l'accent porte sur
le second terme 48.
L'attente du Temple eschatologique est beaucoup plus an-
cienne que ne le dit Gaston. Je me bornerai à vous présenter
des extraits du Florilège de la 4' Grotte de Qumrân, où l'on
trouve le commentaire (péshèr) des textes bibliques suivants: 2
Sam 7,10-14; Ps 1,1; Ps 2.1-2 ". Malgré les mutilations du texte,
le sens global reste acquis. Seule nous intéresse la première
partie qui suit pas à pas 2 Sam 7,10-14. L'Auteur évoque succes-
sivement la sainteté du Temple eschatologique, et l'activité des
deux Messies.
Avant de discuter l'interprétation exacte du texte, je crois
nécessaire de rappeler que, dans la tradition juive, le véritable
instaurateur du Temple, ce n'est pas Salomon, mais David! Tel
est le point de vue du Chroniste, analysé avec finesse par A. Ro-

4S Bonne présentation du dossier dans R.I. McKELVEY, The New Temple,


p. 9-41.
4BI. JEREMIAS, Jesus aIs Weltvollender, Gütersloh, 1930.
47 L. GASTON, op. cil., p. 154.
(8 J. JEREMIAS, Théologie du Nouveau Testament, t. l, p. 22-30.
49 Texte édité par J.M. ALLEGRO, et traduit en français par J. CAR.'UGNAC, dans
Les Textes de Qumrân traduits et annotés, Paris, 1963. t. 2, p. 279-284.
106 EDOUARD COTHENET

bert ". Bien que Dieu ait repoussé son projet de construction,
David accumule tant de matériaux et dresse si bien les plans
que Salomon sera un simple exécutant. Pour le Chroniste, David
en effet est beaucoup plus qu'une figure historique, c'est l'ancê-
tre du Messie! Et récrite par le Chroniste, l'histoire devient pro-
phétie! Il importe d'avoir présentes à l'esprit ces idées si l'on
veut comprendre le commentaire de Qumrân. En voici la tra-
duction, selon J. Carmignac:
(2) ... «C'est la maison qui ( ...) dans la suite des jours, comme
il est écrit dans le livre de (3) Moïse: "Tes mains, Adônay, ont établi
le sanctuaire; Yahvé règnera perpétuellement et à jamais", C'est
la maison où n'entrera par (4) (... ) jusqu'à perpétuité ni l'Ammo-
nite, ni le Moabite, ni le bâtard, ni l'immigré, ni l'hôte jusqu'à per-
pétuité, car Son Saint est là (5) (... ) perpétuellement, constamment
Il regardera sur elle, et les étrangers ne la dévasteront plus, comme
ils ont dévasté par Je passé (6) le sanctuaire d'Israël à cause de leurs
péchés. Et Il a dit de Lui bâtir un sanctuaire d'homme, où on Lui
offrira (comme) encens (7) devant Lui les oeuvres de la Loi. (. ..)
(10) Yahvé t'annoncera qu'Il te bâtira une maison et Je susciterai
ton lignage après toi et J'établirai le trône de sa royauté (11) à
perpétuité. Moi je serai pour lui un père, et lui, il sera pour Moi
un fils (2 Sam 7,lIc-14a).
C'est le Rejeton de David, qui se lèvera avec le Chercheur de
la Loi qui (12) (... ) dans la suite des jours, comme il est écrit: "Et
Je redresserai la hutte croulante de David". C'est la hutte croulante
de (13) David qu'Il relèvera pour sauver Israël ».

Comme le texte de Samuel à expliquer, le Florilège joue sur


les deux sens du mot bait: maison en tant que demeure, maison
en tant que lignée. La maison dont il est question à la ligne 2
reçoit deux qualifications: sanctuaire établi par Yahvé pour son
règne éternel, sanctuaire très saint que ne souillera aucun hom-
me impur. La liste des exclus du Temple est composée d'après
plusieurs textes scripturaires (Dt 23,34; Ez 44,9) et se retrouve
dans d'autres oeuvres de Qumrân (ainsi 4 Q Db; 1 Q Sa II,8)51.
Comme elle est ailleurs motivée par la présence des anges, on
pourrait traduire la fin de la ligne 4: «car ses saints sont là» 52. Le
Christ a pris le contre-pied de cette attitude rigoriste dans la

50 A. ROBERT, art. Historique (genre), DBS, t. 4, c. 16-17_ Voir aussi A.M. BRUNET,
Le Chroniste et ses sources, in RB 60 (1953), p. 481-508; 61 (1954), p. 349-386,
spécialement 1953, p. 504-508; R. de Vaux, Jérusalem et les prophètes, in RB 73
(1966), p. 481-509 (482488).
51 Cf. article Pureté ... Ill. Dans le Nouveau Testament, DB S, t. 9, c. 518.
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 107

parabole des invités discourtois (Lc 14,15 et 21). Si aveugles et


boîteux étaient bannis du Temple selon 2 Sam 5,8, le Christ les
accueille et les guérit (Mt 21,14).
Après avoir qualifié le sanctuaire eschatologique, le Florilège
fait allusion à sa construction: «Et Il a dit de Lui bâtir un
sanctuaire d'homme (mqds 'dm) ». Elliptique, l'expression est
susceptible d'interprétations diverses 53. On peut comprendre:
un sanctuaire humain, terrestre par opposition au sanctuaire cé-
leste (cf. Règle des Chants pour l'Holocauste du Sabbat; Apoc.
3,12; 7,15; 11,1 etc.; T. Lévi V,l). En ce cas, le Florilège distin-
guerait entre le Temple céleste (ligne 3) et le Temple terrestre
(ligne 6). Pour d'autres auteurs, il faut comprendre mqds 'dm
au sens de: sanctuaire fait de main d'homme (cf. Mc 14,58; Rb
9,11). Cette exégèse me semble très improbable, car «fait de
main d'homme» qualifie d'ordinaire les idoles et leur culte par
opposition au vrai Dieu (cf. Lev 26,1; Is 46,6 ... ). A la suite de
D. Flusser, Klinzing suppose qu'une préposition (beth ou min)
est tombée; il traduit: un sanctuaire parmi les hommes. Cette
interprétation se recommande des textes qui proclament la ré-
sidence de Dieu parmi les hommes, à l'ère eschatologique (Lev
26,11; Ez 37,26), promesse reprise dans un livre familier aux
gens de Qumrân: «Je rebâtirai mon sanctuaire au milieu d'eux
et j'habiterai avec eux» (Jubilés I,37).
Deux solutions restent possibles; la première (sanctuaire ter-
restre par opposition à céleste) et la troisième (sanctuaire parmi
les hommes). Le contexte ne permet pas de penser qu'il s'agisse
du sanctuaire-communauté: les gens de Qumrân sont trop con-
vaincus de la pérennité de la Loi pour douter un seul instant
qu'à l'époque eschatologique ils n'officient sur la sainte Mon-
tagne de Sion.
De fâcheuses lacunes nous empêchent de savoir comment
sera bâti le senctuaire de la fin des temps. Nous trouvons seule-
ment l'évocation du Rejeton de David et du Chercheur de la
Loi, c'est-à-dire du Grand-Prêtre eschatologique, selon la doc-
trine des deux Messies bien attestée à Qumrân 54. Ces indica-

G. KLINZING, Die Umdeutung des Kultus ... , p. 80 sv. Sur l'importance de


52
la communion avec les anges », voir A. JAUBERT, La notion d'Alliance, p. 189-198.
«
53 J. C.""R~UGNAC, op. cit., p. 282, note 14. - Voir aussi A. JAllBERT, La notion
d'Alliance, p. 160.
'4 Bref état de la question dans J. COPPE:-<S, Le Messianisme et sa relève
prophétique, Gembloux, 1974, p. 134-137.
108 EDOUARD COTHENET

tions suffisent pourtant à reconnaître un lien entre le nouveau


Temple, réplique du sanctuaire céleste, et la manifestation du
roi davidique et du prêtre aaronide. Si l'on se souvient du rôle
attribué à David, type du Messie, par le Chroniste, il me semble
bien probable que le Rejeton de David ait lui aussi un rôle
important à jouer dans l'érection du nouveau sanctuaire.
Le Targum sur Isaïe 53 va dans ce sens. Dans sa rédaction
actuelle, il reflète la situation d'après 70, quand le Temple est
détruit, mais il est permis de penser que l'interprétation globale
repose sur d'anciennes spéculations. D'après le Targum, le Messie
«rebâtira le sanctuaire qui avait été souillé à cause de nos trans-
gressions et livré à cause de nos iniquités; et par son enseignement
la paix se multipliera sur nous, et par notre dévotion à ses paroles,
nos transgressions seront pardonnées» (Trad. d'après Stenning) 55.

Long et laborieux, cet examen du Florilège de la 4" Grotte


de Qumrân offre un bon point de départ pour comprendre la
parole de Jésus sur le Temple nouveau. A l'opposé de Gaston,
nous croyons bien fondée la thèse de X. Léon-Dufour" selon
lequel Jésus répondait à l'attente de certains courants du ju·
daÏsme, quand il annonçait le Temple futur. Par contre les Sad-
ducéens, dont la théologie était fondée sur la primauté du culte
tel que la Tora l'a institué, ne pouvaient que réagir vigoureuse-
ment contre les prétentions du «perturbateur »: "En vertu de
quelle autorité fais·tu cela?» (Mc 11,28 par.).
Si l'interprétation christologique du IV" Evangile s'accorde
parfaitement avec sa théologie générale (Lui parlait du Temple
de son corps), il est plus difficile de déterminer le sens précis
de la Parole avant Pâques. J. Jeremias s'y est efforcé en com-
parant les diverses formules par lesquelles Jésus annonce ce qui
se passera au 3" jour: Mc 14,58 et 15,29 et par. à propos du
Temple; Luc 13,32 (consommation le 3' jour); Luc 13,33 (les trois
jours d'activité du prophète). En aucun de ces passages, la for-
mule ne peut s'appliquer au triduum pascal. Il s'agit d'un sémi·
tisme au sens de « sous peu »):
« On remarque aussi que dans les "paroles des trois jours" ce
qui doit arriver "sous peu", "en peu de temps", est formulé en des

os J.F. STENNING, The Targum of Isarah, Oxford, 1949.


58 X. LÉON-DUFOUR, Le. signe du Temple. selon S. Jean, in RSR 39 (1951) = Mé-
langes J. Lebreton, t. I, p. 155-175_
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 109

images diverses, manifestement interchangeables. De cette permu-


tablité des images et des formules, C.R. Dodd a déduit, d'une façon
convaincante, cette conséquence: Jésus n'a pas établi de distinction
entre parousie, résurrection, achèvement, reconstruction du Temple;
toutes ces formules décrivent simplement le triomphe de Dieu qui
doit éclater sous peu» 57.

La conclusion dépasse les prémices. Certes la formule «en


trois jours» évoque le délai rapide de l'exaucement par Dieu;
s'en suit-il que toutes les formules sont interchangeables? Il
importe de remarquer combien le Je de Jésus est mis en relief
dans les déclarations sur le Temple (Mc 14,58: Egô katalusô;
Mt 26,61: Dunamai katalusai. .. ). Il ne s'agit donc pas d'une ma-
nifestation directe de Dieu, mais d'une intervention personnelle
de Jésus en vue de l'établissement du Règne de Dieu parmi les
hommes. Sans pouvoir nous étendre sur un sujet qui exigerait
de longs développements, notons que le thème de la construc-
tion (oikodomein, bâtir), - en dépendance de textes-clefs comme
Is. 28,16; Ps. 118,22, - permet d'établir un lien entre le Temple
bâti le 3' jour et la Communauté-Temple fondée par le Christ:
« Tu es Pierre, et sur cette pierre je bâtirai (oikodomèsô) mon
Eglise, et la Puissance de la mort n'aura pas de force contre elle ... »
(Mt 16,18) "'.

La théologie néo-testamentaire a développé dans une double


direction l'annonce du nouveau Temple: direction ecclésiale chez
Matthieu, Paul, l Pierre, direction christologique chez Jean.
Il serait illusoire d'établir une chronologie entre ces deux cou-
rants, car le «symbole» (au sens fort du terme) employé par
Jésus était trop riche d'évocations passées et d'espérances de sa-
lut pour s'épuiser en une seule direction. A la lumière de l'Esprit,
les chrétiens comprendront comment la Pierre rejetée par les
hommes a été redressée par Dieu au matin du Pâques (cf. Mc
12,10 par.) pour devenir la fondation de la Maison habitée par
l'Esprit (1 Pt 2,5; cf. Eph 2,20-22).

51 JEREMIAS, Théologie du Nouveau Testament, t. l, p. 356.


J.
5B Associés les uns aux autres, les textes sur la Pierre jouent un grand rôle
dans la théologie du Nouveau Testament (Voir J. JEREMIAS, art. Lithos, TWNT,
t. 4, p. 275·283; art. Petra, TWNT, t. 6, p. 96·99; A. JAUBERT, Symboles et figures
christologiques dans le Judaïsme, in Exégèse biblique et Judaïsme, Strasbourg
1973, p. 219-236 [220-2221.
110 EDOUARD COTHENET

CONCLUSION

Tout incomplet qu'il soit ", l'examen du dossier sur le Tem-


ple manifeste d'une part l'attirance pour le Lieu où Dieu fait
habiter son Nom et convie les peuples à un rassemblement paci-
fique, et d'autre part le dépassement nécessaire des formes li-
mitées et contingentes de cette espérance.
De l'entretien de Jésus avec la Samaritaine, les lecteurs mo-
dernes retiennent avant tout le caractère périmé de l'institution
du Temple:
«L'heure vient, - et maintenant elle est là, - où les vrais
adorateurs adoreront le Père en esprit et en vérité: tels sont, en
effet, les adorateurs que cherche le Père» (In 4,23).

Prenons garde à un contre-sens trop fréquent: l'adoration


en esprit et en vérité ne signifie nullement pour Jean un culte
individuel et purement intérieur. Il s'agit de l'adoration du Père
selon l'Esprit de Vérité qui jaillit du coeur du Christ et provo-
que l'unité des croyants entre eux 60.
Prophète d'une religion intérieure et universelle, Jésus n'en
a pas moins été attaché au sanctuaire de Jérusalem, a vibré de
joie avec les foules qui s'y rendaient en pèlerinage. C'est le coeur
déchiré qu'il a annoncé sa ruine! Pour le sauver, comme pour
convertir son peuple, il n'avait épargné aucun effort. Comment
s'étonner de la fidélité prolongée des premiers chrétiens à l'en-
droit du Temple? La position d'Etienne est vraiment «singu-
lière» (cf. la thèse de M.H. Scharlemann, Stephen, A Singu/ar
Saint), aux débuts de l'Eglise, avant que de Jérusalem la Parole
de Dieu étende sa course jusqu'aux extrémités de la terre.
Cette dialectique de l'attachement et du dépassement n'a-t-
elle pas une signification pour nous aujourd'hui? Si elle manifeste
l'enracinement du christianisme dans le sol nourricier du ju-
daïsme, elle nous oblige à un profond respect envers les fidè-
les de la première alliance (cf. Rom 11,16-24). Si d'autre part

5& Nous avons laissé de côté l'Epître aux Hébreux, en raison de la particu-
larité doctrinale de cet écrit. Déjà O. CULLMANN avait noté un rapprochement
possible entre Hb et la position d'Etienne (in L'opposition contre le Temple ... ,
p. 36). L'hypothèse est reprise par C. PERROT, L'EpÎfre aux Hébreux, dans
l'ouvrage collectif Le ministère et les ministères selon le Nouveau Testament,
Paris, Seuil, 1974, p. 134-135.
GO R. SCHNACKENBURG, L'existence chrétienne selon le Nouveau Testament
(trad. franç. DDB, 1971), t. 2, p. 281~300: Adoration en esprit et en vérité.
L'ÉGLISE NAISSANTE ET LE TEMPLE DE JÉRUSALEM 111

Jésus a vibré de zèle pour la sainteté de la Maison de Dieu (cf.


Jn 2,17), n'est-il pas normal que nous soyons attachés à ces lieux-
signes, où par la célébration de l'Eucharistie le Christ bâtit son
Corps ecclésial? Si le Christ enfin a voulu faire du Temple le
lieu de prières pour toutes les nations (Mc 11,17 citant Is 56,7),
n'est-ce pas une pressante invitation à dépasser nos divisions et
à retrouver ensemble les signes concrets d'unité et de paix qui
manifesteront au monde le Christ ressuscité, comme le Temple
nouveau où, sous l'impulsion de l'Esprit, tous les hommes peu-
vent invoquer comme Père le Dieu de l'Alliance?

Edouard COTHENET
Directeur de Travaux à l'U.E.R.
de Théologie et de Sciences Religieuses
de l'Institut Catholique de Paris
LA LITURGIE ALEXANDRINE ET SES RELATIONS
AVEC LES AUTRES LITURGIES

Dès son titre, cet exposé dénonce les ambiguïtés du sujet


qu'il voudrait annoncer. Que faut-il en effet entendre par «li-
turgie alexandrine »? S'agit-il de la liturgie célébrée dans la
grande métropole hellénistique, au temps de sa splendeur, alors
que l'illustraient des «papes» tels qu'Athanase ou Cyrille? Ou
bien de la liturgie couverte depuis des siècles par l'autorité du
Siège de Saint Marc, la seule dont les textes et les usages nous
soient connus avec quelque précision? Et en quel sens cette
liturgie «copte» peut-elle être appelée «alexandrine»? Disons-
le d'emblée, c'est la liturgie copte qui retiendra surtout notre
attention, après que nous nous serons brièvement interrogés sur le
peu que nous pouvons connaître de la liturgie proprement ale-
xandrine. C'est elle d'ailleurs, dans la vie complexe et tourmentée
- encore bien mal connue - qu'elle a traversé au cours des
siècles, qui intéresse le plus directement et à de multiples égards
le thème de notre Semaine d'Etudes.
Il n'y a pas lieu de s'étonner qu'au pays du Sphinx, nous
nous heurtions à de multiples et redoutables énigmes. A com-
mencer par celle des origines chrétiennes dans la cité cosmopo-
lite - reliée à l'Egypte par les bras du Nil mais séparée de
l'arrière pays par les marais et le désert - , dont Alexandre et
ses successeurs avaient voulu faire le phare de l'Hellénisme. On
sait que dès les premiers temps, la présence juive y fut très
nombreuse - peut-être le quart de la population - et y tint
dans tous les domaines une place importante. On ne saurait
trop relever le rôle décisif pour l'histoire spirituelle de l'huma-
nité et l'élaboration de la pensée chrétienne, joué par la gé-
niale transposition de la Bible hébraïque dans le cadre de la
langue et de la culture grecque. Mais là ne se borne pas le legs
du judaïsme alexandrin. En entreprenant de donner un com-
mentaire de la Tora - qu'il entend présenter comme Nomos -
non pas selon la technique traditionnelle du Midrach, mais à la
manière dont les exégètes du Musée interprétaient les classiques
114 1. H. DALMAIS

de la philosophie, les poèmes homériques et les tragiques grecs,


Philon - au tournant même de J'ère nouvelle - ouvrait les
voies à une rencontre féconde entre deux cultures et deux vi-
sions spirituelles de la destinée humaine. Et, précisément en
un domaine qui est au coeur de toute théologie de la liturgie,
la thèse de Jean Laporte a récemment montré tout ce que nous
devons à ce qu'il n'hésite pas à appeler - fut-ce cette expression
ne pas aller sans quelque ambiguïté: La doctrine eucharistique
chez Philon d'Alexandrie '.

ENRACINEMENT HISTORIQUE ET DÉVELOPPEMENT

C'est dire combien nous souhaiterions être moins mal in-


formés sur les origines et les premières expressions de la com-
munauté chrétienne d'Alexandrie.
Depuis Eusèbe, il est reçu que Marc - secrétaire et inter-
prète de Pierre - serait le fondateur de ce "Siège apostoli-
que ». De cette tradition, impossible à confirmer comme à in-
firmer, il faut du moins retenir le sentiment de relations par-
ticulièrement intimes entre l'Eglise d'Alexandrie et celle de Ro-
me. De nombreux faits, tant dans l'histoire que dans les insti-
tutions, viennent corroborer cette interprétation. Rappelons seu-
lement que les évêques de ces deux métropoles portent égale-
ment le nom de "papes ». Mais c'est précisément surtout
dans le domaine de la liturgie qu'on reconnaît de nombreu-
ses analogies. On a relevé pour ce qui est du baptême: no-
tamment la formulation de la confession de foi trinitaire et la
forme active de la déclaration baptismale. Plus caractéristique
encore la double chrismation postbaptismale, attestée à partir
de la Tradition Apostolique sur laquelle nous devrons bientôt re-
venir. Il semble aussi que la structure de l'anaphore ait com-
porté, à Alexandrie et à Rome, des éléments caractéristiques qui
la différencient des usages de Syrie, de Palestine et même d'Asie
Mineure. On pensera notamment à la double épiclèse et à J'inser-
tion d'intercessions tant avant le récit d'institution qu'après le
mémorial de J'anamnèse.

1 JEAN LAPORTE, La doctrine eucharistique chez Philon d'Alexandrie (Théo·


logie historique, 16), Paris, Beauchesne, 1972.
LA LITURGIE ALEXANDRINE ET LES AUTRES LITURGIES 115

Malheureusement nous ne connaissons que très imparfaite-


ment cette liturgie de la métropole alexandrine. Les maîtres du
Didascalée ne nous ont transmis aucune Mystagogie tant soit
peu comparable à celles dont nous disposons pour Jérusalem,
pour Antioche ou pour Milan, ou même de ce qu'il est possible
de reconstituer pour les Eglises africaines d'expression latine
grâce aux écrits de Tertullien, de Cyprien et surtout d'Augustin
et de ses contemporains. Ce peu d'intérêt qui parait avoir été
porté aux formes liturgiques est d'ailleurs significatif. Il semble
en effet s'être maintenu au cours des siècles suivants pour les-
quels nous ne possédons en Egypte, du moins jusqu'au XIV' s.,
rien de comparable aux commentaires et aux questions qui, dans
les domaines syriens ou latins - et à un moindre degré dans le
monde byzantin - scrutent le moindre détail des rites et cher-
chent à l'expliquer ... fut-ce au travers d'une allégorisation sou-
vent arbitraire. Certes, étant donné l'esprit conservateur des
Egyptiens, on peut penser que chez eux, peut-être plus encore
qu'ailleurs, de très anciens usages ont été maintenus au cours
des temps.
Mais c'est précisément ce qui nous met dans de nouvelles
perplexités. On a déjà évoqué la Tradition Apostolique. Or on
sait que cet ouvrage, dont les travaux de R. H. Connolly puis
de G. Dix et enfin de Dom B. Botte ont permis la reconstitu-
tion en même temps que son attribution à Hippolyte de Rome
s'avérait de mieux en mieux fondée, nous a été transmis au
travers de multiples remaniements dont le plus grand nombre
- et parmi les plus importants - sont d'origine égyptienne et mê-
me sans doute, du moins pour les plus anciens, proprement ale-
xandrine '. Or, malgré les efforts déployés par par J. M. Hanssens
pour situer Hippolyte dans le cadre alexandrin, cette hypothèse
- ainsi que l'a clairement montré Dom B. Botte - s'avère dé-
nuée de tout fondement solide. A bien des égards par contre, la
Tradition se montre apparentée aux usages certainement syriens.
Il semble donc bien que très tôt - au moins dès la seconde
moitié du IV' s. avec les Canons d'Hippolyte, adaptation certai-
nement égyptienne des dispositions disciplinaires de la Tradi-
tion' et peut-être avec la version beaucoup plus complète qu'on

J Voir l'introduction de Dom B. BOTIE à son édition de la Tradition Apostoli-


que (Sources Chrétiennes, 11 bis), Paris, Le Cerf, 1968.
3 Cf. l'édition de R.C. COQUIN (Patrologie Orientak XXXI, 2), 1966.
116 1. H. DA1.MAIS

a longtemps désignée sous le nom de Constitution égyptienne de


l'Eglise' - la Tradition Apostolique était connue et appréciée
en Egypte. Mais on sait que vers la fin de ce siècle elle était
refondue et adaptée, dans l'orbite d'Antioche, pour former le
VIII" livre de la vaste compilation des Constitutions Apostoli-
ques. issue des milieux conservateurs, plus ou moins arianisants,
hostiles aux innovations nicéennes. Il n'y a pas lieu de s'étonner
que, malgré cette méfiance, elle ait trouvé bon accueil dans
les milieux conservateurs d'Egypte qui semblent avoir été dès
cette époque très réceptifs aux influences syriennes.
Le P. Lanne a naguère montré comment le rituel copte des or-
dinations, tel qu'il s'est maintenu jusqu'à nos jours, conserve fidè-
lement - plus fidèlement même que tout autre - une dispo-
sition et un formulaire d'origine antiochienne, issus de la Tradi-
tion Apostolique '. Il n'est évidemment pas possible de dater,
même approximativement, l'époque à laquelle ce rituel a été
reçu dans le patriarcat alexandrin, mais tout invite à penser -
en raison même de l'archaïsme de ces dispositions - qu'elle
doit être fort ancienne. Les relations entre Alexandrie et Antio-
che vont d'ailleurs se renforcer, malgré les vieilles rivalités et
les antagonismes culturels et doctrinaux, lorsqu'une partie no-
table des milieux ecclésiastiques syriens, sans doute pour une
part en réaction à l'égard du dualisme christologique qui devient
doctrine officielle dans les chrétientés de l'empire perse, se font
- à l'égal des disciples de Dioscore - les champions de la plus
stricte christologie cyrillienne. On peut penser que le long exil
dans une oasis du désert égyptien du partiarche déposé d'An-
tioche, Sévère, homme éminent et qui a laissé le souvenir d'un
réorganisateur de la liturgie antiochienne, a singulièrement con-
tribué à renforcer cette influence. L'oeuvre comparable qu'aurait
réalisé, au cours de son long pontificat, le pape et patriarche
copte Benjamin (626-665) s'est largement inspirée de ce précé-
dent. Nous serions portés pour notre part à voir en lui le vrai
codificateur de la liturgie copte et en quelque sorte le « Saint
Grégoire le Grand" de l'Eglise d'Egypte. Or, le génie propre de
l'Egypte ne le porte guère à de pareilles entreprises, si confor-
mes par contre à celui des Syriens, juristes et Iiturgistes à l'égal
des Romains.

4 Cf. la dénomination employêe par L. DUCHESNE (Bull. critique, 1886, p. 361).


~ Orient Syrien V (1960), pp. 81-106.
LA LITURGIE ALEXANDRINE ET LES AUTRES LITURGIES 117

L'entreprise était d'autant plus difficile qu'avec la conquê-


te arabe, Alexandrie, foyer de l'hellénisme et siège de l'admi-
nistration byzantine, voyait s'effondrer la situation privilégiée
qui avait été longtemps la sienne tant sur le plan ecclésiastique
que dans le domaine culturel. Cette situation était certes depuis
longtemps fortement ébranlée, les masses chrétiennes d'Egypte,
celles que l'on appellera désormais les" Coptes », s'étant depuis
longtemps déjà regroupées en un refus à la fois politique et
culturel à l'égard de tout ce qui paraissait sous la mouvance d'un
pouvoir impérial dont les tracasseries policières étaient de plus
en plus mal supportées. C'est désormais, et jusqu'à notre temps,
le Sa 'id, la Thébaïde qui constitue avec les monastères du dé-
sert et notamment ceux, naguère si célèbres, du " Désert de Scé-
té» dans la région du Wadi Natrun, le principal foyer spirituel
et culturel de l'Egypte chrétienne. Le rôle joué alors, aux con-
fins de la Thébaïde par le " Monastère Blanc» de Schnouda, est
à la fois exemplaire et symbolique. On sait que cette imposante
métropole monastique est le seul monument chrétien de type pha-
raonique. On voudrait pouvoir reconstituer ce que pouvait être
la liturgie qui se déroulait à l'intérieur de la vaste église, toujours
debout en ses structures fondamentales et dont les fresques pa-
raissent bien s'organiser, comme celles du monastère de saint
Antoine, en une véritable théologie eucharistique. Les travaux
actuellement en cours sous les auspices de l'Institut français
du Caire pour relever, photographier et étudier ces vastes en-
sembles iconographiques, apporteront sans doute des lumières
nouvelles sur ce cadre des célébrations liturgiques. Mais on ne
saurait trop déplorer l'état lamentable dans lequel nous sont
parvenus les feuillets, bien incomplets, du livre liturgique que
son éditeur, Dom E. Lanne, a appelé: Le grand Euchologe du
Monastère Blanc '. Cette liturgie, pour autant qu'il nous est
possible de la connaître, recueillait et ordonnait l'héritage de
traditions diverses. Au premier rang sans doute, celles de la
métropole alexandrine, mais aussi de nombreux éléments direc-
tement empruntés aux traditions syriennes, celle d'Antioche et
celle de Jérusalem. Il nous est plus difficile de déterminer la
part qui revient aux usages des communautés rurales qui avaient
sans doute toujours employé la langue nationale de l'Egypte en
son dernier état fortement influencé par le grec et qu'on dé-

8 Patrologie Orientale XXVIII, 2.


118 I. H. DALMAIS

nomme le copte. L'histoire de ces communautés, c'est à dire


la plus grande part de l'histoire ancienne de l'Egypte chrétienne,
nous demeure presqu'entièrement inconnue. Mais il importe de
se rappeler que, plus peut-être qu'en toute autre région du monde
chrétien, il faut se garder de majorer indûment le rôle d'une
métropole excentrique et, de fait, toujours considérée comme
étrangère par les Egyptiens de la Vallée et même du Delta. C'est
au sein de ces communautés de fellahs qu'était né et que s'était
développé le mouvement monastique des IV'-V' ss. Il y avait
puisé sa sève et, en retour, il les vivifiait. C'est cette symbiose du
village et des monastères, situés aux confins du désert ou dans
ses profondeurs, et vers lesquels les paysans viennent, à l'occa-
sion des fêtes patronales, célébrer le «mouled", qui donnera
peu à peu à la liturgie copte - on perçoit combien il est ambigu
de l'appeler « alexandrine" - ses caractères le plus spécifiques.
La liturgie monastique, teIle qu'elle pouvait se célébrer dans
les grands monastères au temps du patriarche Benjamin, n'avait
certainement plus l'austère simplicité dont certains récits et
apophtègmes du temps des «Pères du désert", c'est à dire du
IV' s. et de la première moitié du V', avant le Concile de Chal-
cédonie et les déchirements qu'il entraîna dans l'Eglise d'Egypte,
gardent le témoignage. On peut penser qu'outre la psalmodie
entrecoupée seulement par des moments de prière silencieuse,
des intercessions et des lectures scripturaires, des tropaires re-
çus des églises urbaines et d'origine byzantine - en fait sur-
tout syro-palestinienne - avaient déjà trouvé place dans l'office
monastique, a côté peut-être d'autres compositions autochtones
et rédigées en langue copte mais où il est difficile de ne pas
reconnaître une influence syrienne. On pensera surtout aux Théo-
tokies qui viennent de faire l'objet d'une importante étude 7 mais
dont l'origine complexe et la destination première sont encore
loin d'être pleinement élucidées. D'autres pièces, dont certaines
pourraient être anciennes, semblent bien, elles, purement égyp-
tiennes et demanderaient à être étudiées en relation avec les
poésies de l'Egypte ancienne - tant en ce pays la tradition ex-
ceIle à conserver les thèmes culturels sous de revêtements appa-
remment nouveaux - et avec les chants populaires actuellement
encore.

7 Dans: GABRIELE GIAMBERNARDINI, Il culta mariano in Egitto, II, seC. VII-X


(Franciscan Printing Press, Jerusalem 1974), pp. 231-266.
LA LITURGIE ALEXANDRINE ET LES AUTRES LITURGIES 119

Parmi les monastères du Wadi Natrun, il en est deux, peu


éloignés l'un de l'autre, qui ont joué dans l'histoire spirituelle
et culturelle de l'Egypte chrétienne un rôle particulièrement im-
portant. Il s'agit d'une part du monastère de Saint Macaire -
Abou Makar - qui devait être, des siècles durant, la résidence
habituelle des patriarches coptes et exercer de fait dans le déve-
loppement de la liturgie copte une fonction comparable à celle
qu'ont tenu par exemple pour la liturgie syro-mésopotamienne
le monastère de la Vierge à Mossoul, dit « Monastère d'en-haut »,
ou, pour la liturgie byzantine le monastère du Stoudion. L'autre
monastère, tout voisin, est celui de Saint-Marie des Syriens (Deir
Suriani) occupé, sans doute jusqu'au XVI" s., par des moines sy-
riens et dont les restes de la magnifique bibliothèque consti-
tuent une part, parmi les plus précieuses par l'importance et
l'ancienneté, des fonds syriens de la Bibliothèque Vaticane et
du British Museum. En ce monastère c'était donc la liturgie syro-
antiochienne qui fut célébrée durant près de dix siècles. Ce de-
vait être, on s'en doute, un élément important dans les échanges
continus entre les deux Eglises soeurs. Malheuresement, ici en-
core, les jalons sont peu nombreux qui pourraient permettre
d'estimer cette influence et les études comparatives n'ont pas
encore été entreprises.
C'est seulement à partir des XI"-XII' ss. que nous trouvons
enfin un terrain mieux assuré grâce aux manuscrits, hélas trop
fragmentaires, parvenus jusqu'à nous, grâce surtout aux collec-
tions de décisions canoniques qui se multiplient à partir de
cette époque. Non que les questions liturgiques y tiennent une
grande place, à la différence de ce qui se produisait en pays
syrien; néanmoins elles fournissent de précieuses informations,
corroborées par celles que nous trouvons dans les "Vies des
Patriarches», beaucoup plus précises à partir de cette époque
qui vit une réorganisation et une véritable renaissance de l'Eglise
copte après les désordres consécutifs aux mesures antichrétien-
nes du calife fatimite Hakim. Or nous pouvons constater qu'une
fois encore, notamment au temps du patriarche syrien Michel,
surnommé le Grand dans le dernier tiers du XII' s., l'Eglise
d'Antioche fut appelée à intervenir en des questions importan-
tes, pour aider l'Eglise copte à réorganiser sa discipline: ce fut
notamment le cas dans le domaine pénitentiel. Tout cet ensemble
devait être repris et organisé dans les grandes collections cano-
niques des XIII'-XIV' ss., notamment celle d'Ibn aI-AssaI as-Safi
120 1. H. DALMAIS

et celle du prêtre Macaire. Mais surtout, vers cette époque, qui


est dans tout le mond chrétien le temps des grandes compila-
tions et des Sommes, nous avons en Egypte les deux ouvrages
fondamentaux d'Ab'ul Barakat et d'Ibn Siba, dans lesquels la
liturgie occupe une place de choix. D'autre part nous disposons
désormais de manuscrits de plus en plus nombreux qui témoi-
gnent d'une liturgie en cours de fixation. Celle-ci sera acquise,
aux temps sombres du début du xV' s. C'est alors en effet que
les plus lourdes menaces pesaient sur la survie même de l'Eglise
copte, que le patriarche Gabriel V (1409-1427) promulgua, sans
doute en 1411, une Ordination' destinée à fixer les usages litur-
giques et que l'on peut comparer à bien des égards avec la
célèbre Diataxis de Philothée Kokkinos, patriarche de Constan-
tinople entre 1354 et 1376. Le champ en est d'ailleurs beaucoup
plus vaste puisqu'il s'étend à l'ensemble des célébrations sacra-
mentaires, entendues au sens le plus large du terme, ainsi qu'à
la sanctification ecclésiale du soir et du matin par l'offrande
de l'encens, rite repris - ou plutôt transposé - de la tradition
juive et auquel l'Eglise d'Egypte a donné une ampleur et une
solennité sans égal ailleurs, le reliant étroitement à la célébra-
tion eucharistique qui requiert normalement cette préparation,
en laquelle la fumée de l'encens est inséparablement louange,
intercession et surtout purification. Ici encore, il serait inté-
ressant et instructif de comparer ce rite avec le sédro de la litur-
gie syro-antiochienne et maronite, qui fait précéder la fumiga-
tion de l'encens et la prière qui l'accompagne (étro) par une do-
xologie (prémio) et une formule complexe, le sédro proprement
dit, à la fois commémoraison - qui prend souvent allure de ca-
téchèse - et intercession. On remarquerait alors, que ansi qu'il
en va pour l'anaphore, les Syriens ont construit un "discours
ordonné» - tel est précisément le sense du terme sédro -
tandis que les Coptes se satisfont de juxtaposer rites, acclama-
tions et prières, ces dernières se retrouvant d'ailleurs avec les
mêmes formulaires, au cours de la célébration eucharistique et
des autres sacrements.
Ainsi, en son dernier état, celui du moins sous lequel elle
s'est perpétuée jusqu'à nos jours avec de minimes variantes 10-

B Edit. et trad. italienne par le P. ALFONSO 'ABDALLAH, D.F.M.: L'ordinamento


liturgico di Gabriele V (Ed. Centra Francescano di Studi Orientali Cristiani, Le
Caire 1962).
LA LITURGIE ALEXANDRINE ET LES AUTRES LITURGIES 121

cales, la liturgie copte apparait comme un ensemble complexe


dans lequel se sont incorporés au cours des temps des usages
d'origines diverses mais parmi lesquels l'influence syro-antio-
chienne, plus sans doute que cene de Jérusalem qu'il importerait
cependant de ne pas minimiser, a joué un rôle considérable. La
méfiance instinctive - et hélas trop justifiée - des Egyptiens à
l'égard de tout ce qui venait de Constantinople semble par con-
tre laisser peu de place à des interventions directes de la tradi-
tion byzantine. Mais celle-ci avait assimilés, à côté de massifs
apports venus d'Antioche et de Jérusalem, ceux, plus difficiles à
discerner, venus d'Anatolie et plus particulièrement de Cappa-
doce. Or les influences cappadociennes ont été nombreuses et
profondes en Egypte, et celà sans doute dès l'époque proprement
alexandrine. L'anaphore type du Siège de Saint Marc, dont la ré-
daction grecque garde le patronage alors que la recension copte
se met sous celui de Saint Cyrille, est devenue au COurs des
temps d'un usage si restreint - elle est en principe réservée
pour le temps de Carême, particulièrement conservateur et pour
quelques rares occasions - qu'on doute avoir conservé sa mo~
dulation propre, ce pourquoi beaucoup de prêtres coptes croient
devoir s'abstenir de l'utiliser. D'autres anaphores de même type
nous ne possédons que quelques bribes, à l'exception de celle
retrouvée en 1886 dans un euchologe de l'Athos sous le titre de
«Prière de l'évêque Sérapion" et qui, du moins dans le texte
qui nous est parvenu, ne va pas sans poser des questions encore
mal éclaircies '. Ce type alexandrin d'anaphore a fait place, dans
l'usage habituel, à une anaphore mise - avec de bonnes rai-
sons à ce qu'il paraît 10 - sous le patronage de Saint Basile et
qui est une rédaction plus sobre, et peu-être plus archaïque, de
l'anaphore basilienne du rite byzantin et de celles qui lui sont
apparentées. A côté d'elle l'Eglise d'Egypte utilise pour les fêtes
du Seigneur une autre anaphore, parvenue jusqu'à nous, tant
dans l'original grec que dans les versions copte et arabe, sous
le patronage de Saint Grégoire le Théologien et qui, si elle n'est
pas l'oeuvre de l'évêque de Nazianze lui-même, paraît bien du

9 B. CAPELLE, L'Anaphore de Sérapion, essai d'exégèse (Le Muséon 59, 1946.


pp. 425-443); B. BOTIE, L'Euchologe de Sérapion est-il authentique? (Oriens
Christianus 48, 1964, pp. 50-56).
la B. CAPELLE, Les liturgies «basilienl1es» et Saint Basile. Annexe à: Un té-
moin archaïque de la liturgie copte de S. Basile, par J. DORESSE et Dom E. LANNE
(Bibliothèque du Muséon 47, Louvain 1960).
122 I. H. DALMAIS

moins d'origine cappadocienne et plus précisément de milieux


imprégnés de la pensée et du style même de Grégoire n.

CARACTÈRES SPECIFIQUES DE LA LITURGIE EGYPTIENNE

Tout compte fait, le caractère proprement alexandrin de la li-


turgie copte est bien difficile à détecter. A la différence de ce qu'il
en est pour Jérusalem, Antioche, la Cappadoce ou Rome, on ne
parvient guère à retrouver la marque caractéristique, non seule-
ment des maîtres alexandrins du III' s., mais, ce qui est plus
surprenant, des grands Docteurs qui ont illustré le Siège de Saint
Marc: un Athanase ou un Cyrille, ni de ceux dont la tradition
copte se recommande particulièrement comme de leurs fidè-
les héritiers, tels un Dioscore.
Mais si, à cet égard, la liturgie copte ne saurait être consi-
dérée comme une expression fidèle de la tradition chrétienne
alexandrine, elle est bien égyptienne, modelée par le génie an-
cestral des fellahs de la Vallée du Nil qui ont marqué de leur
empreinte ce qu'ils accueillaient de toutes le régions du monde
chrétien avec lesquelles leur pays était en relation. Deux traits
s'imposent à qui, dans les métropoles cosmopolites de l'Egypte
moderne, Le Caire ou Alexandrie, fréquente les liturgies des di-
verses communautés chrétiennes qui y coexistent depuis des
siècles et qui, jusqu'à ces toutes récentes années, y tenaient une
place qui risquait de faire oublier la vie discrète et fervente des
humbles communautés coptes, cependant de beaucoup les plus
nombreuses.
Humilité et discrétion sont bien en effet leurs caractères
les plus distinctifs. Une discrétion qui peut d'ailleurs être bruyan-
te aux jours de festivité et si l'athmosphère paraît rassurante.
Mais il s'agit alors de l'explosion spontanée d'une ferveur popu-
laire, souvent assez fruste. Rien ici du faste impérial de la litur-
gie byzantine, transposant pour célébrer le Pantocrator le céré-
monial hérité de l'empire perse. Ni le rituel ni le chant ne vont
à créer cette athmosphère sacrale qui faisait dire aux envoyés du
Grand Prince Vladimir de Kiev, si du moins nous en croyons la
Chronique de Nestor, qu'en pénétrant dans la basilique impé-

11 ERNST HAMMERSCHMIDT, Die koptische Gregoriosanaphora (Berlin, 1957).


LA LITURGIE ALEXANDRINE ET LES AUTRES LITURGIES 123

riale de Sainte Sophie ils s'étaient cru transportées dans le ciel


et admis à assister aux liturgies angéliques. L'eschatologie en la-
quelle se meut la liturgie copte, comme nécessairement toute
liturgie chrétienne, n'est pas une" eschatologie réalisée» en la-
quelle, sous le voile ténu des rites mystériques, se manifeste déjà
l'activité de l'Esprit qui transfigure dans le Christ la face de ce
monde et fait toutes choses nouvelles. L'Egypte, depuis la plus
haute antiquité, a trop le sens de l'au-delà et des redoutables
cheminements par lesquels il faut passer pour parvenir en
l'Amenti, pour oser anticiper ce qu'il n'est pas donné aux hom-
mes de percevoir aussi longtemps qu'ils n'ont pas franchi le fleu-
ve qui sépare la Cité des morts de celle des vivants.
Ils se reconnaissent sans doute mieux dans l'attitude d'at-
tente qui imprègne les liturgies syriennes et que le P. Michel
Hayek a heureusement qualifiée de " purgatoriale ». Mais ils sont
précisément moins sensibles à l'esprit pénitentiel qu'évoque cette
expression et qui est, de fait, si marqué chez les Syriens, et
notamment chez les maronites. C'est d'ailleurs l'une des diffé-
rences les plus notables qu'on peut reconnaître également entre
le monachisme égyptien et le monachisme syrien, qui s'est pour-
tant mis très tôt à l'écoute et à l'école des Pères des déserts
d'Egypte. On ne retrouve pas non plus chez les Coptes cette
maîtrise, souvent déconcertante, à jouer des réminiscences scrip-
turaires pour en tisser des hymnes aux profondes résonances
poétiques. Doué d'une extraordinaire imagination visuelle et mê-
me visionnaire, l'Egyptien l'est beaucoup moins pour l'expres-
sion verbale. C'est un méditatif qui aime ruminer longuement des
textes simples et concrèts. Et, en raison sans doute de ce tem-
pérament et sous l'influence des moines dont la spiritualité
s'accordait spontanément à l'écoute patiente des Ecritures, la
liturgie copte est, par excellence, liturgie biblique. A cet égard
encore elle se trouve apparentée à la liturgie romaine: liturgie
de terriens qui ne cessent d'ameublir le sol pour qu'il puisse
porter abondantes récoltes, et non de pasteurs, d'artisans et de
commerçants comme le sont les Syriens, ouverts aux vastes éten-
dues et avides d'espaces nouveaux. Les gestes également y de-
meurent peu nombreux, simples et mesurés; le symbolisme y
tient peu de place, à la différence de ce qu'il en est en Syrie ou
dans le monde byzantin. Tout est concrèt, à fleur d'expérience
quotidienne en laquelle passe et s'exprime une foi qui va à
l'essentiel et se refuse à ce qui lui paraît trop complexe pour
124 1. H. DALMAIS

rejoindre une réalité qui ne se prête pas à l'analyse. C'est peut-


être là qu'il faut chercher la racine d'une christologie qualifiée
de monophysite et qui entend seulement s'attacher d'un seul
élan à la personne de Jésus en reconnaissant et Lui « Emmanuel,
notre Roi, notre Dieu », ainsi qu'elle se plait à l'acclamer. Re-
marquable à cet égard est l'incise introduite par le Patriarche
Gabriel II Ibn Turaïk (1131-1145), le compilateur du Lectionnai-
re de la Semaine Sainte et l'un des grands législateurs de la
renaissance copte. Peu après son accession au Siège de Saint
Marc, alors qu'il se trouvait au monastère de Saint Macaire, il dé-
cida d'insérer à l'intérieur de la profession de foi que le célébrant
proclame au nom du peuple avant de communier, les mots:
« sans mélange, sans confusion et sans altération », c'est à dire
les termes mêmes de la formulation christologique de Chalcé-
doine que l'Eglise copte s'est toujours refusée à accepter en
raison des conditions dans lesquelles elle avait été promulguée.
L'expression abstraite de « nature» n'est pas proférée. mais bien,
de manière très concrète, la distinction au sein d'une union insé-
parable de la divinité et de l'humanité du Verbe incarné.
A certains égards cette liturgie copte pourrait paraître pauvre
au regard d'autres traditions. Oui, sans doute, c'est la liturgie
d'une communauté essentiellement rurale qui n'a guère été en
situation de susciter des intellectuels qui développent en son sein
des moyens propres d'expression. Ceux-ci, plusieurs siècles déjà
avant l'ère chrétienne, s'étaient laissé gagner par d'autres cul-
tures et d'autres modes d'expression. A la différence de ce qu'il
en a été dans le monde syrien, on passe directement en Egypte
de l'hellénisme à l'arabisation et, hormis les traductions, la lit-
térature copte ne connaît guère que des homélies, des vies de
saints, une hymnographie originale assez fruste. On comprend
qu'un tel terrain n'ait été que médiocrement favorable à la con-
servation, et moins encore au développement d'une culture chré-
tienne telle qu'elle s'était d'abOI·d vigoureusement exprimée dans
les cadres de l'hellénisme alexandrin. Il faut plutôt s'étonner et
admirer qu'elle ait réussi à en sauvegarder quelques bribes. Mais
la foi profonde, la piété simple de ce petit peuple de fellahs et
de moines qui entretenaient en lui la flamme spirituelle, a su
s'assimiler les éléments issus de chrétientés mieux pourvues, no-
tamment celles de Syrie avec lesquelles l'histoire, les affinités
doctrinales et spirituelles, une commune allergie à l'égard de ce
qui rappelait le colonialisme byzantin, avaient tressé des liens
LA LITURGIE ALEXANDRINE ET LES AUTRES LITURGIES 125

multiples. Mais il s'agit bien d'assimilation et non d'emprunt


ou d'imitation; c'est vraiment en leur propre chair, selon leur
tempérament et leur tradition spirituelle, si différentes de ceux
des Syriens, que les chrétiens d'Egypte ont transformé ce qu'ils
recevaient. Et ainsi s'est constituée peu à peu une liturgie pro-
fondément originale en même temps que véritablement oecu·
ménique. C'est sans doute là la première leçon que nous pou·
vons entendre de l'Egypte chrétienne et de la liturgie copte.

RAYONNEMENT DE LA LITURGIE COPTE

Si spécifiquement égyptienne qu'elle soit, cette liturgie de-


vait pourtant étonnamment provigner jusqu'au coeur des hautes
terres de la Corne orientale d'Afrique, en ce mystérieux royau·
me d'Axoum qui devait devenir l'Ethiopie et se glorifier de ses
origines salomoniennes comme de son enracinement biblique. On
sait comment, dès l'origine, la christianisation de ce pays le plaça
sous la haute juridiction du pape et patriarche d'Alexandrie, de
par l'ordination épiscopale conférée par Saint Athanase au Syrien
Frumentios, l'apôtre des Axoumites qui l'appellent «Abba Sala-
ma », Père pacifique (Irénée!!), puis surtout au temps de l'empe-
reur Justinien par la mission des «Neuf saints Romains ». S'il
semble bien que plusieurs d'entre eux au moins aient été d'ori·
gine syrienne et partisans de Sévère d'Antioche, la tradition as-
sure qu'ils vinrent au pays d'Axoum à partir des monastères
d'Egypte.
Si obscures que demeurent pour nous les origines chré·
tiennes de l'Ethiopie et la structure de ses plus anciennes tradi-
tions liturgiques et disciplinaires - et il semble bien qu'elles
aient dû beaucoup à la Syrie et plus spécialement au foyer oecu-
ménique de Jérusalem que tous les Ethiopiens considèrent com·
me leur première patrie - il est indéniable que, depuis la fa·
meuse restauration salomonienne de 1270, et même au temps des
rois Zagwé au XII' s., l'influence copte devint prédominante.
C'est un abouna égyptien, un nouvel Abba Salama qui, dans la
seconde moitié du XIV' s. (1348·1388), a laissé le souvenir du
grand réorganisateur de l'Eglise d'Ethiopie. Cette oeuvre, il l'ac-
complit évidemment en prenant pour base les usages discipli-
naires et liturgiques de son monastère de Saint Antoine, en Thé-
126 1. H. DALMAlS

baïde, c'est à dire dans la grande tradition du Siège d'Alexan-


drie. Il ne saurait entrer dans notre propos d'étudier comment
cette tradition en vint ainsi à s'incorporer des apports venus de
tous les points du monde chrétien et notamment des éléments
syriens qui n'avaient jamais été adoptés en Egypte ou qui avaient
depuis longtemps disparu; je pense notamment à certaines ana-
phores dont les fragments du « Grand Euchologe " du Monastère
Blanc montrent qu'elles furent en usage à une certaine époque
dans l'Eglise copte. Mais il serait intéressant surtout, et ce tra·
vail n'a pas été encore amorcé, de rechercher comment une Iitur·
gie essentiellement méditerranéenne et toute imprégnée par la
culture hellénistique, s'est africanisée, développant jusqu'à l'exu-
bérance les éléments gestuels et hymniques dont nous avons dit
combien ils étaient sobres, et même pauvres, dans la liturgie
copte. Il fallait du moins évoquer, en conclusion de ce rapide
survol d'une tradition aussi profondément enracinée au sein d'un
peuple et témoin fidèle de ses caractères les plus spécifiques,
comment, transplantée dans un autre sol différent à tous égards,
elle s'est avérée capable de s'ouvrir aux requêtes de cette situa-
tion nouvelle. N'en était·i1 pas allé de même pour la liturgie
romaine, dont nous avons noté dès le départ les relations avec
la liturgie alexandrine, lorsqu'elle fut accueillie en France et
surtout au sein du nouvel empire romano·germanique postcaro·
Iingien? En l'un et l'autre cas, il s'est agi non pas de mutation,
moins encore de création artificielle d'une liturgie nouvelle, mais
d'adaptation, que l'on pourrait qualifier de biologique, d'une
tradition ferme en ses éléments fondamentaux, et qui, par l'Esprit
qui l'animait, s'est montrée capable, pour reprendre les mots
de Saint Irénée, de renouveler le vase qu'elle remplissait.

1. H. DALMAIS, O.P.
LA LITURGIE NARBONNAISE TÉMOIN D'UN CHANGEMENT RAPIDE
DE RITES LITURGIQUES

LE CADRE HISTORIQUE

Fondée en 118 avant J.-C. " par un décret du Sénat romain,


la « Colonia Narbo Martius" devient bientôt un des plus impor-
tants foyers de la romanisation de la Gaule. Son emplacement
dans la plaine de l'Aude, face à la Méditerranée, et à côté de
la voie romaine qui relie par terre l'Italie et l'Espagne, fait qu'elle
est aussi un carrefour qui bientôt va accueillir la Bonne Nou-
velle de l'Évangile. Son premier évêque connu est Paul, marty-
risé au milieu du III" siècle, mais il est possible que la com-
munauté chrétienne de Narbonne, à ce moment, eut déjà un
siècle d'existence.
Quand les cadres ecclésiastiques de la Gaule se fixèrent sur
le modèle des divisions civiles du Bas Empire, à la fin du IV'
siècle, Narbonne, chef-lieu de la Narbonnaise Ire, devint aussi
la métropole d'une province ecclésiastique qui s'étendait du
Rhône à la Garonne .et des Cévennes aux Pyrénées. Elle compre-
nait les territoires de ces cinq citées: Toulouse, Narbonne, Bé-
ziers, Lodève et Nîmes. Toutes, à ce moment-là, avaient déjà un
évêque. Bientôt, dans la première moitié du V' siècle, le « cas-
trum» d'Uzès aura aussi son évêque. Agde l'aura au commence-
ment du siècle suivant, et à la fin de ce même siècle, Maguelonne,
Elne et Carcassonne. Les progrès faits par toutes ces commu-
nautés chrétiennes en sont la cause'.
Les événements politiques imposent des pertes à la métro-
pole narbonnaise, parce qu'après la victoire de Clovis sur les vi-
sigoths à Vouillé, en 507, Toulouse et Uzès sont rattachées civi-
lement et ecclésiastiquement au Royaume Franc. Dès lors et

1 Cette date fait actuellement l'objet d'une controverse, mais je m'en


tiens à la datation traditionelle.
~ Sur l'organisation ecclésiastique de la Narbonnaise et son histoire, voir
L. DUCHESNE, Fastes épiscopaux de l'ancienne Gaule, I, Paris 1894, p. 28955., ct
E. GRIFFE, Histoire religieuse des anciens pays de l'Aude. 1: Des origines
chrétiennes à la fin de l'époque carolingienne, Paris 1933.
128 MIQUEL S. GROS

jusqu'à la chute et disparition du royaume visigoth de Tolède,


dans les premières années du VIII' siècle, la métropole nar-
bonnaise aura huit diocèses.
L'équilibre qu'il y avait entre les métropolitains de Narbon-
ne, Vienne et Aix fut brisé l'an 417, quand le pape Zosime donna
à l'évêque Patrocle d'Arles les droits de métropolitain sur ces
trois provinces et aussi. dans une certaine mesure, le vicariat
papal sur toutes les églises de la Gaule. On peut soupçonner
qu'avec cette mesure Zosime avait le dessein d'éclipser le pou·
voir et le rayonnement acquis par le métropolitain de Milan,
cité qui jusqu'aux premières années du V' siècle, quand Hono-
rius s'installe à Ravenne, avait été la véritable capitale de l'Empire
Romain d'Occident. Les protestations des trois métropolitains
endommagés par la décision papale - parmi eux il y avait l'évê-
que Hilaire de Narbonne - obtinrent qu'à la mort de Zosime,
à la fin de l'an 418, tout retourne plus ou moins à son état
primitif. Mais la question sera renouvelée, presque cent ans
après, par Césaire, l'énergique moine de Lérins, élu évêque d'Ar-
les, très probablement en l'an 503. Les circonstances politiques
ont changé. L'évêque d'Arles est déjà métropolitain, et, l'Empire
Romain d'Occident disparu, la Narbonnaise et la Provence se trou-
vent sous le même pouvoir politique des visigoths. C'est à ce
moment que Césaire prend l'initiative de réorganiser la vie ecclé-
siastique de tout le sud de la Gaule. Il commence par réunir, en
l'an 506, à Agde, près de Narbonne, avec la permission du roi
arien Alaric II, un concile national de toute la Gaule visigothi-
que, auquel participent directement ou par représentation 34
évêques des provinces ecclésiastiques d'Arles, Narbonne, Eauze,
Bordeaux, Tours et Bourges. Césaire avait aussi le plan de ras-
sembler, en 507, un autre grand concile à Toulouse, capitale du
Royaume Visigoth, auquel il avait même invité les évêques de
la partie hispanique de ce royaume, mais la mort du roi Ala-
ric II à Vouillé et la disparition du Royaume de Toulouse ont
empêché sa célébration. Césaire obtiendra l'honneur d'être nom-
mé vicaire papal de la Gaule et de l'Espagne l'an 514, mais à
cause de la situation politique, il pourra seulement organiser des
conciles dans la Provence'.

3 Sur l'oeuvre de Césaire d'Arles, voir principalement A. MALNORY, Saint


Césaire, évêque d'Arles (503-543), Paris 1894.
LA LIT. NARBONNAISE TÉl\.!lOIN DE CHANGEMENTS 129

Le concile d'Agde, sommet des plans de réorganisation de


Césaire, et ses actes, où on parle largement de la liturgie, avec
l'intention d'imposer l'unification des rites dans une même pro-
vince ecclésiastique, vont marquer profondément l'évolution pos-
térieure des rites hispaniques_
Miguetius, métropolitain de Narbonne, participera au nI"
Concile de Tolède, l'an 589, par lequel le roi Reccarède, avec
l'abjuration de l'arianisme, prépare la fusion du peuple visigoth
avec les romains hispaniques_ Il souscrit les actes du concile
après Léandre de Séville. Également le métropolitain Sergieus,
après Isidore de Séville, soussigne les actes du IV' Concile de
Tolède, l'an 1633, en beaucoup d'aspects inspirés par les canons
du concile d'Agde, où on se propose que toutes les églises d'Es-
pagne et de la Gaule narbonnaise aient la même organisation
liturgique pour la célébration de la messe et des offices des
vêpres et des matines. Avoir une même foit et faire partie d'un
même royaume, selon la mentalité d'Isidore, le promoteur et
président du concile, exige d'avoir les mêmes coutumes liturgi-
ques. Les frontières politiques font que la Narbonnaise, qui avait
servi de pont au passage des plans d'organisation ecclésiastique
et liturgique de Césaire d'Arles à Tolède, finisse très intimement
unie au siège de Tolède et même qu'elle accepte, au moins en
théorie, ses rites liturgiques.
Malgré tout il est possible que la contribution spécifique-
ment narbonnaise à la formation du rite de Tolède soit assez
pauvre. Il faut se rappeler que nous n'avons pas, dans la Nar-
bonnaise, aux siècles V· et VI", des écrivains d'importance. Le
manque de centres de culture comme Lérins, Marseille, Lyon et
Vienne, peut expliquer l'absence, dans la Narbonnaise, des com-
pilateurs de lectionnaires de la messe et de sacramentaires com-
me Claudien de Vienne, Musée de Marseille et Grégoire de Tours '.
Mais tout va changer avec l'invasion arabe de la péninsule
ibérique, commencée l'an 711. La Narbonnaise qui avec son duc
Paulus, au temps de Vamba, s'était déjà soulevée contre le pouvoir
des rois de Tolède, n'accepte pas le transfert des droits royaux fait
par Aquila, fils du roi Vititza, au calife de Damasque Al-Valid.

4 Sur ces livres liturgiques, voir C. VOGEL, Introduction aux sources de


['histoire du culte chrétien au Moyen .4ge, Spoleto 1966, p. 259, et PL 71, col.
218, respectivement.
130 MIQUEL S. GROS

La réponse des nobles goths, et peut-être du haut clergé, fut


de nommer roi Ardon, probablement un familier du feu roi Vi-
titza '_ C'est seulement au printemps de l'an 720, que Al-Samh,
le gouverneur arabe de l'Espagne, passe les Pyrénées afin d'occu-
per la Gaule Narbonnaise, qui par la cession d'Aquila était pro-
priété du calife_ Le passage des troupes arabes, comme quelques
années auparavant dans les villes de la partie orientale de la Tar-
raconnaise, trouve la résistance des partisans d'Ardon_ Narbon-
ne, après un dur siège, est assaillie_ Les défenseurs de la ville
sont passés par l'épée, et leurs femmes et enfants sont transpor-
tés comme esclaves à l'intérieur de la péninsule hispanique_ Il
est même très possible que le roi Ardon n'ai pas pu s'enfuir de
la ville_ Malgré tout la Narbonnaise résiste, et c'est seulement
après cinq ans que toutes ses villes sont sous le pouvoir arabe.
La dernière, Carcassonne, est occupée par capitulation en 725.
Quoique partout passent les arabes, l'église chrétienne est res-
pectée, on a la sensation que dans la Narbonnaise elle reste très
désarticulée, sans monastères et même peut-être sans évêques.
Est-ce qu'ils se sont enfuis, comme auparavant les métropoli-
tains Sisnande de Tolède et Prosper de Tarragona, afin d'éviter
les répercussions de son alliance avec la résistance des visigoths?
On ne le sait pas, mais c'est possible.
La défaite de Poitiers, en l'an 732, marque la fin de l'expan-
sion arabe dans la Gaule, et aussi le commencement de la réac-
tion franque. Mais il faudra attendre encore près de vingt-cinq
ans pour que le Royaume Franc, renouvelé par Pépin le Bref,
annexe la Narbonnaise. Pépin tire avantage des disputes inter-
nes provoquées en Andalousie par l'ommayade Abd Al-Rahman
qui, échappé au massacre de 750, réussit à gagner l'Espagne, et
en l'an 752 il obtient que les comtes goths de Nîmes, Maguelonne,
Agde et Béziers, après avoir rompu leur serment de fidélité au
vali de Narbonne, ouvrent les portes de leurs villes aux troupes
franques. La prise de Narbonne, l'an 759, après un autre siège
très dur, marque la fin du pouvoir arabe dans la Narbonnaise.
Cette fois-ci la lutte a été forte et dure et la Narbonnaise en
sort économiquement et réligieusement malmenée. Il est pos-
sible que les attaques des ducs indépendants de l'Aquitaine et

~ Sur ce sujet, voir M. COLL l ALENTORN, Bis successors de Vititza en la


zona nord-est deI domini visigàlic, Barcelona 1971.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 131

l'occupation franque lui ont fait plus de mal que les arabes
mênles 6.
Mais aussi l'incorporation de la Narbonnaise au Royaume'
Franc porte sa renaissance. Daniel est le premier nouvel évêque
de Narbonne qu'on connaît, et on le trouve à un concile de
Rome, l'an 769, avec d'autres évêques francs. Bientôt on verra
l'apparition de nouveaux monastères, et le siège de Narbonne,
outre qu'il récupère la juridiction métropolitaine sur Toulouse
et Uzès, comme conséquence des annexions faites par Charle-
magne et son fils Louis, roi d'Aquitaine, et les ducs de Toulouse
au sud des Pyrénées, après l'an 785, étend aussi sa juridiction
sur Urgell, Vic, Girona, Barcelona et Roda d'Isàbena, évêchés
qui théoriquement étaient de la métropole de Tarragona. C'est
à ce moment quand la province ecclésiastique de Narbonne ob-
tient sa plus grande extension.
C'est aussi à ce moment qu'entre en scène le problème de
l'adoptionisme 7. Au fond et comme une étincelle qui va faire
éclater la question, il y a un plan de captation de l'église hispa-
nique très probablement préparé par Charlemagne. On sait que
le pape Hadrien 1 avait donné la permission à l'archevêque WiI-
caire de Sens de consacrer évêque un certain Egila, probablement
un goth, et de l'envoyer en Espagne pour y prêcher la foi ortho-
doxe. Nous sommes en l'an 782. Mais Egila était plus un aven-
turier qu'un véritable apôtre. Arrivé en Espagne, Egila trouva
une église bien organisée, renfermée en elle-même, sous la di-
rection d'Elipande, archevêque de Tolède. L'apôtre finit pour
s'allier avec un illuminé, nommé Miguetius, personnage aux doc-
trines en beaucoup d'aspects extravagantes et hérétiques. Le pape
lui retira la mission qu'on lui avait confié et il fut condamné
par tout l'episcopat hispanique, l'an 785, dans un concile ras-
semblé à Séville, sous la présidence d'Elipande. La profession
de foi signée en ce concile est le point de départ de toute la

6 Sur l'occupation franque de la Narbonnaise, voir R. D'As.<\DAL 1 DE VINYALS,


El paso de Septimânia deI dominio goda al franco a través de la invasi6n
sarracena, 720-768, dans «Cuadernos de hiritoria de Espafia» XIX (1953),
pp. 5-54.
7 A notre avis la meilleure étude sur l'adoptionisme c'est R. D'ABADAL 1 DE

VINYALS, La bal alla dei Adopcionismo en la desilllegracidn de la iglesia


visigoda, Barcelona 1949. Voir aussi M. Rm, Revision dei problema adopcionista
en la di6cesis de Urgel, dans «Anuario de estudios medievales " l (1964),
pp. 77-96.
132 MIQUEL S. GROS

crise adoptioniste. Bientôt elle sera réfutée par le moine Beatus


de Liébana et l'évêque Heterius d'Osma, au royaume d'Asturias,
et par Alcuin de York, à la cour de Charlemagne. La victime en
sera l'évêque Félix d'Urgell, qui, malheuseusement, était un sujet
de Charlemagne, et les conséquences les plus importantes seront
l'autodétermination de l'église du royaume d'Asturias et la totale
incorporation des évêchés de la métropole de Narbonne à l'église
franque.
C'est aussi à ce moment-là qu'eut lieu dans la Narbonnaise
la substitution des rites liturgiques hispaniques par les rites ro-
mano-francs. L'archevêque Elipande dans ses écrits utilise des
textes pris dans les livres liturgiques de Tolède, et il dit qu'ils
sont l'oeuvre d'Isidore de Séville et des évêques Eugenius, Il-
dephonse et Julien de Tolède '. Ces textes sont véritablement or-
thodoxes, et encore aujourd'hui on les utilise dans la chapelle
mozarabe de Tolède, mais son vocabulaire est archaïque et on
peut les comprendre mal. C'est pour cette raison que dans la
lettre synodale du concile de Frankfurt de l'an 794, où l'adoptio-
nisme fut solennellement condamné, les évêques du Royaume
Franc donnent cette réponse à Elipande et aux évêques de
l'Espagne: «Ces textes de vos pères que vous nous avez en-
seigné, montrent quels pères vous avez et aussi ils rendent évi-
dent à tous la raison pour laquelle on vous a livré aux mains des
infidèles» '. Après, les évêques francs citent des prières copiées
d'un sacramentaire romain qu'on attribue au pape Grégoire le
Grand. Elles sont toutes orthodoxes, d'accord avec la véritable
foi de l'Église. Il faut retenir aussi que dans le capitulaire publié
par Charlemagne à la suite de ce concile, comme auparavant
dans l'Admonitio generalis de l'an 789, on insiste en ce qu'il
faut donner la paix après le canon de la messe et non interdit de
réciter les diptyques avant le canon. Ces textes montrent qu'au
concile on avait décidé de finir avec ce qui restait encore dans
le royaume de l'ancienne tradition gallicano·hispanique dans les
rites de la célébration de la messe. En liturgie, les évêques de
la Narbonnaise étaient en faux, avec des livres blâmés comme
hérétiques dans un concile représentatif de toute l'église occi-
dentale, et aussi en désacord avec les rites du reste de royaume.

8 Cf. A. WERMINGHOFF, Concilia Aevi Karolini l, MGH, Hannover 1906, p. 113.


~ Cf. WERMINGHOFF, Concilia l, p. 145.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 133

C'est normal dans ces conditions qu'ils prirent bientôt la déci·


sion de changer de liturgie 10.
Tout nous porte à croire que cette entreprise fut l'oeuvre
personnelle des deux plus importants personnages de cette épo-
que dans la Narbonnaise, Benoît d'Aniane et l'archevêque Nébri-
de de Narbonne. Benoît, né vers l'an 750, était fils du comte goth
de Maguelonne et portait, en famille, le nom de Vititza. Il reçut
un excellente éducation dans la cour carolingienne, ce qui le re-
lia profondément avec la famille royale. L'an 774 il prit l'habit
monacal au monastère de St-Seine, près de Dijon. En 780 il
rentre en Narbonnaise et dans un domaine familial, situé à
côté du ruisseau Aniane, dans l'Hérault, avec des camarades,
il fonde un monastère où on cherche à vivre en toute fidélité la
règle bénédictine. La communauté d'Aniane devient bientôt un
modèle pour tous les autres monastères du royaume. Parmi ses
camarades il y a Nébride, qui peu après va fonder le monastère
de Lagrassa, à mi-chemin de la route qui relie Narbonne et Car-
cassonne, et en 799 il est déjà archevêque de Narbonne. Les deux
ont toute la confiance des cours d'Aix-la-Chapelle et de Toulouse,
et l'entrée de Nébride dans le siège métropolitain représente
l'infiltration de l'esprit rénovateur de Benoît d'Aniane dans l'or-
ganisation du clergé séculier. La collaboration des deux ecclé·
siastiques est intime. C'est ainsi que nous les trouvons ensemble,
dans la Narbonnaise, afin d'extirper l'hérésie, avec l'archevêque
Leydrade de Lyon, après le concile d'Aix-la·Chapelle de l'an 799,
à la suite de la rétractation de l'évêque Félix d'Urgel!. La mission
des trois ecclésiastiques eut un succès extraordinaire, et selon
une lettre envoyée par Alcuin à l'archevêque Arnold de Salzbourg
on sait que plus de vingt mille clercs et laïques ont abjuré l'héré-
sie. Parmi eux, selon son témoignage, il y avait des évêques ".
C'est pendant cette légation que l'archevêque Nébride convain·
quit les autres évêques de la Narbonnaise de changer les livres
liturgiques? Nous ne le savons pas exactement, mais c'est très
possible. Et même, c'est la date que nous propose l'étude directe
des rares documents liturgiques qui nous sont parvenus de cette

la Sur cette question, voir A.M. MUN06, El Commicu.s palimsest Paris lat.
2269. Amb notes sobre litllrgia i manuscrits visigàtics a Septimània i CatalunY!l,
dans «Scripta et documenta» VII (1956), p. 23055., et Les changements litur-
giques en Septimanie et en Catalogne pendant la période préromaille, dans «Les
Cahiers de Saint-Michel de Cuxa» II (1971), pp. 29-42.
11 Cf. E. DtJMMLER, Epistolae Karolini Aevi II, MGR, Berlin 1895, p. 346.
134 MIQUEL S. GROS

lointaine époque. Il nous faut donc parler des restes de manus-


crits liturgiques hispaniques d'origine narbonnaise qu'on con-
serve et des premiers livres de liturgie romaine-gallicane qui s'y
sont introduits.

LIVRES NARBONNAIS DE RITE HISPANIQUE

D'abord il faut écarter de notre liste les vénérables frag-


ments palimpsestes du codex Sangallensis 908, par l'incertitude
qu'il nous reste encore sur son véritable lieu d'origine. Ils sont de
la fin du VI' siècle et contiennent la préface d'une messe des dé-
funts qu'on rétrouvera plus tard au Liber Ordinum hispanique et
des prières pour l'office des matines. Son éditeur, Alban Dold ",
croit qu'ils proviennent du sud de la Gaule ou du nord de l'Es-
pagne, et J ordi Pinell " arrive même à proposer pour les prières
matinales de l'office qu'elles sont l'oeuvre de l'évêque Just d'Ur-
gel!. Mais Lowe" préfère les placer au nord de l'Italie, et Klaus
Gamber 15 croit qu'ils contiennent la liturgie d'Aquileia. Cette
incertitude et le fait de nommer" collectio » les prières psalmi-
ques de l'office permet de les croire plus rattachées à la liturgie
gallicane qu'aux rites hispaniques.
Ceci dit, il nOus faut reconnaître que les débris des ma-
nuscrits de rite hispanique, provenant de la Narbonnaise, ne nous
permettent pas de reconstruire avec précision les rites qu'on
y utilisa avant le changement de liturgie. De manuscrits liturgi-
ques proprement dits nous n'en avons que deux, et encore il
nous permettent seulement de connaître quelque chose des lec-
tures utilisées à la messe. Ce sont le palimpseste Paris, BN.,
lat. 2269 et le MS. 6 de la Bib. Mun. de Montpellier. Le premier
vient de la cathédrale de Carcassonne et c'est un Liber Commicus
qui contient les trois lectures de la messe, quelques homélies
et des lectures pour l'office, de la fête de l'Épiphanie au quatrième
dimanche de Carême et pour quelques dimanches de Quotidiano.

Il Cf. A. Dom, Palimpsest-Studien J, Beuron 1955, p. 10.


13 Cf. J. PINELl., Liber Omtionum Psalmographus, Barcelona-Madrid 1972,
p. [94].
lt Cf. E.A. LoWE, Codices Zatini untiquiores, VII, Oxford 1963, n. 958.
15 Cf. K. GAMBER, Codices liturgici Latini antiquiores, I, Freiburg 1968, n. 20lo
16 Cf. MUNDd, El Commicus palimsest, p. 170.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 135

Dans j'étude et l'édition de ce texte, Manuel Mund6" arrive à


pouvoir le dater de la fin du VIII' siècle. Il est certainement écrit
dans la Narbonnaise, et probablement il a été utilisé à Carcas-
sonne même. L'autre manuscrit c'est une partie de la Bible qui
contient les Épîtres de l'apôtre St-Paul et les Épîtres Catholiques,
avec des notes marginales relatives aux lectures de la messe. Il
est écrit en lettre carolingienne avec des grandes influences de
l'ancienne minuscule visigothique, qu'on peut considérer de la
fin du VIII' siècle. C'est l'avis de l'éditeur des notes margina-
les, le P. André Wilmart 17. Ces deux manuscrits, qui certaine-
ment sont de liturgie hispanique, nous montrent que la Nar-
bonnaise, aux moines pour les lectures, a eu ses particularités,
par rapport aux autres rites de l'Espagne visigothique ".
Nous pouvons aussi, probablement, connaître quelque chose
des sacramentaires et des collections d'ordines liturgiques qu'on
y utilisa, par les sacramentaires gallicans qui présentent des
influences hispaniques, parmi lesquels il faut signaler princi-
palement les fragments du sacramentaire palimpseste manus-
crit M 12 Sup. de la Bibliothèque Ambrosiana de Milan" et le
Missel de Bobbio '", qu'on peut dater de la fin du VII' siècle
et de la première partie du VIII' siècle, respectivement. Le pre-
mier procède du sud du Royaume Franc, et aujourd'hui on est
presque d'accord pour considérer le Missel de Bobbio comme
écrit au nord de l'Italie. L'influence hispanique est plus claire
et importante dans ce dernier que dans le palimpseste de l'Ambro-
siana, mais pour le chercheur il est toujours difficile de dire d'où
viennent les textes qu'on trouve ensemble dans les manuscrits

17 Cf. A. WILMART, Un lectionnaire d'Aniane, dans « Revue Mabillon» XIII


(1923), pp. 40-53.
18 De la liturgie hispanique utilisée dans la Tarraconnaisc, nous avons
seulement ces trois manuscrits: Verona, Bib. Cap., MS. LXXXIX (82), des
premières années du VIII~ siècle; Londres, Brit. Mus., Add. 30852, de la
première moitié du IX e siècle, et Autun, Bib. Mun., MS. 27, de la première
moitié du VIlle siècle. Les deux premiers sont des orationales festifs et
proviennent de Tarragona et de l'Aragon, et le dernier contient un recueil de
leçons pascales et provient probablement d'Urgell. Sur les deux orationaux,
voir M.C. DIAZ y DfAZ, La fecha de implantaci6n deI oraciollal festivo visig6tico,
dans «Boletin Arqueol6gico de la Real Sociedad Arqueo16gica Tarraconense»
113·120 (1971·1972), pp. 215·243. Il est probable aussi que les manuscrits des
monastères castillans de Silos et de San Millan de la Cogolla nOUS aient
conservé des textes provenant directement des anciens livres liturgiques
tarraconnais.
19 Cf. A. DOLO, Das Sakramentar im Schabcodex M 12 Sup. der Bibliotheca

Ambrosiana, Beuron 1952.


20 Cf. E.A. LoWE, The Bobbio Missal, a Gallican Mass·book, London 1920.
136 MIQUEL S. GROS

hispaniques et gallicans. Est-ce qu'ils sont gallicans? Est-ce qu'ils


sont véritablement hispaniques? Et encore il ne faut pas écar-
ter l'hypothèse qu'ils peuvent provenir des livres liturgiques com-
pilés dans les foyers culturels de la Provence aux V' et VI' siècles.
Est-ce que ce ne serait pas Arles et son évêque Césaire, le vicaire
papal de la Gaule et de l'Espagne? On sait qu'il a envoyé ses col-
lections de sermons jusqu'en Espagne n. N'aurait-il pas fait la
même chose avec des collections de prières liturgiques? Peut-
être des études plus poussées sur tous ces textes pourront nous
aider à découvrir leur véritable patrie.
Pour l'étude des ordines des sacrements et des sacramentaux
utilisés dans la Narbonnaise avant le changement de rite nous
avons aussi une autre source très importante et sûre. C'est
l'étude des ordines qu'on a composé au moment du changement
des livres liturgiques, parce que dans presque tous ces nouveaux
textes on a conservé les plus importantes pièces hispaniques mé-
langées avec les autres pièces romano-gallicanes. Comme nous
allons le dire plus tard, et d'accord avec les recherches qu'on
a déjà fait, nous pouvons affirmer qu'avant le changement de
liturgie on y utilisa des Liber Ordinum très proches des ma-
nuscrits des monastères de San MiIlân de la Cogolla et de Silos,
des X' et XI" siècles, publiés par Marius Férotin". L'étude de
tous ces ordines va nous permettre de reconstituer le Liber Ordi-
num utilisé à Narbonne avant l'an 800, et même de combler
quelques lacunes des manuscrits qu'on vient de citer.
Probablement nous pouvons savoir quelque chose des orai-
sons psalmiques qu'on y employa dans la célébration de l'office
férial, parce qu'il ne faut pas exclure que la collection hispani-
que de ces pièces, publiée par Wilmart et Brou ", et étudiée si
profondément par Jordi PineIl", fut composée dans la Nar-
bonnaise. Elle a été faite pour la prière individuelle, déjà à
l'époque carolingienne, et presque toutes ses pièces sont prises
dans des livres liturgiques propres à la liturgie hispanique. C'est
possible qu'elle soit l'oeuvre d'un moine narbonnais, au moment

~l Cf. CYPRIANI, FIRMINI ET VlVE:!'I:TII Eps.} Vita sancti Caesarii episcopi, PL


LXVII, col. 1021.
22 Cf. M. FÉROTIN, Le Liber Ordiuwn en usage dam l'église wisigothique et
mozarabe d'Espagne, Paris 1904.
23 Cf. A. WILMART-L. BROU, The Psalter Colleets from V-VI Century Sources,
London 1949.
:lA Cf. J. PU,TELL, Liber OrationZlrn Psalmograplws, Barcelona - Madrid 1972,
pp. [241-274].
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 137

du changement de rite. Cette hypothèse explique aisément les


conditions dans lesquelles cette série de prières psalmiques peut
avoir eu sa naissance.
:Ëgalement nous trouvons aussi des fragments d'anciens re-
cueils de sermons de l'office où sont conservés des textes très
caractéristiques et propres de l'homéliaire hispanique de Silos,
conservé aujourd'hui au British Museum ". Des études dans ce
domaine peut-être vont nous faire connaître le type des homé-
liaires de la messe qu'on y utilisa avant l'introduction de la
liturgie romano-franque, et compléter ce que déjà on sait par
le fragment du Liber Commicus palimpseste de Carcassonne, dont
nous avons parlé plus haut.

LIVRES NARBONNAIS DE RITE ROMAIN-GALLICAN

L'étude des livres liturgiques romano-francs qu'on introduit


dans la Narbonnaise au moment d'y changer le rite est parti-
culièrement intéressante pour refaire le procès de création des
nouveaux livres et rites. C'est pour cette raison que d'abord il
nous faut parler du Sacramentaire gélasien de Gellone, l'uni-
que livre importé de cette époque qui nous est parvenu, avant
de présenter les compilations proprement narbonnaises.

1. LE SACRAMENTAIRE GÉLASIEN DE GELLONE

Le manuscrit Paris, BN., lat. 12048 est très célèbre et con-


nu, bien que nous n'ayons pas eu encore l'édition critique qu'on
attend. :Ëcrit à la fin du VIII' siècle, au nord du Royaume Franc,
peut-être, selon l'avis de Lowe ", pour l'usage de Ste-Croix de
Meaux, il se trouvait déjà à l'abbaye de Gellone aux premières
années du IX· siècle. C'est même très possible qu'il soit un
cadeau fait à la nouvelle abbaye par son fondateur Guillaume,
duc de Toulouse. Gellone avait été fondé l'an 804, au diocèse de
Lodève, par influence de Benoît d'Aniane et dans sa ligne de ré-
novation monastique. Il est très riche, spécialement dans le

2.5 Cf. R. GIŒGOlRE, Les homéliaires du Moyen Age, Roma 1966, pp. 161-185.
Par exemple, le fragment XX, 2 du Musée :Ë.piscopal de Vic, conserve le sennon
n. 27 propre de l'Homéliaire de Tolède.
:z6 Cf. LoWE, Codices V. Oxford 19, n. 618.
138 MIQUEL S. GROS

supplément d'ordines qu'il porte derrière la partie correspon·


dante au sacramentaire proprement dit et qui forme presque
un véritable pontifical rituel. Très proche du modèle des sacra·
mentaires gélasiens créé dans le Royaume Franc au milieu du
VIII' siècle, il nous éclaire beaucoup sur les materiaux romains
et gallicans d'importation qu'eurent en leurs mains les liturgistes
narbonnais. L'excellent état de conservation dans lequel il se
trouve nous permet aussi de déduire qu'il n'a pas été très utilisé
à Gellone. L'introduction au Royaume Franc du Sacramentaire
d'Hadrien et les créations propres de la Narbonnaise l'ont rendu
bientôt une pièce de musée.

2. LE "LIBELLUS MISSAE» DE GELLONE

Maintenant ce Libellus se trouve coupé en deux morceaux,


conservés aux manuscrits 175 du Musée Calvet d'Avignon et 12
de la Bib. Mun. de Montpellier. Encore que presque inédit, il a
été l'objet d'excellentes études d'André Wilmart et de Robert
Amiet ". Il contient seulement neuf messes, dont cinq sont sui·
vies des lectures bibliques correspondantes. On peut le dater
d'environ l'an 810, il est certainement écrit à Gellone, et pour sa
composition on a utilisé, en plus d'un gélasien du VIII' siècle
qui précisément n'est pas le manuscrit dont nous avons parlé,
un exemplaire du sacramentaire d'Hadrien déjà supplémenté.
Les lectures procèdent d'un lectionnaire de la messe identique
au Cornes de Murbach. Toutes ces données nous renseignent très
bien Sur les types de livres liturgiques qui se sont répandus en
Narbonnaise aux premiers temps du changement de rite, et la
manière dont on les a utilisés.

3. LE SACRAMENTAIRE" GRÉGORIEN D'ANIANE»

" Grégorien d'Aniane» c'est le nom donné par Jean Oeshus·


ses 28 aux sacramentaires Hadriens avec supplément. L'interpré-
tation des textes plutôt tardives avait porté les liturgistes à
attribuer à Alcuin de York l'oeuvre de réviser et de compléter

i? Cf. A. WILMART, Un livret bénédictin composé à Gellone au commencement


du IX'" siècle, dans «Revue Mabillon» XII (1922), pp. 119-133. et R. AMIET,
Le plus ancien témoin du supplément d'Alcuin, dans «Ephemerides Liturgicae»
LXXII (1958), pp. 97·110.
28 Cf. J. DESHUSSES, Le Sacramentaire Grégorien, Preiburg 1971.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 139

avec un supplément le sacramentaire papal envoyé par Hadrien 1


à Charlemagne entre les ans 784 et 791, mais des nouvelles
études viennent de nous apprendre que c'est plus logique de
croire qu'il faut attribuer tout cela à Benoît d'Aniane. Il ne faut
pas répéter ici les arguments qu'on vient d'apporter en faveur
de cette hypothèse. Il nous suffit de constater qu'ils sont sérieux
et importants, et que très probablement toute cette oeuvre de
révision et de compilation a été faite dans la Narbonnaise, parce
que seulement ainsi on peut expliquer aisément les textes his-
paniques qu'on y trouve.
Benôit d'Aniane, ou l'auteur anonyme, agit en même temps
comme un liturgiste presque archéologue et comme un créateur.
Le souci de saisir le véritable sacramentaire du pape Grégoire
le Grand lui fait faire une édition critique, selon les critériums
de l'époque, du volume envoyé à Charlemagne, avec des cor-
rections du texte latin, des signes pour indiquer ce qui à l'avis
de l'éditeur n'est pas primitif et la préface correspondante où
il explique les règles employés. C'est normal que la question
d'avoir le véritable sacramentaire du pape Grégoire se soit po-
sée de façon plus aiguë dans la Narbonnaise, qui à ce moment-
là se trouvait dans une période de changement radical de litur-
gie, que dans le reste de l'Empire Carolingien, où on utilisait
déjà depuis quelques années le rite romain dans sa version plus
ou moins gélasienne. L'intérêt de l'auteur pour obtenir une
bonne édition du texte papal, nous permet même de penser que
c'est lui qui a influencé le roi pour qu'il demande ce sacramen-
taire à Hadrien I.
C'est dans le supplément que nous trouvons son esprit créa-
teur. Il y copie tout ce qui manque au sacramentaire afin de le
convertir en un livre qui puisse servir il tous les besoins du
culte. Il a cherché les textes dans les anciens gélasiens du VIII"
siècle, dans d'autres livres grégoriens plus complets que l'Hadrien,
dans les messes votives d'Alcuin, dans les livres liturgiques gal-
licans, peut-être à travers les mêmes gélasiens du VIII" siècle,
et aussi dans les livres hispaniques qu'on avait encore sur place
à ce moment. A la fin nous trouvons aussi deux collections de
préfaces et de bénédictions épiscopales, qui doivent remonter à
une époque antérieure à la diffusion de l'Hadrien dans le Royau-
me Franc, parce qu'elles correspondent à la disposition des gé-
lasiens du VIII" siècle. Elles nous montrent qu'à Aniane, ou au
centre où on a fait le supplément, on a utilisé d'abord des géla-
140 MIQUEL S. GROS

siens, les manuscrits qui ont servi plus tard pour compléter
l'Hadrien. La révision et la première partie du supplément sont,
selon Deshusses, des années 810-815.
Il faut reconnaître que le " Grégorien d'Aniane» est un livre
très bien redigé. Cela explique que directement, ou au moyen de
ses successives transformations, il ait marqué profondément
toute l'évolution liturgique occidentale. Avec cette compilation
la Narbonnaise devient un foyer de rénovation liturgique pour
tout l'Empire Carolingien.

4. LE «LIBER SACRAMENTORUM EDITUS A BEATO GELASIO PAPA ET


EMENDATUS ET BREVIATUS A BEATO GREGORIO»

Des églises catalanes nous sont parvenus des sacramentai-


res manuscrits et des missels imprimés qui portent à peu près
ce titre. Il s'agit d'un sacramentaire du monastère de Ripoll,
datable de l'an 1048, brûlé en 1835, dont nous avons de bons
renseignements dans les anciens catalogues de la bibliothèque
du monastère "; des fragments d'un sacramentaire du XU' siècle,
provenant de la paroisse de Sant Miquel de Cerarols, au diocèse
de Vic, aujourd'hui à Montserrat, Bibl. Mon. Ms. 1108·1 "; le
sacramentaire de Barcelona, manuscrit Vatican, Bib. Apost., lat.
3547, de la première moitié du XIU' siècle ", et les éditions
imprimées du missel de Tarragona des ans 1499 et 1550".
Ce titre est très intéressant et, si je ne me trompe, on ne
le trouve pas dans d'autres manuscrits liturgiques occidentaux.
C'est évident qu'il nous plonge dans l'ambiance et l'époque où
le correcteur du "Grégorien d'Aniane» a fait son oeuvre. Il y
a dans ce titre le même souci d'avoir le véritable sacramentaire
de l'Église romaine, modèle en tant d'aspects pour toute la chré·
tienté occidentale, spécialement après l'alliance entre le Royau-
me Franc et la Papauté. Son rédacteur résout facilement le
problème posé par l'existence de deux types de sacramentaires

29 Cf. M.S. GROS, El «Missale Parvum» de Vic, dans «Hispania Sacra"


XXI (1968), p. 315.
3I.J Cf. A. OLIVAR, BIs manuscrits liturgies de la biblioteca de Montserrat,
Montserrat 1969, p. 131.
3t Cf. P. SALMON, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vati-
cane II, Città del Vaticano 1969, p. 25.
ai Cf. L. DEL ARCO, Los incunables terracollenses, dans «Boletin de la Real
Acadcmia de Buenas Letras de Barcelona» VI (1911-1912), p. 86, et Tanagona.
Arx. Cap., Missal Tarragona 1550, f. 1.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 141

romains en usage vers l'an 800, et nous assure que nous nous
trouvons devant le véritable sacramentaire de Rome. On ne peut
pas demander davantage.
Mais l'étude de ces manuscrits et imprimés ne nous éclaire
pas beaucoup sur le contenu primitif et la nature de ces sacra·
mentaires parce qu'ils sont des Hadriens mixtes très proches
des autres sacramentaires catalans et narbonnais. L'étude, qui
n'est pas encore faite, de tous ces manuscrits nous permettra
peut-être de retracer les lignes générales de leur archétype. Il
faut retenir aussi que dans trois sacramentaires catalans - le
Missale Parvum de Vic, Bib. Cap., MS. 71 (CX-IX), de la fin du
XI" siècle 33; le sacramentaire de Tortosa, Bib. Cap., MS. 41, du
milieu du XII' siècle ", et le manuscrit de Barcelona, ACA, St-
Cugat MS. 47, déjà du XIII' siècle" - , on a trouvé pour la messe
des prières qui sont l'adaptation des textes du Liber Missarum
hispanique. Il s'agit toujours des «secretae", mises à la place
des pièces qu'on trouve répétées dans l'Hadrien et son supplé-
ment, ou pour les messes du sanctoral propre du pays. Toutes
ces pièces pouvaient faire partie de cet archétype.
Il nous reste encore une question à poser. Où a-t-on fait ce
sacramentaire? On ne le sait pas, mais toutes les pistes nous
portent à proposer l'hypothèse qu'il soit un produit des litur-
gis tes de la cathédrale de Narbonne, composé dès les premières
années du IX' siècle, sous l'instigation de l'archevêque Nébride.
Ainsi s'explique mieux sa présence à Vic et à Barcelona, et plus
tard même à Tarragona, siège restauré au milieu du XII' siècle
par St-Oléguer, évêque de Barcelona. Ce que nous allons dire
après sur les ordines narbonnais va aussi montrer la vraisemblan-
ce de notre hypothèse.

5. L'ANTIPHONAIRE RÉVISÉ PAR LE CHANCELIER HÉLISACHAR

On conserve une très intéressante lettre du prêtre Hélisa-


char, chancelier de l'empereur Louis le Pieux, à l'archevêque
Nébride de Narbonne, envoyée avec un exemplaire d'un an-
tiphonaire-responsorial, qu'on venait de réviser au palais d'Aix-
la-Chapelle. La lettre ne porte pas de date, mais son éditeur la

Cf. M.S. GROS, El «Missale Parvum », p. 371.


33
Cf. J. JANINI, El sacramentario pirenaico ms. 41 de Tartasa, dans ({ Hispania
:w
Sacra» XIX (1966), pp. 122-127.
R Cf. JANINI, El sacramentario ... , pp. 122·127.
142 MIQUEL S. GROS

croit de ans 819 - c. 822 ". Dans cette lettre, Hélisachar nous
explique qu'il s'était trouvé avec Nébride au palais impérial,
et que dans les célébrations de l'office nocturne parfois on avait
constaté que certains répons étaient absurdes, avec des versets
en désordre, qui ne s'adaptaient pas au sens général de la pièce.
Pour cette raison, Nébride lui avait demandé de faire une révi-
sion totale de l'antiphonaire, entreprise que, malgré quelques
hésitations, il avait réussi à porter à terme. D'abord il avait
rassemblé un grand nombre de manuscrits, des lecteurs et des
chantres, afin de contrôler les points de concordance et de sépa-
ration des manuscrits. Le résultat fut que dans les pièces du
chant de la messe - in graduali cantu -, l'accord était complet,
mais dans les textes de l'office nocturne il n'y avait point de
concordance, et en plus les leçons fautives étaient assez nombreu-
ses. Hélisachar en tira la conclusion qu'en ce qui concerne la
partie de l'office nocturne, l'antiphonaire reçu de Rome avait
été presque complétement altéré et corrompu. Il fallait le révi-
ser à fond, et il prit la résolution de supprimer tous les répons
dont les textes n'étaient pas dignes d'être utilisés pour le culte;
il plaça tous les autres à leur place propre, et on y mit des
versets aptes et appropriés au sens du texte. Il se trouva aussi
devant des textes dont les mélodies n'étaient pas COnnues des
chantres de la chapelle du palais impérial et des chantres que
lui avait envoyés Nébride. C'est pour cette raison qu'il fallut
même faire appel à des maîtres experts pour apprendre l'interpré-
tation de ces pièces. À la fin il lui fit l'offrande de volume, tout
en le priant de le recevoir avec bénignité et de vouloir l'utiliser
dévotement pour les divines louanges. Tout nous porte à croire
que la révision a été faite en connaissance de cause, ce qu'on
pouvait faire assez bien avec les moyens dont disposait la cour
impériale.
L'importation dans la Gaule d'antiphonaires romains de
différents types posait de graves problèmes aux chantres des
églises carolingiennes, problèmes qu'à ce moment-là on chercha
à résoudre à Aix-la-Chapelle comme plus tard le fera à nouveau,
avec l'aide d'Hélisachar, Amalaire de Metz ". La question s'était
posée aussi à Narbonne, et l'oeuvre d'Hélisachar allait rendre

36 Cf. E. DÜMMLER, Epistolae Karolini Aevi III, Berlin 1895, pp. 307-309.
37 Cf. M. HANSSENS, Amalarii episcopi opera liturgica omnia, l, Città del Va-
ticano 1948, p. 362.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 143

un grand service. Ce travail, certainement, on ne pouvait pas


le faire à Narbonne même, dépourvue encore d'un grand nombre
de manuscrits romains et avec des chantres peut·être peu experts
dans le nouveau chant. De la lettre d'Hélisachar on ne peut pas
déduire que Nébride, avec sa pétition, cherchait à avoir un type
unique d'antiphonaire pour l'implanter dans toute la Narbon·
naise, mais il est possible cependant que l'oeuvre d'Hélisachar s'y
soit largement répandue.
C'est dommage qu'on n'ait pas encore fait une étude des
plus anciens antiphonaires narbonnais de l'office. Ils pourraient
peut-être nous aider à connaître mieux et d'une manière plus
directe, les critériums employés par Hélisachar pour sa révi·
sion. Mais l'étude qu'on vient de faire du plus ancien graduel
catalan, le manuscrit Barcelona, Bib. Cat., MS. 1805, du milieu
du XII' siècle, provenant de la petite église andorranne de St-
Romà de les Bons ", vient de confirmer l'affirmation faite par
Hélisachar que à ce moment-là déjà, on ne trouvait pas de
grandes divergences dans les chants de la messe des antipho-
naires romains. Ce manuscrit, tout en faisant partie du groupe
des graduels aquitains, est en relation directe avec les autres
manuscrits narbonnais qu'on conserve encore, chose qui nous
indique la possibilité que la cathédrale de Narbonne soit le
centre d'où sont sortis la plus grande partie des graduels employés
dans les évêchés de part et d'autre des Pyrénées.

6. L'ORDINAIRE NARBONNAIS

Nous sommes devant la partie la plus intéressante et ca·


ractéristique des textes liturgiques propres de la Narbonnaise,
le domaine où les liturgistes ont encore le plus de travail à faire,
et qui, peut·être, nous réserve les plus agréables surprises. C'est
aussi le domaine sur lequel on a le plus étudié, et en consé-
quence celui qui est le mieux connu.
Au moment du changement de liturgie, vers l'an 800, à Rome
et aussi dans le Royaume Franc, les livres liturgiques qu'aujour-

38 Cf. J. BELLAVISTA, Antifoner de la missa de l'església de St. Romà de les


Bons, Andorra, Barcelona 1975 (Pro manuscripto).
3~ Cf. M. ANDRIEU, Les «Drdines Romani» du Izaut Moyen Age, l, Louvain
1957. pp. 467-470.
40 Cf. A.C. FLORIANO, Diplomdtica espanola deI periodo Qstur (718-910), II,
Oviedo 1951, p. 26, doc. 87.
144 MIQUEL S. GROS

d'hui nous appelions le rituel et le pontifical, n'étaient pas assez


développés, et ils n'existaient pratiquement pas en tant que
livres bien définis. C'est au moins ce que nous pouvons déduire
des manuscrits qui nous sont parvenus. Il est certain que dès
le milieu du VIII' siècle existait au Royaume Franc une col-
lection d'Ordines Romani, appelée collection A par Andrieu 39, et
que quelques-uns des sacramentaires gélasiens du VIII' siècle
présentent des suppléments de pontifical-rituel très complets, où
on mélange déjà les rubriques des anciens Ordines romains avec
des prières prises aux sacramentaires, mais malgré tout, à ce
moment-là l'ordinaire, comme livre liturgique indépendant et
plus ou moins officiel, n'existait pas encore. C'est peut-être pour
cette raison, que les anciennes collections d'Ordines hispaniques
ont marqué profondément et de façon durable l'évolution des
ordinaires narbonnais, même après la publication du Rituel Ro-
main de Paul V, l'an 1614.
L'histoire du Liber Ordinum hispanique est encore à faire,
et les trois manuscrits qui nous en sont parvenus sont trop tar-
difs et romanisés pour nous y aider. Dans les nombreux cata-
logues et les riches listes de manuscrits liturgiques qu'on con-
serve, son nom apparait pour la première fois dans une dona-
tion faite au monastère de San Juan de Orbaiianos, situé près
du fleuve Ebro, entre la Castille et le Pays Basque. C'etait l'an
867, au moment de la fondation du monastère ". Dans la Nar-
bonnaise, à notre connaissance, on trouve pour la première fois
un Liber Ordinum, l'an 888, dans l'église paroissiale de San Andreu
de Tona ", à quelques kilomètres de Vic. Il s'agit d'une donation
faite à cette église, au moment de sa dédicace. Il faut retenir
aussi en accord avec ce que nous allons dire plus tard, que le
Liber Ordinum de Tona, malgré son nom, était déjà un livre
d'une liturgie différente de son homonyme d'Orbananos.
Le Liber Ordinum existait-il déjà comme livre liturgique
indépendant, avant l'occupation de la péninsule par les Arabes?
C'est possible, mais il nous faut reconnaître que nOus n'en avons
pas de traces. Paul Séjourné", dans son excellente étude sur
l'oeuvre canonique d'Isidore de Séville, croit pouvoir l'identifier
avec le Libellus Officialis que, selon le canon 26 du IV' Concile

41 Cf. E. FLOREZ, Espana Sagrada XXVIII, Madrid 1774, p. 246.


42 Cf. P. SÉJOURN~, Le dernier père de l'église saint Isidore de Séville, Paris
1929, p. 198.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 145

de Tolède, célébré l'an 633, il faut donner aux nouveaux prêtres


à la fin de leur ordination. L'hypothèse est attirante, mais il est
possible que ce Libellus ne soit pas autre chose que l'intéres-
sant De ecclesiasticis officiis d'Isidore, composé quelques années
auparavant précisément pour l'instruction liturgique du clergé,
ou, chose encore plus probable, un missel-rituel, si on retient
que dans le Liber Ordinum du XI' siècle ce Libellus Officialis
porte le nom de Liber Manualis, c'est-à-dire, le missel. Les ma-
nuscrits de rite hispanique ne nous permettent pas de suivre le
processus du dégagement des Ordines des sacraments et des
sacramentaux, des sacramentaires primitifs jusqu'au moment où
ils arrivent à former un livre indépendant, mais le titre de Liber
Missarum, livre de messes, donné par l'archevêque Félix de To-
lède" au sacramentaire de la cathédrale tolédanne, révisé et
augmenté par son immédiat prédécesseur l'archevêque Julien,
probablement dans les années 680-690, nous permet de penser
que déjà à ce moment le sacramentaire contenait seulement des
messes et qu'existait un volume à part pour les textes apparte-
nants à l'administration des sacrements et des sacramentaux.
Tout nous porte à croire, donc, qu'en ce domaine, les liturgies
hispaniques pouvaient être plus développées que tous les autres
rites de l'occident chrétien. Et nous pouvons aussi penser qu'au-
tour de l'an 800, au moment du changement de liturgie, dans la
Narbonnaise existaient des ordinaires indépendants des sacra-
mentaires, mélanges de pontifical et de rituel, assez bien orga-
nisés et adaptés au besoins des églises séculières et monastiques.
Malheureusement tous ces manuscrits ont disparu, et c'est seu-
lement grâce aux vestiges qu'ils ont laissés dans les ordinaires
postérieurs de liturgie romano-franque, que nous pouvons con-
naître leur existence et quelque chose de leur contenu.
Tout en laissant à part de nombreux fragments, et les Ordi-
nes qu'on trouve placés à l'intérieur des sacramentaires, des Of-
dinaires narbonnais anciens il nous reste seulement trois ma-
nuscrits et des copies partielles d'un autre exemplaire malheureu-
sement perdu. Il sont les MS. 16 de l'Archive du Chapitre de
Lleida ", nommé Pontifical de Roda parce qu'il provient de la
bibliothèque de cette cathédrale, datable des premières années

43 Cf. F. DE LORENZANA, SS. PP. Toletanorum quotquot extan( opera, II, Ma-
drid 1785, p. XX.
44 Ce manuscrit sera bientôt publié par R. Barriga.
146 MIQUEL S. GROS

du XI' siècle; le Collectaire-Rituel de l'abbaye de Lagrassa, écrit


pour ce monastère au milieu du XI' siècle, aujourd'hui manuscrit
lat. 933 de la Bib. Nat. de Paris '"; et le Pontifical de Vic, MS. 104
(CV) de l'Archive du Chapitre de cette cathédrale", qu'on peut
dater de la première moitié du XII' siècle. Le manuscrit disparu
est le Pontifical de Narbonne, probablement du XI' siècle. Nous
pouvons seulement le connaître par des extraits publiés par
Martène 47. Avec ces manuscrÎts et tous les autres sacramentaires,
missels et rituels de la Narbonnaise, antérieurs à la réforme litur-
gique du Concile de Trente, nous sommes en train de préparer
l'édition de tous les Ordi11es qu'on peut considérer véritablement
narbonnais parce qu'ils y ont été composés ou profondément
remaniés. Maintenant nous pouvons déjà offrir quelques résul-
tats de nOs études, qui, malgré leur caractère partiel, vont nous
montrer les problèmes posés aux Iiturgistes de la Narbonnaise
par le changement rapide de liturgie et les solutions peut-être
d'urgence qu'ils ont pris. Nous allons parler, donc, seulement
des Ordi11es des ordres sacrés, de la dédicace des églises, de la
bénédiction des huiles le Jeudi Saint et du baptême; mais des
recherches faites, encore inédites, dans le domaine d'autres rites
liturgiques, comme par exemple ceux du mariage, de l'assistance
spirituelle aux malades, des funérailles et de la Semaine Sainte,
nous portent aux mêmes conclusions.

a) Les ordres sacrés.


L'ancien ordo narbonnais des ordres sacrés s'est seulement
conservé dans le Pontifical de Vic. Tous les autres pontificaux
de la Narbonnaise présentent un ensemble de textes complè-
tement romano-francs, sans influence hispanique.
L'ordo du Pontifical de Vic" est fondamentalement un texte
romano-franc, semblable au texte des sacramentaires gélasiens
du VIII' siècle, mais il présente la caractéristique de porter mé-
langés beaucoup d'éléments propres du Liber Ordi11um. Entre

(~Cf. PH. LAVER, Catalogue Général des Manuscrits Latins [de la Bibliothèque
Nationale], l, Paris 1939, p. 330.
46 Cf. J. GUDIOL, Catàleg dels lIibres manuscrits anteriors al segle XVIII dei
Museu Episcopal de Vic11, dam «Bulleti. de la Biblioteca de Catalunya» VII
(1923-1927). p. 129.
i7 Cf. M.S. GROS, El ordo Tomano-hispânico de Narbona para la cOIlsagraci611
de iglesias, dans «Hispania Sacra» XIX (1966), p. 324.
46 Cf. M.S. GROS, Las ordenes sagradas deI Pontifical MS. 104 (CV) de la
Bib. Cap. de V;c, dans Miscelânea Férotin », Barcelona 1965, pp. 99-133.
C{
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 147

ces éléments il y a les formules hispaniques de bénédiction de


l'archidiacre, du premicier, du sacristain et de l'archiprêtre.
Toutes ces formules se trouvent seulement dans le Liber Ordi-
num et dans le Pontifical de Vic. Il n'y a pas d'autre livre litur-
gique occidental qui les connaisse. Le textes pour l'ordination
du sous-diacre, du diacre et du prêtre sont romain-gallicans,
mais à la fin de chacune de ces cérémonies on y ajoute la remise
aux ministres de l'Épistolier, de l'Évangélier, et du Liber Ma-
nualis, selon les formules propres du Liber Ordinum hispani-
que. L'unique ordre qui ne porte pas de façon évidente des
influences hispaniques c'est l'ordination de l'évêque.
L'étude de cet ensemble d'ordines du Pontifical de Vic nous
conduit à penser que nous sommes devant une compilation faite
dans un centre de profonde tradition hispanique. Il donne
l'impression que c'est une oeuvre réalisée au moment du chan-
gement de liturgie et que son auteur cherche à combler les défi-
ciences propres des livres liturgiques passés du nord du Royaume
Franc à la Narbonnaise. Cette composition suppose évidemment
d'avoir en sa possession les livres de l'une et l'autre tradition
liturgique et une communauté cléricale assez nombreuse et
structurée hiérarchiquement selon la tradition des églises his-
paniques. Tout nous porte à voir en ce mélange de textes et de
rubriques une composition faite pour la même cathédrale de
O
Narbonne aux debut du IX siècle, sous l'inspiration de l'arche-
vêque Nébride. Si cette compilation était faite seulement pour
un des évêchés catalans, il nous serait très difficile d'expliquer
la présence d'un de ces ordines, en version complètement iden-
tique, au Collectaire-Rituel de Lagrassa.

b) L'ordo pour dédicace des églises.


L'étude de cet ordo nous a mené aux mêmes conclusions.
Son texte se conserve très pur dans le Pontifical de Roda et
dans des versions altérées dans les Pontificaux de Narbonne et
de Vic'".
Son auteur utilisa un ordo romano-franc qu'on trouve dans
beaucoup de sacramentaires des provinces ecclésiastiques de
Reims et de Sens, et le manuscrit le plus ancien qui le conserve
est le Sacramentaire de St-Denis, manuscrit Paris, BN., lat. 2290,

~9 Cf. GROS, El ordo romano-hispdnico ... , pp. 321-401.


148 MIQUEL S. GROS

du milieu du IX' siècle. Le texte est, cependant, antérieur et il


a pu avoir été écrit après 750. Le compilateur narbonnais y ajoute
toutes les antiennes et prières de l'ancien ordo hispanique de la
dédicace. Les antiennes étaient déjà connues par l'Antiphonaire
hispanique de Leon, mais les oraisons ne s'étaient pas conser·
vées dans le Liber Ordinum. C'est seulement par l'ordo de Nar·
bonne qu'elles sont parvenues jusqu'à nous.
La formation de ce texte suppose l'ambiance et les mêmes
besoins qui furent à l'origine de l'ordo des ordres sacrés anté-
rieurement décrits, et la présence d'un de ses témoins à Nar-
bonne nous permet de dire qu'il faut chercher dans l'église ca-
thédrale de Narbonne son lieu d'origine.

c) L'ordo de la bénédiction des saintes·huiles au Jeudi Saint.


Nous trouvons les rubriques de cet ordo dans les Pontifi·
caux de Roda et de Vic, et ces rubriques, dans le premier, font
partie d'un texte qui va du Mercredi des Cendres à la Pente·
côte. Elles s'inspirent en l'OR XXIV oU en un de ses dérivés.
Ce texte fut peut-être aussi composé dans la Narbonnaise aux
premières années du IX' siècle. Cette affirmation repose sur le
fait qu'on le trouve seulement, si nous ne nous trompons pas,
dans les deux pontificaux cités, et que dans le Pontifical de Vic
il porte quelques oraisons hispaniques. Les textes eucologiques
qu'on y ajouta sont d'origine romaine, gallicane et hispanique,
avec la particularité que le Pontifical de Roda les a prises d'un
sacramentaire Hadrien mixte ou gélasianisé, et le Pontifical de
Vic d'un Hadrien pur. Ce dernier contient aussi une très riche
collection de prières pour la bénédiction de l'huile des malades
et du chrême, parmi lesquelles figure une formule propre du
Liber Ordinum et d'autres pièces qui peuvent être hispaniques
et mêmes narbonnaises. Quelques-unes de ces pièces, grâces au
Pontifical de Guillaume Durand, ont passé aux pontificaux ro·
mains et s'y sont maintenues jusqu'à nos jours 50.

d) L'ordo du baptême.
Nous avons réussi à identifier 55 ordines baptismaux d'ori-
gine catalano·narbonnaise, qui vont du X' siècle aux rituels

50 Cf. M.S. GROS, L'ordre catalano-narbonès per a la benedicci6 dels sants


DUS, qui sera bientôt publié dans la «Revista catalana de Teologia )l. ,
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 149

imprimés du XVI' siècle, antérieurs à la publication du Rituel


Romain de Paul V. L'étude et la comparaison de tous ces textes
nous a porté à identifier deux ordines, qui, bien que n'étant pas
les plus anciens, nous permettent de reconstituer avec une grande
exactitude l'archétype d'un ordre baptismal datable des premiè-
res années du IX· siècle. Ces deux ordines se trouvent au Col-
lectaire-Rituel de Lagrassa et au Pontifical de Vic ". Ils tiennent
comme texte de fond l'OR XI, dans l'adaptation qu'on en fit
dans la seconde moitié du VIII' siècle, pour le placer à l'inté-
rieur de quelques sacramentaires gélasiens francs. Nous avons,
par exemple, deux versions de ce texte dans le Sacramentaire
gélasien de Gellone, dont nous avons déjà parlé auparavant. En
plus, parmi d'autres textes, ils portent, aux endroits corres-
pondants, des prières du Sacramentaire d'Hadrien, et presque
tous les textes de l'ordo baptismal hispanique. Il s'agit des
exorcismes, des prières pour l'admission au cathécuménat, des
passages catéchétiques pour la remise du symbole de foi, les
formules du rite de l'Ephpheta et de la confirmation, les prières
de la déposition des vêtements baptismaux, et aussi, mélangée
avec le texte romain, la triple renonciation au diable, à ses an-
ges, à ses oeuvres et à son pouvoir. Ce sont les textes les plus
importants de l'ordre baptismal hispanique, et si cet ordre ne
s'était pas conservé dans le Liber Ordinum et dans l'Antipho-
naire de Leon, ils seraient suffisants pour le reconstituer faci-
lement.
Le mélange des textes de l'une et l'autre tradition liturgique
qu'on trouve dans cet ordo nous porte aussi à le considérer
comme une composition narbonnaise, faite très probablement à
l'usage de la cathédrale de Narbonne, aux premières années du
IX· siècle, mais en ce cas nous pouvons donner des dates extrê-
mes sûres pour sa datation. Nous avons une lettre circulaire
d'Alcuin de York aux moines de la Narbonnaise, écrite à la suite
d'une légation faite par les missi impériaux Théodulphe d'Orléans
et Leydrade de Lyon en cette région, presqu'à la fin de l'été de
l'an 798 "', dans laquelle, profitant des renseignements des deux
missi, il les récrimine du fait qu'encore, selon l'usage espagnol,
il y a des prêtres qui baptisent avec une seule immersion. Il se-

51 Cf. M.S. GROS, El antiguo ordo bautisrnal catalano-narbonense, qui sera


publié dans la revue « Hispania Sacra".
52 Cf. DVMMLER, Epistolae, II, p. 212.
150 MIQUEL S. GROS

rait asser dangereux de déduire des conclusions de ce texte, mais,


au moins, il nOus montre clairement que l'usage de la triple im-
mersion n'y était pas très répandu, et même que les ordînes
baptismaux importés du nord du Royaume Franc, tant comme
l'ordre dont nOus parlons ici, même s'il existait déjà, n'étaient
pas utilisés par tous. Et nous pouvons en même temps donner
une date après laquelle il est difficile qu'il ait été composé. L'an
811 tous les archevêques de l'empire reçurent une lettre de Char-
lemagne dans laquelle il leur demandait des renseignements sur
la manière de faire la catéchèse du baptême dans leurs respec-
tives circonscriptions ecclésiastiques. Le but de la demande était
éminemment pratique et pastorale. Elle faisait partie d'un vaste
plan de rénovation et de réorganisation de la vie chrétienne de
toutes les parties de l'empire, qui allait se cristalliser, l'an 813,
dans la célébration de cinq grands conciles rassemblés à Mayen-
ce, Reims, Tours, Chalons-sur-Saône et Arles.
Malheureusement nous ne connaissons pas la réponse per-
sonnelle de Nébride de Narbonne, mais lui et tous les autres
évêques de la Narbonnaise se réunirent avec les évêques de la Pro-
vence les jours 10-11 de Mai à Arles. Le concile fut présidé par
Nébride et l'archevêque Étienne d'Arles. Par les actes du con-
cile rassemblé à Mayence un mois après on sait que dans l'admo-
nitio impériale, qui servit de guide aux thèmes qu'on traita dans
les cinq conciles, il était prescrit de célébrer le baptême dans
tout l'empire concorditer atque uniformiter in singulis parro-
chiis secundum romanorum ordinem ". Il est clair, donc, que
dans la pensée de Charlemagne et de ses conseillers ecclésiasti-
ques, en plus du désir de renouveler la catéchèse baptismale, on
cherchait une véritable unification de ce rite selon la tradition
romaine. L'admonitio de l'empereur fut connue par les évêques
rassemblés à Arles et, contrairement à ce qu'on pouvait attendre,
au canon 3 de ce concile", où on traite de la catéchèse baptis-
male, il n'y est point parlé des rites liturgiques et de la tradi-
tion romaine qu'il fallait employer. C'est pour cette raison que
nous pouvons penser que dans la Narbonnaise, à ce moment,
l'ordre romain du baptême y était normalement utilisé, et même
que l'ordre baptismal dont nous parlons ici, était déjà composé
et largement répandu.

53 Cf. WERMINGHOFF, Concilia, l, p. 261.


5( Cf. WERMINGHOFF, COllcilia, I, p. 250.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 151

***
Nous sommes déjà parvenus au terme de notre exposé et il
nous reste seulement à en déduire brièvement quelques conclu-
sions.
D'abord il nous faut retenir, comme nous l'avons déjà dit,
que la cause immédiate du changement très rapide de liturgie
dans la Narbonnaise a été la crise adoptioniste. Certes il ne
faut pas mépriser l'influence de la réforme monacale promue
par Benôit d'Aniane et ses disciples, et les plans d'unification
liturgique de Charlemagne et de son fils Louis, mais les faits
historiques nous montrent que la querelle adoptioniste n'a pas
été seulement l'occasion, mais la véritable cause. Et il faut
toujours se souvenir qu'au fond l'adoptionisme était plus un
problème politique et de juridiction ecclésiastique qu'un problè-
me doctrinal. Dans ce cas, à nouveau, comme bien d'autres fois
dans l'histoire de l'Église, la liturgie va à la remorque des évé-
nements politiques, et les rites des vaincus sont bannis au profit
de la liturgie des vainqueurs. La loi, proclamée solennellement
au IV' concile de Tolède, d'avoir une même liturgie dans un
même royaume, s'applique à nouveau impitoyablement dans la
Narbonnaise. Et la même chose va se passer trois siècles plus
tard, quand le rite hispanique sera aboli des royaumes d'Ara-
gon, Navarre, Castille et Le6n pour rester seulement en usage
dans les communautés chrétiennes de la péninsule encore sous
le pouvoir arabe et dans quelques petites églises paroissiales
de Tolède. Dans le premier cas la responsabilité vient plus ou
moins directement de Charlemagne, qui détient le plus de pou-
voir dans l'Europe chrétienne, et dans l'autre cas de Grégoire VII
lui-même, le pape qui cherche à se placer au dessus des princes
chrétiens de son époque.
Bien que beaucoup d'entre eux nous échappent, les problè-
mes posés par le changement de liturgie aux églises de la Nar-
bonnaise ont été multiples et graves. D'abord il y a eu des
problèmes économiques, spécialement pour les petites chapel-
les et les paroisses rurales, mais, comme nous le montrent les
textes, il y a eu aussi le problème de savoir quels étaient les
livres liturgiques qu'il fallait prendre, à une époque où il n'y
avait pas une liturgie véritablement uniforme dans le Royaume
Franc, et où on était seulement en train de créer les bases de
la future liturgie romaine-gallicane, qui va subsister jusqu'à la
152 MIQUEL S. GROS

réforme du concile Vatican II, centrée principalement sur le


sacramentaire papal envoyé par Hadrien I à Charlemagne, quel-
ques années auparavant. C'est pour cette raison que les Iiturgistes
narbonnais, tels que Benoît d'Aniane, les moines de Gellone, et
les clercs de la cathédrale de Narbonne, se sont trouvé avec
presque les mêmes problèmes que leurs collègues du reste de
l'empire. La preuve nous l'avons dans le fait qu'ils ont pris des
solutions très semblables.
Comme Alcuin à Tours 55 et peut-être quelques autres, Be-
noît d'Aniane entreprit très probablement de son côté le tra-
vail de rendre le Sacramentaire d'Hadrien utile aux véritables
besoins liturgiques d'une communauté de son époque. Il y a,
cependant, une différence remarquable entre le travail des deux
personnages, car Benoît essaye certainement de rester plus fi-
dèle et respectueux de la tradition romaine. La même problé-
matique s'observe pour le titre conservé dans l'adaptation pos-
siblement faite de l'Hadrien à Narbonne, si nous ne nous trom-
pons pas en croyant que le Liber Sacramentorum editus a Ge-
lasio papa a été fait à l'usage de ce siège métropolitain. Nous
avons donc ici une des caractéristiques de la liturgie narbonnaise
déjà à ses origines: le désir d'atteindre la véritable tradition
liturgique du Siège Apostolique, manifesté même avec un peu
de scrupule et exécuté avec les techniques propres des chercheurs
de l'époque.
Le même souhait se manifeste pour obtenir un bon antipho-
naire de la messe et de l'office, mais sur cette question ils
n'avaient pas la possibilité de résoudre directement par eux-mê-
mes les problèmes que cette entreprise posait. Ils n'avaient pas
assez de manuscrits et, chose encore plus désagréable, ils
n'avaient pas des chantres connaissants les nouvelles mélodies.
L'apprentissage des chantres était difficile, et il nous faut pen-
ser qu'on en envoya quelques-uns dans les plus importants
centres culturels de l'empire, ou même qu'on en importa. Ces
problèmes nous expliquent la raison de la requête de Nébride à
son ami le chancelier Hélisachar, et la révision de l'antiphonaire
faite à Aix-la-Chapelle. Il est très possible que cette nouvelle
recension, comme l'Hadrien d'Aniane, se soit répandue très lar-

S5 Cf. H. BARRÉ-J. DESHUSSES, À la recherche du Missel d'Alcuin, dans «Ephe-


merides Liturgicae» LXXXII (1968), pp. 144.
LA LIT. NARBONNAISE TÉMOIN DE CHANGEMENTS 153

gement par tout l'empire carolingien. Ainsi la Narbonnaise, en


résolvant ses propres problèmes liturgiques et aussi en deman-
dant l'aide des plus doués, a rendu de grands services aux égli-
ses de l'empire.
Nous avons déjà vu que la question de l'ordinaire des sacre-
ments et des sacramentaux posait des problèmes différents et
d'une toute autre sorte. En ce domaine il est très possible que
la liturgie hispanique fusse plus riche et mieux organisée que
les nouveaux livres d'importation. Les solutions prises furent
différentes à Aniane et à Narbonne. Seulement Benoît fit un
supplément assez bref et simple, dans la ligne propre au sacra-
mentaire papal, où les pièces hispaniques sont plutôt rares. A
Narbonne, par contre, on chercha à sauver tout ce qui était né-
cessaire pour le culte et qui manquait aux nouveaux livres. On
prit des anciens ordres hispaniques complets, et même, aux
ordres gélasiens d'importation, on ajouta, aux endroits corres-
pondants, les plus importantes prières et chants des vieux ordi-
nes hispaniques. La conservation des ordines qui n'avaient pas
d'équivalent dans les rites romano-francs ne nous étonne pas,
mais quelle est la raison pour laquelle on a mélangé les textes
de l'une et de l'autre tradition pour en former presque un nou-
vel ordre? Les véritables raisons peut-être nous échappent, mais
il est possible qu'elles soient surtout des raisons pratiques et
pastorales. Les prêtres narbonnais et le peuple étaient habitués
à ses rites, à ses chants qu'on connaissait par coeur, et à ses
prières, et il est normal que, bien qu'ils fussent soupçonnés
d'hérésie, ils se soient conservés dans leur nouvel encadrement
romano-franc. Nous avons un bon argument dans le fait que
dans l'ordre de la dédicace des églises, un des ordines narbonnais
qui est resté le plus fidèle à son archétype, les chants hispani-
ques soient toujours placés en tête de la liste des pièces, avec
une préférence sur les autres textes, et que par contre dans les
prières de bénédiction de l'autel et de l'église les textes his-
paniques se trouvent placés à la fin, après les prières romaines,
et avec une rubrique qui nous dit qu'il faut les prononcer clara
voce, avec une voix que tous peuvent entendre. Apprendre des
nouvaux chants comporte toujours des difficultés et cela nous
explique que les pièces traditionnelles et connues soient placées
d'abord; l'amour, la vénération pour des textes qui toujours ont
été entendus nous expliquent la valeur que les liturgistes de
Narbonne, même en ce moment, donnent encore à ces pièces.
154 MIQUEL S. GROS

C'est comme si à défaut d'elles un autel ou une église ne peu-


vent pas être bien dédiés.
Avec son oeuvre de création de nouveaux livres pour le culte,
les Iiturgistes de cette partie limitrophe de l'Empire Carolin-
gien ont rendu de grands services à leurs contemporains et ont
sauvé tout ce qui était sauvable de l'ancienne tradition hispa-
nique. Ils méritent aussi notre gratitude.

Miquel S. GROS
L'UNIFICATION LITURGIQUE DE L'OCCIDENT
ET LA LITURGIE DE LA CURIE ROMAINE

L'unification liturgique de l'Occident s'est faite en deux fois:


une première fois de l'époque carolingienne jusqu'à celle de
S. Grégoire VII, une deuxième fois après le concile de Trente.
La première unification a consisté à adopter des livres liturgi-
ques de type romain partout sauf à Milan, où dès auparavant
la structure et le contenu de la liturgie locale étaient plus pro-
ches de Rome qu'ailleurs et sont demeurés différents. Cette pre-
mière romanisation liturgique de l'Occident, qui a été très bien
étudiée, a été le produit de trois facteurs. Le premier et le plus
ancien est l'attrait et la dévotion de toutes les Églises locales
pour la liturgie de Rome: une influence de ce genre n'est pas
très différente de celle qu'a exercé en Orient et jusqu'en Occi-
dent la liturgie de Jérusalem. Ce premier facteur a été renforcé
par un deuxième, l'idéologie unitaire des carolingiens '. Il faut
s'arrêter un peu plus au troisième facteur, à savoir l'ecclésiolo-
gie grégorienne, car c'est elle qui va, au cours des derniers siècles
du moyen âge, préparer et engager la deuxième unification litur-
gique, celle du concile de Trente.
L'attitude de Grégoire VII au sujet de l'unité liturgique de
l'Occident comporte plusieurs aspects. Tout d'abord les deux pre-
miers facteurs mentionnés plus haut ont déjà exercé leur plein
effet, et les régions de l'Occident - Milan, Espagne - qui n'ont
pas une liturgie romaine font figure d'exception. D'où l'erreur
de perspective historique que commet le Pape en supposant que
l'Espagne, qui a reçu la foi de Rome, a dû à un moment donné

1 Cf. Y. CONGAR, L'ecclésiologie du haut moyen âge, Paris 1968, 267-27l.


2 Sa lettre du 19 mars 1074 aux rois de Léon et de Navarre est très
caractéristique: «euro beatus apostolus Paulus Hyspaniam se adiisse signifieet
ae postea septem episcopos ab urbe Roma ad instrucndos Hyspanie populos
a Petra et Paulo apostolis directos fuisse, qui destructa idolatria christianitatem
fundaverunt, rcligionem plantaverunt, ordinem et officium in divinis cultibus
agendis ostendenmt ct sanguine sua ecclesias dedicaverunt, vestra diligentia
non ignoret; quantam concordiam cum Romana urbe Hyspania in religione et
156 PIERRE~MARIE GY

abandonner la liturgie qu'elle avait reçue de celle-ci '. Mais à


cette vue historique se mêlent deux idées plus directement théo-
logiques, l'une sur le rapport entre l'unité de la foi et l'unité
liturgique, l'autre sur l'autorité du Pape en matière liturgique.
La première, qui se trouve déjà ébauchée dans les Libri CaroUni
publiés sous l'autorité de Charlemagne, est que l'unité de foi
avec l'Église romaine invite à se conformer à la liturgie de
celle-ci', c'est-à-dire qu'on retourne en quelque sorte l'idée patris-
tique selon laquelle la diversité des coutumes liturgiques ne
portes pas atteinte à l'unité dans la foi. En second lieu il est
clair pour Grégoire VII que le Pape peut régler la liturgie des
différentes Églises, et i! le pratique effectivement non seulement
pour supprimer l'ancienne liturgie hispanique mais dans un ou
deux autres cas: la célébration de la fête des saints Papes et la
forme de l'Office nocturne. Pour ce qui est des fêtes des Papes
Mgr Jounel a montré, dans son étude à paraître sur Le culte
des saints dans les basiliques du Latran et du Vatican au XII' s.,
qu'i! s'agissait de l'addition de vingt-cinq fêtes de Papes au
calendrier, avec en arrière-plan la vénération envers les succes-
seurs de S. Pierre exprimée dans le Dictatus 23 des Dictatus Pa-
pae. Mais l'unique témoin d'une prescription liturgique dans ce
sens est le Micrologus: « ... constituit ut sanctorum omnium Ro-
manorum pontificum et martyres ubique cum pleno officio ce-
lebrarentur »4 et c'est, semble-t-i!, uniquement là où, plus tard,
seront adoptés les livres liturgiques de la curie qu'on trouve
les fêtes en question.

ordine divini officii habuisset, satîs patet. Sed postquam vesania Priscillianista-
rum diu pollutum et pcrfidia Arrianorum depravatum ct a Romano Titu
separatum, irruentibus prius Gothis ae demum invadentibus Saracenis, regnum
Hyspanie fuit, non solum religio est diminuta, verum etiam mundane sunt ope~
labefacte. Quapropter ut filias karissimos vos adhortor et moneo, ut vos sieut
bane saboles etsi post diuturnas scissuras, demum tamen ut matrem revera
vestram Rornanam eccJesiarn recognoscatis, in quo et nos fratres rcperiatis;
Romane ecclesie ordinem ct officium rccipiatis. non Toletane vel cuiuslibet aUe.
sed istius que a Petro et Paulo supra firmam petram per Christum fundata est
et sanguine conscerata. cui porte inferni. id est lingue hereticorum, nunquam
prevalcre potuerunt, sicut cetera regna occidentis et septemtrionis teneatis.
Vnde enim non dubitatis vos suscepisse religionis exordium, restat etiam, ut
inde recipiatis in ecclesiastico ordine divinum officium, quod Innocentii pape
ad Eugubinum directa episcopum vos docet epistola, quod Ormisde ad
Hispalensem missa decreta insinuant... (Gregorii Reg. r, 64, CASPAR, 2e éd.,
Berlin 1955, 93-94).
S Libri Carolini 1. 6. - B.-\STGEN 21-22.
4 Micrologus 45. - P.L. 151, 1010.
UNIFICATION ET LITURGIE DE LA CURIE ROMAINE 157

La décrétale de Grégoire VII In die resurrectionis détermine


le nombre des psaumes et des leçons à l'office nocturne selon
les temps et les jours de l'année 5 et indique que, si un usage
contraire s'est introduit à Rome, il est dû au relâchement et à
l'influence allemande, contrairement à l'Ordo Romanus et à
l'ancienne coutume de notre Église: «Illi autem, qui in diebus
cottidianis III psalmos tantum et III lectiones uidentur agere,
non ex regula sanctorum patmm, sed ex fastidio et negligentia
comprobantur facere. Romani autem diuerso modo agere cepe-
mnt, maxime ab eo tempore quo Teutonicis concessum est re-
gimen nostrae ecclesiae. Nos autem et ordinem Romanum inues-
tigantes et antiquum morem nostrae ecclesiae, statuimus fieri
sicut superius prenotauimus, antiquos patres imitantes »'.
Nous ignorons si la pratique du Latran était déjà conforme
à l'organisation de l'office nocturne prescrite par le Pape. Au
milieu du XII" s. en tout cas les chanoines réguliers du Latran se
sont déjà identifiés avec la tradition que Grégoire VII a voulu
restaurer', et ils le font d'autant plus volontiers que leurs rivaux
de Saint-Pierre perpétuent une organisation de cet office ap-
parentée à celle de l'Ordo Romanus XII, et dont l'antiphonaire
B 79 du chapitre de Saint-Pierre garde encore la trace à la fin
du XII' ou au début du XIII' s. Il est possible que les choses
soient restées en l'état à la basilique Vaticane jusqu'à ce que
Jean Cajetan Orsini y devienne archiprêtre (1275), puis deux ans
plus tard Pape sous le nom de Nicolas III.
Quoi qu'il en soit de l'office à Saint-Pierre, In die resurrec-
tionis fait désormais loi, et c'est dans la même ligne que les
Papes du XII' s. vont intervenir pour obliger les chanoines régu-
liers de Springiersbach et de Prémontré à abandonner leur ten-

~ Sur la diffusion de la décrétale dans les collections canoniques, dès la


fin du pontificat de Grégoire VII, et sur son indépendance par rapport à la
règle dite de Grégoire VII, cf. Ch. DEREINE, « La prétendue règle de Grégoire VII
pour chanoines réguliers », Rev. bén. 67, 1961, 108-118.
B Cf. G. MORIN, «Règlements inédits du Pape S. Grégoire VII pour les
chanoines réguliers », Rev. bén. 18, 1901, 79. - La décrétale figure en entier dans
l'ordinaire rédigé par Letbert de Saint-Ruf entre 1100 et 1110 (ms Paris B.N. lat.
1233, 18v) et dans l'Ordo Officiorum Ecclesiae LateranensÎs (éd. L. FISCHER,
Munich 1916, 77), mais ce dernier, après «morcm nostrae ecclesiac », ajoute:
«uidelicet Lateranensis)}.
1 L'Ordo Lateranensis cite In die resurrectionis à trois reprises (FISCHER 77,

109, 114) et y fait de plus allusion dans son prologue (FISCHER 1). Il est néanmoins
possible que même en cela il dépende de l'ordinaire de Saint-Ruf, comme l'a
suggéré L. GJERLOW, Ordo NidrosiensÎs Ecclesiae, Oslo 1968, 107-108. Je compte
aborder ailleurs pour elle-même eette importante question.
158 PIERRE-MARIE GY

tative de restaurer l'office de l'Ordo monasterii augustinien '.


Cette intervention papale sur un point particulier de l'office
divin joue un rôle important dans le passage de la prière des
religieux du statut de prière privée à celui d'office public 9 ou,
pour employer un vocabulaire moderne, du statut de prière pri-
vée à celui de prière liturgique 10. Mais In die resurrectionis n'a
pas empêché un certain nombre d'Églises particulières de garder
des matines à trois psaumes pendant tout le temps pascal. Cette
disposition, que S. Dominique avait trouvée dans l'office cano-
nial en Languedoc, est passée dans la liturgie des Frères Prê-
cheurs, et ceux-ci, après la canonisation de S. Pierre de Vérone,
prennent soin de faire spécifier par Innocent IV que l'office du
saint, qui est célébré au temps pascal, pourra ne pas avoir neuf
leçons 11,
En somme l'eccIésiologie de Grégoire VII porte en elle le
principe de l'unification liturgique complète de l'Occident, mais
ce Pape n'a accompli ni une telle unification ni la réservation
du droit liturgique de l'Occident à la Papauté. A partir de l'épo-
que grégorienne l'Occident a à peu près partout une liturgie
de type romain 12, mais avec une diversité dont les historiens ont

8 Gélase II aux chanoines de Springicrsbach (P.L. 163, 496-497); Honorius II


à l'Ordre de Prémontré (PL LEFÈVRE, «Deux bulles pontificales inédites du XIP
s. relatives à l'Ordre de Prémontré », Analecta Praemonstratensia 12, 1936, 69. -
Cf. Ch. DEREINE, «Le premier Ordo de Prémontré », Rev. bén. 58, 1948, 84-92).
~ Cf. le dossier rassemblé par H. MUELLEJANS, PublÎcus tmd Privatus im
Romischen Recht und im iilteren Kanonischen Recht unter besonderer Be.-
rii.cksichtigwlg der Unterscheidung lus publicum und lus prÎvatum (Münchener
Theo!. Studien, Kan. Abt., Bd 14), Münich 1961.
10 Cf., à propos du monachisme ancien, P. SALMON, «La prière des Heures l>,
dans A.-G. MARTIMORT (éd.), L'Eglise en prière. Introduction à la Liturgie, 3~ ed.,
Tournai 1965, 825: «Ces groupements d'ascètes ne jouissaient souvent alors que
d'une approbation tacite, et leur prière n'était liturgique que dans la mesure
où le clergé y intervenait ou en prenait la responsabilité ».
li Magna magnalia (8 août 1594): «Matutinale officium de ipso martyre cum
novem lectionibus et alia de eo nihilominus officia solemniter, prout conuenit,
exequentes. Illi uera qui non consueuerunt pasehali tempore, quo ipsius
martyris solemnitas agitur, f~stum aliquod cum novem lectionibus celebrare,
nocturnum et diurnum officlUm eum magna reuerentia et celebritate, iuxta
morem et modum sibi soUtum, de martyre ipso agant l> (Bullarium Ordo Praed.,
éd. RIPOLL - BRÉMoND, r. Rome 1729, 253).
12 Outre la suppression du rite hispanique, cf. un peu plus tard l'action,
en Irlande, de S. Malachie en faveur du «ritus universaHs Ecclesiae» (S. BER..'LARD,
~Fita S. Malachiae III, 7 - IV, 8, Opera, éd. LECLERCQ - ROCHAIS, III, Rome 1963,
316). Le rite ambrosien demeure intact et ne sera entamé que plus tard, par
des interventions papales en faveur d'Ordres religieux ayant des couvents à
Milan. Cf. par exemple Innocent IV au..... Pauvres Catholiques de Milan (10 avril
1247, Registre, n. 2539): «Ex parte siquidem vestra fuit nobis humiliter sup-
plicatum ut, cum de diversis mundi partibus in unum .:td Dei obsequium
UNIFICATION ET LITURGIE DE LA CURIE ROMAINE 159

montré qu'elle avait son origine à Rome même, certainement


pour les textes, et peut-être aussi pour les mélodies.

***
À la charnière des deux unifications liturgiques de l'Occident
on peut placer ce que les historiens du droit ont appelé, avec
beaucoup de pertinence, la réservation papale du droit de ca-
nonisation. Cette séquence historique qui, comme telle, n'appar-
tient ni à la première unification ni à la seconde, éclaire l'une
et l'autre par les facteurs qui y apparaissent à l'oeuvre. Il faut
en rappeler ici l'essentiel.
De la première canonisation papale attestée avec certitude,
celle de S. Ulrich d'Augsbourg en 993, jusqu'à Alexandre III,
l'intervention du Pape est demandée pour donner à une canoni-
sation un maximum d'honneur et d'autorité, sans qu'elle appa-
raisse encore comme une nécessité ecclésiologique. A l'occasion
d'une canonisation locale ayant eu lieu en Suède (celle de S. Eric
semble-t-il, contestée par la dynastie rivale), Alexandre III décla-
re que la pratique de recourir en pareil cas au Siège Apostoli-
que, devenue habituelle, fait désormais loi ". Un peu plus tard
on peut constater que la curie fait place dans ses livres liturgi-
ques aux saints que le Pape a nouvellement canonisés", et le
Pape prescrit la célébration soit régionale soit universelle des
nouveaux saints. À en juger par les calendriers locaux entre le
XIII' et le XV· s., l'efficacité de ces prescriptions a été limitée,
et trois nouvelles fêtes seulement semblent avoir eu en Occi-
dent une diffusion absolument générale: celles de S. Thomas
Becket, de S. François d'Assise et le Corpus Christi. La diffu-

congregati, psallere Domino in divinis officiis secundum modum et institutionem


Beati Amhrosii, prout Mediolanensis clerus utitur, nesciatis, psallendi modum
et ordinationem Beati Gregorii, quibus utitur Ecclesia generalis, vobis de
benignitate Sedis Apostolicae licentiarn largiremur. Nos igitur... licentiam
concedimus postulatam »,
lS L'interprétation de la lettre d'Alexandre III est discutée. Selon S. KUTTNER,
«La réservation papale du droit de canonisation », Rev. hist. de Droit frança-
is et étr. 4e S., 17, 1938, 172-228, Alexandre III n'a pas réservé au Pape le droit
de canonisation, et la réservation n'apparaît qu'avec Paul de Hongrie et
Raymond de Pefiafort. L'interprétation de Kuttner a été contestée, avec raison
me semble-toi!, par E. KEMP, Canonization and AutllOrity in the Western Church,
Oxford 1948.
li A moins qu'il ne s'agisse, selon l'opinion du P. van Dijk, de livres
établis sous l'autorité de Jean Cajetan Orsini.
160 PIERRE-MARIE GY

sion plus faible des autres peut être mise au compte à la fois
du manque de communications et de l'autonomie relative de la
« réception» ecclésiologique par rapport aux prescriptions de
l'autorité 15,
Il n'est pas étranger au propos de cette étude de relever que,
historiquement parlant, la réservation papale est antérieure à
toute considération théologique sur les liens entre canonisation
et infaillibilité. Les canonistes du XIII' s., y compris Innocent IV,
tiennent que l'Église pourrait errer dans une canonisation, mais
que la foi n'en serait pas pour autant privée de sa valeur. Au
XV' s., au contraire un Turrecremata tiendra que la vérité des
canonisations est liée au jugement indéfectible du Siège Aposto-
lique en matière de foi 16.

***

La premIere unification liturgique de l'Occident avait con-


sisté à adopter à peu près partout des livres liturgiques romains,
en sorte que la relative diversité liturgique entre les églises de
Rome même s'était reflétée à travers tout l'Occident. La deuxiè-
me unification va consister dans l'adoption uniforme de la litur-
gie de la curie romaine, c'est-à-dire de la chapelle papale. Ici
encore je m'en tiendrai aux questions qui ont un rapport avec
l'unité liturgique, en ne retenant de l'histoire de la liturgie que
ce qui est nécessaire à mon propos. Du reste on y a beaucoup
travaillé depuis que, en 1924, M. Andrieu a signalé pour la pre-
mière fois l'ordinaire et le missel de la chapelle papale, et la
publication posthume de l'édition de l'ordinaire préparée par le
P. van Dijk va marquer en ce domaine un étape décisive ".
Analogue, dans sa lointaine origine au IX' s., à la chapelle
du palais impérial", la chapelle papale disparaît complètement

1~ Cf. Y. CONGAR, «La "réception" comme réalité ecclésiologique », Rev. Sc.


Phil. Théol. 56, 1972, 369403.
18 Sur l'ensemble de la question, cf. M. SCHENK, Die Unfehlbarkeit des Papsles

in der Heiligsprechung (Thomistische Studien, 9), Freiburg Schweiz 1965.


11 St. VAN DIJK, The Ordinal of the Papal Court trom Innocent III to Boniface

VIII and Related Documents (Spicilegium Friburgense. 21), Fribourg 1975. -


Je dois à l'obligeance -de Mgr Hanggi, évêque de Bâle et l'un des deux directeurs
de la collection, d'avoir pu prendre connaissance sur épreuves de l'Introduction
du P. van Dijk à son édition.
U Cf. P. SALMON, L'office divin ml moyen âge (Lex Orandi, 53). Paris 1967,
133-135.
UNIFICATION ET LITURGIE DE LA CURIE ROMAINE 161

de la scène historique jusqu'au XI' s. Depuis lors des témoigna-


ges indirects nous attestent que sa liturgie est distincte de celle
du Latran ", en attendant que, à partir d'Innocent III, nous
connaissions les livres avec lesquels elle était célébrée. Au XII' s.,
qui est la grande époque du mythe de l'Église du Latran" mater
omnium", cultivé par la communauté internationale de chanoi-
nes réguliers désormais établie là ", Abélard, dans un passage
célèbre de son argumentation contre S. Bernard en faveur du
pluralisme liturgique, fait état de la différence de liturgie entre
l'église du Latran et la chapelle papale - la " Romani palatii ba-
silica ,,-: "Antiquam certe Romanae Sedis consuetudinem nec
ipsa civitas tenet, sed sola ecclesia Lateranensis, quae mater est
omnium, antiquum tenet officium, nulla filiarum suarum in hoc
eam sequente, nec ipsa Romani palatii basilica" n. L'ecclésiolo-
gie de l'Église·bâtiment et de la communauté canoniale a ici pris
le relai de l'ecclésiologie de l'Ecclesia-assemblée. Elle va être
remplacée à son tour par une ecclésiologie curiale, et le P. van
Dijk a rassemblé dans le vocabulaire même les signes de l'iden-
tification rapide entre Curia Romana et Ecclesia Romana ".
A considérer une telle identification dans la pratique litur-
gique de la curie et dans ses livres, il y a lieu de remarquer que
ce qu'on pourrait appeler le statut ecclésiologique de la liturgie
célébrée par le Pape ou en sa présence n'est pas uniforme et

U Sur les interférences entre les offices du Pape et l'office canonial du


Latran cf. surtout l'Ordo Ecclesiae Lateranemis, passim.
2.G Cf. Ordo Beel. Lat., FISCHER 140: «Quia enim Dea propitio in hac ecclesia
regularium canonicorum vita servatur et ex diversis terrarum partibus clerici
ad serviendum Dea ibidem conveniunt, Romanorum more cantare nesciunt n. -
Sur la communauté canoniale du Latran, cf SALMON, L'office divin, 126.
~I Ep. 10. - P.L. 178, 340 BC. La confiance d'Abélard dans 1'« antiqua consue-
tudo Rornanae Sedis» du Latran a conduit L. Gjerlow à retarder la rédaction
de l'Ordo Ecclesiae Lateranensis, puisque celui-ci dépend en fait ùe Saint-Rufo
Je pense au contraire qu'Abélard a été gagné par la conviction des chanoines
du Latran. En réalité la glorification du Latran Ecclesia-mater, le recours
abondant à l'Ordo Romanus (au pontifical romano-germanique) pour y chercher
la vraie tradition romaine (cf. S. VAN DUK - J. HAZELDEN WALKER, The OrigillS of
the Modern Roman Liturgy, Londres 1960, 78) comme le faisat déjà Grégoire VII,
ainsi que la dialectique (empruntée à Saint-Ruf) entre 1'« USUS}) liturgique et
1'« auctoritas}) qui le justifie, sont des aspects complémentaires d'une attitude
cohérente et sincère (sur la conception de la vérité historique au moyen âge
cf. Y. CoNGAR, «Les Fausses Décrétales, leur réception, leur influence », Rev. Sc.
Phil. Thol. 59. 1975, 279·283).
Sur le thème de l'Eglise romaine «caput omnium ecclesiarum}) dans les
lettres du Pape Paul 1er et sur la qualification de l'église du Latran comme
«caput et vertex omnium ecc1esiarum )), cf. R.-J. LoENERTZ, «"Constitutum
Constantini". Destination, destinataires, auteur, date", Aevum 48, 1974, 221.
11 The Origins, 84.
162 PIERRE-MARIE GY

qu'il convient d'y distinguer trois parts, même si celles-ci ne


correspondent pas à des livres séparés: les grands offices festifs
au cours de l'année liturgique (pour lesquels le Pape et la cu-
rie vont soit à la basilique du Latran soit dans d'autres basili-
ques); les célébrations sacramentelles propres à l'évêque (les
ordinations par exemple); enfin la liturgie ordinaire de la Messe
et de l'Office. En ce qui concerne la deuxième de ces catégories,
il y aurait lieu d'étudier la diffusion du pontifical romain dans
les derniers siècles du moyen âge, qu'il s'agisse de celui de la
curie ou de sa révision par Durand de Mende: lui seul fut impri-
mé, et J'interdiction par Clément VIII d'en utiliser aucun autre
consacre un état de fait plutôt qu'elle n'impose un changement
dans la pratique.
Corrélativement on peut se demander si l'établissement de
l'ordinaire de la curie n'est pas dû au fait qu'on commençait
à vouloir suivre la liturgie de la chapelle papale ailleurs que
dans le lieu même où elle était d'abord célébrée sans qu'on eût
besoin sur place d'autres normes que la force de la coutume.
Une telle interprétation ne ferait pas violence à l'intitulé de
l'ordinaire: «Incipit ordo Romanae ecclesiae curiae, quem con-
sueuimus observare ... » 23,
Quoi qu'il en soit d'une telle présence en creux de la dif-
fusion de la liturgie de la curie dans la fixation même des livres
de celle-ci, trois questions se posent au sujet de cette diffusion
pendant la période qui va d'Innocent III au bréviaire de Qui-
nonez et à Trente: Comment cette diffusion s'est-elle opérée chez
lez Franciscains et les autres Mendiants? dans les églises de
Rome? dans les Églises de l'Occident latin en général? La pre-
mière de ces questions a été complètement renouvelée par les
travaux du P. van Dijk: il est clair désormais que les Francis-
cains ont adopté les livres liturgiques de la curie et non l'inverse,
et n'ont guère apporté à ceux-ci que des abrégements secondaires
ou des aménagements rubricaux, en particulier avec Haymon de
Faversham. Le P. van Dijk a estimé également que Grégoire IX
et Innocent IV avaient exercé une certaine pression pour que
la liturgie de la curie soit adoptée plus largement ". L'indice le
plus frappant peut-être qu'il ait relevé, est une parole de Gré-
goire IX aux Franciscains alléguée par Angelo de Chiarino:

23 The Ordinal, XX.


24 The Origins, 265, 398402.
UNIFICATION ET LITURGIE DE LA CURIE ROMAINE 163

« Fratres, si vultis absque detruncatione aliqua offidum ecclesie


facere, omnibus religiosis qui sunt in ecclesia, exceptis canonicis
regularibus et monachis sancti Benedicti, mandabo quod vestrum
officium fadant»". A supposer qu'elle soit authentique, la phrase
n'envisage pas que l'office de la curie soit substitué à celui
d'Églises diocésaines '", mais qu'il soit imposé aux religieux autres
que les moines et les chanoines réguliers, c'est-à-dire, en termes
du XIII' s., aux Ordres Mendiants, que Grégoire IX considère
comme ayant un rapport particulièrement étroit avec le Siège
Apostolique" .
La diffusion de la liturgie de la curie dans les églises de
Rome a fait l'objet d'un débat entre M. Andrieu et St. van
Dijk, le second refusant à la curie deux sacramentaires attri-
bués à celle-ci par le premier, ainsi qu'un légendier, et y voyant
l'oeuvre probable du cardinal Jean Cajetan Orsini, le futur Ni-
colas III, pour les églises romaines de sa juridiction "'. De toute
façon une telle tentative, si elle est de lui, ne faisait que prélu-
der à l'unification liturgique de Rome avec la chapelle papale,
prescrite par Nicolas III, selon le témoignage, apparemment
fondé, de Raoul de Rivo: «Nicolaus papa tertius, natione Ro-
manus de genere Ursinorum, qui coepit anno Domini millesimo
ducentesimo septuagesimo septimo et palatium apud sanctum
Petrum construxit, fecit in ecclesiis Urbis amoveri antiphona-
rios, gradualia, missalia et alios libros officii antiquos quin-
quaginta et mandavit, ut de cetero ecclesiae Urbis uterentur
libris et breviariis Fratrum Minorum, quorum regulam etiam
confirmavit. Unde hodie in Roma omnes libri sunt novi et Fran-
ciscani ... » 211.
La prescription de Nicolas III trouve son complément final
dans les statuts de Pierre Roger de Beaufort, le futur Grégoi-
re XI, pour les chanoines du Latran: «Ut membra capiti se con-
forment, praesenti institutione decernimus, quod tam nocturnum
quam diurnum in Lateranensi ecclesia eum nota dicatur iuxta
rubricam, ordinem sive morem sanctae Romanae eccIesiae, seu

2li Expositio Regtllae Fratnlm Mil1orUln, 3. - Ed. L. OLIGER, Quaracchi 1912, 88.
25 The Origins, 398. dépasse la portée ùu texte.
21 Cf. ma note sur «Le statut ecclêsiologique de l'apostolat des Prêcheurs
et des Mineurs avant la querelle des Mendiants », Rev. Sc. Phil. Théol. 59, 1975,
79-88.
28 The Ordinal, XVIII, semble moins assuré que The Origins. 405-411 en ce
qui concerne le rôle d'Orsini.
29 De canunum observantia, Prop. XXII. - Ed. MOHLBERG, Münster LW. 1915, 126.
164 PIERRE-MARIE GY

capellae domini nostri papae »30. Le rapport ecclésiologique qui,


au XII" S., était celui de la mère (le Latran) à une de ses filles
(la chapelle papale), s'est inversé en celui d'un des membres à
la tête.
La troisième question est celle de la diffusion de la liturgie
de la curie en dehors de Rome et des Ordres mendiants. Le
P. van Dijk a commencé à en constituer le dossier. Si l'on met à
part une décision d'Innocent IV en faveur du chapitre de sa
ville natale ", les faits qu'il a relevés concernent des Églises
d'Italie centrale: Assise avant même la fondation de l'Ordre des
Mineurs, ce qui éclaire l'attitude de S. François 32; Spolète vers
le milieu du XIII", peut-être Città di Castello vers la même épo-
que M. On peut y ajouter Florence en 1310 35 • Une recherche dans
les statuts diocésains d'Italie centrale, dans la mesure où il en
existe, permettrait sans doute du multiplier les points de repère.
En tout cas, dans la période qui va de l'invention de l'imprime-
rie à la promulgation du bréviaire et du missel de S. Pie V, on
ne connaît aucun bréviaire ou missel diocésain imprimé d'Ita-
lie centrale, alors qu'il y en a quelques uns pour le sud et le
nord de la péninsule.
Le séjour des Papes en Avignon est marqué par deux faits
qui concernent la rôle de la liturgie de la curie en Occident: la
multiplication des bénéfices concédés à des clercs de curie, et
l'adoption de la liturgie de la curie par l'Église d'Avignon. Il
était fréquent désormais que des clercs de la curie, sans quitter

3tI Const. Lateranenses, 1. - P.L. 78, 1394 B.


31 The Origins, 399.
32 The Origins, 117.
33 The Origins, 399.
34 The Origins, 402.
35 Ici le décret synodal semble encore appliquer l'image de la tête et des
membres au rapport avec la liturgie de la cathédrale. Il adopte la double solution
d'un ordinaire rapproché de celui de la curie (ce qu'on appellera après Trente
les livres «ad formam Romani») et de la permission, donnée à ceux qui
veulent, de dire l'office de la curie: « .. , duximus statuendum quod procura tores
den florentini teneantur et debeant ex debito officii cDrom, infra terminum
duorum annorum sollicite pro posse eorum, procurare et facere nobiscum quod
a nobis eligantur et assumantur usque ad sex vel octo clerici clericatus predicti,
qui a nobis per censuram ecc1esiasticam compellantur super ordine offitii
ecclesie matricis florentine providere, ct ipsum corrigere et ordinare, clare
et distincte, secundum quern ordinem a subditis nos tris dici dcbeat offitium
divinorum in civitate et dyocesi fIorentina, sequendo et adproximando ipsum
ordinem ad offitium curie romane, et manutcnendo et conservando antifonarios
et libros dicti cleri, prout magis commode viderint fieri posse. Tamen volentibus
uti offitio curie l1ceat sicut placet» (R.C. TRF.XLER, Synodal Lm-v in Florence and
Fiesole, 1306·1518 [Studi e testi, 268), Vatican 1971, 265-266).
UNIFICATION ET LITURGIE DE LA CURIE ROMAINE 165

celle-ci ou guère, reçoivent un siège épiscopal lointain, ou même


plusieurs successivement. Dans une vision théologique de l'épis-
copat à laquelle l'idée de l'évêque" sacerdos magnus sui gregis »
(Sacrosanctum Conci/ium, 41) est étrangère, on les voit obtenir
du Pape la faculté de continuer à dire l'office de la curie au lieu
de celui de 1':Ëglise dont ils ont reçu la charge ".
En 1337 1':Ëglise d'Avignon adopte la liturgie de la curie. Non
seulement la cathédrale est aussi proche de la chapelle du palais
des Papes que la basilique du Latran l'était de la chapelle du
palais apostolique, mais, à plusieurs reprises en ces années, le
Pape lui-même s'est réservé le Siège d'Avignon. Le texte de la
décision synodale révèle une ecclésiologie pour laquelle l'Eccle-
sia Romana est alors sur les rives du Rhône: "Sacrosancta nam-
que Romana Ecclesia, Ecclesiarum omnium, in quas christianae
fidei propagatio diffunditur, mater esse dignoscitur et magistra,
et quia iam dudum ipsa Ecclesia et Romana curia consequenter
civitatem nostram Avenionensem eiusque dioecesim ex peculiaris
affectionis instinctu conversationis piae matris incolunt commu-
niter, sic quod suos mores digna reputatione laudabiles merito
et creditur in cleri nos tri pectoribus, Domino auctore, salubriter
indidisse; ut ipsi maxime clerici quantum ad divini officii ordi-
nem sibi tamquam devotionis filii et membra capiti se confor-
ment, cum sicut arbor a radice non discrepat, nec differt ramus
ab arbore, ita nec geniti a sua degenerent genitrice ».
" Ordinamus ergo atque statuimus quod amodo universi et
singuli clerici ac personae ecdesiasticae praedictae civitatis et
dioecesis a consuetis officiis liberi et immunes existant, et pris ti-
nis veterum codicum rudimentis omissis, tarnquam spiritum in
hac parte novi hominis induentes, dummodo officium divinum
pari ter et nocturnum dicere valeant iuxta ordinem, morem seu
statutum quo Ecclesia utitur et Romana curia supradicta. Cete-

38 Cf. Jean XXII pour Guillaume, évêque de Meaux, le 22 mars 1318 (Lettres

communes, n. 6673). Cf. l'index de G. MOLLAT aux Lettres communes, Paris 1935,
sous la rubrique « InduIta horas dicendi et divina officia celebrandi secundum
ritum liturgicum» (p. 167).
Le formulaire de la chancellieIie apostolique à cet effet a été rédigé originelle-
ment pour un évêque d'Arras qui doit être un des successeurs du Dominicain
Gérard Pigoletti (1295-1316): «quod tu horas huiusmodi iuxta morem eiusdem
ecc1esie Romane dicere val cas nec tencaris si nolueris ad morem uel ordinem
alium super hiis obseruandum, deuotioni tue auctoritate presentium de speciali
gratia indulgemus, prouiso quod tu ecc1esie tue Atrebatensis consuetudincm
in predictis horis dicendis obseruare studeas quotiescumque in ipsa ecclesia
huiusmodi horis canonicis te contigerit interesse" (M. TAXGT., Die papstlicheH
Kanzlei-Ordnungen von 1200-1500, Innsbruck 1894, n. 149, p. 338).
166 PIERRE~MARIE GY

rum quia ni! prodest aliquid statui, nisi festiva contigerit exse-
cutione compleri adjiciendo statuimus, ut in universis et sin-
l

gulis ecclesiis eiusdem civitatis et dioecesis, quarum Iibri ex an-


tiquitatis incommodo renovationis vel reparationis remedio in-
digent, illi ad quos pertinet, emant seu fieri faciant Iibros con-
venientes et aptos, qui dictae ecclesiae et Romanae curiae usui
congruant opportuno)} 37.
Il ne semble pas que d'autres Églises de la même région,
ou du royaume de France, aient, à l'exemple de l'Église d'Avignon,
adopté la liturgie de la curie. Avignon mis à part, sur les 3
autres diocèses du domaine papal et les 116 du royaume de
France en 1570, 84 avaient, depuis l'invention de l'imprimerie,
publié soit un bréviaire, soit un missel, soit les deux". Une
vérification serait à tenter pour les 35 autres, en général des dio-
ces es du midi. Ils étaient souvent si petits ou si pauvres que
le clergé a pu se servir des livres imprimés pour un diocèse
voisin JO, surtout dans la quinzaine de diocèses créés par Jean XXII,
qui conservèrent sans doute les livres des diocèses dont ils
avaient été détachés ".
À part la France, des enquêtes semblables seraient à faire
pour les autres pays au nord des Alpes. Tout ce qu'on peut
savoir de leur histoire liturgique jusqu'au XVI' s. donne à penser
que les résultats obtenus ne seraient guère différents.

***
L'unification liturgique de l'Occident, lorsqu'elle entre dans
une nouvelle phase au XVI' s., est l'oeuvre de la curie mais

31 E. MARTÈNE - U. DURAND, T11esaurus novus anecdotomnl, IV, Paris 1717,


col. 557-558.
Deux livres liturgiques avignonnais du XIVe s. nous montrent que les livre!)
de la curie ne furent pas substitués purement et simplement aux livres locaux.
Le ms Avignon Musée Calvel 101, rituel romain copié à l'usage de l'Eglise
d'Avignon entre 1363 et 1368, comporte des particularités locales dans la
liturgie du mariage. Le ms Avignon Musée Calvet 177, collectaire copié en 1396
pour Gilles Bellemère, auditeur des contredites et évêque de la ville, comporte
notamment un calendrier local ajouté au calendrier romain (2r-7v), un «officium
beate marie mixtum cum officio romane ecclesie)) (120r-125r) ct un office
avignonnais des défunts à neuf leçons (134r-141v).
38 J'ai bénéficié ici des cartes établies à partir des répertoires de Weale
et de Bohatta ainsi que du Gesamtkatalog der Wiegendrucke par Mlle A. Aussedat
(Institut de recherche et d'histoire des textes, Paris).
39 Sur les livres liturgiques communs à Embrun et Glandèves, cf. LEROQUAIS,
Les bréviaires manuscrits, III, Paris 1934, 177.
40 Cf., pour le cas de Tulle par rapport à Limoges, LEROQUAIS, Les sacramell-
taires, III, Paris 1924, 81.
UNIFICATION ET LITURGIE DE LA CURIE ROMAINE 167

n'a plus de rapport direct avec la communauté de prière cléri-


cale que la chapelle papale avait été. Lorsque Quifionez publie,
en 1535, le bréviaire réformé dont Clément VII lui avait confié
la préparation, le nom de bréviaire de la curie n'a plus de raison
d'être, et le bréviaire s'appelle Breviarium Romanum ex sacra
potissimum Scriptura et probatis sanctorum historiis constans.
Il ne s'agit plus de la diffusion des livres liturgiques d'une com-
munauté vivante mais d'un livre élaboré par des spécialistes pour
être offert à la récitation surtout privée de ceux qui en feront
la demande. Supprimé après vingt ans, le bréviaire de Quifionez
a certainement contribué à déraciner les liturgies locales et pré-
paré l'unification tridentine mais il faudrait, pour en mesurer
exactement l'influence, savoir si beaucoup d'églises cathédrales
l'ont adopté, interrompant ainsi leur tradition liturgique propre.
Cette dernière question se pose d'autant plus que les bul-
les de S. Pie V pour la promulgation du bréviaire et du missel
tridentins étonnent l'historien par la clause qui réserve les droits
des liturgies particulières ayant au moins deux cents ans d'exis-
tence légitime ". Hors d'Italie une telle clause était applicable
dans presque toutes les Églises, mais le dispositif adopté rendait
sans doute les nouveaux livres obligatoires dans la majorité des
diocèses d'Italie, tout en laissant dans son droit la liturgie des
Dominicains. Quoi qu'il en soit de ce point nombreuses furent
les Églises qui adoptèrent les livres romains réformés sans y
être obligées. Les défauts des livres locaux, souvent les diffi-
cultés d'édition, et surtout un sentiment plus resserré de l'unité
catholique après Trente, invitaient à aller dans ce sens.

Pierre·Marie Gy

41 Grâce aux papiers de Sirleto nous avons quelques lueurs sur la prépa-
ration de la bulle Quod a nabis (cf. J. VIAU, La centralisation romaine et 50/1
influence sur le bréviaire et le missel du concile de Trente à Urbain VIII, thèse
inédite, Paris 1967. 84-85). Un premier texte avait, à propos des bréviaires
propres, les mots «vel ad illius fonnam ct tenorem reductis », que Sirleto
fait enlever. De même le Pape dit à un moment donné qu'il maintiendra la
fête de la Présentation de la Vierge si l'on peut lui prouver qu'clic a cinq
cents ans d'existence (et non encore deux cents): Sirleto note à ce sujet avoir
répondu qu'il pouvait le prouver, mais qu'il n'a pas été écouté.
«AD LIBITUM DU SUPÉRIEUR»

Le titre de cette étude traduit la manière dont la pratique


liturgique de l'Église russe a compris et appliqué un membre de
phrase que l'on trouve fort souvent dans les règles de son Typi-
con, principalement dans les 15 premiers chapitres de ce livre
qui traitent de la composition des offices qu'il y a lieu de célé-
brer à l'occasion des fêtes et de mémoires de saints, compte
tenu de leur caractère festif. Ce membre de phrase se répète sous
une forme verbale qui est presque toujours la même. Sa traduc-
tion exacte en français serait: «si le supérieur le veut», ou
bien: «si le supérieur le désire », ou bien encore: "si telle est
la volon té du supérieur».
Nous estimons nécessaire de rappeler ici que le Typicon en
usage dans l'Église russe, et qui répète souvent ce membre de
phrase, reproduit fidèlement le typique de saint Sabbas. Dans
les autres Eglises de rite byzantin ce typique a été remplacé
par une approximation plus ou moins grande du Typique mo-
derne de l'Eglise de Constantinople. Cette réforme de droit ou
de fait a entrainé une grande diversité dans la composition des
offices et dans la manière de les célébrer. Grâce à cette réforme,
en effet, dans la pratique des différentes Eglises orthodoxes il
n'y a guère un seul office qui se déroule tel que le connaît la
pratique liturgique de l'Eglise russe. Or, dans l'Eglise russe, le
Typicon de saint Sabbas, par le membre de phrase" si telle est
la volonté du supérieur» permet aux chefs des communautés
une certaine liberté dans l'ordonnance des offices. Il en a ré-
sulté une grande diversité au sein de la pratique liturgique russe
elle-même. L'ordonnance et la composition des offices n'y sont
pas de ce fait les mêmes dans les monastères et dans les pa-
rois ses. Il peut y avoir des différences de monastère à mo-
nastère. Et pour ce qui est des différences entre les paroisses,
elles peuvent varier à l'infini.

Ici nous nous permettons d'ouvrir une parenthèse pour


signaler que le Typicon russe donne aussi des pouvoirs très
étendus à l'ecclésiarque. Ce dernier, entr'autres choses, a le droit
de choisir la date de la célébration de certains offices. Ainsi,
170 ALEXIS KNIAZEFF

dans le Ménologe, à la date du 1" septembre, jour de la nouvelle


année ecclésiastique, de la fête de saint Siméon le Stylite et de
la mémoire d'un nombre important de saintes et de saints, le
Typicon contient une note selon laquelle, si le 1" septembre
tombe en dimanche, on omettra l'office du saint martyr Aei-
thalas, des quarante saintes femmes et du diacre Ammon, leur
guide, et l'on chantera cet office à une date à laquelle l'ecclé-
siarque le jugera possible. Cette note signifie que l'ecclésiarque
fera chanter cet office avec l'office d'un autre jour, pour lequel
les Ménées ne renferment qu'une seule mémoire ou acolouthie,
ou bien qu'il chantera les stichères et le canon de ces saints et
de ces saintes, à une date qu'il choisira lui-même, lors de la
célébration d'un office des complies. Ce cas n'est pas unique. Le
Typicon, en effet, ne permet de commémorer un même jour
aux vêpres et aux matines pas plus de deux mémoires en même
temps. Entendons par ces deux mémoires deux offices distincts,
tirés du propre du temps ou des saints, même si dans ce der-
nier cas l'un de ces deux offices, ou les deux à la fois, ont été
composés à la gloire de deux ou d'un plus grand nombre de
saints. Or, certains dimanches du Ménologe, tels ceux qui pré-
cédent ou qui suivent Noël et l'Epiphanie, les dimanches du
Triode et du Penticostaire, de même que certains samedis ainsi
que toutes les célébrations de la Semaine de la Passion et de
la Semaine de Pâques suppriment totalement, sauf dans des
cas très rares, l'office des saints du jour avec lequel a lieu
l'occurrence. L'office ainsi omis doit être reporté à une autre
date et c'est à l'ecclésiarque qu'il appartient de la choisir en
tenant compte des particularités de l'année liturgique encours.
Il est évident que la date ainsi choisie pour chanter tel ou tel
office omis par l'effet de différentes incidences variera beau-
coup de communauté à communauté. Il existe de ce fait dans
le rite byzantino-russe une possibilité de diversifications locales
qui sont liées aux problèmes posés chaque année pour un nom-
bre relativement grand de mémoires en ce qui concerne la date
de leur célébration.

Mais revenons à la variété existant quant à la construction


des divers offices et découlant de la liberté que dans ce domaine
le Typicon lui-même a laissé au supérieur. Comment cette liberté
s'exerce-t-elle? A-t-elle des limites? Dans quelle mesure cette
liberté a-t-elle été élargie par la pratique liturgique actuelle?
« AD LIBITUM DU SUPÉRIEUR» 171

En accordant au supeneur cette liberté le Typicon n'a pas


expressément posé de principes généraux. Il a procédé dans ce
domaine selon sa manière habituelle, c'est à dire en prévoyant
et en précisant un certain nombre de cas. En voici quelques uns:

1) Au chap. 6, «Des vigiles» page 13, recto, de l'édition


du Typicon publiée par le Saint-Synode de l'Eglise russe à Moscou
en 1904, nous lisons que le supérieur peut, s'il le désire, en plus
des 68 cas où la célébration des vigiles est expressément prévue
comme obligatoire par le chapitre en question " faire chanter le
même office pour d'autres mémoires spécialement désignées dans
le Typicon 2 et si ses clercs manifestent un zèle spécial dans
l'effort spirituel que l'on doit faire pour veiller à son salut.
2) Le chap. 7, p. 13 au verso de la même édition, montre
que la célébration des vigiles le dimanche est plus souhaitable
qu'obligatoire. En effet, si le supérieur le veut, il peut, à la place
de cet office, faire chanter les grandes vêpres et les matines se-
lon les indications que donne ce même chapitre.
3) Dans le chap. 8, qui traite des liturgies eucharistiques
(ibid., p. 15, verso), nous apprenons que s'il s'agit de pays froids,
comme la Russie, le supérieur peut librement choisir pour la
célébration de ces offices des heures différentes de celles que le
Typicon avait prévues pour la Palestine.
4) Au chap. 13 (ibid., p. 24, verso), il est question de l'offi-
ce du samedi. Le supérieur peut, s'il le désire, faire chanter
l'office du samedi comme un office ordinaire et non comme un
office pour les défunts, donc d'une manière différente de celle
prescrite par l'Octoèque. Et c'est ce qui toujours a lieu dans la
pratique. L'office du samedi n'est chanté comme un office pour
les morts que très exceptionnellement: cela se fait notamment
le samedi de la Tyrophagie et le samedi d'avant la Pentecôte qui
sont spécialement choisis comme jours de prière pour les tré-
passés.

1 Il s'agit des 52 dimanches de l'année, des douze grandes fêtes du Seigneur

et de la Théotokos, des mémoires de 2e classe et de la fête du saint patron


de l'église.
2 V. le Ménologe cu chap. 48 du Typicon.
172 ALEXIS KNIAZEFF

5) Le chap. 15 (ibid., p. 27). permet au supérieur de choisir


de célébrer les vigiles un samedi si le saint du jour possède
les vigiles et de chanter cet office même si ce samedi se trouve
inclus dans une période d'après-fête '.
L'examen de ces quelques cas nous montre que presque
toujours le libre choix du supérieur est mis par le Typicon en
relation avec le degré de festivité qu'il prescrit pour les offices
des différentes fêtes ou mémoires des saints. Il nOus faut donc
rappeler ce qu'est ce degré de festivité afin d'établir quelle est,
selon l'esprit du Typicon, la véritable portée de ce libre choix.
La variété qui, même indépendamment de ce libre choix
du supérieur, existe dans le rite byzantin quant à la construc-
tion des offices, rend impossible une classification rigide des fê-
tes liturgiques. Sous bénéfice de cette remarque essentielle, on
peut, en se basant sur les facteurs les plus importans de discri-
mination et aussi en prenant en considération les indications
du Ménologe, répartir les diverses fêtes et commémorations
entre les sept classes suivantes:
1) La septième classe qui comprend les saints dits sans
fête (&YLOL fL-Ij ~op'1:",?;6fLevoL, ne prazdnu e mye). Ils ont trois sti-
chères aux vêpres, seulement pour les psaumes du lucernaire,
et un canon aux matines, avec, souvent, un apolyticon, un kon-
takion avec ou sans ikos et un exapostilaire.
2) La sixième classe est celle que l'on appelle la classe des
saints aux 6 stichères. Elle est marquée dans le Ménologe par
une espèce de parenthèse ouverte incluant trois points disposés
en forme triangulaire, le tout imprimé en noir. Leur office, en
effet, comprend aux vêpres six stichères, un doxasticon, des
apostiches complètes; aux matines ils possèdent un canon à six
tropaires et l'apostiche est complète, comme aux vêpres. Les
jours d'avant et d'après fête rentrent dans cette catégorie de
mémoires. Quelquefois ils possèdent des stichères aux laudes,
comme c'est le cas pour Noël et pour l'Epiphanie.
3) La cinquième catégorie est désignee par le même signe
que la précédente, mais imprimé en rouge. Elle est dite clas-
se des saints à doxologie. Les offices de cette classe possèdent
aux vêpres et aux matines les mêmes éléments que ceux de
la classe précédente, mais aux matines la doxologie est chan-

3 L'office normal pour un jour d'après-fête relève de la 6" classe. V. infra.


{( AD LIBITUM DU SUPÉRIEUR » 173

tée et non pas leu. Il en résulte qu'aux matines on chante les


stichères aux laudes et non à l'apostiche. Avant d'aller plus
loin noUS devons noter que pour ces trois catégories de fêtes
l'Octoèque supplée aux parties manquantes, tandis que pour les
catégories suivantes il est complètement supprimé, sauf le di-
manche.
4) La quatrième classe a pour signe un croix grecque: >1<.
Le Typicon russe l'appelle classe des fêtes notables '. Son office
comporte les grandes vêpres avec, parfois, trois lectures vété-
rotestamentaires. Aux matines on chante le polyéléos et on lit
une péricope évangélique. Aux vêpres on fait également une
entrée.
S) La troisième classe est celle des fêtes moyennes. Elle
est indiquée par une croisette avec une espèce de demi-lune si-
tuée au-dessous, et on l'appelle classe des saints à polyéléos.
On y trouve des saints comme saint Nicolas (6 déc.), saint
Jean le Théologien (26 sept. et 8 mai), saint Jean Chrysosto-
me (13 nov. et 27 janv.), saint Grégoire le Théologien (25 janv).
Leur office est caractérisé par les grandes vêpres qui compor-
tent des lectures et une procession appelée litie. Les matines
possèdent le polyéléos, la première stance des anabathmi du
4" ton, l'évangile, le canon à la Vierge (qui remplace le canon
de l'Octoèque), le canon ou les canons du saint ou de la fête.
Enfin, une de ces fêtes a une courte après-fête aux vêpres du jour
suivant: c'est celle de S. Démétrius de Thessalonique (26 oct.).
6) La seconde classe a pour signe une croisette inscrite dans
un cercle. Elle comprend un tout petit nombre de saints et de fê-
tes, notamment la Nativité de saint Jean Baptiste (24 jiuin), la mé-
moire des saints Apôtres Pierre et Paul (29 juin) précédée d'un jeû-
ne commençant le lundi qui suit le Dimanche de Tous les Saints,
la Décollation de saint Jean Baptiste (29 août), jour de jeûne strict,
quelle que soit son incidence. Leur office comporte une vigile
nocturne, donc des petites et des grandes vêpres. Les trois mé-
moires ci-dessus mentionnées sont suivies d'une sorte de jour
après fête.
7) La première classe contient les douze grandes fêtes du
Seigneur et de la Mère de Dieu (!l.""o·",""'! ,,"'! 0.0f'l!TPL"",(;

t NaroCitye prazdniki, h'd.(1"t"T]Il4~ top'tQ.L


174 ALEXIS KNIAZEFF

Gospsdokie i Bogorodicnye). Elles ont des vigiles nocturnes.


Toutes sont précédées et suivies d'un ou plusieurs jours d'avant
et d'après-fête et elles se terminent par un jour de clôture
(&,,680'"'' o/danie), où on reprend l'office de la fête en le
réduisant à la cinquième catégorie. Plusieurs de ces fêtes sont
suivies d'un jour consacré à la mémoire des personnages secon-
daires qui ont participé à l'accomplissement du mystère qu'elles
rappelent. Quelques unes de ces mémoires sont appelées synaxes.
Notons, avant d'aller plus loin, que la fête de Pâques reste
en dehors de cette classification. Elle est, en effet, la fête des
fêtes. Son statut, si l'on peut s'exprimer ainsi, est tout à fait à
part. Elle domine toutes les autres fêtes et mémoires de saints.
Son degré de festivité ne saurait être modifié par le libre choix
du supérieur. Ce dernier ne s'exerce qu'à l'intérieur des sept
catégories de fêtes que l'on vient d'énumérer. A part le cas de
la fixation des heures où l'on devra commencer dans les pays
autres que la Palestine la célébration de l'office eucharistique
(chap. 8, p. 15 verso), ce principe du libre choix du supérieur
permet de faire passer une mémoire de saint ou une fête dans
une classe différente de celle dans laquelle elle a été rangée
par le Ménologe.
En effet, lorsque le supérieur choisit de célébrer un diman-
che non les vigiles mais les grandes vêpres (chap. 7, p. 13 verso),
il fait rétrograder l'office de la 2' à la 3' classe, ce qui va dans
le sens d'une diminution de degré de festivité. Au contraire, le
chap. 6 à la p. 13 recto permet au supérieur d'augmenter le degré
de festivité de l'office quand, en plus des cas prévus par le
Typicon, il autorise à célébrer les vigiles, c'est à dire de chanter
un office de 4' ou de 3' classe comme un office de 2' classe. Le
degré de festivité est également augmenté si le supérieur choisit
de célébrer les vigiles un samedi malgré l'apodosis du ton de
l'Octoèque et aussi lorsque le samedi se trouve inclus dans une
période d'avant ou d'après-fête, alors que dans ce cas le Typi-
con prescrit normalement un office de quatrième catégorie (chap.
15, p. 27). Le degré de festivité est également augmenté par la
permission donnée au supérieur de remplacer le samedi l'office
prescrit par l'Octoèque, lequel est un office pour les défunts, par
un office ordinaire (chap. 13, p. 24 verso). Mais où s'arrête
cette permission de modifier le degré de festivité des fêtes et
des mémoires de saints?
« AD LIBITUM DU SUPÉRIEUR» 175

La réponse découle de la classification des offices telle qu'elle


vient d'être définie et, aussi, de l'esprit général du Typicon. Il
ne serait pas possible au supérieur de donner à une fête ou
mémoire de saint l'ordonnance hymnographique et le degré de
festivité particuliers aux douze fêtes de l',e classe du Sei-
gneur et de la Mère de Dieu. Il serait de même impensable de
faire passer l'office de l'une de ces grandes fêtes dans une classe
inférieure. De plus, le supérieur doit se conformer strictement
aux règles qui régissent la construction des offices et l'ordon-
nance hymnographique de la classe qu'il a choisie pour la célé-
bration, notamment quant au nombre de stichères et de tro-
paires. Le libre choix que le Typicon donne au supérieur est
donc, en fait, assez limité. Le supérieur peut alléger certains
offices, assez nombreux, il est vrai, en les faisant passer dans
une catégorie inférieure. Mais le Typicon ne l'autorise pas d'abré-
ger l'office dans la catégorie qu'il a choisie: il doit garder toutes
les caractéristiques de cette classe. Bien plus, dans la plupart
des cas où le Typicon parle du libre choix du supérieur, il oriente
ce libre choix vers un accroissement et non vers un diminution
du degré de festivité du mémoire ou de la fête. Tels sont donc
les principes du Typicon quant à l'exercice de ce libre choix.
Qu'en a-t-il été dans la pratique liturgique de l'Eglise russe?

II

Cette pratique s'est tout d'abord nettement orientée vers


le sens d'une augmentation du caractère festif des mémoires et
fêtes. Elle a même fini par introduire dans le Typicon hérité
de Saint Sabbas des dispositions particulières en ce sens pour
ce qui est des fêtes des saints propres à l'Eglise orthodoxe russe.
On sait que les conciles tenus par le métropolite Macaire de
Moscou en 1547 et en 1549 ont étendu à toute l'Eglise russe le
culte de nombreux saints qui étaient jusque là l'objet d'une véné-
ration strictement locale et que ces mêmes conciles ont pro-
cédé pour les saints russes à un certain nombre de canonisations
nouvelles. Le but de ces conciles était de montrer que par ses
saints l':Ëglise russe était aussi illustre que 1':Ëglise byzantine.
Pourtant 1':Ëglise russe n'a pas osé supplanter par ses propres
saint les saints hérités de Byzance et, dans ses Ménologes, elle a
placé les saints russes en seconde ligne , c'est à dire après les
saints du calendrier byzantin. Dans le Typicon actuel nous trou-
176 ALEXIS KNIAZEFF

vons comme signes indicatifs pour les ménl0ires des saints rus-
ses soit le signe >I< (saints à polyéléos), soit le signe dont à la p. 173,
imprimé en rouge (saints à doxologie), soit le même signe impri·
mé en noir (saints à 6 stichères). Il n'y a pas dans le Ménologe de
saints russes sans fête proprement dite. Mais pour les saints à
doxologie et les saints de la classe immédiatement inférieure le
signe de la fête est accompagné d'une mention préscrivant la
célébration d'une synaxis, autrement dit des vigiles, en cas de
fêtes patronales ou dans les églises où se trouvent les reliques
de ces saints.
L'indication concernant la synaxis et le signe se rapportent
à des choses différentes. L'indication fait connaître quel office
doit être célébré le jour de la mémoire du saint dans le ma·
nastère ou l'église dont il est le patron ou à l'endroit où sont
déposées ses reliques. Le signe indique la classe de l'office à
laquelle on devra se conformer partout ailleurs. Ces signes qui,
aujourd'hui, servent à marquer les mémoires des saints russes,
ont été introduits dans le Typicon en 1682, après la révision de
son édition de 1641. Jusque là le Typicon ne donnait pour les
saints russes que des indications pour les offices de leurs fêtes
patronales, autrement dit pour les offices des vigiles. Ces indi·
cations étaient souvent contradictoires et contenaient de nom-
breuses répétitions. L'édition de 1682 a remédié à cet état de
choses en introduisant dans le Typicon pour les fêtes des saints
russes le système d'indications actuel. Il en a résulté que les
Ménées russes donnent pour ces fêtes tous les éléments hymno-
graphiques qu'exige la célébration des vigiles, autrement dit
cene qui est prévue pour la 3" catégorie des mémoires et des
fêtes. Il s'en est suivi une autre conséquence: on a célébré pour
les saints russes de vigiles même en dehors des fêtes patronales
et dans les lietL" où ne se trouvaient pas les reliques de ces
saints. L'Église russe prit ainsi goût à la célébration des vigiles:
aujourd'hui on y célébre cet office bien plus souvent que dans
les autres Églises de rite byzantin. Mais ces vigiles ne sont dans
une agrypnia de toute une nuit. Elles durent au maximum
de deux à trois heures. Le libre choix du supérieur a fini, en
effet, par devenir dans l'Église russe un principe qui permettait
à la fois de rendre les offices plus solennels et de les abréger
en les adaptant aux nouvelles conditions de temps et de lieu.
La pratique russe a fait, tout d'abord, évoluer la notion de
supérieur. Le mot grec qui, le plus souvent, correspond à ce
« AD LIBITUM Du SUPÉRIEUR» 177
---------

terme, est proestos. Il s'applique surtout à l'évêque et, dans la


pratique grecque, toutes les modifications de la composition des
offices, tout comme leur ordonnance, sont réglementées et pres-
crites par l'évêque. Puis proestos a désigné les supérieurs des
monastères. La pratique russe a étendu cette notion de proestos
pouvant librement choisir la classe des offices aux prêtres des
paroisses. En effet, les diocèses russes ont été et demeurent
encore immenses. Les évêques ne pouvaient pas, de ce fait, sur-
tout dans les siècles passés, visiter toutes les communautés de
leur diocèse et souvent les prêtres des campagnes et des petites
villes ne voyaient leur évêque que le jour où ils recevaient l'ordi-
nation. Par la force des choses les prêtres paroissiaux ont pu
eux aussi avoir un libre choix pour ce qui est de la composi-
tion et de l'ordonnance des offices. De là dans ce domaine ces
innombrables différences de région à région, de ville à ville,
de paroisse à paroisse, dont il a été déjà parlé. Peut-on montrer
les grandes lignes de ces différences?

1) Elles ont trait, en premier lieu, à l'élément hymnogra-


phique que l'on retient. Nous avons vu plus haut que le Typicon
obligeait le supérieur de se conformer entièrement aux règles
qui régissent la classe qu'il choisit pour la célébration d'une
mémoire ou d'une fête et qui, entr'autres choses, déterminent
strictement le nombre des stichères et des tropaires. Or, dans
la pratique, ce nombre est réduit, parfois de façon très sensible,
sauf au mont Athos et dans les monastères. Dans les cathédrales
et les paroisses on ne chante presque jamais, même aux vigiles
de très grandes fêtes ou à l'office des présanctifiés, tous les
dix stichères prévus pour les psaumes du lucernaire. Parfois
on se contente de chanter le premier stichère, de lire le second
et de passer immédiatement au chant du doxasticon. De même,
on ne lit presque jamais tous les quatorze tropaires aux odes
du canon des matines. Les antiphones graduels sont presque tou-
jours omis, même le dimanche. Mais la pratique de l'abréviation
des offices va plus loin encore, et, de ce fait, elle entraîne de
nouvelles différences entre les communautés.

2) Les différences se traduisent également dans la ma-


nière dont on réduit l'élément scripturaire des offices. Ainsi:
a) Sans doute à cause de l'hypertrophie dans le rite by-
zantin de l'élément hynmographique, on a fini par ne plus obser-
178 ALEXIS KNIAZEFF

ver le principe de la récitation quotidienne du Psautier. Sauf au


mont Athos, dans les grands monastères et dans quelques pa-
roisses, mais là seulement pendant la première semaine du Ca-
rème, on ne lit plus en entier les sections liturgiques du Psautier
que prescrit le Typicon, mais trois psaumes, deux psaumes et
même, très souvent, un seul psaume ou une fraction de psaume.
h) Sauf dans les monastères (et à Saint-Serge) on ne fait
plus précéder aux matines les hirmoï et les tropaires du canon
par le chant des odes bibliques, dont le texte est donné dans
l'Hirmologion et dont l'emploi est précisé par le Typicon et le
Triode.
c) Dans les petites paroisses de la Diaspora russe, dans
les chapelles des pensionnats et des maison de retraite on omet
presque toujours les 15 lectures vétérotestamentaires prévues
pour les vêpres du Grand Samedi. On va même jusqu'à suppri-
mer totalement la lecture de l'Ancien Testament prescrite pour
les grandes fêtes et les mémoires de saints.
d) Alors qu'en général à la liturgie eucharistique il y a
un même jour à l'Epître et à l'Evangile des lectures relevant
l'une du propre du temps, l'autre du sanctoral, très souvent avec
l'autorisation du supérieur on ne retient qu'une seule lecture
tant pour l'Epître que pour l'Evangile.

3) Les différences tiennent aussi au fait que la pratique


a permis au supérieur de prendre des décisions concernant la
suppression de certaines parties fixes des offices. C'est ainsi que:
a) Les petites vêpres, que l'on doit célébrer avant les
grandes vêpres lorsqu'il y a vigiles, sont presque partout tom-
bées en désuétude, sauf au mont Athos.
h) Sous prétexte qu'il n'y a plus d'Empereur orthodoxe,
on omet la partie dite royale des matines avec les psaumes royaux
19 et 20.
c) On ramène quelquefois à trois, à deux parfois, les six
psaumes de l'hexapsalme des matines; on omet au même office
les petites ecténies entre les odes du canon, même aux matines
de Pâques; aux vigiles on dit une seule fois au lieu de deux fois
l'ecténÎe: « aie pitié de nous, ô Dieu ».
{( AD LIBITUM DU SUPÉRIEUR» 179

d) Les lectures patristiques et hagiographiques des vi-


giles sont tombée en désuétude il y a déjà fort longtemps '.

4) Le supérieur peut se dispenser d'avoir les offices tous


les jours. Il y a des paroisses où l'on célèbre l'office deux ou
trois fois par semaine. Dans la Diaspora on se contente parfois
d'avoir les offices le dimanche et les jours des grandes fêtes.
On va jusqu'à omettre, pour des raisons techniques ou de ca-
ractère local, les offices du Carême et ceux des trois premiers
jours de la Semaine sainte.

S) On peut, enfin, voir une certaine liberté, donc des dif-


férences de communauté à communauté, en ce qui touche la cé-
lébration de la liturgie eucharistique. Ainsi, on s'abstient de lire à
la fin du service le psaume 33, " Je bénirai Dieu en tout temps »,
qui termine les Typiques; on ne chante plus tous les tropaires et
kontakia qui sont prévus chaque jour pour la liturgie des caté-
chumènes; on omet aux "Béatitudes» les tropaires du canon
des matines et cette pratique est devenue quasi-générale. Cer-
tains prêtres de paroisse dans la diaspora et même en Russie
omettent actuellement l'ecténie et la prière pour les catéchumè-
nes, supprimées en Grèce par la réforme liturgique de 1838. Mais
là s'arrête le libre choix des supérieurs russes qui respectent
scrupuleusement les prières de la partie antiphonaire de la
messe et celles de la liturgie des fidèles .

•••
Telle est, dans ses grandes lignes, l'interprétation que la pra-
tique liturgique russe a donné à la permission laissée au supé-
rieur de modifier selon sa volonté le degré de solennité de cer-
tains offices festifs et la grande liberté de fait qu'elle a engen-
drée. Il est hors de doute qu'une telle liberté conduit à de véri-
tables abus. Dans les paroisses de province, surtout dans la
Diaspora, où l'on manque de livres liturgiques, de moyens vo-
caux, de connaissances théologiques et techniques, on va parfois
jusqu'à défigurer complétement l'office. Aussi le regretté Mi-

5 Le prof. M. Skabollonovitch, de l'Académie de Kiev, a été obligé de faire


de très longues recherches pour ne retrouver que l'essentiel des textes néces-
saires pour la célébration de ce qu'il a appelé les vigiles idéales. Voir M. SKA-
BOLLONOVITCH, Les Vigiles idéales (Kiev).
180 ALEXIS KNIAZEFF

chel Ossourguine, le maître-rubriciste de l'Institut Saint Serge,


prenait-il amèrement à partie cette liberté que le Typicon laissait
aux chefs des communautés de lui désobéir. Le P. Cyprien Kern
devant cet état de fait réclamait une réforme liturgique, sem-
blable à celle que l'Église de Grèce a adopté en 1838. Il aurait
souhaité dans l'Église russe un Typicon propre aux paroisses,
qui aurait codifié certains usages nés en marge du Typikon de
saint Sabbas mais pleinement conformes à ses principes et à
son esprit. Malheuresement chez les Russes, tant dans leur pays
que dans la Diaspora, toute réforme liturgique est aujourd'hui
impossible. La Diaspora est divisée sur le plan des obédiences
ecclésiastiques. Quant à l'Eglise de Russie, elle vit depuis plus
d'un demi-siècle sous un régime de persécution et d'oppression
d'une violence et d'une persévérance jusqu'ici inconnues. Tout
ce que peut faire actuellement cette Eglise est de s'efforcer de
survivre. De plus, les croyants russes, traditionnalistes par tem-
pérament, ont été de tout temps réticents à tout changement
dans le domaine de rites ou de textes liturgiques. Il faut ajouter
à cela que l'idée même de réforme liturgique a été discréditée
pour des décennies par deux tentatives réformistes d'inspiration
à la fois politique, moderniste et sécularisante qui se sont pro-
duites en Russie après 1922: 1'« Église vivante» et 1'« Église ré-
novée ». La seule possibilité d'adaptation liturgique aux condi-
tions nouvelles se réduit donc actuellement à l'utilisation avec
sagesse et discernement du principe selon lequel, grâce au Typi-
con lui-même, les chefs des communautés priantes peuvent avoir
une certaine liberté dans l'ordonnance des services religieux. Ce
principe possède l'appréciable avantage de permettre à la fois
l'unité et la diversité en matière liturgique. Tout en maintenant
intactes les lois essentielles du Typicon ce principe ouvre la
possibilité pour une infinité d'adaptations locales. Il permet
d'avoir un type d'offices propre aux paroisses, aux camps de
jeunesse, aux aumôneries. L'Église russe d'avant la Révolution
a connu des systèmes d'offices appropriés pour les églises des
lycées, d'ambassades, de garnisons, d'écoles militaires ou de
grands établissements publics. Ce principe ne résoud évidem-
ment pas tous les problèmes actuels, comme, par exemple, ceux
de la modernisation de la langue liturgique, de la révision des
textes scripturaires employés dans l'office; il ne peut pas à lui
seul rapprocher de la piété actuelle, tant au point de vue de la
forme que du contenu de leur hymnographie, certains offices
« AD LIBITUM DU SUPÉRIEUR» 181

de saints byzantins ou même russes. Certes, son application


exige une bonne formation à la fois liturgique, théologique et
pratique pour les prêtres, les psaltes et les chefs des chorales.
Mais, toutes les fois que cette condition se trouve réalisée, le
principe du libre choix du supérieur appliqué avec tact, goût
et amour de la liturgie, même à notre époque changeante et
mobile est tout à fait encore capable de rendre d'inappréciables
services.

Archiprêtre Alexis KNIAZEFF


Recteur de l'Institut de Théologie
Orthodoxe Saint-Serge de Paris
LE CHANT DE LA LITURGIE CHRÉTIENNE:
PÉRENNITÉ DE SES PRINCIPES DANS LA DIVERSITÉ
DE SES MANIFESTATIONS

Notre époque est à la recherche d'unité '. Or le morcelle-


ment, la spécialisation des connaissances nous cachent les do-
maines dans lesquels cette unité existe potentiellement et peut
donc être réalisée non simplement de manière théorique, exté-
rieure, mais comme unité vécue 2, Un domaine des plus ca-
ractéristiques dans ce sens est celui de la liturgie chrétienne
telle que nous la révèle la science liturgique actuelle et telle
qu'elle est vécue dans l'expérience ecclésiale. En effet l'appa-
rence hétéroclite des rites chrétiens présents à l'oreille et à l'oeil
de l'observateur extérieur, recouvre des structures indéniable-
ment communes remontant aux sources mêmes du christianisme 3,
Ces structures et le contenu spirituel qu'elles ont manifesté et
manifestent toujours encore - bien que parfois de façon ca-
chée - sont recouverts par des couches d'alluvions étrangères.
Leur redécouverte nécessite un travail patient et attentif '. Ce
travail ne peut être réalisé par un effort scientifique purement
rationnel. Il nécessite la collaboration d'une science objective,
d'une intentionnalité tournée vers le divin et d'une intuition que
nous appellerons volontiers "artistique ». En effet l'art n'est-
il pas le complément nécessaire de la science rationnelle dans
la recherche du réel, du réel qui recouvre non seulement les

l La création d'organismes tels que l'D.N.V., l'U.N.E.S.C.O., la C.E.E., le


Conseil Oecuménique des Églises, etc., assurant au moins une certaine unité
extérieure est - dans ce sens - caractéristique.
~ a - Sens du sacré et relation avec le «tout-autre» pour les non-athées.
b - Mystère de la création à partir du néant par un Créateur transcendant.
mais intervenant dans le destin de l'homme, pour les juifs, chrétiens et
musulmans.
c - Mystère trinitaire et mystère de l'Incarnation pour les chrétiens.
d - Dogme des deux natures en Christ pour les «Cha1cédoniens >l.
3 Forme des réunions eucharistiques et leurs origines synagoguales.
Voir: - «Les origines du culte chrétien>l de Mgr DUCHÉSXE, ouvrage qui,
malgré son ancienneté, garde toute sa valeur.
- Les dernières oeuvres du P. Louis BOUYER, en particulier «L'Eucha-
ristie» (DescIées 1966).
4 Le Concile Vatican II, dans sa constitution «Sacrosanctum Concilium ",
invite à «rédécouvrir» et à restaurer les traditions fondamentales de la liturgie.
184 l\:1AXIME KOVALEVSKY

phénol11ènes mesurables, l11ais l'ensemble des phénOlnènes


créés?'. Force nous est donc de parler de l'art et en particulier
de l'al·t liturgique.
Dans le domaine général de l'art, l'art liturgique occupc une
place particulière. Il se veut être le moyen de communication
directe entre les fidèles et une Transcendance, objet d'un culte
commun. Il est le véhicule de l'intervention de cette Transcendan-
ce dans l'existence. Pour être valable, un tel art ne peut puiser
ses matériaux dans l'expérience immédiate des sens. Il y a néces-
sairement transposition, transfiguration préalable de ces maté-
riaux. Le fidèle doit en effet être arraché au rythme contraignant,
monotone ou désordonné du quotidien, se trouver dépaysé, pour
pouvoir participer à un rythme plus large, à une oeuvre com-
mune dépassant les limites de l'utilité immédiate. C'est alors
seulement qu'il pourra bénéficier de l'intervention de la Tran-
scendance et assimiler progressivement les vérités de sa re-
ligion.
L'art liturgique garde, dans l'ensemble, une allure de simpli-
cité relative, et un caractère pédagogique qui favorise l'assimi-
lation progressive et la conservation fidèle des affirmations es-
sentielles de la religion donnée. Techniquement - c'est là non
une certitude théorique, mais une constatation historique - cet
art se servira, pour parvenir à ses fins, d'un certain <c formu-
lisme ,,': des formules plastiques ou sonores, ciselées et portées

5 L'image que nous donne la rationalité pure n'est qu'un modèle du réel
et non le réel même.
6 Nous utilisons ce terme dans le sens défini par le professeur Marcel
Jousse: «Le formulisme est l'outil vivant de cristallisation par excellence. Les
gestes de l'homme, qu'ils soient conscients ou inconscients, tendent à sc "re-
.jouer" et vont d'eux-mêmes à une stéréotypie qui facilite l'expression. Ln
stéréotypie des formules vcrbales n'est qu'un cas particulier de cette tendance
fondanlentalc. Dans tous les milieux ethniques, nous retrouvons ee formulisme
gestuel ct oral à base de traditions et donc des liturgies ( ... ). Ainsi les milieux
de style oral sont à mêrne d'élaborer et de retenir, avec une facilité stupéfiante
pour nous, des compositions fort longues où s'agencent, en séries neuves, des
récitations formulaires qui leur étaient familières dès j'enfance. Une fvthmo-
mélodie traditionnelle vient d'elle-même "mouler" ct.:!s récitatifs, suivarlt leur
genre, dans des moules mélodiques dont le rôle esl d'en faciliter le portage.
Dans cc formulisme vivant, nous voyons le jeu indéfini des comparaisons.
oppositions, suppositions, s'assouplir afin de s'ajuster au réel. Dans un milieu
de st:vle oral, ]'improvisateur-récitateur ne crée pas les formules, mais il cree
"a\'cc" ces formules que pourtant il n'a pas inventées. Ce jeu vi\'ant peut êtn:
saisi dans la «perle·leçon » par excellence. le Pa 1er, faite de formules purcment
traditionnelles mais agencées dans un ordre tout personnel, rendant un sens et
un son nouveaux et jamais el1tendus »: M. JOLTSSE, L'anthropologie d" geste.
Ed. Resma, 1969.
LE CHANT DE LA LITURGIE CHRÉTIENl'\E 18.';

au cours des siècles à leur perfection dernière, combinées entre


elles avec une variété infinie, circuleront à travers toutes les
formes de l'art liturgique en lui assurant un caractère de pé-
rennité, d'universalité et de variété dans la cohérence. Ces for-
mules «créent l'armature de la trame qui fait le lien entre les
générations» 7.

Dans le domaine de l'art liturgique, la musique se place à


l'extrême pointe des démarches spécifiques de cet art. Elle est,
par sa nature même, un art non directement imitatif. Par es-
sence, elle est analogique. Elle est, d'autre part, spontanéité, car
elle manifeste directement les mouvements de l'être intérieur
et possède la puissance, d'ailleurs redoutable, de modifier et
Inên1e de susciter ces mouvements. Enfin elle présente un ca-
ractère éminemment fugitif. La pierre sculptée ou une toile pein-
te subsistent et résistent; l'ensemble des sons une fois émis,
disparaît du monde physique. Pour acquérir un caractère de
pérennité, la musique doit s'appuyer sur le phénomène de la
mémoire. La liaison intime entre musique et mémoire est tel-
lement organique qu'elle détermine l'existence même de l'art
musical qui est impossible sans l'actualisation par la mémoire
des sons déjà entendus, des sons qu'on entend et des sons à
venir.
Par la mémoire, la musique est liée avec les couches les
plus humanisées, les plus évoluées, et en même temps les plus
profondes de la conscience. Elle contribue à l'assimilation des
révélations reçues et reflète en retour les révélations dont ces
couches de conscience sont déjà imprégnées. Enfin, plus que les
autres, cet art appelle à la participation: l'auditeur est toujours,
dans une certaine mesure, co-créateur avec l'exécutant et l'au-
teur. C'est assurément pour ces diverses raisons que l'art musi-
cal occupe une place prédominante dans la célébration litur-
gique.
On constate que le choix des matériaux utilisés par une mu-
sique liturgique est conditionné par le caractère de la révéla-
tion qu'elle doit véhiculer. Ainsi une religion adorant les forces
de la nature se servira plus volontiers d'instruments à vent ou

7 Ces remarques s'appliquent aussi bien au:\. textes et musique liturgique,


qu'aux icônes byzantines el russes, el aux fresques romanes, par exemple.
186 MAXIME KOVALEVSKY

de percussion, que de la voix humaine, et de rythmes déclanchant


des forces élémentaires, que de rythmes oratoires. Une religion
anthropomorphique, telle que celle de la Grèce antique, préfè-
rera le «chant-poésie» (musikè) accompagné d'instruments à
cordes pincées (suits discontinue de sons préétablis) représen-
tant l'accord rationnel de l'humain avec une loi universelle exté-
rieure traduisible par des nombres '.

Tout différents seront les moyens utilisés par le christia-


nisme. La révolution chrétienne, en effet, ouvre à l'ensemble
des peuples méditerranéens, et ensuite à toute l'humanité, une
vision rénovée du monde. C'est la vision biblique avec toute sa
profondeur sémitique traditionnelle, rajeunie et transformée par
la prédication orale de la Bonne Nouvelle de libération et de
résurrection. Les points de cette révolution essentiels pour le
développement de la musique liturgique sont, selon nous, les
suivants:
- L'homme est créé de la terre, mais animé par le souffle
de Dieu et, grâce à ce souffle, il est l'image de Dieu. D'où l'extrême
importance du souffle, synonyme d'esprit, et son rôle de véhi-
cule des paroles sacrées.
- Le royaume des cieux n'est ni un lieu ni une loi extérieure,
il est à l'intérieur de nous. Aucune forme extérieure ne peut donc
entièrement déterminer notre vie intérieure.
- La vérité (justesse) nous rend libres. Cette vérité n'est
ni naturelle ni intellectuelle. C'est un don accordé d'en-haut et
assimilé vitalement, progressivement, comme une nourriture par
l'être total. Le centre vital de l'home n'est pas Je cerveau mais
le « coeur », être global.
Pour communiquer, assimiler, entretenir et propager ces
révélations toutes nouvelles, un véhicule nouveau s'est imposé.
C'est ainsi qu'est né un art très particulier: notre musique litur-
gique.
Les documents historiques et les témoignages des Pères des
premiers siècles sont concordants pour affirmer que, sans hési-
tation, l'Église est amenée à assigner des buts précis à sa mu-

B La musique grecque antique possède la notion de «note: son isolé », ce


qui n'est pas les cas pour la musique sémitique à partir de laquelle se développe
notre musique liturgique (voir note 9).
LE CHANT DE LA LITURGIE CHRÉTIENNE 187

sique: exprimer des démarches intérieures de l'homme sans in-


termédiaire mécanique; soutenir, préciser et sanctifier la parole;
libérer les participants au culte des contingences du monde ex-
térieur pour les rendre disponibles à l'action de la grâce; favo-
riser l'assimilation et la remémoration de l'enseignement. Ces
buts imposeront tout naturellement le choix des matériaux mis
en oeuvre dans l'élaboration de la musique liturgique chré-
tienne:
Expression: seule la voix humaine (le souffle-esprit) est
jugée capable d'exprimer directement l'être intérieur, la "pen-
sée du coeur». La musique sera donc purement vocale, sans
aucune intervention d'instruments (l'Église reste intraitable sur
ce point jusqu'au 9ème siècle en Occident et jusqu'à nos jours
en Orient).
Soutien: seule une cantilène ou une mélodie organique-
ment née du texte et épousant les rythmes subtils du souffle
porteur des paroles et de la pensée, est à même de soutenir et
d'enrichir le langage. Le chant sera donc composé à partir d'infle-
xions de la voix et d'un rythme qui se crée au fur et à mesure
du développement du discours musical, et non à partir de notes
(sons discontinus préétablis) et de rythmes calculés d'avance '.
Précision: seule une cantilène fixant traditionnellement les
accents logiques et emphatiques de la phrase, assure la transmis-
sion rigoureuse d'une pensée orale à travers les siècles. D'où
l'obligation de cantiler les textes sacrés en éliminant des offices
le parler courant.
Sanctification: seul un chant traditionnel peut donner au
langage la dignité et le poids nécessaire pour énoncer dans une
assemblée la parole divine, ou exprimer la prière collective. Il
se crée ainsi un style se distinguant nettement du style profane.
Il sera ({ formulaire» pour réveiller, par des associations constan·
tes dans les couches profondes de la conscience, la part du sacré
qui y est déjà assimilée.

9 C'est ce qui est illustré pal- la conviction des premiers théoriciens chrétiens
pour qui la musique liturgique ne pouvait être fixée par écrit, mais seulement
transmise par tradition orale. Les premiers neumes signifiant les inflexions de la
voix et non des notes, ne datent que du 9ème siècle en Occident. De même
les neumes byzantins ne connaissent pas la notion de «note» mais seulement
celle du passage d'un son à un autre, c'est à dire d'intervalle.
188 MAXIME KOVALEVSKY

Libératio", quant au célébrant, seul un certain type d'exé-


cution de la cantilation lui permet de se libérer de sa propre
individualité, d'utiliser des formules simples mais souples, et sé-
vèrement sélectionnées, et de ne pas s'en écarter 10. Quant aux
fidèles, seul un certain type de chant choral leur permet de se
libérer des soucis quotidiens et des états passionnels (<< Dépo-
sons tous les soucis de ce monde ... », dit le chant d'offertoire
de la liturgie byzantine). Ce chant, tout en évitant les associa-
tions de pensée avec le monde extérieur, ne doit en aucun cas
avoir de caractère envoûtant, voire magique. Il ne doit ni exciter
ni bercer, mais tenir en éveil. D'où le choix d'un rythme libre,
ni syncopé ni régulier, et de modes ne contenant pas d'attractions
contraignantes 11.
Assil1ûlation et ntémorisation: Un enseignement oral, tel
qu'il est donné par la liturgie, ne peut être facilement assimilé,
mémorisé et transmis que s'il est élaboré en un nombre limité
de formules agençables en combinaisons nombreuses et variées.
La rencontre dans une nouvelle combinaison, d'une formule déjà
connue et aimée, entraîne des associations intérieures qui assu-
rent la cohérence générale de la doctrine et sa plus profonde
compréhension. La lllusique suivra dans ce sens le texte sacré:
eIle ne sera pas construite à partir de notes isolées ou de mélo-
dies déjà composées, eUe sera, elle aussi, « formulaire », construi-
te à partir de ceIlules musicales plus ou moins développées, unies
entre elles en ensembles cohérents, conçus non comme des piè-
ces indépendantes, mais comme membres de ces grands corps
vivants que sont l'office et l'année liturgique.
Ces principes généraux étant posés, il s'agit de reconnaître
dans queUe mesure ils ont été appliqués, sont encore appli-
qués ou pourront à nouveau l'être dans la pratique du chant
liturgique des différentes Eglises chrétiennes.

Les chants qui répondent exactement aux exigences posées


dans le premier chapitre sont ceux des époques d'or de la litur-

lQ Comme exemple d'une telle cantilène, on peut citer la formule de la Pré-

tace simple dans l'Eglise romaine.


11 Les modes «sol" et «ré l>, où la tonique et la dominante sont entourées
de deux LOns entiers (abscnc(;! ùc ~ensible), seront préférés - c'est là une
constatation - au mode «fa» (sensible sous la dominante) et aU mode «mi»
(.sensible au dessus de la tonique). Le Illode «violateur »: «ut" (sensible sou!'
la tonique) sera pratiquement exclu.
LE CHANT DE LA LITURGIE CHRÉTIENNE 189
----------------~~

gie chrétienne, ainsi que des époques de renouveau liturgique. Ce


sont:
1) Le chmll byzantin"
a) du 6ème-llème siècles;
b) celui qui actuellement commence à être étudié et restauré
à Constantinople, Athène et Salonique.
2) Le chal1f dit « grégorien" "
a) du 6ème au 13ème siècle;
h) le chant restauré par les Bénédictins à la fin du 19ème
siècle et au cours du 20éme siècle.
3) Le chant vieux-russe» 14
«(

a) du llème au 17ème siècle


b) celui en état de restauration par les Iiturgistes et cer-
tains compositeurs du 20ème siècle.
4) Le chants antiques bulgares et serbes actuellement redécou-
verts
5) Les chants syriens (orthodoxes et nestoriens).
6) Le chant copte.
7) Le chant éthiopien.
Tous ces chants présentent les mêmes caractéristiques 15:
- Ils sont purement vocaux" (expression directe de la vic
intérieure).

12 Voir E. WELLESZ, A history of Byzantine mt/sic ami }1)'IIl1lOgraph)', Oxford,


Clarendon press. 1949. Page 269.
R.P. PETRESCO, :btudes de paléograpllie musicale byzalllille, Bucarest 1967.
13 Esthétique grégorienne de Dom FERRETTr dans Revue grégorie1111e - année 59,
o. 4; année 62, n. 5 et 6; année 63, 11. 1 à 6.
If Johannes G,\RDKER: ensemble des articles publiés dans Die WeIt der Slw'en
en allemand. Maxime KOVALEVSKY: La nmsique liturgique orthudoxe russe - con-
férence prononcée au Congrès de Musique d':Ë.glise de Berne - 1962. Ouspensky.
Brajnikov, Bcliaeff... (en lusse).
15 Voir pottr chaque chant l'ensemble des articles qui lui est consacré dans
j'Encyclopêdie des Musiques sacrées - Vol. 2, el l'article Le funnulisme dW1S
la musiqlle liturgique chrétienne de M. KOV . \J.EVSKï - Vol. 3. Ed. Labergcrit>
Marne. 1970.
lU L'emploi (lu "nâq.uous », actuellement remplacé par le triangle, et des
grelots de l'encensoir dans le rite copte, ou le recours au "maqwaniya» (bâton
de prière), au "kabaro» (tambour) ou au "sanasel» (sorte de sistre) dans le
rite éthiopien, n'infirment pas cette constatation. Les instruments cités ne
produisant pas de sons de hauteur déterminée, ne déterminent d'aucune façon
la mélodie qui reste purement vocale. Ils l'accompagnent (dans des cas assez
rares précisés par les livres) fidèlement et discrètement.
190 MAXIME KOVALEVSKY

- Ils soutiennent et précisent le sens du verbe qu'ils portent.


- Ils sont exécutés sur un rythme libre qui prend naissance
à partir du mot et de la phrase, donc « sans mesure ».
- Ils sont composés non à partir de notes séparées, mais à
partir de formules mélodiques préétablies, construites de ma-
nière à pouvoir être associées entre elles avec variété. Les for-
mules en question, matériaux premiers de la composition, sont
classées en plusieurs ensembles ou « tons », en général au nombre
de huit 17.

17 Les chants «byzantin », «grégorien» et «russe» (ancien et actuel)


conservent fidèlement la classification des formules mélodiques en 8 Tons
(4 Modes comportant chacun un ton authente et un ton plagal).
Pour saisir plus concrètement le sens de cette classification nullement
arbitraire, il est utile de ramener le chant à sa fonne la plus élémentaire. POUf
le «grégorien », c'est la psalmodie simple: dans chaque ton, les 4 formules
(cellules) musicales (l'intonation, la flexe, la médiante et la terminaison, soit
4 X 8 = 32 fannules) et leurs rapports avec la note de récitation déterminent
presque entièrement les bases de cette psalmodie. Le grand édifice des chants
« ornés" se construit à partir de cette-ci par amplification, variation ...
Pour le «byzantin» et le «vieux-russe », ce sont, dans chaque ton, les
quelques formules hirmiques (maximum de 2 sons par syllabe) et les quelques
formules stichérariques (prévoyant plus de 2 sons par syllabe), en tout 80
formules environ qui permettent de composer et d'exécuter l'ensemble des
chants simples. Les chants ornés ne sont, comme dans le grégorien, que des
développements et des amplifications de ces chants simples.
Dans la tradition russe à partir du 18~ s., le chant simple repose dans
chaque ton, sur des formules soit tmpariques, soit hirmiques, soit stichéra-
riques, en tout environ une centaine de formules pour les 8 tons. Ce qui est
caractéristique pour ce chant, c'est que ses formules de base sont élaborées de
manière à pouvoir être harmonisées d'après les règles de l'harmonie classique
à 1, 2, 3 ou 4 voix. Bien que la beauté modale des formules vieilles-russes ait
due être sacrifiée, cet « aménagement» a permis de maintenir à travers le désert
des 18~ et 19- S., vivant jusqu'à nos jours, le principe fondamental de com-
position.
18 Dans l'effort entrepris actuellement par les confessions chrétiennes. pour
un retour vers des formes liturgiques vivants, l'expérience de l'Eglise orthodoxe
ne devrait pas être négligée. N'ayant jamais rompu - et ne voulant pas
rompre - avec la tradition (même si, sur certains points, cette tradition est
voilée par des usages ne répondant plus à ses exigences foncières), il lui est
plus facile qu'à d'autres d'en provoquer une résurgence qui ne soit pas seulement
archéologique.
Or un effort courageux tourné vers le futur et alimenté aux sources de la
liturgie patristique n'est-il pas nécessaire pour débarasser les cultes chrétiens
des excroissances étrangères qui semblent en passe de les étouffer? Il ne s'agit
pas seulement de celles des siècles passés, mais également de celles qui se
développent partout en Occident depuis les réformes de Vatican II, réformes
sages mais souvent mal comprises. Nous pensons par exemple à certains
procédés violatew's, «pollueurs »: le bruit (haut-parleurs, instruments per-
cutants, chants criards), la participation forcée (utilisation «d'animateurs »,
chants dirigés par des instruments imposant un rythme entraînant préétabli,
creation d'une atmosphère mi-religieuse, mi-magique), l'abus de verbiage (di-
scussions, échanges de vues, exposés glissant souvent vers une prostitution du
langage), etc ...
Un office ramené consciemment à ses fonnes primordiales restées peut-être
plus vivantes dans le culte de l'Eglise orthodoxe, apparaît comme une solution
LE CHANT DE LA LITURGIE CHRÉTIENNE 191

- Enfin, toute parole émise au cours de l'office doit être


chantée ou cantilée. Le verbe" parlé» n'est réservé qu'à la pré·
dication.

qui permettrait de libérer de cette violation insistante: l'orfiee entièrement


chanté ou cantilé supprime le style «verbiage" et le style «exposé cloctrinal ».
L'absence d'instruments, ces violateurs de notre liberté intérieure, nous pré-
serve d'un bruit excessif et assure un état de disponibilité et de liberté (que ce
soit par l'orgue ou la guitare, l'effet reste presque toujours créateur en nous
et malgré nous d'un état dicté de l'extérieur). Si, dans la même perspective,
nous reprenons attentivement les autœs caractères spécifiques du chant litur-
gique chrétien, nous constaterons qu'une musique possédant ces caractères
représente une thérapeutique. Cette thérapeutique n'est-elle pas ent:Ore plus
nécessaire pour notre temps que pour celui où elle a été créée?
Une nouvelle génération d'orthodoxes, aussi bien en Occident qu'en Orient,
semble prendre conscience qu'un retour à des usages liturgiques authentiques
(en particulier dans le domaine de la musique) est non seulement indispensable,
mais possible. Un travail sérieux appliqué à la vie liturgique réelle est actuel-
lement poursuivi dans l'E.glise orthodoxe, surtout en Occident. Dans les pays
de l'Est la lutte pour la pureté liturgique a, pour des raisons facilement
explicables (cf. Revue «Présence orthodoxe" n. 1 - Le problème liturgique au
20.me siècle - même auteUl'), un caractère par excellence conservateur, fidélité
aux usages transmis par les ancêtres. Un phénomène analogue est observé
dans les paroisses classiques des différents groupes d'émigration.
C'est dans les milieux et les institutions entrées nouvellement dans la
communion de l'E.glise orthodoxe, que le retour à une liturgie traditionnelle
débarassée des déformations des derniers siècles, lrOuve un sol fertile et pas
encore contaminé par les diverses pollutions qui nous étouffent actuellement.
Certaines de ces défonnations tombent d'elles-mêmes: les grandes prières du
célébrant retrouvent leur caractère public, cc qui oblige le célébrant à retrouver le
style de la cantilène oratoire; le peuple de Dieu cesse également d'être muet et
sa partiCipation rend aux réponses leur vigueur antique; l'absence d'instruments
protège contre la pollution par le bruit et permet d'éliminer sans lutte la prédo-
minance de l'harmonie classique et des rythmes contraignants, conduisant
naturellement à la résurgence des formules mélodiques et des agregats sonores
modaux, et à la formation de rythmes naissant librement du discours lui-même.
Le chant liturgique regagne ainsi pwgressivement les qualités qui lui ont assigné
les créateurs de la liturgie.
Ces tentatives, d'ailleurs couronnées d'un succès certain, ne sont-elles pas
plus révolutionnaire, beaucoup plus difficile pour tous (aussi bien compositeurs
du style liturgique au goût du « monde »? Il cst en effet, par exemple, beaucoup
plus révolutionnaire, beaucoup plus difficile pour tous (aussi bien compositeurs
qu'éxécutants) de s'affranchir entièrement du service des instruments, que de
remplacer un type d'instruments par un autre (par exemple l'orgue par la
guitare ou des appareils électroniques). Il est plus révolutionnaire, plus difficile,
d'oser trouver des cantilènes épousant la langue vivante utilisée, et de les
appliquer pour le rehaussement et la sanctification de cette langue, que
d'abandonner le principe de la cantillation des textes sacrés sous prétexte du
caractère périmé des formules latines, ou de présenter ces te.'Xtcs sur les « tons»
de conférence ou de lecture d'un journal, ou de chansons ...
Ces efforts «révolutionnaires» modestes, mais qui ont le mérite d'exister,
localisés encore dans un secteur relativement restreint d'une des confessions
chrétiennes (je veux évoquer le travail réalisé au cours des 30 dernières années
à l'Institut Saint Denys de l'~glise orthodoxe de France - actuellement diocèse
autonome sous l'obédience du Patriarcat de Rownanie -), ne pourraient-ils pas
servir d'indication valable sur lc chemin de régénération de l'art liturgique dans
le plan oecuménique? (Extrait de l'article du même auteur, paru dans la revue
Axes - Nov. 73, Musique dans la liturgie de l'Eglise orthodoxe).
192 MAXli\lE KOVAT.EVSKY

La concordance des caractères ainsi observés avec ceux ré-


sultant de l'application des principes exposés au début, est telle-
ment frappante, qu'on est conduit tout naturellement à conclure
que tous ces chants, si divers à l'audition, reposent effective-
ment sur les mêmes principes. Il est difficile de ne pas admettre
qu'il s'agit là non seulement de principes déduits d'observations
sur le passé, mais de principes possédant un caractère de péren-
nité, donc restant valables pour toutes les époques et par con-
séquent aussi pour la nôtre aujourd'hui.

Toutefois la diversité apparente qu'on constate en écoutant


les chants des diverses Églises, peut laisser supposer qu'il s'agit
de traditions entièrement indépendantes. Ce n'est pas le cas,
nous l'avons vu: les traditions locales reposent toutes sur les
mêmes principes. On peut contester les formulations que j'en
propose, mais l'existence de ces principes et leur caractère de
pérennité peuvent difficilement être mis en doute. Pourquoi alors
cette diversité? Simplement parce que des principes généraux
identiques appliqués à des langues différentes donnent des ré-
sultats apparemment tout à fait différents. On peut dire que
chaque chant liturgique authentique est le résultat d'un effort
de sanctification, d'approfondissement et de «transfiguration"
de la langue qu'il doit véhiculer: ainsi le chant byzantin est,
au fond, le grec patristique transfiguré, comme le chant grégo-
rien est le latin patristique transfiguré et le chant vieux-russe le
slavon transfiguré, et ainsi de suite... Nous nous trouvons là
devant une diversité inhérente à la nature même du chant litur-
gique: diversité à la base qu'il n'y a pas lieu de combattre, mais
au contraire d'élucider et d'utiliser afin d'enrichir le patrimoine
de l'Église universelle par l'introduction du français, de l'alle-
mand, de l'anglais, du bantou ... que sais-je? transfiguré.
Tout ceci s'applique au chant idéal tel qu'il est conservé
dans les livres liturgiques, mais si nous nous tournons maintenant
vers les chants pratiquement utilisés dans les différentes Églises,
nous nous heurtons à un autre type de diversité qui résulte
des évolutions historiques de chacune des traditions et de leurs
déformations. Ces évolutions et ces déformations ne se réalisent
pas au cours des temps au même rythme dans chaque tradition,
ce qui explique qu'actuellement nous nous trouvons en face
de toute une galllme de musiques diversement évoluées et di-
versement déformées.
LE CHANT DE LA LITURGIE CHRÉTIENNE 193
-------------------
Comme exemple, nous pouvons évoquer l'Église orthodoxe
qui, dans son ensemble, reste jusqu'à nos jours fidèle aux prin-
cipes 1) de célébration en langue du pleuple et 2) de l'exclusion
d'instruments de musique du culte, tandis que l'Église romaine
abandonne ces principes respectivement à partir du Sème et du
llème siècle pour revenir au l ec à partir de Vatican II. Par contre
l'Église russe, par exemple, abandonne dès le 18ème siècle le
caractère modal libre du chant en le soumettant aux règles
contraignantes de l'hannonie classique, tandis que l'Église ro-
maine jusqu'à Vatican II conserve - au moins pour le clergé
et dans l'office monastique - le trésor de la cantilène modale
grégorienne.
Ce sont là des diversités (que j'appellerais volontiers diver-
gences) qu'il s'agirait de dépister et, s'il le faut, de combattre
avec sagesse. Ce travail devient indispensable et urgent en rai-
soin d'une situation toute nouvelle dans laquelle se trouve d'une
part l'Église romaine par suite des réformes de Vatican II, et
d'autre part l'Église orthodoxe par suite de l'entrée dans son
sein de nombreux membres parlant des langues autres que cel-
les admises jusqu'ici dans sa liturgie.

L'équilibre entretenu - mal ou bien - par les habitudes


séculaires soutenant d'une manière plus ou moins fidèle les tra-
ditions liturgiques authentiques, se trouve rompu, c'est un fait.
Nous nous trouvons dans un climat de complète incertitude en
ce qui concerne le chemin à suivre dans l'élaboration du culte
en langues nouvelles, et surtout dans l'élaboration d'une musi-
que capable de donner un caractère liturgique à ces langues. Le
plus souvent on cherche des chemins nouveaux dans le monde ex-
tra-ecclésial (musique « pOP", jazz ou musique classique). C'est le
cas de l'Église romaine et d'une grande partie du monde pro-
testant. On se contente aussi de reconduire les habitudes acqui-
ses, en les ajustant telles quelles à la langue nouvelle. C'est
le cas de la majorité des paroisses de la diaspora orthodoxe.
Ainsi se créent déjà de nouvelles habitudes, de nouvelles routi-
nes qui nous éloignent de plus en plus des fonnes jadis choisies
par les créateurs de nos liturgies. C'est regrettable, car la si-
tuation actuelle est plus que jamais favorable au retour à des
traditions saines.
194 MAXIME KOVALEVSKY

C'est précisément maintenant, qu'après la dislocation des


habitudes presque toujours déformantes, il devient possible
d'appliquer les principes fondamentaux de la musique liturgi-
que directement aux langues nouvelles. L'opportunité d'un tel
retour aux sources nous est providentiellement offerte. Il faut
que nous sachions en profiter lB.

Maxime KOVALEVSKY
TROIS RÉFORMES LITURGIQUES EN RUSSIE:
1551, 1620 ET 1652

Il est assez difficile de séparer les réformes proprement


liturgiques des réformes de la vie de l'Église en général, vu
qu'en Russie les deux actions allaient parallèlement, malgré leur
opposition. Les réformes de vie tendaient à la restauration des
signes extérieurs de la vie chrétienne ou de la morale des cro-
yants, tandis que les réformes liturgiques avaient pour but d'endi-
guer et en même temps de faire valoir les nouveaux apports.
D'autre part ces derniers ne concernaient que les offices des
vêpres et des matines ainsi que d'autres offices du cycle journa-
lier et non la liturgie eucharistique proprement dite, qui resta
et reste immuable dans sa composition et son déroulement.
La question vitale pour tous les réformateurs était la tra-
duction du grec des textes liturgiques, rendue nécessaire par
une altération constante des textes slavons sous la plume de
copistes.
Pour bien saisir l'ampleur et l'âpreté des discussions se
rapportant aux questions liturgiques, il ne faut pas perdre de vue
que la vie liturgique formait le centre de la vie religieuse du
peuple russe dès les débuts de sa vie chrétienne et que cette
vie liturgique était intimement liée d'un côté à la théologie litur-
gique et de l'autre à la vie des saints du pays. Leurs vies étaient
durant des siècles la lecture préférée du peuple russe et les
textes liturgiques en donnaient l'essentiel.
L'Église avait cependant la possibilité d'offrir à ceux qui
ne pouvaient pas lire, le chant des textes qui leur offraient un
exemple de vie chrétienne. La prière communautaire, les chants
en commun avec le canonarche, dont on répétait les paroles,
était une école de théologie et de morale auditive.
Le sanctoral liturgique prit une extension très grande, mais
fut constamment limité par les cadres imposées par le calendrier
des saints des premiers siècles ou grecs au détriment des saints
russes, laissés hors de rubrique (<< sous la date,,).
196 PIERRE KOVALEVSKY

Il nous faudra donc dans notre exposé définir ce qui cor-


respond à l'enrichissement des offices et ce qui ne concerne
que l'altération et le redressement des textes hérités de Byzance.

RÉFORMES LITURGIQUES DU MÉTROPOLITE MACAIRE

On ne peut pas comprendre l'importance et l'étendue des


réformes du métropolite Macaire (1482-1563) sans jeter un coup
d'oeil sur les causes qui les ont provoquées, ni sur les événements
qui durant un siècle les ont préparées et qui se rapportent prin-
cipalement aux relations entre les Russes et les Grecs.
Le Concile de Florence de 1439 et la chute de l'Empire
d'Orient en 1453 eurent en Russie des suites très importantes.
Les Russes considérèrent les Grecs comme «traÏtres à l'Ortho-
doxie» et la chute de l'Empire comme une punition divine de
cette apostasie. La nomination du métropolite grec latinophone
Isidore contre le candidat de Moscou Jonas eut comme suite la
proclamation de l'indépendance totale (autocéphalie) de l'Église
Russe (1448) et la naissance de la théorie de la Troisième Rome
(1453). Il y aura donc une opposition constante à tout ce qui
vient des Grecs et une méfiance pour les textes grecs récents.
La mission réformatrice en Russie de Maxime Trivolis (1470-
1556) appelé communément en Russie «Maxime le Grec », malgré
sa nécessité et son utilité sera mal reçue, le célèbre humaniste
chrétien sera jugé, condamné pour des soi-disant déformations
des textes liturgiques et ne retrouvera pleine liberté qu'en 1551
quand il sera autorisé à passer les dernières années de sa vie
dans l'archiabbaye de St Serge où il s'éteindra en 1556.
Son influence sur la vie de l'Église et sur tous les réforma-
teurs tant sur ceux du milieu du XVI' siècle que sur ceux du XVII'
sera très grande. Le métropolite Macaire est un de ses disciples.
Le travail liturgique de Maxime le Grec et de son cercle au
début du XVI" siècle concerne la traduction de certains textes
et sera un échec, parce que ses corrections et ses suggestions
ne seront pas acceptées par les autorités religieuses, mais elles
seront cependant reprises par la Commission de traduction de
St Serge en 1619.
TROIS RÉFOIL1\1ES EN RUSSIE 197

Avant de présenter l'oeuvre du métropolite Macaire il faut


dire quelques mots de sa vie. Il est né en 1482, devint, assez
jeune, moine au monastère de St Paphnuce de Borovsk, connu
pour l'austérité de la règle, puis fut nommé à la tête d'une
abbaye près de Mojaisk. Déjà à cette époque il jouissait de la
réputation d'un éminent prédicateur et était connu par l'éten-
due de ses connaissances sur la patristique, la philosophie grec-
que et l'histoire.
Élu en 1526 archevêque de Novgorod, il y rassembla tous
les hommes instruits qui voulaient collaborer à son travail et
entreprit avec eux, durant les seize années qu'il passa dans le
grand centre culturel de Russie, ses deux oeuvres principales:
Les Grandes Vies des Saints et l'Encyclopédie Historique. Il les
continua quand il devint métropolite de Moscou et de toute
la Russie en 1542. C'est la première oeuvre qui nous intéresse
particulièrement. Par son étendue elle peut être comparée à
celle des Bollandistes, mais son importance réside dans le fait
qu'elle ne se borne pas aux vies proprement dites, mais com-
porte des matériaux sur les oeuvres des saints ainsi que les
textes liturgiques qui les concernent.
Les douze gros volumes in folio de mille pages chacun ont
été malheureusement peu utilisés et une partie seulement en a
été imprimée, Les travaux hagiologiques du métropolite Macaire
et de ses collaborateurs amenèrent le chef de l'Église russe à
la nécessité de convocation d'un Concile qui mettrait de l'ordre
dans les canonisations des saints et dresserait la liste de ceux
qui étaient vénérés dans tout le pays et de ceux dont la vénéra-
tion n'était que locale.
La canonisation des saints en Russie, comme l'a démontré
le professeur Goloubinsky dans un livre consacré à ce sujet, a
été de tous temps fort imprécise. À côté des canonisations offi-
cielles, tant générales que locales, il y avait des canonisations
populaires. Macaire convoqua à cet effet deux Conciles, en 1547
et 1549. Il procéda à la canonisation des saints et introduisit
leurs offices dans les ménologues (les recueils mensuels des of-
fices). Une question se posa immédiatement: fallait-il mettre les
nouveaux offices à la première place, c'est-à-dire en faire des
textes employés obligatoirement partout? ou bien les publier
après les textes traditionnels consacrés aux saints des premiers
siècles et surtout aux martyrs? La deuxième tendance prévalut
198 PIERRE KOVALEVSKY

et les offices des saints russes ne furent mis qu'aprés les offices
anciens, ce qui les relégua au second rang dans la plupart des
cas. Une seule exception fut admise, celle de Saint Vladimir,
l'évangélisateur de la Russie. Non seulement son office fut mis
en honneur, mais la mémoire des saints de ce jour (15 Juillet)
fut déplacée.
La réforme de 1547-49 fut consacrée lors du grand Concile
de 1551, connu sous les nom de « Concile des cent chapitres »,
qui fut étudié par Emile Duchesne (Le Stoglav ou les cent cha-
pitres... Recueil des décisions de l'Assemblée ecclésiastique
de Moscou. Traduction avec introduction et commentaire. Pa-
ris 1920).

LES REFORMATEURS DE L'ARCHIABBAYE SAINT-SERGE

Les Conciles convoqués par le métropolite Macaire eurent


pour but de mettre de l'ordre dans la vie de l'Eglise en réglant
la canonisation des saints, en dressant la liste de ceux qui
étaient reconnus, et en édictant d'autre part les règles de !'ico-
nographie. Celui de 1551, convoqué d'un commun accord par le
métropolite et le Tsar Jean IV, s'occupa également des problè-
mes concernant les autres côtés de la vie religieuse.
La réforme de la Commission réunie à l'archiabbaye de St
Serge à partir de 1620 eut un tout autre caractère. Il fallait
corriger les textes liturgiques et introduire de nouvelles règles.
Les Années Troubles furent désastreuses non seulement pour le
pays, mais aussi pour le moral et la vie du peuple. Un redresse-
ment vigoureux était devenu indispensable après la terrible épo-
que d'invasion et de troubles intérieurs (1605-1613). Le nouveau
Tsar élu, Michel Romanov, homme d'une grande piété et de
vertu, était dominé par sa mère Marthe, femme d'un caractère
despotique, qui abusa de son autorité pour éloigner et même
poursuivre tous ceux qui avaient contribué à la libération du
pays. Il fallut attendre le retour du père du Tsar, Philarète, dé-
tenu en captivité par les Polonais jusqu'en 1619, pour réparer
les injustices et charger les moines de St Serge de la réforme.
Philarète, fut élu patriarche de Moscou et de toute la Russie et
il contribua puissamment à la restauration de la vie religieuse,
ébranlée durant les années de guerre et de dévastation.
TROIS RÉFORMES EN RUSSIE 199

Le cercle des réformateurs auquel participent les futurs ani-


mateurs des réformes du milieu du siècle, tels que Vonifatiev et
Néronov, se propose quatre buts essentiels, qui ont été préco-
nisés un siècle plus tôt par Maxime le Grec, dont ils sont des
admirateurs: 1) la correction des moeurs dans l'État et l'Église;
2) Lutte contre l'engouement pour les fêtes populaires bruyan-
tes et souvent suivies de beuverie et contre la dissolution de
moeurs; 3) Lutte contre «la multivoix" dans l'Église qui dégé-
nérait en désordre dans les offices et contre la négligence dans
leur accomplissement; 4) restauration des sermons, tombés to-
talement en désuétude. Les autorités tant civiles que religieuses
suivent avec intérêt et sympathie les travaux du cercle des ré-
formateurs.
Dans la métropole de Kiev il régnait également à cette
époque un esprit réformateur. La hiérarchie avait été reconsti-
tuée par le patriarche d'Antioche Théophane en 1619 et Job Bo-
retsky élu métropolite. Il restera jusqu'en 1631 à la tête de
l'Église, mais c'est surtout sous son successeur, Pierre Mohila,
que des réformes liturgiques seront introduites à partir de 1632.

Fils d'un prince de Moldavie, né en 1597, Pierre Mohila avait


fait ses études théologiques dans les écoles catholiques en Po-
logne et les compléta en Hollande et à Paris. C'était un latiniste
éminent et sa tendance était de faciliter les relations entre la
Pologne Catholique et la Russie de Kiev (l'Ukraine) tout en
restant orthodoxe. Devenu à 30 ans abbé du célèbre monastère
des catacombes de Kiev il reçut bientôt du patriarche de Constan-
tinople Cyrille Loukaris le titre d'exarche. Nous assistons alors
à un paradoxe peu commun. Le patriarche est nettement protes-
tantisant et son cathéchisme, influencé par le calvinisme, sera
condamné par deux Conciles orthodoxes. Pierre Mohila au
contraire est catholicisant, mais malgré le désir des représen-
tants du clergé uni à Rome, reste en dehors de l'action de
l'Union avec Rome.
À la mort du roi Sigismond III, inspirateur et protecteur de
l'Union, Pierre Mohila est élu métropolite de Kiev et confirmé
par le nouveau roi et le patriarche. L'activité du nouveau chef
de l'Église Russe du Sud (Ukraine) fut très variée. Il réforma la
vie des diocèses qu'il dirigea durant 15 ans (163247). Sa grande
oeuvre fut cependant la réorganisation de l'École de Théologie
de Kiev, qu'il éleva au rang d'université orthodoxe. L'Académie
200 PIERRE KQVALBVSKY

qui commença à fonctionner en 1632 à l'abbaye de la Confrérie,


devint un grand centre d'études. Contre le cathéchisme du patriar-
che Cyrille il publia en 1633 son propre exposé de foi nettement
influencé par la théologie scolastique et prit une part active aux
Conciles de Kiev en 1640 et de Jassy en 1643 qui condamnèrent
le livre du patriarche. Ce qui nous importe surtout ici c'est
l'oeuvre liturgique du métropolite Pierre. Il publia en 1646 son
Euchologion, dont certains offices sont empruntés au Rituale du
pape Paul V paru en 1614. Le " Grand Rituel" de Pierre Mohila
est jusqu'à présent un des monuments liturgiques les plus cé-
lèbres et en même temps des plus contestés de la pratique litur-
gique russe. Certaines de ses parties se sont imposées tellement
qu'elles sont entrées dans la vie de l'Église. D'autres sont tom-
bées dans l'oubli. Certains ont été rejetées.

RÉFORME DE 1652-66

La plus importante des réformes liturgiques est intimement


liée à l'action réformatrice du patriarche Nicone. Elle engendra
le grand schisme des vieux-croyants et arracha à l'Église une
partie importante de ses membres les plus actifs et conserva-
teurs. Elle fut précédée par l'arrivée à Moscou du patriarche de
Jérusalem Païssy et l'envoi en Orient du savant moine Arsène
Soukhanov qui devait rapporter des manuscrits liturgiques grecs.
Le patriarche insista beaucoup pour que fût créé à Moscou une
haute École de théologie qui devint, après la conquête de
Constantinople par les Turcs, le seul centre orthodoxe libre. D'au-
tre part les patriarches orientaux voyaient dans le Tsar de Moscou
un protecteur de l'ensemble de l'Orthodoxie. " Il doit être, écri-
vait le patriarche de Constantinople Athanase (Patelarios), un
pilier solide, confirmation de la foi, aide dans les malheurs et
aussi refuge et libérateur pour les Grecs orthodoxes ".
Le patriarche conseilla de faire appel pour la réforme litur-
gique et la nouvelle traduction de textes aux savant grecs et de
ne pas se borner à des membres de la Commission russe, qui
pourraient ne pas connaître les anciens textes en grec. Son appel
fut favorablement accueilli non seulement par le Tsar et le boyard
Rtistchev, mais aussi par Étienne Vonifatiev. Il y eut cependant
TROIS RÉFORMES EN RUSSIE 201

dès le début une difficulté qui provoqua bientôt la rupture entre


les correcteurs et réformateurs russes et les Grecs ainsi qu'avec
le patriarche Nicone, entièrement acquis aux changements, pro-
posés par les savants grecs. Ceux-ci indiquèrent aux Russes que
ces derniers avaient de nombreux usages non admis dans l'Eglise
Grecque, se rapportant au signe de la croix, au chant de l'Allé·
luia, à la polyphonie, etc.
La première mission d'Arsène Soukhanov et de ses com-
pagnons se limita à une visite à Jassy où résidait le patriarche
Païssy. Il y organisa des discussions avec les Grecs concernant
les usages liturgiques russes. Des deux côtés on exalta les par·
ticularités propres aux deux Eglises. La première rencontre eut
lieu le 24 avril 1650 et concernait la manière de se signer. D'autres
rencontres se rapportaient au calendrier, aux livres liturgiques
imprimés à Moscou, au baptême par trois immersions, à la ré-
pétition du baptême sur ceux qui ont été baptisés irréguliè-
rement.
La deuxième mission d'Arsène en Orient ne se limita pas
à Jassy et à la rencontre avec les théologiens et liturgistes grecs.
Il visita en 1651 Constantinoples, les îles de la Mer Egée, l'Egypte
où il rencontra le patriarche d'Alexandrie Joannice. Puis il visita
la Palestine, la Syrie, l'Asie Mineure, la Géorgie et rentra à
Moscou après deux ans de voyages. Dans sa relation il marque
toutes les différences liturgiques qu'il a rencontré dans diffé-
rents pays. Il rapporte à Moscou plus de cent manuscrits an-
ciens qui serviront à corriger le texte et formeront la base de
la bibliothèque de Moscou appelée communément" Bibliothèque
Typographique ».

Le patriarche Joseph de Moscou meurt en 1652 et son suc-


cesseur Nicone prendra en main la réforme. Il est né en 1605
dans une famille paysanne, moitié russe moitié zyriane (fin·
noise), du gouvernement de Nijny-Novgorod, et portait, comme
son célèbre compatriote Côme, libérateur du pays en 1613, le
nom de Minine; de taille au·dessus de la moyenne, d'une force
herculéenne, d'une volonté de fer et surtout ne tolérant aucune
critique ou insoumission à ses ordres et projets. Très exigeant
pour lui-même, il était, comme le sera un demi-siècle plus tard
Pierre le Grand, exigeant envers les autres. Son enfance fut
malheureuse et encore adolescent il quitta la maison paternelle
202 PIERRE KOVALEVSKY

pour devenir novice dans un monastère. Puis il se marie, est


ordonné prêtre et pendant 10 ans occupe une cure, où il déploie
une remarquable activité.
Aprés la mort de ses trois enfants, Nikita (nom du futur
Nicone) et sa femme décident de quitter le monde et de prendre
l'habit monacal. Nicone va passer un certain temps dans le
monastère de Solovki sur la Mer Blanche au delà du cercle
polaire. Sa renommée est déjà établie et il est appelé à Moscou
où il devient abbé d'un monastère citadin. Remarqué par le Tsar
Alexis et le Patriarche Joseph il est le religieux le plus en vue
lors de la mort de ce dernier. Il occupe depuis 1649 le trône
métropolitain de Novgorod et il sera élu patriarche de Moscou
et de toute la Russie en 1652.
Les réformes qu'il entreprend sont caractérisées par deux
tendances qui les rendent odieuses à la majorité des croyants:
elles sont introduites d'une manière brusque et autoritaire et
elles présentent les usages liturgiques grecs comme les seuls
à suivre, blessant le patriotisme religieux des Russes. Nous ne
parlerons pas du conflit qui surgira entre le pouvoir civil, le
Tsar et le Patriarche, qui ont été étudiés en détail dans de
nombreux livres et mis en valeur dans la thèse de doctorat de
Pierre Pascal. Nous nous bornerons aux réformes qui ont pour
but d'introduire des changements dans la vie liturgique.
Comme suite des conversations avec le moine Arsène et de
sa défense du rituel russe, les Grecs et en particulier le patriar-
che Païssy, proposèrent au patriarche Nicone d'envoyer à Mos-
cou des spécialistes. La réforme comme l'alignement sur les usa-
ges grecs commencé en 1652, devint active après le retOur de
l'envoyé russe qui annonça que dans beaucoup d'usages Moscou
différait de Constantinople. On commença par remplacer le ri-
tuel pontifical employé en Russie par un pontifical nouveau,
composé par le patriarche Athanase (Patelar) sur la demande
du patriarche Nicone. Tout le travail se fit dorénavant à l'impri-
merie près du Kremlin. La nouvelle édition du psautier com-
portait, sur l'ordre de Nicone, des innovations concernant sa
lecture et les usages qui s'y rapportaient. Malgré la protestation
des membres russes de la Commission, toutes les innovations
commencèrent à être introduites par ordre du chef de l'Église
Russe sans consultation préalable des spécialistes. Certains de
ces derniers furent même déplacés ou envoyés en exil. Une réunion
tenue au palais du Tsar en 1654, en présence de ce dernier,
TROIS RÉFORMES EN RUSSIE 203

décida que seuls les textes grecs apportés par Arsène de l'Orient
faisaient foi, quoique certains d'entre eux ne fussent pas exempts
également de fautes de copistes, et cela blessa l'amour propre
national. Le seul évêque qui ne fut pas d'accord, Paul de Ko-
lomna, qui jouera un grand rôle moral dans le Rascol (Schisme),
fut interdit et envoyé dans un monastère. Il y mourut en 1666
mais devint le symbole de la résistance.
Pour être sûr que l'ensemble des changements correspon-
dait aux usages grecs, Nicone envoya au patriarche de Constan-
tinople 28 questions liturgiques. Le jour du triomphe de l'Ortho-
doxie en 1655 le patriarche Nicone procéda à la révision solen-
nelle des icônes et fit briser et brûler celles qu'il il considérait
comme ne correspondant pas à la règle, qu'elles soient «occi-
dentalisées », ou bien ({ russifiées».
En mai 1655 arriva à Moscou la réponse du patriarche de
Constantinople pleine de modération et soulignant le fait que
des différences liturgiques pouvaient exister et que l'unité in-
tangible ne concernait que la Foi.
Le jour de l'Orthodoxie (premier dimanche du carême) 1656
fut choisi pour la réforme du signe de la croix; puis Nicone pro-
céda au remplacement des livres liturgiques russes par des édi-
tions nouvelles corrigées sur des textes grecs, imprimées para-
doxalement à Venise, ce qui provoqua un supplément de mé-
fiance. Les livres anciens furent ramassés à Moscou et brûlés
publiquement. Les Russes attachés à leurs textes et à leurs
chants ne reconnurent point les nouveaux textes et la lutte se
concentra surtout sur le texte des offices religieux et l'usage du
signe de la croix avec deux ou trois doigts. Ce furent les deux
pierres de touche de l'opposition entre ceux qui étaient restés
fidèles aux anciens usages et l'Église Officielle. Au moment où
le patriarche Nicone va quitter Moscou en 1658, la rupture est
consommée. Comme le dira Pierre Pascal, un croyant pénétrant
dans une église {( Niconienne », c'est-à-dire où on suivait les
nouvelles règles liturgiques non seulement dans les chants et
les lectures, mais aussi dans le comportement du clergé et les
ornements liturgiques, ne s'y reconnaitrait plus. Les différences
concernaient aussi la préparation des saints dons et le nombre
de pains liturgiques. Les habits des prêtres et des moines subi-
rent également un changement radical qui fut caractérisé ainsi
par un des chefs du Rascol, Nikita. Après l'énumération des di-
204 PIERRE KOVALEVSKY

vers habits employés désormais par le clergé, il disait: «D'après


ces costumes étranges on ne peut plus savoir si c'est un prêtre,
un moine, ou un chantre, un romain, un polonais ou un juif}).
On peut dire que la réforme du patriarche Nicone, qui fut
confirmée au Grand Concile de 1666, engendra de très grands
maux et des désordres et fut à l'origine de la séparation de
l'Église Russe en deux camps hostiles qui dans leur opposition
ne purent pas résister à la réforme protestantisante de Pierre
le Grand quelques dizaines d'années plus tard.

RÉFORMES DU XVIII' SIËCLE

Si le XVIII' siècle, qui à vrai dire s'est désinteressé des


réformes liturgiques, n'a pas apporté beaucoup au contenu des
offices, il creusa de plus en plus profondément le fossé entre
l'Église Officielle et les vieux.croyants. Il faut cependant dire
quelques mots sur les réformes ecclésiastiques de Pierre le Grand
qui, en principe, ne touchaient que l'organisation extérieure de
l'Église en la transformant en un rouage de l'État et en la su-
bjuguant entièrement au pouvoir civil. Quelques détails cepen-
dant sont à mentionner, comme l'introduction des fêtes et des
offices dits de «Chevalerie» ou de «Victoires », avec tout ce
qu'elles comportent d'artificiel et en même temps éloigné de la
vraie prière liturgique; l'emploi des majuscules dans les textes
liturgiques pour désigner le Tsar et sa famille en laissant avec
des minuscules le nom de Dieu; l'introduction partout dans les
textes du nom du souverain régnant qui faisait qu'à chaque chan-
gement de règne il fallait les corriger etc. Nous reviendrons un
peu plus tard sur le problème des abréviations des offices qui
ne devaient durer en dehors des monastères qu'un temps très
court et précis.
Le règne de Cathérine II (1762-1796) fut caractérisé surtout
par la fermeture de presque tous les monastères (1763) et par le
déclin des offices qui y étaient conservés. Un détail très carac-
téristique peut être relevé: Dans le texte du Magnificat de la lec-
ture evangélique aux matines on supprima les versets 50-55 où
l'Évangéliste parle des orgueilleux et surtout le verset 52: «Il
à précipité de leur trône les puissants et il a élevé les humbles ».
TROIS RÉFORMES EN RUSSIE 205

LE XIX' SI.ËCLE

Deux grands problèmes liturgiques se sont posés à l'Église


au XIX' siècle: celui de la sauvegarde de la concordance entre
les chants et le déroulement de la liturgie et celui des offices
en langue commune.
L'Église orthodoxe a toujours observé et continue à obser-
ver une concordance entre ce qui est chanté par l'assistance ou
le choeur qui représente cette dernière et le déroulement du
mystère liturgique. L'emploi d'instruments est impossible en
grande partie à cause de cette fidélité à l'unité. L'instrument ne
parle pas alors que la participation de l'assemblée à la liturgie,
prière commune, doit s'exprimer en paroles. On ne peut pas
d'autre part chanter une hymne ou un psaume qui ne corres-
pondrait pas au moment précis de la liturgie.
La question se posa dès le début du siècle avec l'intrusion
dans la musique sacrée des mélodies profanes et la participa-
tion des compositeurs qui mettaient l'accent sur l'effet acousti-
que plutôt que sur la mise en valeur du texte. Heureusement
« les concerts ", comme on les appelle jusqu'à nos jours, se sont
limités à un moment précis, au temps de la communion du
clergé pendant lequel les fidèles attendent le moment de l'appa-
rition des saints dons. Tous les grands compositeurs russes ont
écrit des « concerts }), mais il faut souligner que même dans ces
ensembles musicaux le thème correspond généralement à la
fête qu'on célèbre.
La rupture entre le déroulement de la liturgie et la prière
de l'assistance, nom qu'on commença à donner aux fidèles réu-
nis pour l'office et qui niait l'essence même de la participation
des croyants au mystère, fut malheureusement consacrée par di-
vers actes des autorités: le Saint Synode publia au milieu du
siècle un recueil de prières que les fidèles devaient lire durant
la liturgie au lieu de répondre aux paroles de l'officiant. Ce
recueil, qu'on pourrait appeler monstrueux du point de vue litur-
gique, n'a heureusement pas eu de « succès».

Le deuxième problème était plus complexe. La Russie était


un pays multinational et la traduction de la liturgie dans les
langues des allogènes se posait en même temps que l'autre
problème de la mission.
206 PIERRE KOVALEVSKY

L'académie de Théologie de Kazan et en particulier le pro-


fesseur Ilminsky s'attelèrent à cette tâche difficile. Des traduc-
tions de textes liturgiques furent préparées dans différentes lan-
gues de l'Est, mais le même problème se posa pour la langue
russe. Devait-on célébrer la liturgie non plus en slavon d'Église,
mais dans la langue commune? Toutes les tentatives en ce sens
échouèrent et jusqu'à nos jours la liturgie n'est pas célébrée en
russe. Quelles ont été les causes de cet échec?
La langue russe est en grande partie composée de mots sla-
vons qui forment le fonds primitif du parler de la classe instruite
et du lexique populaire. On exagère beaucoup en disant que le
slavon est incompréhensible pour ceux qui viennent à l'église.
Il n'y a pas de comparaison avec le latin qui est une langue tout
à fait différente du français. Je donne toujours en exemple le
« tropaire ", chant principal, de Noël. écrit en un slavon classi-
que. Sur les vingt neuf mots qui le composent quatre seulement
sont spécifiquement slavons, les autres sont des mots employés
couramment dans la langue russe. La différence est d'autre part
limitée à quelques formes grammaticales dont le sens est très
clair.
La question du slavon d'Église touchait également les Ser-
bes et les Bulgares. Si ces derniers n'ont aucune difficulté pour
comprendre ce qui se lit ou est chanté à l'église, la langue des
Serbes, depuis la réforme de Vouk Karadjitch au début du XIX'
siècle, a perdu le contact avec le slavon d'Église et les fidèles
ont de la peine pour suivre les offices.
Toutes les tentatives pour introduire la liturgie en langue
russe ont échoué et celle-ci n'a été admise que pour la lecture
des Épîtres et de l'Évangile.
Le XIX' siècle a vu les premiers travaux de traduction des
offices orthodoxes dans les langues de l'Europe Occidentale.
L'honneur de cette initiative revient à l'archiprêtre Alexis Malt-
sev, supérieur de l'église russe de Berlin. Il traduisit en allemand
la plupart des offices orthodoxes et les publia en textes paral-
lèles.

XX' SIÈCLE

Le XX' siècle est caractérisé en ce qui concerne la liturgie


par les nombreuses traductions des offices orthodoxes dans les
TROIS RÉFORMES EN RUSSIE 207

diverses langues, par l'essai de nouvelles traductions des textes,


par les problèmes des abréviations et par la «Réforme» de
« l'Église Vivante ».
Au début du siècle une Commission Synodale s'était réunie
sous la présidence de l'archevêque Serge (Stragorodsky), le fu-
tur patriarche de Moscou.
La nouvelle traduction du Triodion était plus conforme au
texte g~ec, mais elle était plus savante que poétique et peu adap-
tée aux mélodies admises depuis longtemps. Elle fut mal ac-
cueillie, mais ne provoqua pas les mêmes réactions que la tra-
duction sous le patriarche Nicone au XVIII" siècle.
Le Concile Général de l'Église Russe de 1917/8, qui réforma
toute la vie de l'Église et sa structure, ne s'occupa guère de
questions liturgiques. Deux initiatives sont cependant à signaler:
dans le préambule des nouveaux statuts de paroisse est mention-
née la nécessité de la vie liturgique en commun et de la parti-
cipation plus active des paroissiens à cette vie. D'autre parte le
Concile institua la fête de tous les saints russes le deuxième
Dimanche après la Pentecôte, soulignant ainsi l'unité tant litur-
gique que hagiologique de l'Église toute entière.

C'est dans la dispersion que se posèrent plusieurs problè-


mes nouveaux. D'un côté les traductions des offices orthodoxes
se multiplièrent et eurent pour but non seulement de les faire
connaître aux chrétiens occidentaux, mais aussi aux jeunes géné-
rations de Russes qui perdaient la connaissance de leur langue
paternelle. Les premières traductions parurent en Amérique où
Mrs. Isabel Florence Hapgood traduisit en anglais, avec la béné-
diction de l'archevêque orthodoxe de l'Amérique du Nord Mgr
Tikhon, futur patriarche de Moscou et de toute la Russie, l'en-
semble du rituel et du bréviaire et l'édita en 1906 à New-York.
Les éditions en allemand et en français parurent après 1920.
Signalons celles des Bénédictins de Chevetogne en Belgique et
des Dominicains de Lille.
Le problème des abréviations fut discuté par une commis-
sion présidée par l'archiprêtre Victor Youriev. Elle avait pour but
de régulariser les coupures souvent contraires au sens de l'offi-
ee ou défigurant le déroulement de la liturgie. Ces abréviations
touchèrent surtout les répétitions des «ekténies» ou collectes
(suites de prières prononcées par le prêtre ou le diacre avec ré-
208 PIERRE KOVALEVSKY

ponses des fidèles). Le Père Cyprien Kern travailla également à


promouvoir ce problème.
Un autre problème touchait les prières dites « secrètes '>. Le
père Serge Boulgakov et plusieurs autres prêtres préconisèrent
leur lecture à voix haute. Les très belles prières de la liturgie,
surtout celles de St Basile, se perdent et, vu leur longueur, le
choeur est obligé souvent de répéter deux ou trois fois le même
chant pendant que le prêtre les récite à voix basse.
Une dernière remarque concerne les innovations introduites
par l'.Ëglise dite Vivante, qui s'était formée en opposition à
l'.Ëglise Officielle en 1922 en Russie et fut patronnée par le Gou-
vernement Communiste. Parmi une série fort disparate de «Ré-
novateurs », nous ne mentionnerons ici qu'une seule de leurs
initiatives: la décision de mettre l'autel au milieu de l'église,
parce qu'elle est liée au problème controversé du prêtre offi-
ciant face aux fidèles.
Malgré le radicalisme de certaines réformes, l'.Ëglise Vi-
vante, tout en plaçant l'autel au milieu de l'église, ne songea
pas à mettre le prêtre face à l'assistance, ce qui est absolument
impossible pour un orthodoxe, si moderniste qu'il soit.
A l'église la communauté constituée du prêtre, du diacre et
des fidèles forme un tout dans la prière. Tous sont orientés
vers le trône de Dieu qui est l'autel. Le prêtre, en tant que ber-
ger de son troupeau, le précède et prononce les paroles sacrées
en se tournant vers Dieu et non vers les hommes. Quand il se
tourne vers le peuple l'unité de prière est brisée, surtout s'il n'y
a pas sur la table formant l'autel ni crucifix, ni icône du Sau-
veur. L'autel dans une église orthodoxe doit être orienté et por-
ter, tout en étant fort sobre et peu orné, l'.Ëvangile et la Croix.
Seule la parole de Dieu (l'.Ëvangile) peut être lue face au peuple
en tant qu'annonce de la Bonne Nouvelle.

CONCLUSION

Quelle peut être la conclusion de tous ce que nous avons


dit sur les réformes liturgiques dans 1'.Ëglise russe?
Malgré les changements extérieurs ou les pressions exercées
par les autorités tant civiles qu'ecclésiastiques, le peuple russe,
TROIS RÉl'ORMES EN RUSSIE
-----'
209

gardien de la foi, a manifesté durant des siècles le désir de


garder à la liturgie son sens profond et une stabilité remarquable.
Il a toujours, d'autre part, défendu les particularités nationales
conscient que chaque peuple doit apporter au trésor commun de
la vie liturgique sa propre part.

Pierre KOVALEVSKY
Doyen de l'Institut de Théologie Orthodoxe
Saint Denis à Paris
QUELQUES PARTICULARITÉS LITURGIQUES CHEZ LES GRECS
ET CHEZ LES RUSSES ET LEUR SIGNIFICATION

Ma communication présente n'a pas pour but de retracer


l'évolution historique des formes liturgiques, l'origine de leurs
particularités chez les grecs et chez les russes, l'importance de
différents Tumxà. dans ce procès, leur influence réciproque etc.
Je ne suis pas un liturgiste pour le faire d'une manière systéma-
tique. Jerne bornerai donc à quelque remarques et observations
plutôt personnelles sur la manière de célébrer la liturgie et les
offices d'une part dans les églises d'expression grecque et d'autre
part chez les russes. Et quand je parle des églises d'expression
grecque je n'oublie jamais le Mont Athos qui n'a pas accepté la ré-
forme constantinopolitaine de 1838, mais est resté fidèle aux Typi-
ka antérieurs. Ce qui m'intéresse surtout dans mon étude présente,
ce n'est pas seulement telle ou telle variante textuelle ou diffé-
rence dans l'ordre des cérémonies religieuses, mais aussi et sur-
tout la signification et l'importance qu'une même parole ou un
même moment liturgique peuvent acquérir dans la conscience
spirituelle des croyants, dans leur comportement religieux, même
si ces attitudes différentes sont bien des fois fondées sur des
malentendus. Et pour comprendre et évaluer ces comportements
de piété populaire les «déviations liturgiques» peuvent avoir
aussi leur intérêt.
Nous commencerons par quelques remarques plutôt bana-
les sur certaines particularités dans la célébration de la Divine
Liturgie. Il faut dire cependant d'une manière générale qu'une
partie importante de différences entre les grecs et les russes
dans sa célébration ne concernent qu'indirectement notre thème
puisqu'elles ont lieu dans les prières dites secrètes et restent
donc inconnues à la grande majorité des laïques et par consé-
quent sans influence immédiate sur leur cOlllportement. Néan-
moins nous en parlerons puisque ces prières constituent la par-
tie la plus importante de la liturgie et que le clergé qui les
prononce appartient aussi au peuple de Dieu. En omettant de
parler pour le moment de ce qui précède la Liturgie elle-même
212
-------
BASILE KRIVOCHEINE

(la Grande Doxologie chez les grecs, les heures chez les russes,
la proskomodie aussi), signalons une différence assez importante
et caractéristique dans la Liturgie des Catéchumènes: les grecs
depuis la réforme de 1838 (excepté les moines du Mont Athos
qui ont conservé l'ordre ancien) ont remplacé les psaumes 102
(" Mon âme, bénis le Seigneur! ») et 145 (" Loue, mon âme, le
Seigneur»), ainsi que les Béatitudes qui les suivent, par les an-
tiphones, c'est à dire par de courtes invocations à la Mère de
Dieu ou au Christ Ressuscité ou Glorifié dans ses saints, tandis
que les russes continuent à chanter chaque dimanche les deux
psaumes mentionnés et les Béatitudes. Ils les remplacent par les
antiphones seulement pendant les grandes fêtes ou au contraire
les jours ordinaires de la semaine. Évidemment, ces omissions
des psaumes et des Béatitudes ont l'avantage de raccourcir la
Divine Liturgie (si c'est vraiment un avantage), il est cependant
regrettable que la Liturgie des Catéchumènes perd ainsi de son
caractère didactique biblique, vétérotestamentaire et néotesta-
mentaire à la fois, qui devrait lui être propre. Des réflexions
semblables pourraient aussi être faites sur la suppression par la
réforme de 1838 des prières pour les catéchumènes. On ne
comprend plus pourquoi cette première partie de la liturgie
continue à être appelée "Liturgie des Catéchumènes ». Notons
de nouveau qu'au Mont Athos les moines grecs continuent à
prier pour les catéchumènes pendant la liturgie, toute l'année.
Un autre moment de la Liturgie des Fidèles cette fois vaut
qu'on s'y arrête. C'est le Chérubicon. Une différence d'attitude
frappe ici immédiatement: quand on commence à chanter cette
hymne les grecs ont l'habitude de s'asseoir tandis que les russes
aiment à se mettre à genoux. Et puis quand la procession avec
les Saints Dons commence, les grecs se lèvent et se tiennent
debout avec piété, leurs têtes et le haut de leurs corps courbés,
tandis que les russes agenouillés se lèvent et se tiennent libre-
ment (pas tous, cependant. Certains, au contraire, se prosternent
jusqu'à terre devant la procession, ce sont ceux qui pensent que
les Dons sont déjà consacrés, hérésie condamnée à Moscou au
XVII" siècle). On pourrait dire que pour les grecs l'important
c'est la procession et les commémorations et pour les russes le
chant de l'Hymne chérubique lui-même. Evidemment, rien de ces
pratiques russes n'est prescrit par l'Église Russe, au contraire
on a beaucoup fait, ces derniers temps surtout, pour expliquer
aux fidèles qu'il ne sied pas de se mettre à genoux pendant le
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRÈCE ET EN RUSSIE 213

Chérubicon, le dimanche en particulier, puisque les Dons ne sont


pas encore consacrés, mais tous ces efforts sont restés à peu
près vains, tant était forte la tradition spirituelle que cette pra-
tique exprime et dont le danger serait de faire de ce chant le
centre « mystique profond» de la Divine Liturgie au lieu du canon
eucharistique et de la consécration des Saints Dons. Quant aux
grecs, leur attitude pourrait être expliquée historiquement par
le fait que le Chérubicon a été introduit dans la liturgie tardive-
ment, au VI' siècle à Constantinople, et que son but primordial
était de remplir le vide créé par la commémoration des vivants
et des morts à la prothèse avant la Grande Entrée (L'introduction
du Chérubicon a d'ailleurs été critiquée par les contemporains
qui y voyaient une innovation étrange). Etant donc à son origine
« une pièce de remplissage », il est compréhensible que les grecs
l'écoutent assis dans leurs stasidia (chaises) comme ils le font
en général dans des cas pareils.
Quelque chose de semblable pourrait être dit concernant une
des premières phrases du canon eucharistique. Elle se lit diffé-
remment, à notre époque en tout cas, chez les grecs et chez les
russes: "EÀ(xLO\l dp~\l1jç, 6uO'(C(.\I IXtvtO'e:W'; (Milosty mira jertva hva-
lel1ja). Ce qui veut dire: «Huile de paix, sacrifice de louange»
(chez les grecs) et «Miséricorde de paix, sacrifice de louange» (chez
les russes). Il est clair presqu'à priori qu'une confusion qu'on
pourrait appeler orthographique s'est produite dans les manus-
crits grecs entre deux mots qui, bien qu'écrits d'une manière diffé-
rente, se prononcent en grec byzantin d'une manière identique
bien qu'avec une termination distincte: gÀ""ov (huile) et ~ÀEO;
(miséricorde). Des confusions pareilles. expliquées parce qu'on
appelle en Occident itacisme, sont un phénomène très répandu. Il
est aussi à peu près certain que la forme eÀ",'ov (huile) est la for-
me primitive, originale tandis que celle de eÀEOÇ (miséricorde)
est une faute ou plutôt une innovation délibérée du copiste qui a
voulu ici « approfondir» son texte. Nous avons ici un exen1ple
classique d'une évolution d'un texte biblique littéraire en un
texte symbolique et spiritualisé. Il est invraisemblable que cette
évolution aurait pu avoir un sens inverse, c'est-à-dire du compli-
qué au simple. Les scribes et les liturgistes russes ont préféré
cette forme spiritualisée (<< miséricorde »-ntilostj et non « huile »-
eley) et j'ont adopté dans la liturgie slavonne, mais il serait ér-
roné de penser que c'est à eux (ou en général aux traducteurs
slaves) qu'appartient 1'« honneur~) de cet « approfondissement }).
214 BASILE KRIVOCHElNE
---

Il a eu lieu déjà chez les grecs, et la preuve en est que déjà Ni-
colas Kavasilas dans son «Explication de la Divine Liturgie»
(XIV s.) la connaît, bien qu'il ne cite pas littéralement ce pas-
sage, mais en fait une paraphrase d'où il apparait. cependant
qu'il lisait « miséricorde» et non « huile ». Le développement qui
suit le confirme encore: «Car nous offrons, dit Cabasilas, la
Iniséricorde à Celui qui a dit: "Je veux la miséricorde et non
le sacrifice"". Mais nous offrons aussi un sacrifice de louange»
(P.G. 150. 396AB). Ce qui importe cependant c'est que chez les
grecs cette variante «spiritualisée» n'a pas prévalu, ils sont
restés plus fidèles au texte biblique, tandis que chez les russes
la version Mi/ostj mira (<< Miséricorde de paix". ») est devenue
pour beaucoup de croyants un des moments culminants de la
liturgie; de grands compositeurs de musique ecclésiastique en
ont écrit la mélodie, ce qui a augmenté encore sa popularité chez
les personnes qui vont à l'église pour entendre de beaux chants.
Un autre exemple, cette fois d'un développement purement
théologique d'un texte bref, mais motivé aussi par le besoin de
laisser au célébrant le temps de dire la première prière secrète
de l'anaphore, peut être vu dans le remplacement dans la litur-
gie russe de la courte exclamation du chantre chez les grecs:
« Cela est digne et juste» (en réponse aux paroles du célébrant:
«Rendons grâces au Seigneur,,) par la longue phrase chantée
par le choeur: «Il est digne et juste d'adorer le Père, le Fils
et le Saint-Esprit, Trinité consubstantielle et indivisible". (De
nouveau, comme dans le cas de la « Miséricorde de la paix" les
russes n'ont fait ici qu'adopter une variante qui existait déjà
dans les manuscrits grecs, mais qui n'a pas prévalu dans leur
tradition liturgique). L'inconvénient de ce développement théo-
logique consiste dans son manque de suite, la réponse du choeur
ne correspondant plus exactement aux paroles du célébrant,
comme c'est le cas dans le texte bref (<< Rendons grâces au
Seigneur - Cela est digne et juste ». Au lieu de ceci un enseigne-
ment sur l'adoration de la Sainte-Trinité). Mais, d'un autre côté,
le peu de temps que donne au célébrant la courte repli que du
chantre pour lire la première prière eucharistique a créé chez
les grecs modernes une coutume d'une grande laideur: en cas
de concélébration le deuxième célébrant interrompt le premier
(même si celui-ci est un évêque) car il est physiquement impos-
sible à celui-ci de terminer sa prière pendant le peu de temps
que lui donne le chantre, et proclame à haute voix l'ecphonèse:
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRÈCE ET EN RUSSIE 215

«Chantant, clamant, criant l'hymne triomphal...» (Tout ceci


pour éviter une pause que les orthodoxes n'aiment pas). Heureu-
sement, les fidèles hors du sanctuaire ne remarquent rien puis-
que les prières eucharistiques sont dites à voix basse.
La même chose pouvant être dite de toutes les prières du
canon eucharistique en général, nous n'en parlerons que briève-
ment. Il s'agit d'ailleurs de choses bien connues. La particularité
du canon eucharistique de la liturgie de Saint Jean Chrysostome
consiste. chez les russes dans l'interpolation dans le texte de
l'épiclèse d'un tropaire au Saint-Esprit, emprunté à la tierce,
donc relativement ancien, suivi de versets du psaume 50. De
nouveau il faut dire que ce ne sont pas les russes qui ont été
les auteurs de cette interpolation, puisqu'on la trouve déjà dans
certains manuscrits liturgiques grecs du XI' siècle, mais c'est
chez les russes qu'elle a été universellement acceptée et a pris
dans la conscience de beaucoup de célébrants la place de l'épiclè-
se elle-même (Beaucoup de prêtres, quand ils parlent de l'épiclèse,
ont en vue justement cette interpolation. Son importance est
d'ailleurs soulignée par la manière dramatique, comme elle est
souvent dite, quand le prêtre la prononce en levant les mains
et le diacre se met sur un genou en disant les versets du psaume).
Rien ne correspond à tout ceci dans la liturgie grecque. Evi-
demment, cette interpolation (<< une épiclèse dans l'épiclèse »,
pourrait-on la nommer) donne à la spiritualité sacerdotale qu'elle
exprime une certaine nuance individualiste et piétiste, elle in-
terromp la suite du canon eucharistique; mais dans la liturgie
de Chrysostome elle ne le fait pas d'une manière violente, elle
est placée entre deux phrases et non au milieu d'une d'elles.
Tout différent et bien plus grave est le cas de la liturgie de
Saint Basile dans l'Eglise Russe. Ici il ne s'agit plus d'une seule
interpolation mais de deux différentes. D'abord, de la même que
dans la liturgie chrysostomienne (tropaire au Saint-Esprit etc.),
mais avec la différence importante qu'elle coupe ici une phrase
du canon dans son milieu après un verbe à l'infinitif aoriste
(&v",3"'1;",., pokazati = montrer, manifester), de sorte qu'après
la longue interpolation le célébrant est presqu'obligé de revenir
en arrière s'il ne veut pas perdre le fil de la pensée. Le carac-
tère artificiel de l'interpolation est ici bien plus clair que dans
la liturgie de Chrysostome d'où elle est d'ailleurs empruntée
(Aucun manusclit grec ne la confirme dans la liturgie de Saint
Basile). Bien plus importante est cependant la deuxième interpo-
216 BASILE KRIVOCHEINE

lation (tLE't'a{3aÀc'ov -riil llVEO!J.«X't'( :Lou 't'<ll ~Ayt~, prelojiv Duh0111 lvoiHI
Svyatyl11, = En les changeant par Ton Esprit Saint), introduite
dans le texte slavon de la liturgie de Saint Basile sous l'influence
du texte de Chrysostome. Le moins qu'on puisse dire à son
propos est qu'elle: 1) constitue une irrégularité grammaticale
inadmissible, le participe !-,ET"~"Ào" ne pouvant pas suivre en
grec l'infinitif &."8dl;,,.. Dans la liturgie de Chrysostome il suit
l'impératif 71:ohlo-o. (fais). On aurait dû employer un autre infi-
nitif x"l !-,ET"~"'Àii:., i prelojiti = « et les changer », mais l'interpo-
lateur a préféré de suivre servilement le texte qu'il a emprunté;
2) cette interpolation est superflue car l'anaphore de Saint Ba-
sile avait mentionné déjà l'action transformatrice du Saint-Esprit
(en l'invoquant) tandis que dans la liturgie de Saint Crysostome
on avait seulement demandé sa descente sur les Dons (voilà
pourquoi il suit: «en les changeant »); 3) elle crée la monstruo-
sité liturgique de quatre bénédictions des Dons Eucharistiques
qu'on a voulu éviter en supprimant contre toute tradition la
troisième bénédiction (accompagnée de paroles: «Répandue pour
la vie du monde »). L'ensemble de toutes ces irrégularités dans
la manière russe de célébrer la liturgie de Saint Basile a juste-
ment provoqué des critiques de la part des théologiens russes.
Ainsi le célébre historien de l'Église Bolotov a même écrit qu'une
des taches les plus urgentes du futur concile russe serait d'éli-
miner de la liturgie de Saint Basile toutes ces interpolations, en
premier lieu les mots « En les changeant par Ton Saint Esprit ».
Plusieurs conciles ont eu lieu depuis, mais malheureusement rien
n'a été fait. La raison paraît être claire: la crainte des vieux-
croyants qui ne tarderaient pas d'accuser l'Église « Nikonienne »
d'« innovations »,
Une autre raison pourrait cependant être ajoutée pour expli-
quer cette crainte des changements liturgiques même justifiés
dans l'Église Russe: le réflexe conservateur du peuple croyant,
depuis les réformes liturgiques maladroites que les schismati-
ques de l'église « renovée » ont voulu imposer à l'Orthodoxie rus-
se après la révolution. On soupçonne dans le moindre change-
ment liturgique un retour à l'église «rénovée ». On peut dire
que les rénovateurs (obnovleI1ci) par leurs activités liturgiques
révolutionnaires ont rendu pour de nombreuses décennies extrê-
mement difficile toute amélioration dans la manière de célébrer
dans l'Église en Russie. La liturgie avant la révolution est de-
venue pour le peuple un idéal auquel on ne doit pas toucher. Et
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRÈCE ET EN RUSSIE 217

néanmoins, par l'action de l'Esprit Saint, je n'en doute pas, deux


innovations importantes ont été introduites d'une manière spon-
tanée dans la vie liturgique du peuple russe fidèle et croyant:
une communion eucharistique sans comparaison plus fréquente
qu'avant la révolution où on communiait normalement une fois
par an, et le chant par tout le peuple présent à l'église d'une
grande partie de la liturgie et des autres offices, du Credo et du
Notre Père en particulier (Et non seulement par la chorale
comme cela avait lieu auparavant). Quant aux grecs, ils ont plu-
sieurs manières de réciter le Credo et le Notre Père qu'ils ne
chantent jamais: 1) La manière traditionnelle et évidemment
la plus ancienne: le Credo et le Notre Père sont récités par un
prêtre ou un évêque qui ne célèbre pas ou par un laïque pré-
sent à I"église parmi les plus âgés et les plus respectables. Cc
bel usage est souvent remplacé maintenant par un autre, surtout
chez les grecs vivant en Occident. Ou bien ce n'est pas le plus
ancien mais au contraire un jeune garçon ou une fillette qui
récitent ces prières; ou elles sont dites, mais pas chantées, en-
semble par ceux qui sont présents. Usage emprunté à l'Occident
et caractéristique pour les réunions oecuméniques, mais étran-
ger à la liturgie orthodoxe.
Quant à la communion des laïques deux particularités peu-
vent être observées chez les grecs et chez les russes: 1) Aux
paroles du diacre qui sort des portes royales avec le calice et
dit: «Avec crainte de Dieu et avec foi, approchez! » les grecs
modernes ajoutent: « et avec amour}), C'est une belle addition,
mais elle ne représente pas une tradition liturgique ancienne, qui,
fidèle à la spiritualité sacramentelle de St. Jean Chrysostome,
souligne le sentiment de crainte devant les «Augustes Mystè-
res ». Selon beaucoup de vraisemblance les mots ({ avec amour»
ont été introduits au XVIII' siècle à Mont Athos par les parti-
sans de la fréquente communion, les représentants du mouve-
ment des «Kollyvades» avec St. Nicodème en tête, et adoptés
ensuite à Constantinople par le typikon de 1838. Mais ils ne pé-
nétrèrent jamais en Russie. 2) Par contre, l'usage de l'Église
Russe qui prescrit aux laïques d'embrasser le bas du Saint Ca-
lice après la communion n'est pas admis par la piété populaire
grecque qui y voit une appropriation par les laïques de ce qui
appartient exclusivement au sacerdoce: toucher aux vases sacrés.
Signalons encore une innovation récente grecque, inspirée par
le mouvement Zoe: les célébrants lisent les prières de l'anaphore
218 BASILE KRIVOCHEINE

et consacrent les Saints Dons à genoux. Cette manière de cé-


lébrer a été vivement critiquée par beaucoup de théologiens (ar-
chiprêtre G. Florovsky entre autres) pour son caractère antitra-
ditionnel. Pour notre part nous nous bornerons à deux remar-
ques: 1) Célébrer à genoux l'anaphore contredit les décisions
du Premier Concile Oecuménique qui interdit formellement de
plier les genoux les dimanches, la période entre Pâques et la
Pentecôte et autres grandes fêtes. 2) Il est physiquement dif-
ficile et incommode de faire la consécration à genoux. Si l'autel
est haut, on a des difficultés de faire le signe de la bénédiction
sur les Saints Dons et on risque de renverser le Calice. Si il
est plus bas, il devient incommode de célébrer les autres par-
ties de la liturgie quand on se tient debout. Or, ce qui est gê-
nant et incommode est contraire à l'esprit liturgique authenti-
que où tout est harmonie. Et en général il est prétentieux de
vouloir surpasser nos Pères en piété. Ils n'ont pas cru néces-
saire et agréable à Dieu de célébrer l'Eucharistie à genoux.

Il semble cependant que du point de vue théologique doctri-


nal la plus grande divergence, exprimée par les particularités
liturgiques chez les grecs et chez les russes, peut être observée
non dans la liturgie eucharistique elle-même, mais dans sa partie
préparatoire, la proskomidie. J'omets la question du nombre des
prosphores qu'on emploie, une, cinq ou même sept chez les
vieux-croyants, cette question n'étant pas essentielle. Ce qui im-
porte davantage, c'est que les grecs parmi les neuf ordres des
saints qu'ils commémorent en découpant leurs parcelles des
prosphores, mettent à la première place, avant Saint Jean Bap-
tiste, les grands archanges Michel et Gabriel et toutes les Puis-
sances supercélestes incorporelles, c'est-à-dire les anges, tandis
que les russes omettent complètement de commémorer les anges
durant la proskomidie et commencent directement par Saint
Jean Baptiste. Une sérieuse question théologique se trouve impli-
citement derrière ces pratiques divergentes: est-ce-que la Ré-
demption, le salut par le Sang du Christ, Son sacrifice sur la
Croix, concerne seulement le genre humain ou inclue aussi les
anges et a une resonance cosmique? Est-ce-que le sacrement du
Corps et du Sang du Christ, la Sainte Eucharistie, est destiné
aussi aux anges qui n'ont pas eux-mêmes de corps? Enfin, si la
chute de l'homme a eu des répercussions sur les anges pour
qu'ils aient besoin d'une rédemption? Tels sont les problèmes
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRtCE ET EN RUSSIE 219

posés par la commémoration eucharistique des Puissances angé-


liques. Certains théologiens russes ont caractérisé comme héré-
tique une telle pratique, mais officiellement cette question n'a
été discutée dans aucune église orthodoxe. Historiquement par-
Iant, la liste et l'ordre des saints qu'on commémore à la liturgie
ne se sont établis que peu à peu, certains manuscrits grecs de
l'époque byzantine incluaient les noms des anges, les autres ne
les incluaient pas, mais au contraire de ce qui s'est passé dans
les cas dont nous avons parIé plus haut, ce sont les grecs qui
ont adopté la version developpée contenant les noms des anges
tandis que les russes les ont éliminés de l'usage liturgique peut-
être pour des raisons doctrinales. Sans vouloir trancher ici la
question du point de vue théologique, je voudrais dire que la
pratiqué russe exprime une conception plus anthropocentrique
du salut tandis que celle des grecs souligne davantage sa di-
mension cosmique. En ce sens on pourrait établir ici un paral-
lèle avec la variante qui existe entre le texte grec et slavon dans
l'ecphonèse dite par le célébrant aux matines avant les laudes:
«Parce que Te louent toutes les Puissances célestes et que Te
rendent gloire» chez les grecs, tandis que chez les russes: «Nous
Te rendons gloire, Père, Fils et Saint-Esprit, maintenant et
toujours et dans les siècles des siècles ». Comme on le voit, le
texte slavon est plus anthropocentrique: ce sont « nous ) et non
« les Puissances célestes » qui rendent gloire à la Sainte Trinité.

Nous aurions pu encore longuement parler des particulari-


tés dans d'autres offices ecclésiastiques (vêpres, matines, heures
etc.) chez les grecs et chez les russes, mais pour ne pas trop
prolonger notre exposé nous nous bornerons à dire que la prin-
cipale différence, quant au service paroissial en tout cas, con-
siste dans le fait que les grecs célèbrent les vêpres le soir la
veille des dimanches et des fêtes et commencent le lendemain
l'office par les matines en passant immédiatement après la doxo-
logie à la liturgie en omettant les heures, tandis que les russes
célèbrent le soir ce qu'ils appellent «vigile de toute la nuit»,
c'est-à-dire vêpres et matines ensemble, mais qui sont loin de
durer toute la nuit. Par contre, le lendemain la liturgie est pré-
cédée par les heures. Il faut dire que les deux « systèmes» de
célébrer ont leur avantage et leur désavantage. La manière grec-
que est plus naturelle, plus conforme au Typikon, puisque les
offices du soir y sont célébrés le soir et les prières Inatinales
220 BAS ILE KRIVOCHEINE
~~~~. __ .

chantées le matin et non le contraire, comme chez les russes.


Mais d'un autre côté, comme l'office des vêpres est par nature
très court, presque personne dans les églises d'expression grec-
que n'y va en vertu de la psychologie orthodoxe: il ne vaut pas
la peine d'aller à l'église à un office qui est court; plus un
office dure, plus il y a de raisons d'y assister. Les vigiles russes
par contre sont devenues un service très populaire, au détriment
même de la liturgie, chose regrettable. Et ceci pour des raisons
sentimentales et esthétiques: les gens aiment à prier dans la
pénombre où scintillent les lumières des lampadaires et des
cierges tandis que l'office eucharistique les fatigue par son inten-
sité spirituelle. Il faut dire cependant que cet état d'esprit a
cédé ces dernières décennies à une extrémité opposée chez les
orthodoxes d'origine russe vivant en Occident: sous l'influence
du milieu hétérodoxe où ils vivent, et d'une fausse spiritualité
qui réduit toute dévotion à la seule Eucharistie, ils ne mettent
que rarement le pied à l'église durant les vigiles, en se privant
ainsi de la richesse spirituelle et théologique que ses hymnes
contiennent. Il faut regretter aussi la place restreinte qu'occupe
à présent (en dehors des monastères du Mont Athos) la récita-
tion du psautier chez les grecs modernes en particulier. Ainsi, la
lecture et le chant du psaume l, « Bienheureux l'homme» (Moc",x-
pLOÇ &v~p, Blajen muj) qui constitue un des moments solennels
des vigiles russes, un signe de fête, a complétement disparu des
vêpres grecques malgré toutes les prescriptions des Typika an-
ciens. La même chose peut être dite de la suppression de la
récitation des heures dans les paroisses grecques excepté pen-
dant le Carême.

Le Grand Carême occupe évidemment la même place centrale


dans l'année liturgique et dans la vie spirituelle des croyants
chez les grecs et chez les russes. Il n'y a pas ici de différence
essentielle. Néanmoins, les moments ou les offices liturgiques
par lesquels s'exprime la piété populaire, les centres spirituels.
si ont peut dire, se distinguent parfois de beaucoup chez les deux
peuples orthodoxes. Si on prend les six premières semaines du
Carême (nous parlerons après de la Semaine Sainte), on peut
dire que chez les russes les expressions les plus caractéristiques
et saillantes de la spiritualité du Carême sont la prière: « Seigneur
et Maître de ma vie» (K "pL. "OC! 6k<11tOTIX ""Îiç ~Cù'iiç flOU, Gospodi i
Vladyko jivota n10ego). Tout russe, nlême celui qui va rarement
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRÈCE ET EN RUSSIE 221

à l'église, connaît bien cette prière, elle marque pour lui le com-
mencement et la fin de la période du jeûne, ce que distingue
les offices du Carême de ceux des autres périodes de l'année_
De sa grande popularité et de son influence profonde sur la
spiritualité témoigne la célèbre poésie de Pouchkine: "Pères
ermites et femmes impeccables» (OctZ pustynniki i jeny nepo-
rochny); elle était sa prière favorite, il était profondément ému
quand il entendait le prêtre la lire à l'église. Et pourtant Pouchki-
ne n'était pas un homme particulièrement religieux. Voilà pour-
quoi un russe sera extrêmement étonné (jusqu'à ne pas le croire)
en apprenant que cette prière est pratiquement inconnue de la
grande majorité du peuple grec pieux et que l'on ne l'entend pas
pendant le Carême dans les églises grecques. Pour éviter un
malentendu possible je dois m'expliquer. Cette prière existe évi-
demment dans les livres liturgiques grecs, comme chez les rus-
ses, on ne l'omet pas, le clergé et les liturgistes la connaissent.
bien, mais parce que selon les prescriptions des "typika» an-
ciens elle est dite par le prêtre à voix basse, " secrètement », le
peuple l'a complètement oubliée, en ne retenant que les proster-
nations qui l'accompagnent et qui sont devenues la caractéristi-
que du Carême. La manière grecque de dire la prière" Seigneur
et Maître}) « secrètement» est certainement la plus ancienne; tous
les" typika », les russes y inclus, la prescrivent (voir par exemple
dans le typikon russe existant l'indication pour le commence-
ment du Carême: "Nous prions intérieurement [ou ailleurs
" mentalement» ou "secrètement» 1 la prière d'Ephrem le Sy-
rien « Seigneur et Maître}»); la manière russe de dire cette prière
à haute voix n'est qu'une innovation datant probablement du
XV'-XVI' siècle, mais elle a conservé dans la conscience religieuse
du peuple une de plus belles prières orthodoxes qui risquait
autrement d'être oubliée, car si la manière ({ secrète» ou « men-
tale» de dire certaines prières peut être spirituellement profi-
table dans les monastères où les moines connaissent bien la
liturgie, elle peut avoir comme conséquence, dans de grandes
paroisses surtout, son oubli et donc un appauvrissement spiri-
tuel. Quelque chose de semblable peut être dit du grand Canon
de St. André de Crète. Très populaire parmi les russes et consti-
tuant un des centres principaux de la piété pénitentielle du
Carême pour eux, passe à peu près inaperçu chez les grecs. Par
contre, c'est l'office de l'Acathiste de la Mère de Dieu qui est
pour ces derniers le plus populaire, le plus aimé, le plus fré-
222 BASILE KRTVQCI-lEI!\:F

quenté de tous les offices du Carême (la Semaine Sainte excep-


tée). Les grecs ne se contentent pas de le célébrer pendant les
matines du samedi de la Cinquième Semaine du Carême, comme
le prescrivent tous les anciens Typika, mais le célèbrent aussi,
divisé en quatre parties, les vendredis des quatre premières se-
maines du Carême durant les complies. On pourrait voir ici une
plus grande place de la dévotion mariale dans la spiritualité du
Carême, si d'autres faits (dont nous parlerons plus tard) ne le
contredisaient pas. Paradoxalement, les prières pour les Caté-
chumènes sont devenues pour les grecs un signe caractéristique
du Carême, car, exceptée la liturgie des Présanctifiés, ils ne les
entendent pas aux autres périodes de l'année.

La liturgie des Présanctifiés a évidemment la même impor-


tance chez les grecs et chez les russes dans la spiritualité du
Carême, c'est un office aimé du peuple et bien fréquenté par
lui, surtout quand on le célèbre le soir, comme il convient, bien
que cette « innovation}) téméraire rencontre encore une forte
opposition et n'est pas encore très répandue, excepté chez les
orthodoxes de l'Occident. Si donc il n'y a pas de particularités
importantes dans la manière « extérieure)} de célébrer la litur-
gie des Présanctifiés qui pourraient influencer la spiritualité du
peuple, il existe au contraire des différences théologiques im-
portantes entre les grecs et les russes, non formulées officielle-
ment il est vrai, mais présupposées par les actions et les paroles
des prêtres célébrant à l'autel derrière l'iconostase. Une que-
stion se pose ici (au grand étonnement de beaucoup de laïcs et
même de prêtres qui ne la soupçonnent même pas): Est-ce-que
le vin eucharistique dans le calice se transforme durant la litur-
gie des Présanctifiés en Sang Précieux de Notre Seigneur, com-
me ceci a lieu à la liturgie de Chrysostome et de Basile, ou est-
ee-qu'il reste ce qu'il était, bien que béni et sanctifi~? La litur-
gie russe, depuis le métropolite Pierre Moguila en tout cas, ré-
pond à cette question d'une manière négative: le vin n'est pas
transformé. Ceci apparaît clairement du fait que le célébrant,
après avoir communié du Corps du Christ, consacré auparavant
et trempé dans le Sang Précieux, consacré aussi à l'avance, à
une liturgie du Chrysostome, ou de Basile, boit au calice sans
prononcer les paroles de communion des liturgies « complètes ».
En plus, s'il célèbre sans diacre et doit par conséquent consom-
mer lui-même les Saints Dons, le prêtre ne boit pas au calice.
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRÈCE ET EN RUSSIE 223
-----'=-=-=--

Le diacre, qui consomme les Saints Dons à la fin de la liturgie,


ne boit pas du tout au calice au moment de la Communion.
{( Boire au caHce}) est considéré ici comme un obstacle à la
consommation des Saints Dons, comme c'est expliqué dans une
" Notice concernant certaines corrections dans la célébration de
la liturgie des Présanctifiés» et datant de l'époque de Pierre Mo-
guila: "Si le prêtre célèbre seul... il ne boit pas au calice, mais
après la fin de la liturgie ... Car si le vin est sanctifié par l'inser-
tion de la parcelle (du Corps), il n'est pas transsubstantié en
Sang Divin, parce que les paroles de consécration n'ont pas
été lues ici sur lui, comme c'est le cas dans les liturgies de
Jean Chrysostome et de Basile le Grand ». Même point de vue
est exprimé par la pratique de l'Église Russe de ne pas ad-
mettre à la communion les petits enfants à la liturgie des Pré-
sanctifiés, car à cause de leur âge ils ne sont pas physiquement
capables d'avaler les parcelles du Corps du Christ tandis que le
vin est consideré comme non changé en Sang. La pratique grec-
que, en tous cas telle qu'elle est formulée dans leurs livres litur-
giques, bien que peu explicite, paraît présupposer des croyances
théologiques toutes différentes. Il y est dit brièvement concer-
nant la liturgie des Présanctifiés: "Le prêtre ... effectue la com-
munion des Dons Divins comme dans la liturgie de Chrysosto-
me ». Donc, il prononce en buvant au calice: {( À moi. .. est aussi
donné le précieux et saint Sang de Notre Seigneur, Dieu et Sau-
veur, Jésus Christ ... ». Donc ce qui se trouve dans le calice est
considéré comme le Sang du Christ. Ceci est confirmé par la
pratique de boire trois fois au Calice, comme dans la liturgie
de Chrysostome-Basile, usage qui n'aurait pas grand sens s'il
s'agissait du vin et non du Sang Précieux. Et après tout ceci
le célébrant consomme les Saints Dons, comme dans les litur-
gies "ordinaires ». Quant aux explications théologiques, on les
trouve déjà chez les liturgistes byzantins depuis le XI' siècle:
après l'insertion de la parcelle du Corps du Christ dans le calice
le vin par le contact avec le Corps est transformé en Sang
Précieux du Seigneur. Je ne voudrais pas exprimer mon opinion
sur cette question théologique grave, résoudre cette différence
(si elle existe réellement, car des particularités des pratiques
on ne peut conclure avec sûreté à la différence de croyances),
résoudre cette différence surpasse ma compétence puisque ni
à Byzance ni en Russie l'Église n'a jamais pris de décisions
conciliaires sur ce sujet. Je renlarquerai seulement que l'explica-
224 BASILE KRTVOCHEINE
---

tion du changement du vin en Sang par le contact avec la parcelle


du Corps me paraît étrange et inconnue des Pères anciens. Quant
à la « Notice» de Pierre Moguila, elle est évidemment inaccep-
table dans sa terminologie scolastique (transsubstantiatio) et sa
théologie non orthodoxe qui remplace dans la consécration des
Dons Eucharistiques l'épiclèse par les paroles d'institution. Les
éditeurs des livres liturgiques en Russie l'ont bien compris: tout
en incluant la «Notice» de Moguila dans leur texte, ils ont
mis entre parenthèses sa partie la plus choquante que nous avons
partiellement citée plus haut. Cependant la théorie du change-
ment par contact a aussi un défaut semblable: elle ne laisse pas
de place à l'épiclèse. Quant à la pratique russe, elle paraît plus
correcte, mais contradictoire quand elle prescrit au célébrant de
boire trois fois au calice (Quel sens a ce geste, si ce n'est pas
le Sang du Christ?) et en même temps exagérée quand elle le
lui interdit au cas où il célèbre seul.

La Semaine Sainte, l'apogée incontestable avec Pâques de


toute l'année liturgique, a aussi chez les grecs et les russes ses
moments les plus impressionants pour la piété populaire et ces
moments ne sont pas exactement les mêmes. Pour les grecs
deux offices ecclésiastiques sont particulièrement aimés du peup-
le et attirent pendant la Semaine Sainte des foules innombrables
de fidèles; ce sont la stichère de la Kassiani: «Seigneur, la
femme qui était tombée dans un grand nombre de péchés»
(Kupte;, ~ Èv 1tOMet'i:Ç oc(L!XP'dOCLt:; 1tEpL7te:aoÜart yU\l~, Gospodi, jage va
mnogie grehi padsaja jena) d'un côté et la procession avec l'Epita-
fios le soir du Vendredi Saint de l'autre. On peut dire que pour
un grec moyen ces deux évènements liturgiques constituent les
deux attraits principaux de toute le Semaine Sainte. La stichère
de la femme pécheresse est particulièrement aimée, beaucoup de
laïcs savent ses paroles par coeur et aiment à les chanter. Des
journaux en parlent dans leurs descriptions des cérémonies re-
ligieuses de la Semaine Sainte. A peu près la même chose peut
être dite de la procession de l'Epitafios. On ne se borne pas à
la faire autour des églises, mais l'Epitafios, qui représente le
Christ prêt à être mis au tombeau, est porté des kilomètres en-
tiers accompagné de milliers de fidèles portant des cierges allu-
més et qui chantent des hymnes funéraires. C'est assez différent
chez les russes. Non tant pour les cérémonies et les hymnes eux-
mêmes, c'est presqu'identique, que pour la place qu'ils occupent
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRÈCE ET EN RUSSIE 225

dans la piété. Ainsi, la stichère de Kassiani, si centrale pour les


grecs, est évidemment aussi chantée chez les russes, mais n'atti-
re pas une attention particulière des croyants qui en grande
partie ne la connaissent pas. Elle n'est qu'un des chants de la
Semaine Sainte et ceux·ci sont tous très beaux. Par contre, les
vigiles de la nuit du Vendredi Saint (pratiquement jeudi soir),
l'office de "Douze Évangiles» prend pour les russes une plus
grande importance et est devenu pour la piété russe un des
offices le plus aimés et le plus fréquentés de la Semaine Sainte.
Mais chose curieuse, tandis que chez les grecs dans cet office
de «(Douze Évangiles», qui a pour eux aussi son importance, mais
moindre que chez les russes, le moment qui concentre l'attention
pieuse est la procession de la croix avec le chant de: "En ce
jour est suspendu au gibet » (~1jf'EPO" "pEf'ii-r"" ~7t! ~6Àou) (chez les
russes cette procession n'existe pas, elle paraît être une inno·
vation tardive, les paroles Dnes visU na dreve sont dites mais
sans se distinguer tant dans le cours de l'office). Pour la grande
masse des russes le moment le plus populaire, le plus aimé, est
le chant de l'exapostilaire: "Le larron bien intentionné" (Raz-
boynika blagorasumnago) quand les solistes de l'opéra ont l'occa-
sion de faire montre de leurs voix. C'est un exemple entre autres,
de l'influence que peut avoir l'exécution musicale sur l'impor·
tance d'un moment liturgique dans la piété populaire.
Quant au Vendredi Saint lui-même, le principal office de
cette journée, ainsi que de toute la Semaine Sainte, n'est pas
chez les russes l'ensevelissement du Christ, comme chez les grecs
le vendredi soir, bien que cet office attire aussi beaucoup de
monde et soit très émouvant (on ne fait pas cependant de Ion·
gues processions mais seulement autour des églises), mais l'offi-
ce de la Descente de la Croix (Vynos plaschanicy) durant les
vêpres dans l'après-midi. Il est le plus suivi par les fidèles et
marque le plus la spiritualité de la Semaine Sainte. La liturgie
du Samedi Saint de Saint Basile avec ses quinze lectures vété-
rotestamentaires, d'ailleurs réduites à trois chez les grecs, mais
non à Mont Athos, par le Typikon constantinopolitain de 1838,
est comparativement moins suivie par le peuple malgré toute
sa richesse et profondeur théologiques. Les russes y ont apporté
une innovation liturgique qu'on pourrait appeler géniale, la meil-
leure de celles qu'ils ont créées dans le domaine de la liturgie
et qui donne à cette liturgie du Samedi Saint une tension dra-
matique inoubliable: le changement des vêtements sacerdotaux
226 BASILE KRIVQCHEINE

sombres en vêtements blancs pendant la liturgie entre la lecture


de l'épître et de l'évangile (tous deux consacrés déjà à la Résur-
rection) pendant que le choeur chante le verset: "Ressuscite, ô
Dieu, juge la terre, parce que Tu hériteras de toutes les nations ».
Que ce ne soit pas un usage ancien, aucun doute. Ce changement
de vêtements pendant la liturgie du Samedi Saint est inconnu
chez les grecs qui ont conservé l'ordre primitif selon lequel le
clergé met les vêtements blancs dès le commencement de la
liturgie. La raison en est simple. Dans les temps anciens le
Samedi Saint était le jour des baptêmes en masse: on les faisait
durant les lectures vétérotestamentaires et l'usage demandait que
le clergé soit vêtu de blanc pour célébrer ce sacrement. Les ma-
nuscrits slavons du XIV' siècle témoignent que les russes à cette
époque observaient encore l'usage ancien (mettaient des vête-
ments blancs dès le début de la liturgie du Samedi Saint), mais
que probablement au XV ou XVI' siècle ils eurent l'inspiration
heureuse de marquer les lectures sur la Résurrection par ce chan-
gement des vêtements en blancs qu'on mettait avant dès le dé-
but. Tout le monde connaît ce moment dramatique de la litur-
gie du Samedi Saint, si poignant mais accompagné généralement
d'un grand désordre. Des théologiens russes ont approfondi sa
signification en y voyant un symbole de la descente du Christ
en enfer ou bien une préfiguration de la Résurrection ou une
allusion à une Résurrection cosmique. Quoiqu'il en soit, cette
cérémonie de changement de vêtements est si ancrée dans la spi-
ritualité liturgique russe qu'un russe serait étonné et même cho-
qué d'apprendre qu'il ne s'agit pas d'un usage ancien et que
rien de pareil n'existe dans les églises grecques.

On pourrait parIer encore des particularités liturgiques


entre les grecs et les russes durant les fêtes de Pâques, dont la
plus frappante pour le peuple me semble être que les russes li-
sent l'évangile en plusieurs langues à la liturgie de la nuit de
Pâques (le Prologue de Saint Jean le Théologien) tandis que les
grecs le font aux vêpres de la journée de Pâques (apparition du
Christ aux apôtres en absence de Thomas). Mais pour ne pas
trop allonger l'exposé je passerai à l'examen de mon thème d'un
autre point de vue: la place et la vénération de la Mère de Dieu
dans ces particularités. Ici il faut noter d'abord une innovation
introduite dernièrement par la Confrérie Zoe sous une influence
manifestement protestante et assez répandue dans les paroisses
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRÈCE ET EN RUSSIE 227

des grandes villes en Grèce mais rejetée par le Mont Athos:


l'invocation traditionnelle orthodoxe: "Très Sainte Mère de Dieu,
sauve-nous" ('Y7t.p",yl", 0.0T6><. crwcrov ~"iiç, Presvjataya Bogoro-
dica spasi nas) a été remplacée par une autre d'une dévotion
mariale affaiblie: "Très Sainte Mère de Dieu, prie pour nous"
('Y7t.p"'yl", 0.0T6". 7tp<cr~.u. 07tèp ~"wv). Évidemment, la formule
d'invocation « Prie pour nous» n'est pas hérétique, on la ren-
contre dans beaucoup de prières à la Mère de Dieu; mais quand
on remplace par elle l'invocation « Sauve-nous », l'acte acquiert
une nuance antimariale. Une tendance semblable, mais plus an-
cienne, pourrait être décelée dans les dispositions du Typikon
de 1838 par lesquelles ont été changées les anciennes règles ecclé-
siastiques selon lesquelles la fête de l'Annonciation, vu son im-
portance dans l'oeuvre de notre salut dont elle est le commen-
cement et le contenu principal (TO ".<poc1l""ov, glavizna), ne doit ja-
mais être transférée à une autre date, même si il lui arrive de
coïncider avec le Vendredi et Samedi Saint ou le premier jour
de Pâques. Le Typikon de 1838, prenant prétexte qu'une telle
coïncidence crée des complications liturgiques qui surpassent
les capacités des prêtres de campagne, prescrit dans ce cas de
transférer la fête de l'Annonciation au second jour de la semaine
de Pâques. Cette innovation, acceptée en Grèce, a été rejetée par
les moines du Mont Athos qui y virent une diminution de la
fête de l'Annonciation et par conséquent une dépreciation de la
place de la Mère de Dieu dans notre salut. L'Église Russe a
conservé l'ancien ordre de l'immobilité de la fête de l'Annoncia-
tion. Il faut dire qu'après l'adoption du nouveau calendrier pour
les fêtes fixes et le maintien de l'ancien pour Pâques (monstruo-
sité liturgique!) cette question a perdu son importance pour les
grecs, car chez eux l'Annonciation ne peut plus coïncider avec
la Semaine Sainte ou Pâques. Mais à ces tendances du Typikon
de 1838 (si elles existent réellement) on peut opposer que la fête
elle-même de l'Annonciation est célébrée chez les grecs d'une
manière plus solennelle que chez les russes. Quand elle tombe
un jour du Grand Carême (excepté les trois derniers jours de la
Semaine Sainte) tout l'office du Carême avec ses prosternations
est abandonné au profit de l'office de l'Annonciation tandis que
les russes font ces prosternations et lisent la prière pénitentielle
" Seigneur et Maître" le jour de cette grande fête (De nouveau
une monstruosité liturgique!). Et comme nous avons déjà noté,
l'office de l'Acathiste à la Mère de Dieu a chez les grecs une
228 BASILE KRIVOCHEINE

bien plus grande importance au temps du Carême que chez les


russes.

On pourrait noter encore quelques particularités chez les


grecs et chez les russes quant aux gestes liturgiques et parali-
turgiques et le comportement du peuple envers eux. Avant la
Grande Entrée l'évêque grec s'incline dans les Portes Royales
devant le peuple, en lui demandant pardon et puis fait le geste
de la bénédiction. Usage d'une grande beauté spirituelle que les
russes n'ont pas conservé. Leurs évêques ne demandent pas par-
don au peuple avant la Grande Entrée et ne le bénissent pas.
Il est considéré que c'est la tâche des prêtres de demander par-
don à ce moment. Par contre, les évêques grecs ne donnent ja-
mais leur bénédiction au peuple en dehors des offices ecclé-
siastiques et se bornent à donner leur main à baiser, la bénédic-
tion étant considérée comme un geste liturgique déplacé hors
des églises. Pour le peuple russe, orthodoxe et pieux, recevoir
la bénédiction épiscopale après la fin de la liturgie est presqu'aus-
si important que l'office divin lui-même. On peut le voir en Rus-
sie contemporaine où des foules énormes se rassemblent près
de la sortie des églises et se pressent pour recevoir la bénédiction
de l'évêque. Ceci s'explique peut-être par le fait que chez les
grecs l'évêque tient a distribuer lui-même l'antidoron et on lui
baise alors la main, ce qui remplace la bénédiction, tandis que
les russes prennent l'antidoron eux-mêmes. Enfin une importante
différence de conscience liturgique entre les grecs et les russes
s'exprime dans le fait que les grecs Ue parle évidemment des
grecs pieux) vont toujours à jeun à la Divine Liturgie, qu'ils aient
l'intention de communier ou pas, tandis que les russes considè-
rent qu'il faut le faire seulement si on communie, autrement
on peut bien prendre un petit déjeuner avant d'aller à la litur-
gie pour avoir plus de forces. Ceci ne les empêche pas de prendre
l'antidoron, chose qui est considérée comme une impiété par les
moines du Mont Athos.

***
Je voudrais maintenant tirer quelques conclusions de cette
étude. Je dois reconnaître que la tâche n'est pas facile. Les par-
ticularités liturgiques que nous avons relevées sont complexes
et souvent contradictoires. Parfois il s'agit de simples coutumes
PARTICULARITÉS LITURGIQUES EN GRÈCE ET EN RUSSIE 229

sans aucune signification particulière, exprimant tout au plus


des traits de caractère national (comme, par exemple, le « culte
de l'évêque» dans le peuple russe). D'autres faits expriment des
tendances spirituelles (comme l'importance du Grand Canon
chez les russes) et mêmes théologiques (un certain anthropo-
centrisme chez les russes opposé à une vue plutôt cosmique des
grecs, le «hiératisme» de ces derniers), mais il s'agit toujours de
tendances indéterminées, non de doctrines théologiques distinc-
tes, encore moins de contradictions. Le seul désaccord théolo-
gique d'importance qu'on pourrait déduire de la pratique litur-
gique concernerait la commémoration des anges à la proskomi-
de, leur place par conséquent dans la Rédemption et la ques-
tion du changement du vin eucharistique en Sang du Seigneur
à la liturgie des Présanctifiés. Ces questions ont besoin d'être
clarifées. Il ne faut pas non plus tirer des conclusions hâtives
à partir de certaines particularités.
Il faut aussi distinguer entre des créations liturgiques plu-
tôt récentes particulières aux grecs et aux russes et d'une grande
beauté et profondeur théologique (les longues processions avec
l'Epitafios chez les grecs; la lecture à haute voix de la prière
« Seigneur et Maître de ma vie »; le changement de vêtements
à la liturgie du Samedi Saint et le chant par tout le peuple du
Credo et de Notre Père chez les russes) d'un côté et les inter-
polations maladroites dans l'anaphore de Saint Basile chez les
russes d'une autre. Il ne s'agit plus ici d'une création, mais d'une
déviation qu'on devrait corriger au plus vite (Notons cepen-
dant que, maladroite et inutile dans la liturgie de Saint Basile,
cette interpolation n'est pas fausse ou hérétique en soi). Nous
pouvons dire que ces particularités liturgiques, anciennes ou
récentes, heureuses ou maladroites, d'ailleurs insignifiantes com-
parées à la grande unité de l'ensemble du culte orthodoxe, mani-
festent sa grande richesse théologique et spirituelle dans ses
expressions locales et témoignent sous des formes quelquefois
un peu distinctes l'unité de la foi de l'Église, une, sainte, catho-
lique et apostolique. L'Église cependant, sans vouloir imposer
une uniformité liturgique impossible et indésirable, a le devoir
d'examiner si toutes ces particularités locales expriment bien sa
conscience conciliaire.

Archevêque Basile KRIVOCHEINE


NOTES SUR L'HAGIOGRAPHIE
ET L'HYMNOGRAPHIE GÉORGIENNES

Fruits de la vocation la plus personnelle, expression la plus


authentique, dans la diversité la plus grande de l'Esprit Saint
qui" souffle où il veut », les Saints reflètent néanmoins, quoique
dans une mesure indéfinissable, les aspirations des communautés
au sein desquelles Dieu les suscite.
Ici·même, à l'Institut de théologie S. Serge, Georges Fédo-
tov nous l'enseignait dans son cours d'hagiologie. Historien au
jugement fin et ouvert, il avait assimilé l'esprit des bollandistes,
ces maîtres incontestés de l'hagiologie chrétienne. Son livre, Les
Saints de la Russie Ancienne (Paris YMCA-Press 1932) reste un
modèle pour les historiens de l'Église et les théologiens ortho-
doxes.
Le professeur Fédotov appliquait la méthode historique la
plus exigeante afin de décanter les strates des genres littéraires
et les stéréotypes routiniers. En recherchant les traits individuels
caractéristiques, il entendait dégager la personnalité des Saints,
qu'il étudiait à partir des sources manuscrites. Cependant il
replaçait les Saints dans un cadre communautaire, jusqu'au ni-
veau national, mais avec le souci de ne pas tomber dans le tra-
vers phylétiste. Il considérait, en effet, le cadre national dans
le sens d'une construction spirituelle qui permettait de dégager
des constantes psychologiques, à partir d'une tradition ouverte,
liée à la liberté créatrice de la personne humaine impressionnée
par la foi en Christ-Ami des hommes.
Rappelons, pour justifier le choix de cette communication
à notre Congrès annuel, que l'hagiologie est un élément de la
science liturgique: elle détermine le calendrier liturgique et ali-
mente l'hyrnnographie, car les Saints sont soit célébrés par les
hymnes soit en sont les auteurs. On peut même déceler une ten-
dance à la canonisation, de principe, des hymnographes.
L'hagiologie est, de plus, une expression privilégiée de la
Communia Sanctorum. L'intercession universelle des croyants
n'est pas arrêtée par la mort car le Christ a triomphé de la mort.
232 ÉLIE MÉLIA

Paradoxalement, les Saints sont l'objet de la vénération due


à Dieu seul car, en les vénérant, nous vénérons Dieu lui-même
qui les habite, qui produit en eux le vouloir et le faire, et qui
lui-même, et lui seul, sanctifie ses enfants fidèles_ Témoins escha-
tologiques et prophétiques, les Saints expriment une vocation di-
vine avant même la réalisation d'une justice que nous n'aurions
qu'à imiter selon des modèles imposés_

LE SANCTORAL DE L'ÉGLISE DE GÉORGIE

Le sanctoral géorgien comptait au moment du rétablisse-


ment de l'autocéphalie de l'Église de Géorgie, en septembre 1917,
quelques 43 l noms, répartis sur 33 jours de l'année liturgique_
Ce chiffre peut être tenu pour officieL En effet, sur demande du
Saint Synode Russe, l'exarque de Géorgie fournissait ces noms
dans un rapport établi en 1903_ J'ai en ma possession un missel
géorgien (kondaki) non daté, mais antérieur à l'annexion russe
de 1801 puisqu'il mentionne dans les litanies le roi Héraclius
(t 1798) et sa dernière épouse, la reine Daredjane. Or ce missel
confirme dans son calendrier liturgique la liste présentée par
l'exarque de Géorgie, omettant seulement, au le, mai, la reine
Thamar (t en 1213) et, au 18 mai, les frères martyrs David et
Tarécan (t en 693): il faut noter que pour ces cas il n'existe au-
cune hymnographie, pas même un apolyptikion.
L'office divin de 11 jours de Saints géorgiens comporte les
vigiles; celui de 12 autres jours comporte le chant du polyeleos;
deux jours de Saints ont un office dont les suites hymnographi-
ques comptent 6 stichères; enfin, dans 4 cas l'hymnographie se
réduit à un apolyptikion et à un kontakion.
De leur côté, les calendriers ecclésiastiques publiés annuel-
lement à Tbilissi, après la normalisation des religions en U.R.S.S.
en 1943, fournissent en plus 266 autres noms de Saints.
Certaines de ces récentes canonisations proviennent de ca-
lendriers liturgiques locaux anciens; de ce fait elles ne semblent
pas poser de problème. C'est le cas pour le 11 décembre « fête

1 À noter des groupes de Saints anonymes: S. Gobron et ses 133 compagnons


(17 nov.); les 600 pères et plus du monastère David Garedja, tués par le schah
Abbaz au XVII" s. (lundi de la semaine pascale),
HAGIOGRAPHIE ET HYMNOGRAPHIE GÉORGIENNES 233

de tous les martyrs de Géorgie» portant 187 noms. Mais beau-


coup de canonisations concernent des personnages qui ont il-
lustré les XVIII' et XIX' ss. de l'histoire nationale et elles n'ont
que la caution personnelle des catholicos Callistrate (t en 1952)
et Ephrem (t en 1972).
Louable en soi, cette activité canonisatrice, qui tend à com-
penser dans ce domaine un gel dû à la perte de l'autocéphalie
et à l'absorbtion de l'Église de Géorgie par l'Église Russe, fait
problème en ce qui concerne les présumés Saints modernes. On
peut retenir sans peine ceux qui ont subi le martyre du fait
de musulmans fanatisés, mais d'autres noms n'emportent pas
l'adhésion. Quelquefois seulement le motif de la canonisation
est indiqué, très brièvement d'ailleurs, mais même dans ces cas
les critères proposés paraissent insuffisants et une révision con-
ciliaire semble s'imposer. Il est significatif qu'aucun des Saints
nouvellement promus n'a d'office liturgique propre, si mince
soit-il.
Combien les anciennes canonisations étaient sérieuses, on
peut en juger par le cas de la célèbre reine Thamar (1187-1213).
Le plus grand de nos souverains, sous le règne de qui la Géorgie
a connu son âge d'or, était une femme de moeurs honnêtes; elle
était vertueuse, soumise à l'Église, aimant les pauvres et les ser-
vant personnellement; à cela s'ajoute une remarquable sagesse
dans la conduite de l'État. Mais voilà, il existait un impedimen-
tum dirimens: elle avait divorcé d'avec le fils du célèbre grand-
prince russe André Bogolubsky et elle s'était remariée avec le
prince Ossète David Soslan. Certes, elle avait été mariée toute
jeune sur les avis du Conseil d'État, le divorce intervint rapide-
ment et il n'y avait pas eu d'enfant, mais le fait objectif n'en
demeurait pas moins. Une pieuse personne de l'émigration russe
aux U.S.A. a cru bon de soumettre à mon appréciation un office
liturgique complet en l'honneur de la sainte reine Thamar d'Ibé-
rie. Sa composition hymnographique était bâtie sur l'idée ingé-
nieuse du mépris de la royauté terrestre au profit de la royauté
céleste. Cette personne croyait combler une longue carence qui
devait lui paraître providentielle pour son talent; ma réponse
a dû la décevoir ...
Les dernières canonisations qu'on peut qualifier de sûres,
remontent au temps de l'indépendance de la Géorgie: il s'agit de
cinq Saints du XVII' s. La Reine Kéthévane subit le martyre en
Perse, sur ordre du schah Abbaz le 13 septembre 1624, après dix
234 ÉLIE MÉLIA

ans de détention. Des missionnaires catholiques italiens en fu-


rent témoins et ont relaté le supplice (texte dans TAMARATI, Hist.
de l'Egl. de Géorgie, des origines à 110S jours, Rome 1910). Le 21
juin 1622, le même schah Abbas faisait étrangler avec la corde
d'un arc le roi Luarsab et deux de ses serviteurs, après sept
ans de détention. On en possède également une relation faite par
des témoins italiens et qui est conservée dans les archives du
Vatican (ibidem). Enfin, le 18 septembre, l'Église célèbre le mar-
tyre de trois princes guerriers: Bidzina Colokachvili et Chalva et
Elizbar Eristavi, suppliciés par les Perses en 1659 ou 1661. Je
crois que ces canonisations sont le fait du catholicos Antoine l
Bagration (1744-1756 et 1763·1788), grammairien, philosophe,
hagiographe, correcteur, aussi, des livres liturgiques, mais, ma-
lencontreusement, sur le modèle russe.
Sur les 43 Saints nommément désignés dans l'ancien calen-
drier 22 sont des martyrs.
En dehors des martyrs, l'Église de Géorgie n'a canonisé que
des moines. Pour ces derniers. les critères retenus relèvent SUT-
tout de l'action: zèle missionnaire et pastorale (les évêques),
fondation de monastères, direction spirituelle, traduction de la
Bible et des Pères de l'Église, créativité hymnographique.
Les traits de spiritualité pure, marquant l'aspect eschatolo-
gique du christianisme, ne sont évidemment pas absents. Té-
moins les Apophtègmes des Pères géorgiens; S. Antoine, l'un des
XIII Pères Syriens, est porté au calendrier comme reclus. D'autres
Pères, à côté des activités sus-indiquées ont mené une vie sé-
vère d'anachorètes.
On notera d'autre part des traits de la tradition hagiogra-
phique universelle, telle l'amitié avec nos frères mineurs, les ani-
maux. Ainsi S. Jean de Zédazéni apprivoisa un loup qui dévastait
la région; S. David de Garedja et son disciple Lucien se nourris-
saient du lait de biches qui les visitaient.
Notons enfin que l'hagiographie géorgienne est d'une remar-
quable discrétion sur les miracles opérés par les Saints.

QUELQUES FIGURES DE SAINTS GÉORGIENS

L'action de Sainte Nino, l'évangélisatrice de la Géorgie, se


situe vers 337, pour autant que les historiens anciens de l'Église
HAGIOGRAPHIE ET HYMNOGRAPHIE GÉORGIENNES 235

(Rufin suivi par Socrate, Sozomène, Gélase de Cyzique, Théodo-


ret de Cyr et le chronographe Théophane) font mention d'une
ambassade envoyée par le roi géorgien converti à l'empereur
Constantin (t en 337). Je renvoie à l'étude de P. PEETERS, Les dé-
buts du christianisme en Géorgie d'après les sources hagiogra-
phiques, dans Analecta Bollandiana, t. L, fasc. 1-2, Bruxelles 1932.
Je ferai remarquer seulement 1" que l'exploit de S. Nina
est un cas unique dans l'histoire de l'Église universelle: une
femme évangélisatrice d'une nation. 2" Que son culte est uni-
versel. En effet le martyrologe romain la connaît sous le nom de
S. Chrétienne au 15 décembre (apud Iberos, trans Pontum Euxi-
num, Sanctae Christianae ancillae, quae virtute miraculorum
gentem illam, tempore Constantini, ad fidem christianam per-
duxit). S. Nina est mentionnée dans le synaxaire arabe alexandrin
au 17 Tout, dans le synaxaire éthiopien au 17 Mascaram. Le
P. Peeters distingue bien une double tradition concernant notre
Sainte. Une première brève et sobre est constituée par le récit
de Rufin d'Aquilée dans son Histoire de l'Eglise composée en
401403, récit basé sur les dires d'un prince royal géorgien, nom-
mé Bakur, général au service de Byzance, qu'il avait connu en
Palestine. On sait que Rufin a écrit son Histoire Ecclésiastique
après son retour en Italie en 397; par conséquent le récit entendu
par Rufin n'était séparé de l'événement même que d'un demi-
siècle environ. Le P. Peeters note justement que le fait que Ru-
fin ne nous donne ni le nom de la Sainte (se contentant de la
qualifier de captive étrangère) ni le nom du roi et de la reine
qu'elle avait convertis, ni le nom de la ville où elle s'était établie
s'explique naturellement: l'auteur rapportait le récit de mémoi-
re, plusieurs années après l'avoir entendu de bouche à oreille,
dans une ambiance totalement différente.
L'autre tradition concernant S. Nina est constituée par des
documents géorgiens ne remontant par au-delà du VIII" s. Il
s'agit de: 1) La conversion de la Géorgie, manuscrit de Chatbert
daté de 973 (édit. E. TAQAÏCHVILI, Tiflis 1890), suivie d'une Nou-
velle Variante de la Vie de S. Nina ou Deuxième partie de La
conversion de la Géorgie (publiée par le même en 1891; trad.
russe dans Sbomik Materialov dlia Opissania Mestnostei i Ple-
men Kavkasa, 1900, t. XXVIII; trad. anglaise: M. et o. WARDROP,
Studia Biblica et ecclesiastica, t. V, Il; 2). Une compilation offi-
cielle de l'histoire de Géorgie, établie par les soins du pouvoir
souverain et intitulée Les Annales (littéralement: la vie) de la
236 ÉLIE MÉLIA

Géorgie (trad. française de M.F. BROSSET, S. Pétersb. 1849 s.);


2) Un recueil qui est une sorte de v,,zgate hagiographique de
l'Église Géorgienne concernant la conversion du pays. C'est une
compilation sous forme de sept narrations juxtaposées. On la
trouve dans le recueil hagiographique de M. SABININ, Le Paradis
de la Géorgie, Tiflis 1882; il en existe une éditions russe; voir aussi
TAMARATI, op. cil., pp. 165-197.
Selon P. Peeters tous ces documents géorgiens remonte-
raient, en ce qui touche l'introduction du christianisme en Gor-
gie, à l'Histoire d'Arménie du pseudo-Moïse de Koren, "ouvra-
ge qu'on a vainement essayé de faire remonter plus haut que le
début du VIIr s. » dit le savant Bollandiste qui établit que Moïse
de Koren a mis à profit l'Histoire Ecclésiastique de Socrate, tra-
duite en arménien par Philon de Tirak en 686.
Les historiens arméniens s'annexent S. Nino, les sources
géorgiennes la déclarent originaire de Cappadoce. Les amplifi-
cations ajoutées par les documents tant géorgiens qu'arméniens
au récit sobre et alerte de Rufin d'Aquilée, lui sont de plusieurs
siècles postérieures et sont difficilement utilisables. La page de
l'Histoire Ecclésiastique de Rufin suffit pleinement à la gloire
de S. Nino. Elle est fêtée par l'Église de Géorgie le 14 janvier et
de ce fait la clôture de l'Épiphanie est avancée au 13 janvier.

Le sanctoral géorgien accorde une place de choix aux étran-


gers qui ont manifesté leur sainteté en Géorgie: ils sont origi-
naires de Perse ou d'Arabie, pays qui ont à maintes reprises
subjugué la Géorgie. Le proto-martyr de l'Église de Géorgie est
Rajden, un Persan, adorateur du feu, converti au christianisme.
Précepteur de la fille du schah, il accompagna celle-ci en Géor-
gie quand elle épousa le roi de Kartli (Géorgie or.), Vakhtang.
Il ne tarda pas à adhérer au christianisme. Fait prisonnier au
cours d'une guerre et amené devant le schah, il persévéra dans
sa foi chrétienne, subit les verges et eut les dents brisées. Fina-
lement il fut crucifié et percé de flèches, vers 457. Il est fêté le
3 août (Vita, manuscrit le Musée Eccl. de Tbilissi n. 770,
pp. 222-227 [XII' s.l; version latine par P. PEETERS dans Anal.
Bol/. t. XXXIII, pp. 294-317).
Un autre martyr converti du mazdéisme perse est S. Eustaté
(t 589), fêté le 29 juillet. Fils d'une mage persan, il s'établit à
l'âge de 30 ans en Géorgie, à Mtskéta, où il apprit le métier de
_________H~A=G=IOG==RA==P~H==IE~E~T~H~Y=~~N_=OG~RA~PH==IE=_G~É_O=R~G~I=E=N=N=E~S~______=237

tailleur. Épousant une Géorgienne, il se fit baptiser. Comme il


refusait de participer à une fête de sa corporation organisée par
les Perses, il fut dénoncé et emprisonné. Avec huit autres com-
patriotes convertis comme lui, il fut déféré devant le gouver-
neur Perse de Tbilissi. Celui-ci leur fit tondre les cheveux et
les jeta en prison, sauf deux qui abjurèrent. Une démarche des
notables Géorgiens et du catholicos Samuel les fit relacher. L'au-
teur de la Vita indique leurs noms et ajoute: «certains d'entre
eux sont morts, d'autres vivent encore », Au bout de trois ans,
les Perses de Tbilissi renouvelèrent leurs attaques contre le Saint,
auprès du nouveau gouverneur qui le fit décapiter. Au cours
de son interrogatoire, Eustaté indiqua comme occasion de sa
conversion la beauté du culte chrétien: «on aurait cru des an-
ges au ciel ». Autre trait remarquable: l'archidiacre Samuel, ver-
sé en religion, lui avait expliqué que s'il pouvait lui enseigner
la doctrine, la décision d'y adhérer ne pouvait venir que de la
volonté divine. Le corps du Saint fut recueilli par ses amis et
ses reliques reposent sous l'autel de la cathédrale de Mtskéta.

La conscience du peuple croyant géorgien fut particulière-


ment sensibilisée par le martyre de S. Abo, Arabe musulman
converti au christianisme en Géorgie. Supplicié le 6 janvier 786,
il est fêté le 8 janvier à cause de l'occurrence avec l'Épiphanie.
Sa Vie (Musée d'État n. 19, X' s.) a été écrite par Jean Sabinidzé,
sur l'ordre du catholicos Samuel (780-790); son canon chanté est
l'oeuvre de S. Grégoire de Khantzta.
L'éristav de KartIi, Nersé le Curopalate, retenu comme ota-
ge à Bagdad par les Arabes, ayant été amnistié, un jeune parfu-
meur Arabe de 18 ans l'accompagna en Géorgie où il s'attacha au
christianisme. Nersé ayant repris la lutte contre les Arabes, fut
amené à se réfugier chez les Khazars. Là, Abo se fit baptiser « car
grâce à l'Esprit, il ya dans la Terre du Nord beaucoup de villes
où l'on professe sans crainte la foi de Jésus-Christ ». De là, Nersé
passa en Abkhasie, puis il fut autorisé à rentrer en Kartli où
Abo l'accompagna, malgré l'avis du chef des Abkhazes. Au bout
de trois ans, Abo fut jeté en prison, mais il fut libéré sur les
instances du nouvel éristav Stéphane. Un nouvel émir Arabe
remit Abo en prison et le fit décapiter. Son corps fut brillé pour
qu'on ne pût vénérer ses reliques. « Ce fut l'an 890 après la Pas-
sion de N. S. J.-c., la dixième année de l'empereur Constantin,
fils de Léon, sous le kalife Mosé, fils de Mahdi, sous le catho-
238 ÉLIE MÉLIA

Iicos Samuel et l'éristav Stéphane, fils de Gurguen, le vendredi


6 janvier ». Tamarati pense que 890 est une erreur de date, le
6 janvier ne tombant pas un vendredi cette année (cfr. son livre,
op. cit., p. 268).

Un autre Saint converti de l'Islam est Néophyte. Ancien of·


ficier Arabe, il devint moine au monastère de Chio Mgwimé et
fut sacré évêque d'Urbnissi. Traîne à travers les rues de Tbi·
Iissi, il fut finalement lapidé en 823. Il est fêté le 28 octobre. Pa-
négyrique du catholicos Antoine I Bagration.
Un autre groupe de Saints d'origine étrangère est celui des
XIII Pères Syriens arrivés en Géorgie sous la conduite de Jean
de Zédazéni, dans les années 50 du VI" s. (Dans la vie des Pères
Syriens, il est fait mention de S. Siméon le Stylite, le Jeune, qui
vécut de 521 à 596. D'autre part, la Chronique dite Conversion de
la Géorgie [X' s.] place l'arrivée des Pères Syriens au temps du
roi Pharsman VI [542-557] et du catholicos Evlalé [533-544]). Ils
furent des propagateurs du monachisme et des prédicateurs-mis-
sionnaires. Le problème se pose de leur appartenance doctri-
nale. Certains historiens veulent voir en eux des monophysites.
Il est vrai que l'Église Géorgienne était alors en union avec l'Égli-
se Arménienne dans le monophysisme. Mais que venaient donc
faire des missionnaires Syriens? Cela ne peut se situer dans le
cadre de l'installation systématique, qui eut lieu à cette époque,
d'une hiérarchie jacobite, car trois seulement parmi ces Pères
furent élevés à l'épiscopat. Les Perses qui dominaient alors en
Transcaucasie (Justinien dut signer une paix désanvantageuse
avec la Perse avec paiement d'un tribut en 528 et Byzance ne
reprit l'avantage que sous l'empereur Maurice dans les années
80) pouvaient tout autant favoriser les nestoriens. L'hypothèse
d'une mission orthodoxe-chalcédonienne n'est nullement à exclu-
re non plus, a priori: l'un des XIII Pères, S. Abibo (Habib), qui
devint évêque de Nekressi, subit le martyre pour avoir éteint le
feu sacré des mazdéens. D'autre part, dans le système de l'orga-
nisation ecclésiastique dite de la Pentarchie, que Justinien (527-
565) imposait à la chrétienté, la Géorgie orientale relevait de la
mouvance d'Antioche et donc de la Syrie. En tout cas aucun des
XIII Pères n'a laissé de trace dans le domaine doctrinal. Les XIII
Pères sont fêtés ensemble le 7 mai avec Jean de Zédazéni; six
d'entre eux ont leur fête particulière avec leur propre hymno-
graphie (Vila de S. Abibo de Nekressi par le catholicos Arsène II
HAGIOGRAPHIE ET HYMNOGRAPHIE GÉORGIENNES 239

[955-980]; renseignements sur les principaux parmi les XIII dans


les Annales de la Géorgie).
Parmi les Saints Géorgiens d'origine nationale, je me bor-
nerai à deux noms qui ont fortement marqué aussi bien la vie
générale de l'Église Géorgienne que, plus particulièrement, la
liturgie et l'hymnographie. S. Grégoire de Khandzta (t 861) est
fêté le 8 octobre. Fondateur du monastère de Khandzta en
Samtskhé, il fut le chef reconnu de la dizaine de monastères,
dont une de moniales, construits ou reconstruits sous son impul-
sion, dans cette région du Sud de la Géorgie. Apparenté à la
famille royale, il était un conseiller écouté du roi; il était aussi
un hymnographe fécond. Paradoxalement, il n'a eu droit qu'à
un tropaire et un kontakion: ne pas survivre à ses disciples et
admirateurs semble bien être une condition utile pour bénéficier
de leurs louanges; or notre Saint est mort à l'âge de 102 ans!
(Vita par Guiorgui Merculé en 951, éditée dans un manuscrit
du XII' s. par N. MARR avec trad. russe, Guiorgui Merculé,
S. Pétersb. 1911).

S. Georges Mtatsmindéli ou de la Sainte Montagne (Athos)


(t 1066) est fêté le 27 juin. Il fut supérieur du monastère des
Ibères (tôn Ivirôn) ou des Géorgiens, au Mont Athos. Ce fut un
infatigable traducteur. Son principal titre de gloire est la révi-
sion de la Bible géorgienne: on a appelé cette oeuvre la vulgate
géorgienne car elle est restée en usage exclusif jusqu'à nos jours,
dans son état initial. Il révisa également les livres liturgiques
géorgiens selon le modèle grec afin d'extirper toute trace d'une
possible influence monophysite qui aurait pu rester de l'union
arméno-géorgienne du VI' s. (506 à 596). Appelé par le roi Bag-
rat IV, S. Georges Mtatsmindéli procéda à une réforme de l'Église
de Géorgie pendant un séjour de cinq ans dans le pays.
Notons que jusqu'au XV' s., selon Kornély Kékélidze, le sy-
naxaire (typikon) de S. Georges était employé en Géorgie concur-
remment avec celui de S. Sabba. La plus ancienne traduction
géorgienne de ce dernier se trouve dans un manuscrit daté de
1172, mais son texte grec avait pénétré en Géorgie dès le IX· s.
comme en témoigne la Vita de S. Grégoire de Khandzta: " Il dé-
cida de se rendre au trésor du Christ, la deuxième Jérusalem,
(c.à.d. Constantinople), afin de visiter les saints lieux de Grèce et
d'y prier. Il rencontra alors un ami qui se rendait à Jérusalem
240 ÉLIE MÉLIA

et le chargea de copier la règle du monastère de S. Sabba et de


la lui envoyer» (op. cit., chap. XII, p. 97 de la traduction russe).

APERÇU SUR L'HYMNOGRAPHIE G:ËORGIENNE

Les deux Saints jouèrent un rôle important dans la vie poli-


tique et culturelle de la Géorgie. Apparenté aux Bagrations de
Kartli (Géorgie orientale) qui s'étaient installés en Samtskhé pour
se rapprocher de Byzance dans leur lutte contre les Arabes. Gré-
goire de Khandzta étendit son influence spirituelle jusqu'en Géor-
gie occidentale. Selon Guiorgui Merculé (op. cit.), le chef des
Abkhases Démetré II, qui venait de prendre le titre de roi et
s'était libéré de la domination byzantine à la suite de ses vic-
toires en 830, 842 et 844, appela des moines lettrés de Géorgie
orientale et fit construire des monastères. S. Grégoire en cons-
truisit un en 826 déjà, avec l'aide du roi Démetré. Guiorgui Mer-
culé note qu'il y eut envoi de livres (liturgiques). Démetré II
cherchait, en effet, à éliminer l'influence grecque qui s'exerçait
dans son nouveau royaume depuis le V' s.
La tendance anti-byzantine ne dura guère et nous assistons
au contraire à un renforcement de l'influence culturelle de By-
zance dans la Géorgie unifiée (XI' s.). La prépondérance byzan-
tine dans la culture religieuse géorgienne fut le fait des moines
du monastère des Ibères fondé au Mont Athos au X' s.
Il importe de souligner la coupure intervenue dans l'hymno-
graphie géorgienne aux X'-XI' ss. Jusqu'à cette époque l'influence
byzantine filtrait à travers la tradition syrienne. Un moment, au
cours du VI' s., a pu s'interposer un courant monophysite anti-
byzantin, précisément lors de l'union ecclésiastique arméno-géor-
gienne de 506 à 596. Par la suite, à cause même de cette union
temporaire, toute l'orientation ancienne devint suspecte. Les
fruits de la tradition syrienne étaient pourtant loin d'être négli-
geables. Les moines géorgiens étaient, en effet, nombreux au
Proche-Orient dès le V' s. et ils avaient leurs propres monastères
dans la région d'Antioche, en Terre Sainte et au Sinaï; ils y
déployaient une activité culturelle et, notamment, hymnographi-
que diversifiée et originale.
La spiritualité Athonite, elle, était entièrement alimentée par
Byzance. On sait qu'elle s'imposa progressivement à l'ensemble
du monde orthodoxe; en Géorgie ce fut par l'intermédiaire du
HAGIOGRAPHIE ET HYMNOGRAPHIE GÉORGIENNES ___ 241

monastère des Ibères dont les pères entreprirent de réviser et de


codifier tout le matériau liturgique géorgien d'après le modèle
byzantin le plus strict. Or toute codification entraîne un certain
immobilisme formel qui, à son tour, provoque un tarissement
de l'inspiration créatrice.
Les XII'-XIII' ss. virent, et peut-être est-ce une réaction de
l'instinct national, la brillante éclosion d'un authentique huma-
nisme et d'une littérature profane.
Le morcellement et la décadence politique de la Géorgie à
partir du XIV" s., par suite des invasions mongoles, suivies de
l'avènement de la puissance turque, accentuèrent l'appauvrisse-
ment culturel. Dès lors, les hymnographes postérieurs vécurent
Sur l'acquis de l'âge d'or de l'hymnographie nationale.
Je puise mon information sur cette hymnographie dans le
livre capital de l'académicien Pavlé INGOROKWA, Guiorgui Mer-
culé, Tbilissi 1954, un" pavé» de mille pages en caractères serrés,
avec un abondant matériel hymnographique. Je n'ai pas utilisé
l'importante étude de Mme H. METRÉVÉLI directrice du dépar-
tement des manuscrits de Tbilissi, Hirmoï et théotokia, deux
anciennes rédactions selon des manuscrits des X'-XI' sS., Tbilissi
1971; l'auteur donne le texte de huit manuscrits. Les deux au-
teurs s'en tiennent au côté formel, et comment s'en étonner!
Mais outre que l'étude formelle permet de dater et de situer
les textes, la publication des textes mêmes rend un service in-
signe.
Peut-être n'est-il pas inutile de noter au préalable que l'hym-
nographie géorgienne n'était pas servile dans la transposition
du modèle byzantin original. Certes on observe une étroite dé-
pendance formelle non seulement dans la structure générale
déterminée par la cadre liturgique commun, mais aussi dans
les mesures métriques des vers et la disposition des strophes.
Néanmoins, en ce qui concerne le contenu hymnographique, le
texte même des hymnes, l'originalité créatrice des auteurs na-
tionaux a pu se faire jour. Prenons pour exemple S. Grégoire
de Khandzta. Le canon de Noël de S. Jean Damascène comprend
26 strophes; dans la traduction de S. Grégoire il manque onze
des strophes grecques et notre Saint en ajoute trois de sa propre
composition. Ainsi encore pour le canon de l'Epiphanie: le texte
de S. Jean Damascène contient 26 strophes dont onze manquent
chez S. Grégoire, qui en ajoute dix de sa composition.
242 ÉLIE ~LIA
=-=----------'----------~--_.

Dans le célèbre hymnaire de Michel Modrékéli (X' s.), sur


81 canons chantés attribués à S. Grégoire de Khandzta, 44 sont
indiqués comme originaux, 20 comme traduits du grec et 17 sont
sans indications d'origine. Il est à remarquer que dans l'hymnai-
re cité, qui contient 193 canons chantés, 3 cathismes (dasdebelni) ,
une louange (cheskhma) et 755 stichères, tropaires et autres hym-
nes courtes, les hymnes géorgiennes originales portent en sus-
cription le mot karthulni (géorgiennes) ou la lettre initiale du
terme; similairement les hymnes traduites du grec portent soit
le mot berdzzdni (grecs) soit la première lettre du terme.

LES TROIS FORMES FONDAMENTALES


DE LA VERSIFICATION HYMNOGRAPHIQUE GÉORGIENNE
D'APRÈS PAVLÉ INGOROKWA

l - La forme la plus ancienne de la versification ecclésiasti-


que géorgienne est la parole ordonnée ou rythmée. Le rythme
y est imprimé non par la quantité des syllabes, mais par les
vers eux-mêmes qui sont reliés en groupe de deux, plus rare-
ment de trois, selon le procédé du parallélisme. Ce système est
emprunté à la prosodie ancienne sémitique. Dans les manuscrits
anciens, cette versification est appelée ({ ancienne géorgienne})
(dzveli karthuli); elle est antérieurs aux VIII'-IX' ss., au cours
desquels s'imposa quasi sans partage le règne du vers syllabique.
Parmi les hymnographes composant selon la versification de
la parole rythmée nous rencontrons le premier hymnographe
géorgien dont nous possédons un texte clairement attribué: Ba-
sile, moine de S. Sabba de Jérusalem (VIII' s.?). Son prénom
apparait en acrostiches de strophes dans les « Cathismes au Père
Sabba - de la psalmodie « Seigneur je crie vers toi» - « anciens
géorgiens» (manuscrit SIN.-65, X' s.). Dans le même manuscrit
on trouve les « Cathismes de la Dédicace - ïambiques, sur l'al-
phabet - géorgiens anciens»; ce sont des acrostiches de stro-
phes suivant les 39 lettres de l'alphabet géorgien ancien. Le ter-
me ïambiques ne doit pas induire en erreur; il ne s'agit pas ici
de ïambes de 12 pieds, forme postérieure de versification. À
l'époque où fut transcrit le manuscrit on désignait par ce terme
une versification quelconque; la ïambe s'était imposée au point
de devenir un nom générique.
HAGIOGRAPHIE ET HYMNOGRAPHIE GÉORGIENNES 243

Selon la versification de la parole rythmée furent composées


encore: 1) de S. Grégoire de Khandzta, trois Prières et une Louan-
ge des déserts (monastères) de Klardjéti (en Samtskhé); 2) d'un
anonyme une Louange de la langue géorgienne (4 manuscrits du
X' s.); 3) de Jean de Bolnissi une Louange des hiérarques-doc-
teurs spirituels (IX' s.).
Les deux autres systèmes de versification en usage dans
l'hymnographie géorgienne sont basés touts deux sur la quan-
tité de syllabes (matrsvledi) dans le vers entier (taépi) ou dans
le membre de vers (mukhledi) déterminé par une ou plusieurs
césures.
Sous l'influence de l'hymnographie byzantine, la géorgienne
est donc syllabique et non pas tonique comme la poésie grecque
de l'époque classique, basée, elle, sur la succession des voyelles
longues et brèves. On distingue donc d'une part la versification
syllabique du vers articulé (mukhledovani) dont la base est le
vers divisé par une ou plusieurs césures stables, formant des
mesures régulières allant du di-mètre au nona-mètre et même
au deca-mètre. Il y a, d'autre part, la versification syllabique
du vers non-articulé ou non-coupé (oukveteli): chaque vers y est
composé d'un seul tenant, sans césure; dans les vers les plus
longs seulement il y a une césure mobile variant d'un vers à
l'autre, irrégulièrement. Antérieur au précédant, ce système de
versification, emprunté à l'hymnographie syro-byzantine, est de
loin le plus répandu dans l'hymnographie géorgienne. Il se di-
vise en deux groupes: 1) le vers monolithique (martivi) , lequel
se subdivise à son tour en a) monomètres, composés de vers de
2 à 9 sillabes et h) en polymètres non articulés, mais néanmoins
coupés par une césure mobile irrégulière: ce sont des vers de 10
à 13 syllabes (ïambes ininterrompues) et des vers de 14 à 18
syllabes (chaïris' ininterrompus); 2) le deuxième groupe est
celui des ïambes hymnographiques proprement dites: lorsque
deux vers courts se suivent et que le total de leurs syllabes ne
dépassent pas 12 ou 13, on les unit en un seul vers continu
ou di-mètres. Les deux demi-vers ainsi formés sont unis par une
césure constante régulière, marquée dans les manuscrits par
un indicateur approprié, différent du signe séparateur des vers.
La versification syllabique articulée, elle, est devenue clas-
sique dans la littérature profane surtout, n1ais elle existe aussi
dans l'hymnographie ecclésiastique. Sur cette versification, or-
244 ÉLIE MÉLIA
~------------~==

ganiquement liée à la poésie populaire, il n'y a pas eu, si on


excepte la ïambe de 12 pieds, d'influence étrangère, grecque ou
orientale, comme ce fut le cas pour la versification syllabique
non-articulée qui a subi une forte influence byzantine et pour
la versification de la parole rythmée qui porte l'empreinte sémi-
tique syrienne.
La ïambe de 12 pieds, selon diverses combinaisons, est
employée par S, Grégoire de Khandzta (758-860), qui emploie
aussi d'autres mètres, par Jean Mintchkhi (X' s.) et S. Georges
Mtatsmindéli (1009-1065). Michel Modrékéli (auteur du recueil
hymnographique du X' s.) a canonisé le di-mètre ascendant de
5+7 pieds; ce rythme est particulièrement répandu dans la poé-
sie religieuse et philosophique didactique: chez Ephrem le Mi-
neur, Arsène d'Ikaltho, Jean le Philosophe, chez le roi David le
Constructeur qui nous a laissé un très beau poème pénitentiel,
un canon régulièrement composé de 9 odes et indiqué comme
étant du ton 7' (le texte dans P. INGOROKWA, op. cil., pp. 600-606).
Ephrem le Mineur (XI" s.) a introduit le chaïri ïambique:
4+4+4 pieds. Le chaïri de 16 pieds (dans sa forme parfaite
elle compte 4+4 pieds, césure et de nouveau 4+4 pieds), im-
mortalisé par Chota Roustaveli, le prince de la poésie profane
géorgienne (XII'-XIII' ss.) a été utilisé par le moine Philippe
(X' s.) dans la forme parfaite sus-indiquée, appelée chaïri élevé;
il a laissé un court poème sur la Nativité du Christ, portant en
acrostiche de vers de Philippe Betlemi. Jean-Zocime, moine de
S. Sabba et du Sinaï (X' s.) utilise le même mètre dans une
adresse d'un manuscrit: six strophes portant en acrostiches de
vers le nom de Guiorgui, son frère spirituel. Jean Chavteli (XII'-
XIII' ss.) utilise ce même mètre dans son hymne (canon) à Notre
Dame de Vardizia, transcrit en 1026.

Archiprêtre Elie MÉLIA

2 Le chaïri est un vers de rythme quaternaire comptant 16 pieds, dans sa

forme achevée.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DANS
LA LITURGIE HISPANIQUE

Le thème que vous m'avez proposé est beaucoup plus vaste


et complexe qu'on ne pourrait le penser. Je devrai me limiter
à quelques aspects de la question.
D'abord, j'examinerai les différentes tentatives d'unification
liturgique attestées dans la législation des conciles hispaniques.
Puis, j'essayerai de vous conduire à la réalité toute diffé-
rente des manuscrits liturgiques. On devra donc toucher le
problème des deux traditions. Pour le rendre plus accessible, je
vous donnerai quelques exemples de convergence et de diver-
gence entre l'une et l'autre des deux traditions hispaniques.

I. L'UNIFORMITÉ LITURGIQUE DÉCRÉTÉE


PAR LES CONCILES DE L'ÉPOQUE WISIGOTHIQUE

La tendance à l'uniformité liturgique est un phénomène qui


s'est produit partout. Dans l'histoire de chaque rite et de chaque
famille de rites liturgiques, nous devons toujours constater que,
à un certain moment de son évolution, la préoccupation pour
organiser et régulariser les célébrations devient plus forte que
le désir de se maintenir ouverts à la recherche de nouvelles
formes liturgiques 1. On sait que généralement la période de régu-
larisation ou codification de la liturgie marque la fin de la pé-
riode de créativité. La tendance à l'uniformité est encore une
conséquence de la régularisation. La liturgie élaborée pour une
église déterminée - il s'agit presque toujours d'une grande
église urbaine - s'impose aux autres églises moins importantes.
On a parfois relevé les indices plutôt négatifs de ce phéno-
mène: les formes adoptées pour réaliser la célébration du mys-
tère du salut deviennent un instrument de pouvoir d'une église

1 J. PINELL, La Litllrgia Hispul1ica. Valol" ducumelltal de ,Sus te.x/os para


la llisloda tie la Tealagia: Repertoria de Historia de las Ciencias Eclesiâsticas
en Espana, t. 2 (siglos I\l-XVI) (Salamam:a 1971), 29-68.
246 JORD! PINELL

pour dominer les autres. L'élan créateur d'une tradition vivante


et vivifiante, qui devrait renouveler l'homme sans être elle même
paralysée, est de plus en plus étouffé par des prescriptions juri-
diques, qui ne tiennent pas compte de la nécessité de poursuivre
l'évolution pour s'adapter à l'homme d'hier, d'aujourd'hui et de
demain.
Toutefois, il faut considérer aussi que cette oeuvre de régu-
larisation et d'unification représente un effort pour sauver ce
qu'on a estimé comme le meilleur de tout ce qui s'est produit
pendant la période de la grande créativité, et pour offrir aux
églises plus pauvres, du point de vue de la création liturgique,
les richesses des lieux qui ont bénéficié de la présence d'hommes
d'Eglise spécialement doués pour composer des textes ou des
chants, ou bien pour organiser avec un bon sens pastoral les
célébrations liturgiques.
En Espagne, le problème de l'uniformité s'est déjà posé pen-
dant la période de plus grande créativité, c'est-à-dire dès débuts
du VI' à la deuxième moitié du VII' siècle.
Le Concile régional de la Tarraconaise tenu à Girona en 517
prescrivait que toutes les églises de la province ecclésiastique
devraient se conformer aux usages (consuetudo) de l'église métro-
politaine. L'ordonnance concerne la célébration de la messe et
de l'office et l'administration des autres sacrements'.
Nous voyons donc ici une première phase de l'oeuvre de ré-
gularisation centralisée de la liturgie: les églises cathédrales de
la province et, au moyen de l'église principale de chaque dio-
cèse, toutes les églises de la province doivent adapter leur litur-
gie au modèle du siège métropolitain.
Quelques années plus tard, en 561, un autre Concile régio-
nal, le Ier de Braga, décrète une disposition semblable. J'ai dit
semblable: le problème qui se pose n'est pas exactement le
même. Le concile veut éviter que les usages monastiques s'intro-
duisent dans l'ordo psal/endi des églises non monastiques: ne-
que monasteriorum consuetudines cum ecclesiastica regula sint
permixlae '. Il s'agit donc d'un décret d'unification à l'interieur
de la liturgie ecclésiale. Mais ici le danger qui pourrait menacer

2 J. VIVES-T. M,\RIN-G. M,\RrrNEZ, CUllcilios visigoticos e hüpallU-nJIIUlIlOS


Espana Cristiana. textos, yol. 1 (Barcelona-Madrid 1963), p. 39.
3 lb., p. 71.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DANS LA LITURGIE HISPANIQUE 247

l'unité liturgique de la province n'est pas la spontanéité de quel-


que petite église locale: c'est plutôt le courant monastique, avec
sa propre mentalité et spiritualité, et surtout avec ses propres
traditions liturgiques, qui ne devait pas influencer la liturgie
ecclésiale.
Nous connaissons la situation toute particulière de la ré-
gion ecclésiastique de Braga. On y célébrait la liturgie romaine,
ou bien une liturgie locale très romanisée, comme conséquence
de la lettre de réponse du pape Vigile à l'évêque Profuturus, de
l'année 538 4 • Le même concile de 561 insistait sur la nécessité
d'appliquer les enseignements de Vigile relatifs à la célébration
de l'Eucharistie et à l'administration du baptême (canons 4 et
5). Il y a encore un autre canon, le 12ème, qui interdit l'emploi
de textes poétiques dans la célébration de l'office. Il s'agit cer-
tainement des hymnes '. La prohibition des hymnes était pro-
bablement une application concrète du canon premier, c'est-à-
dire de l'interdiction d'introduire des usages monastiques dans
la célébration de l'office ecclésial.
Pour aider à comprendre cette interprétation, je me vois
forcé de rappeler que saint Ambroise de Milan, vers la fin du
IV' siècle, a inventé un nouveau type de poésie liturgique, lequel
à la différence des essais conduits dans le même sens par saint
Hilaire de Poitiers, a eu un grand succès, et s'est révélé un
excellent instrument pastoral. Or, après les notices sur les hym-
nes d'Ambroise que nous donne saint Augustin, les premiers
documents qui nous parIent de nouveau des hymnes pour l'office
sont les règles de saint Césaire d'Arles 6 et le concile d'Agde'
(506), présidé par le même Césaire.
Les règles de saint Césaire mentionnent les hymnes com-
posés par Ambroise, et citent aussi d'autres hymnes, que nous
connaissons parce qu'ils ont été conservés dans les hymnaires
médiévaux. Ces hymnes non ambrosiens, et qui très probable-
ment sont d'origine gallicane, ont été composés pour l'office

4 J.O. BRAGANÇA, A carla do Papa Vigilio ao Arcebispo Prof ulam de Braga:


Actas do Congresso de Estudos de Comcmoraçao do XIII Centenorio det mOl'Le
de S. Fructuoso, t. 1 = Bracara Augusta 21 (1967), 65-9l.
S J. VIVES, COIlciIios visigoticus ... , D.C., p. 73.

6 G. MORIN, S. Caesarii Arelatensis Episcopi Regula Sane/aruJH Virginum


aliaque opusclIla ad sWlctimulliales directa = Florilegium Patristicum XXXIV
(Bonnae 1933).
1 MANSI VIII, p. 330.
248 JORD! PI NELL
--~=-----------_.----

ecclésial. I! faut faire une seule exception: l'hymne Mediae l10etis


tempus est, destiné sans doute à une vigile de type monastique.
On doit donc à saint Césaire la diffusion du nouveau genre litur-
gique des hymnes de caractère occidental. Je crois que, sur ce
point, l'influence de Césaire sur la règle de saint Bénoît est
incontestable. Or, dans l'Espagne wisigothique, Césaire a exercé
aussi une double influence, sur le monachisme espagnol du VI'
et VU' siècle, et sur la liturgie ecclésiale de la même période.
On sait que l'église romaine était la seule à ne pas ac-
cepter les hymnes de l'office. Ils n'ont pas pénetré dans l'office
romain jusqu'au onzième siècle, et encore sous l'influence de
l'office bénédictin '.
Nous pouvons maintenant revenir à la question du concile
de Braga. Et noUs voyons déjà que le problème de l'uniformité
liturgique implique beaucoup d'autres choses, qui n'ont rien à
voir avec la liturgie. Le mélange des règles ecclésiales avec les
usages monastiques s'est concrétisé dans l'emploi des hymnes.
Probablement les hymnes n'étaient pas la seule source de conflit
entre liturgie ecclésiale et liturgie monastique; mais il semble
qu'elle ait été assez déterminante. Employer les hymnes signi-
fiait se laisser influencer par la liturgie de l'Espagne wisigothi-
que - ce qu'on devait éviter absolument pour des raisons poli-
tiques - , et d'autre part cela signifiait aussi un éloignement de
l'exempldrité romaine, que le siège de Braga avait acceptée juste-
ment pour s'écarter de la liturgie des chrétiens qui étaient
compris dans le Royaume des Wisigoths.
Mais nous savons que le Royaume des Suèves devait être
finalement vaincu et integré dans le Royaume wisigothique. Et
après la conversion officielle de wisigots au catholicisme (589) 9,
l'Église d'Espagne, devenue de plus en plus puissante, tâcha de
réaliser l'unité liturgique à l'intérieur de tout le Royaume. Le
Royaume comprenait aussi la province de la Gaule narbonnaise.
C'était le but du IV' Concile de Tolède (633), présidé par saint
Isidore de Séville 10.
I! n'est pas possible d'étudier ici le 18 canons du IV' Concile
de Tolède concernant la liturgie. Disons seulement que la ques-

a P. SALl\ION, L'office divlIl au ,Huyell Age. Hi5tuirc de la fonl1alio/l du


bréviaire du IX~ au XVIe siècle = Lex Grandi 43 (Paris 1967).
9 J. VIVES, C011Cilios visigOlicus ... , v.c., pp. 107-124.
10 lb., pp. 186-225.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DANS LA LITURGIE HISPANIQUE 249

tian de l'unité liturgique a été posée d'une façon très claire


par le 2ème canon du Concile. On y affirme le besoin d'une uni-
formité liturgique, comme conséquence nécessaire de l'unité de
foi et de l'unité politique que l'Espagne avait finalement réussi
à conquérir: unus igi/ur orandi a/que psa/lendi modus a nobis per
omnem Spaniam a/que Ga/liam conserve/ur ... qui una fide co,,-
tinel71ur et regno 11,
J'espère avoir démontré dans mes travaux déjà publiés que
les dispositions du IV' Concile de Tolède étaient particulière-
ment élaborées contre l'ancienne romanisation de la province
ecclésiastique de Braga". Le 6ème canon, sur le nombre des im-
mersions dans l'administration du baptême ", le 12ème canon
sur la place que doit occuper l'alleluia dans la structure de la
messe ", le 18ème, qui précise que la bénédiction doit être don-
née avant la communion et non après ", le 14ème sur l'emploi
du cantique de Daniel dans les messes des martyrs et des diman-
ches ", et encore le 17ème canon, qui commande la lecture de
l'Apocalypse pendant tout le temps pascal", établissaient des
règles de célébration qui étaient distinctes, sinon tout-à-fait op-
posées aux usages de la liturgie romaine.
Nous y trouvons aussi le !3ème canon, qui vise nettement
le 12ème canon du l'' Concile de Braga, sur les hymnes de l'offi-
ce ". Comme tous les autres canons liturgiques du IV' Concile
de Tolède, le !3ème ne se limite pas à déterminer ce qu'on devra
faire. L'ordonnance est illustrée et justifiée pas des raisonne-
ments. C'est un des aspects les plus intéressants du IV' Concile
de Tolède: le fait que les décisions en matière liturgique soient
fondées sur une connaissance un peu encyclopédique de la litur-
gie elle-même. On y trouve des arguments historiques et même
théologiques en faveur de telle ou telle disposition canonique.
Mais les plus nombreux sont les arguments qui se fondent sur
l'expérience de la vie liturgique. Cela suppose évidemment une
réflexion systématique, j'oserais dire un principe scientifique

Il lb., p. 188.
12 J. PINEU., La$ }!Oms vigiliares de.l oficio monacal hispal1ico: Liturgica III
(Montserrat 1966), pp. 197-340; voir spécialement pp. 238-241.
13 J. Vl\'ES, Concilias visigoticvs ... , G.C., p. 191.
14 lb.} p. 196.
l~ lb., p. 198.
16 lb., p. 197.
J7 lb., p. 198.
lB lb., p. 196.
250 JORDI PlNELL
~~~~~~~~- -- .. ~----_. __ .

appliqué à la connaissance de la liturgie. Il y a certainement la


pensée et même les expressions de saint Isidore de Séville.
C'est pourquoi les canons liturgiques du IV' Concile de To-
lède établissent des ordonnances très précises et en même temps
très souples.
On a prétendu parfois que l'oeuvre d'unification liturgique
du IV' Concile de Tolède comportait une espèce d'édition typi-
que des livres liturgiques; en sorte qu'après le Concile rien
n'aurait été plus susceptible de changement. Eh bien, cela ne
s'accorde pas avec la réalité que nous trouvons attestée dans les
Dlanuscrits.
Le Concile indique très clairement quelle doit être la place
de l'alleluia et celle de la bénédiction dans la structure de la
messe. Mais il ne suppose pas un répertoire fixe et bien établi
des chants de laudes, ou des textes des bénédictions que les
églises devaient employer chaque jour de l'année.
Le Concile prescrit la lecture de l'Apocalypse de Pâques
jusqu'à la Pentecôte; mais il semble laisser à l'initiative des
églises régionales les critères de distribution, suivant lesquels
elles doivent en proposer la lecture.
Le Concile définit très bien quel doit être en Espagne le
caractère de l'action liturgique du Vendredi Saint, à l'heure de
none. Mais quand nous contrôlons les réalisations qu'en ont fait
la tradition A et la tradition B, assez différentes, nous pouvons
constater que, aussi bien l'une que l'autre ont été parfaitement
fidèles au Concile.
Nous devons en conclure que l'unification liturgique du
IV' Concile de Tolède s'est toujours maintenue sur des ques-
tions de principe; et que ces questions de principe sont plus
déterminées et plus pressantes quand il s'agit d'écarter des
coïncidences avec la liturgie ronlaine, qu'on ne retient pas com-
patibles avec le style du rite hispanique.
Ce fait est encore plus frappant si on tient compte de
l'énorme capacité d'assimilation dont la liturgie hispanique don-
ne preuve. C'est très difficile à expliquer, mais nous découvrons
aujourd'hui des points de contact de la liturgie hispanique avec
tous les rites d'Orient et d'Occident. Cela montre que les respon-
sables du développement de la liturgie en Espagne ne craignaient
pas les influences étrangères. Ils ne s'enfermaient pas dans leur
coin. Au contraire, ils se monstraient avides de connaître ce qui
UNITÉ ET DIVERSITÉ DANS LA LITUMIE HISPANIQUE 251

se passait dans toutes les églises. Mais, comme je l'ai dit, ils
avient une grande capacité d'assimilation: ils transformaient et
assinlilaient ce qu'ils avaient pris aux autres. C'est à cause de
cela qu'ils ne pouvaient pas tolérer l'introduction des usages li-
turgiques étrangers, qui avaient été recherchés et acceptés par
la province de Braga, justement pour se détacher du développe-
ment naturel de la liturgie hispanique.
Nous devons faire mention encore du XI" Concile de Tolède,
tenu en 675. On y décréta la suppression de toute particularité
monastique dans la célébration de la messe et des offices des
vêpres et du matin ". Jusqu'à ce moment-là les monastères, sui-
vant leurs traditions particulières, avaient réglé la célébration
de l'office sans être étroitement liés à l'évolution de l'office ca-
thédral. Peut-être est-il nécessaire de rappeler que l'office ca-
thédral hispanique connaissait seulement les heures des vêpres
et du matin, tandis que les heures de l'office monastique étaient
beaucoup plus nombreuses.
Or les règles monastiques de saint Isidore et de saint Fruc-
tueux montrent que les schémas des offices du matin et du soir
en milieu monastique n'étaient pas les mêmes que ceux de l'ordo
cathédral. La structure des offices monastiques a des indices as-
sez clairs d'archaïsme, et nous avons de bons motifs de penser
que les différences entre office monastique et office cathédral
ne se réduisaient pas à une simple question de structure ".
Le XI" Concile de Tolède permettra aux monastères de con-
server leurs propres usages pour les heures qui ne rentrent pas
dans le cursus cathédral, c'est-à-dire pour les vigiles, tierce, sexte,
none et complies. Mais les monastères devront célébrer les of-
fices du soir et du matin exactement comme on le fait dans les
églises métropolitaines respectives.
La rigidité de cette ordonnance nous laisse un peu perple-
xes. Mais nous devons reconnaître que l'uniformité, imposée cet-
te fois d'une façon si rigide, a été vraiment observée. Dans les
manuscrits du liber horarwn, le livre liturgique pour l'office
monastique, on ne trouve aucune trace des offices du matin et
du soir, parce que les moines, pour les célébrer, devaient employer
les livres destinés à l'office cathédral.

I~ lh., p. 326.
20 J. PJNELI., Las haras vigiliares deI oticio monacal hispâl1ico ... , l.c.} pp.
229·231.
252 JORD! PI NELL

Comme conclusion de cette première partie, je crois pou-


voir constater que la question de l'unification liturgique a été
plusieurs fois abordée, et cela justement dans la période au
cours de laquelle on a plus travaillé pour structurer les célébra-
tions et pour composer des textes destinés à la Iiturgie_ Nous
avons vu que des prescriptions très souples alternent avec des
interdictions très rigides, et que les points de conflit les plus
aigus se révèlent dans la région ecclésiastique romanisante de
Braga, et avec les usages particuliers des monastères.

II. LES DEUX TRADITIONS

Quand Dom Férotin publia le Liber Ordinum 21 et le Liber


Mozarabicus SacramentorUln ", les seuls témoignages de l'ancien-
ne liturgie de l'Espagne qu'on connaissait étaient le Missel et
le Bréviaire destinés à la célébration du rite ancien dans la cha-
pelle de Corpus Christi de la cathédrale de Tolède. L'édition du
Missel" et du Bréviaire" avait été effectuée en 1500 et 1502
respectivement sous la direction du chanoine Alfonso Ortiz, et
par volonté de l'archevêque, le Cardinal Cisneros. Ils avaient in-
titulé le Missel Missale mixtwn secundum regulam beati Isidori,
dicluln mozarabes. Nous savons aujourd'hui qu'ils avaient ajouté
diclum mozarabes pour mieux préciser qu'il s'agissait du rite
ancien que les mozarabes de Tolède avaient continué à célébrer
malgré son abolition par le concile de Burgos en 1080.
Dans son édition du sacramentaire, Dom Férotin décrivait
le contenu d'un grand nombre de manuscrits, dont une bonne
partie restent toujours inédits. Mais d'autres éditions ont suivi
celle de Dom Férotin, et on s'est rendu compte tout à l'heure

21 M. FEROTIN, Le Liber Ordinwn en lisage dam l'~gli5e \visigutlIique cl


mozarabe de l'Espagne du V~ au Xl~ s. = Monumenta Ecclesiae Liturgica V
(Paris 1904).
:>.2. M. FÉROTIX, Le Liber Mozarabicus Sacramentorwn et les manuscrits mo-
zarabes = Monumenta Ecc1esiac Liturgica VI (Paris 1912).
23 Missa!e mixtwn secundlllll reglilam beati [sidari, dictunl mozarabes (Ta-
leti 1500). Le missel fut édité de nouveau par A. Lesley à Rome en 1775, illustré
avec notes de Lesley. Cette édition fut reproduite dans Patrologie Migne PL 85.
Plus tard, une autre édition revisée par F. DE LoRIiNZAN,\.: Missale Got11icum
secundul1l regulam beaU Isid01·i (Madrid 1804).
24 Breviariwn secundum regulam beali Isidori (Toleti 1502); deuxième
édition preparée par F. DE LORE:\ZANA, Breviariwn GothicU111 .<;eclll1dWl1 regulan-l
beatissimi Isidori (Madrid 1775). L'édition de Lorenzana a été reproduite dans
PL 86.
UNITÉ ET mVERSITÉ DANS LA LITURGIE HISPANIQUE 253
---

que les manuscrits ne concordaient pas avec les éditions du


Missel et du Bréviaire. Première réaction: considérer que le cha·
noine Ortiz avait faussé les documents anciens, et que, par con·
séquent, le Missel et le Bréviaire n'avaient aucune valeur histori-
que. Le premier à se libérer de cette réaction trop commode a
été le bénédictin anglican W.S. Porter (1935) ", qui a montré que la
série des cantiques du Bréviaire était plus archaïsante que celle
des manuscrits du liber cal1ticorum.
Il faudra encore attendre quelques années pour qu'on puisse
parler d'une revalorisation systématique de la tradition repré·
sentée par le Missel et le Bréviaire. Sans aucune prévoyance pos-
sible de ma part, je me suis trouvé engagé dans la question.
Tout a commencé quand on m'a demandé de préparer l'édition
des deux manuscrits du liber misticus de Carême ". Or ce sont
justement les deux manuscrits les plus importants de la tradi·
tion représentée par le Missel et le Bréviaire. Dom Férotin avait
déjà noté la concordance entre les livres imprimés et ces deux
manuscrits. Puis, on a découvert deux autres fragments appar·
tenant à la même tradition.
Donc Ortiz n'a pas inventé. Il a employé des manuscrits,
dont une grande partie ont disparu. Il faut noter aussi que les
manuscrits d'où viennent les éditions de Cisneros proviennent
de la même paroisse de Tolède, l'église des saintes Juste et Ru·
fine, deux martyres de Séville. Les autres manuscrits copiés à
Tolède appartiennent à l'autre tradition, celle qui comprend les
livres liturgiques provenants de tout le nord de l'Espagne ". La
frontière qui sépare les deux traditions se situe à la ville de
Tolède, l'ancienne capitale du Royaume Wisigothique, où il y
avait eu le siège qui essaya le plus de régulariser les livres litur·
giques; le siège qui avait proclamé la nécessité d'une unité litur·
gique dans tout le Royaume.
Je vous présenterai le plus brièvement possible mon hypo·
thèse historique sur cette question.
Nous apprenons que des communautés chrétiennes du midi
de l'Espagne, la région de l'Andalousie, ont emigré à Tolède pen·

~, W.S. PORTER, Canlica ,1tlozarabici DffieU: Ephemerides Liturgicae 49 (1935),


126·145.
as Tolède, Biblioteca Capitular, cod. 35.5, et Madrid, Biblioteca Nacional
10.110.
:7 Cf. J. PINELL, Lus textos de la antigua liturgia hispanica. Fuentes para
su estudio: Estudios sobre la liturgia mozarabe (Toledo 1965) 109-164.
254 JORD! PI!\IELL

dant le X" S., quand la vie des chrétiens devenait de plus en


plus difficile sous la domination des arabes. C'était en fait pen-
dant le IX· s., quand la cathédrale de Séville a été transformée
en mosquée et destinée au culte musulman ". Nous avons des
renseignements encore plus clairs et précis sur les émigrations
du XII· s., quand Tolède était déjà liberée.
Le titre de la paroisse d'où proviennent les manuscrits qui
ont servi à la composition du Missel et du Bréviaire, c'est-à-dire
les deux martyres de Séville sainte Juste et sainte Rufine, puis
l'indication d'Ortiz secundum regulam beati 1sidori, sont des in-
dices qui se renforcent mutuellement.
Je crois donc que la tradition B est la liturgie de l'église
métropolitaine de Séville émigrée a Tolède pendant le X· s., ou
plutôt pendant le Xlr s. '".
Vous me demanderez très justement: Mais quelles sont les
différences entre une tradition et l'autre? Je vous ai déjà dit
que la question était complexe, et difficile à présenter et à
comprendre. J'espère pouvoir vous conduire au coeur de la
question en vous donnant des exemples très concrets.
J'employerai les noms de tradition A et tradition B, comme
je le fais habituellement. La tradition B est la liturgie des quatre
manuscrits qui proviennent de la paroisse de sainte Juste et
sainte Rufine, qui est la même liturgie que celle du Missel et du
Bréviaire imprimés. Nous appellerons tradition A la liturgie de
tous les autres manuscrits.

1. Caractéristiques générales de la tradition A et de la tradition B.


Les livres de la tradition A dénotent une codification plus
soignée. La correspondance entre antiennes et oraisons, qui ont
été conçues pour aller ensemble, est plus parfaite dans la tradi-
dition A que dans l'autre tradition. Cela a été montré par des

ze «Dias tcnga misericordia de Ahd al-Rahman b.al Hakam, el emir justo


el bien guiada pOl' Dias, el que ordenô la construcciôn de esta mezquita, bajo
la dirccci6n de 'Vnar b. 'adabbas, Gadi de Scvilla, en el ana 214 (11 de marzo
829-27 febrcro 830). Ha escrito 'Abd al-Barr b. Harum », Inscription, en arabe,
conservée dans le Museo Al'queoI6gico de Séville.
29 J. PINF.I.L, El problema de las dos tradiciones del anligtfo rita hispâllico.
Valoracion docl/mental de la tradicion B, en 'vis ras a ana evel1tual revisi6n
del Ordinario de la Misa Mozarabe, à paraître dans les Actes du ,,1 Congrcso
Intcrnacional de Estudios Mozarabes) (Toledo 1975). Dans cc travail j'ai
modifié, du point de yue chronologique, mon hypothèse exposée dans le
Diccionario de Historia Eclesiastica de Espaiia, t. II (Madrid 1972), 1303-1320.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DANS LA LITURGIE HISPANIQUE 255

thèses doctorales assez récentes, comme celles de Ferro Calvo"


et de Bayés".
La tradition B n'a pas pensé à l'organisation de ses livres
liturgiques jusqu'à une période assez tardive. On a préféré rester
longtemps dans le régime des libelles; et quand on s'est décidé
à faire la codification des livres liturgiques, les problèmes d'orga-
nisation de la liturgie étaient devenus presque insurmontables.
Je crois que ces divergences s'expliquent par une position
différente de l'une et de l'autre. La tradition A représente une
liturgie pratiquée dans plusieurs régions ecclésiastiques; une
codification très soignée des livres liturgiques était nécessaire.
Pour la tradition B, qui restait isolée sans aucune prétention
d'être suivie en dehors de sa province, on pouvait encore con-
fier au bon sens des responsables de la célébration de chaque
petite église la composition définitive de l'office et de la messe;
ils se serviraient naturellement des répertoires déjà existants.

2. Les messes fériales du Carême.


Dans la tradition A, on célébrait la messe les lundi, mercredi
et vendredi pendant la première partie du Carême. À partir du
dimanche de Median!e il y avait la messe tous les jours avec la
seule exception du samedi.
La norme de la tradition B était beaucoup plus régulière.
Il y avait la messe seulement les mercredi et les vendredi, pen-
dant tout le Carême.
Il faut préciser que les deux traditions sont tout-à-fait d'ac-
cord sur le fait qu'il y a une messe le soir du Jeudi Saint, et
qu'il n'y a pas célébration eucharistique ni présanctifiés le Ven-
dredi Saint.

3. Les « threni ».

On appelait threni, transposition latine du mot grec !hrénoi,


un chant quadragésimal de la messe. Il remplaçait le psallendum,
chant analogue au graduale romain entre les lectures. Les sour-

:te M. FERRO CALVO, La celebracidn de la venida deI Sen al' ell el oficio
hispdllico = Colecciôn de Estudios del Instituto Superior de Pastoral. Uni-
versidad Pontificia de Salamanca, 5 (Madrid 1972).
3\ G. BAYÉS, Las oracimœs de atldfonas y responsorios para el tiempo de
Traditiol1e Damiai en el oficio hispalw, thèse doctorale soutenue à l'Institut
Catholique de Paris, le 5 octobre 1974.
256 JORDI PTNELL

ces nous ont conservé un répertoire d'onze threni; un d'eux


semble avoir été ajouté postérieurement à la collection primitive.
Dans un article que je suis en train de publier, je pense
avoir démontré que la version la plus primitive et originale est
celle de la tradition B.
Pour faciliter votre compréhension, je dirai que les threni
ressemblent extérieurement au tractus de la liturgie romaine.
Ce sont des chants composés d'une succession de strophes; les
strophes sont parfois tirées directement de l'Écriture, parfois
elles sont le résultat d'une centonisation très élaborée. Le musi-
cien qui a préparé ces textes a cherché toujours à mettre ensemble
des phrases de lamentations; il les a prises de différents livres
sacrés: les Lamentations, le livre de Jérémie, le livre de Job, le
livre d'Isaïe. Il en résulte un texte très monotone du point de
vue expressif, mais très riche de nuances. On y parle toujours
à la première personne du singulier; les threni ont donc l'air
d'un monologue; ils devraient être chantés par un soliste. Pen-
dant la première partie du Carême la lamentation est ceIle de
l'Église, qui pleure pour ses péchés. Depuis le dimanche de Me-
diante, la voix qui se plaint est celle du Christ persécuté et
souffrant. Pour se rendre compte de ce passage de l'Église péni-
tente au Christ souffrant, il faut lire les textes avec beaucoup
d'attention. Pour cela il faut percevoir la signification la plus
profonde de ces textes remarquables.
Or la recension brève et la plus primitive du répertoire des
threl1i est celle de la tradition B. Un autre musicien, de la tra-
dition A, les a developpés et leur a donné une forme responso-
riale, qu'ils n'avaient pas. Mais il l'a fait très bien, avec un très
grand respect du sens original des textes. Toutefois, je crois
qu'il y a une grande différence entre l'oeuvre du premier musi-
cien et celle du second; le premier se montre un artiste, tandis
que le second n'est plus qu'un très bon artisan ".

4. Les cal1tiques de l'office.


Je vous ai déjà indiqué que l'étude des cantiques de l'Ancien
Testament pour l'office du matin a été le point de départ d'une
revalorisation de la tradition B. Depuis l'article de Porter, très

~2 J. PIKELL, El callto de los «tlzreni" en las misas Ctlaresmales de la


antigua lilurgÎa hispdnica, à paraître dans «Miscellanea in anore deI P. Burkhard
Neunheuser ».
UNITÉ ET DIVERSITÉ DANS LA LITURGIE HISPANIQUE 257

révélateur, les études de Schneider" et de Martin Patino 84 ont


confirmé l'archaïsme du liber canticorum, qui a été employé par
Ortiz dans la composition du Bréviaire.
Tout récemment moi·même j'ai dû m'occuper des cantiques
de la tradition B. Dans mon article, j'ai essayé de confronter plus
étroitement et plus précisément les deux traditions, et de montrer
les aspects positifs de l'une et de l'autre 35.
Prenons un exemple. Voyons l'emploi des deux cantiques les
plus vénérables de toute la tradition chrétienne, le cantique Ad-
tende cae/um (Deut 32,1-43) et le cantique Cantemus Domino (Ex
15,1-19). On sait que l'inclusion de ces deux cantiques dans l'offi-
ce a répondu à l'intention d'illustrer avec une nouvelle rémi-
niscence pascale le sens liturgique de l'office du matin. On sait
aussi que c'était dans la célébration d'une vigile pascale très
primitive que ces cantiques ont été employés la première fois
comme louange chrétienne.
Or les deux traditions hispaniques ont retenu le sens pascal
des deux cantiques, mais elles en ont fait une application diverse.
Dans la tradition A, ils ont été réservés, en principe, aux
dimanches, comme cantiques pascals qu'ils étaient. Mais le liber
canticorum a été enrichi progressivement; on y a ajouté des
séries de cantiques pour les temps de l'Avent, de Noël, de Carême,
de la Passion et pour le temps pascal. Et alors les cantiques
Adtende cae/um et Cantemus Domino ont été exclus de ces
temps forts de l'année, et ils ont été placés aux dimanches de
quotidiano. Il faut noter encore que le cantique du Deutéronome
a été notablement raccourci.
La tradition B, en revanche, employait aussi le cantique du
Deutéronome les dimanches, mais tout entier; et pas seulement
les dimanches de quotidiano, mais aussi au temps d'Avent, Noël,
Carême et de Traditione Domini. Il n'y est pas employé pendant
le temps pascal, parce que, pour la tradition B, le seul cantique
du temps pascal est celui d'Exode 15 Cantemus Domino. On le

33 H. SCHNEIDER, Die altlateinischen biblischen Cantica = Texte und Arbciten


29-30 (Beuron 1938).
34 J.M. MARTiN PATINO, El Breviarium mozarabe de Ortiz. Su valar docu-
mentaI para la historia del ofieio catedralicio hispanico: Miscellanea Camillas
40 (1963) 205·297.
as J. PINELL, Los cânticos de atieia en el antigtto Tito hispanico. El «Liber
Carlticorum» de la tradicion B, à paraître dans Hispania Sacra.
258 JORDI PINELL

dit tous les jours pendant le temps pascal, et jamais en dehors


du temps pascal.
Cet exemple nous fait comprendre comment les deux tradi-
tions, fidèles au même principe d'interprétation du sens liturgi-
que, l'ont appliqué chacune de leur côté d'une façon assez dif-
férente.

5. Le " liber manuale ».

Le manuale ou liber missarum, analogue au sacramentaire


romain, est peut-être le livre sur lequel il yale moins de diver-
gences entre les deux traditions. Mais la raison de cette con-
vergence tient à ce que la tradition B a pratiquement adopté
le livre de la tradition A. Cela nous montre encore que la tradi-
tion B n'a pas eu grand intérêt à codifier ses livres liturgiques,
quand c'était le moment de le faire.
Cependant, on ne devrait pas conclure de cette convergence
que dans le sacramentaire hispanique il n'y a pas de messes
provenant de la province ecclésiastique de la tradition B. Nous
avons pu constater qu'il y a eu un échange des textes de l'une
à l'autre tradition; comme d'ailleurs les différentes provinces
qui appartenaient à la zone géographique de la tradition A ne se
posaient pas de questions quand elles échangeraient des textes
liturgiques locaux. Il faut noter encore que, pendant une certaine
période, il y a eu échange de textes entre la liturgie hispanique
et la liturgie gallicane.
Cependant, bien que la tradition B ait adopté presque tel
qu'il était le liber manuale de l'autre tradition, parce qu'il était
mieux organisé que le sien, elle a conservé quelques messes qui
n'avaient pas trouvé place dans le sacramentaire de la tradition A.
Prenons un exemple, la messe Ecce iam in proxima sunt,
qui a été composée pour le dimanche qui précédait le Carême.
Cette messe est une espèce de prologue à la préparation pascale;
on y considère tous les aspects de ce qui devra se réaliser avec
l'exercice quadragésimal. Spécialement l'in/atia ou préface ", qui
commente une phrase de l'évangile du jour - celui du mauvais ri-
che et du pauvre Lazare, " Ils ont Moïse et les prophètes» (Lc
16,30) - présente une vision synthétique du programme des lec-
tures pendant le Carême.

M PL 85, 286-287.
UNITÉ ET DIVERSITÉ 'DANS LA LITURGIE HISPANIQUE 259

Or la description de ce programme d'instlUction chrétienne,


dans les détails, convient plus exactement au système de la dis-
tribution des lectures de la tradition B ",
La tradition B a sauvé cette messe, qui autrement se serait
perdue, parce que ses textes étaient une interprétation autorisée
de la catéchèse quadragésimale, selon la même tradition B. Et
cela montre que la petite église de sainte Juste et sainte Rufine,
qui sauvegardait avec zèle la liturgie des ancêtres, en était cons-
ciente,

6. Distribution des lectures.


Quatre thèses doctorales on été consacrées à l'étude compa-
rée de la distribution des lectures dans les deux traditions his-
paniques. Le P. J, BernaI" a examiné la question d'après les
séries de lectures de la vigile pascale; J.A. Abad a étudié le lec-
tionnaire des dimanches de quotidiano 39, V. Martin Pindado les
systèmes des lectures en Carême 40, et enfin J. Gibert les lec-
tures de la Cinquantaine pascale ". Ils arrivent toujours à des
conclusions très nuancées. Mais en général ils doivent recon-
naître que les systèmes de lectures de la tradition B révèlent
une très grande cohérence, une pensée très profonde sur ce que
doit être un programme de catéchèse chrétienne fondée sur la
Bible, distribuée en suivant les rythmes du temps de l'année
liturgique, pour être proclamée et exposée pendant la célébra-
tion liturgique elle-même. Dans l'ensemble, on estime sans hé-
siter que la distribution des lectures de la tradition B est en
tout cas supérieure à celle de la tradition A.
Les deux traditions, chacune de son côté, peuvent se vanter
d'être en rapport avec des traditions liturgiques différentes, oc-

37 V. MART1N PINDADO, Los sistemas de lccturas de la Cuaresma hispanica.


blvestigaci6n desde la perspectiva de una comparacion de liturgias (extracto de
la tesis doctoral presentada en el Instituto Liturgico deI Pontificlo Ateneo de
San Anselmo, Roma): Salmanticensis 23 (1975) 217-269.
38 J. BERNAL, Los sistemas de lecturas y oraciones en la vigilia pascaal
hispana: Mi.scellanea M. Férotin, Hispania Sacra 17-19 (1966) 283-347.
39 J .A. ASAD IllANEz, El leccionario hispano «de quotidiano »; Burgensc Il
(1970) 173·230.
40 Cf. note 37.
41 J. GIBERT, Festwn Resurrectionis. Estudi de les lectures bibliques i dels
cams de la LitûrgÎa de la Parmlla de la missa Ilispanica duralll lu Cinquantena
Pasqual, thèse doctorale soutenue au Pontificio Istituto Liturgico Anselmiano,
Roma, le 20 juin 1975.
U Cf. note 40.
260 JORDI PINELL

cidentales et orientales. Voyons un exemple: les évangiles de la


vigile pascale et de la messe du jour de Pâques.
La tradition A lit à la vigile Mt 28,1-7 (le Seigneur n'est plus
dans le tombeau, et un ange annonce sa résurrection); puis, dans
la messe du jour, eUe continue la lecture du même chapitre 28 de
Matthieu, où l'on raconte l'apparition aux saintes femmes, puis,
à la fin, l'apparition en Galilée et la mission des disciples.
Il y a un accord parfait entre l'évangile de la vigile selon
la tradition A et les lectionnaires ambrosien et d'Aquilée. Mais
eUe se trouve tout-à-fait isolée, sans rapports avec les autres li-
turgies pour ce qui regarde l'évangile du dimanche.
La tradition B, à la vigile, lit en entier tout le chapitre 28
de Matthieu. Et en cela elle est d'accord avec plusieurs lection-
naires gallicans, mais eUe s'accorde aussi avec le Typik6n byzan-
tin, les lectionnaires géorgien et arménien, et avec les syriens
orientaux, nestoriens, chaldéens et malabars.
Le jour de Pâques la tradition B lit l'évangile de Jean 20,1-18
(le tombeau vide et l'apparition à Marie de Magdala). Elle est
d'accord en cela avec deux lectionnaires ambrosiens, puis avec
toute la famille des lectionnaires syriens orientaux, puis encore
avec les lectionnaires coptes orthodoxe et éthiopien ".
J'espère que ce dernier point aura démontré suffisamment
ce que je disais au commencement; la question est vraiment très
complexe. Mais je l'espère aussi, vous serez d'accord avec moi
et avec tous ceux qui l'ont étudié: c'est là une question très
intéressante.
Pour conclure, je dirai seulement que, malgré tout, les deux
traditions hispaniques ne font qu'une seule et unique liturgie.
Il y a de grandes divergences entre l'une et l'autre, mais elles
se présentent comme un bloc assez compact quand on les confron-
te avec les autres rites occidentaux et orientaux.
Cette diversité, à l'intérieur d'une même liturgie, est, je crois,
l'expression d'une église locale, qui a essayé d'être fidèle à des
principes très clairs et très bien compris, sans renoncer à l'appli-
cation pluraliste de ces mêmes principes. Probablement, elle l'a
fait aussi pour rester plus proche de la réalité humaine de la
communauté ecclésiale.

Jordi PINELL, a.S.B.


Pontificio 1stituto Liturgico, Roma
RÉFORMES LITURGIQUES DANS L'ÉGLISE DE GRÈCE

La vie liturgique de l'Église a été de tout temps profondé-


ment liée à la vie de l'Église dans son ensemble. Elle a été et
elle est restée l'expression de l'être de l'Église, de sa foi et de son
éthos. Ainsi les courants spirituels et les confrontations d'idées
de chaque époque se reflétaient et se reflètent dans la vie liturgi.
que. Par ailleurs, les troubles liturgiques d'une époque don-
née témoignent par eux-mêmes d'une inquiétude spirituelle plus
profonde. C'est pourquoi il arrive très souvent que des modifi-
cations liturgiques à première vue insignifiantes cachent le germe
d'une modification de toute la vie spirituelle et une approche
tout à fait différente de la foi et de la prière.
C'est dans ce cadre général que nous nous proposons d'étudier
le problème de «la réforme liturgique dans l'Église de Grèce"
contemporaine. Il est nécessaire de souligner dès le début qu'il
n'existe pas en Grèce de réforme comparable à celle qui a été
réalisée en Occident. En ce qui concerne l'Église Grecque, on
peut parler plutôt de diverses tendances liturgiques, de quel-
ques essais de réformes et d'adaptation de la liturgie, mais pas
du tout d'une réforme proprement dite.

Pour comprendre l'état actuel des choses en ce qui concerne


la vie liturgique de l'Église de Grèce, il faut revenir au conflit
qui apparut au Mont Athos au XVIII-ème siècle et qui présenta
dès le début un caractère liturgique. Bien que les raisons du
conflit qui éclata parmi les moines du Mont Athos semblent à
première vue insignifiantes, l'évolution même de ce conflit montre
que les racines en étaient très profondes. Des raisons d'ordre
pratique obligèrent les moines de l'Hermitage de Sainte Anne
de prier pour les défunts et de leur bénir les « collybes " le di-
manche et non le vendredi soir et le samedi matin comme le de-
mandaient les rubriques en vigueur. Le premier qui s'opposa à
cette modification des rubriques fut le moine NEOPHITOS de Kav-
sokalivia; il fut suivi par d'autres moines, parmi les plus con-
nus du Mont Athos (Saint Nicodème l'Aghiorite, Saint Athanase
de Paros, Saint Macaire de Corinthe, et d'autres). Un autre problè-
262 AMFILOHIJE RADOVIC

me - liturgique lui aussi - fut débattu en même temps, celui


de la communion fréquente.
Les « Anticollybes » - défenseurs de la pratique de la béné-
diction des collybes le dimanche - étaient en même temps les
adversaires de la communion fréquente, laquelle était défendue
par leurs adversaires. Les «Anticollybes» ne sentaient pas,
semble-t-il, le lien entre la« lex orandi et la lex credendi »: c'était
là leur trait caractéristique. En défendant, d'une part, la prati-
que de la communion peu fréquente comme pratique ecclésiale
uniquement possible (bien que cette pratique soit temporaire
et ne réponde pas à la tradition de l'Église dans son ensemble)
et en oubliant, d'autre part, que l'adaptation de la vie liturgique
aux circostances historiques doit toujours être l'expression or-
ganique de la foi catholique, les «Anticollybes» introduisirent
une certaine sécularisation comme critère de la vie ecclésiale en
général et de la vie liturgique en particulier.
Ainsi leur soi-disant conservatisme concernant la commu-
nion peu fréquente et leur innovation liturgique concernant la
bénédiction des collybes le dimanche provenaient d'une seule et
même source. Les «Anticollybes» ne se donnèrent pas la peine
- c'est important de le souligner - d'approfondir ni le premier,
ni le second problème, ni du point de vue liturgique, ni du point
de vue théologique. Les porteurs de ce courant spirituel s'ima-
ginaient que ce mélange de conservatisme et d'esprit d'innova-
tion, en tant qu'adaptation aux circonstances historiques, pouvait
apporter la solution aux problèmes de ce XVIII-ème siècle in-
quiet.
Ce qui faisait défaut aux «Anticollybes » était au contraire
le trait caractéristique de la conception de la vie liturgique chez
leurs adversaires. Cette conception est très clairement exprimée
dans «La confession de foi» du moine NICODÈME l'Aghiorite:
cette confession peut être considérée comme l'apologie de tout
le courant spirituel auquel on donne le nom de « Collybes » et
qui eut par la suite un grand rayonnement bien au-delà du Mont
Athos. Selon la « confession de foi» de NICODÈME l'Aghiorite, la
bénédiction des collybes le samedi ne se réduit pas à une prière
pour les défunts; cette bénédiction est un témoignage liturgique
du repos sabbatique de Dieu au septième jour de la création;
c'est aussi l'annonce de la mort et de la descente du Christ aux
enfers en vue de la rédemption des morts. Les collybes symboli-
RÉFORMES LITURGIQUES DANS L'ÉGLISE DE GRÈCE 263

sent la chair humaine morte attendant la résurrection. Le propre


du septième jour (samedi), selon Saint Grégoire de Nysse, est
l'action en lui du mystère de la mort et du mystère du repos.
Le propre du huitième jour (dimanche) est le mystère de la
résurrection du Christ d'abord, mais aussi de nous tous. C'est
pourquoi, selon la tradition ancienne, ce jour-là ne sont auto-
risés ni jeûne, ni génuflexion, ni pleurs, qui accompagnent les
prières pour les défunts. Dans la « Confession », NICODÈME énu-
mère douze points de supériorité du huitième jour en tant que
réalité, dont le septième jour n'est qu'une figure.
Toujours selon NICODÈME, le huitième jour est le jour « un »
de la création, le jour de la régénération de la créature par la
résurrection du Christ, jour de l'accomplissement de la création
par le Saint-Esprit. C'est encore le jour surpassant le sabbatisme
hébraïque, c'est la figure du siècle à venir, le jour de la Pa-
rousie du Christ.
Cette comparaison de NICODÈME entre le septième et le hui-
tième jour est fondée théologiquement sur la notion de symbole
liturgique telle qu'elle apparait chez DENYS, L'ARÉOPAGITE, MAXIME
LE CONFESSEUR et chez d'autres Pères orientaux. Selon la concep-
tion de ces Pères, il existe un lien mystérieux et une communion
entre le symbole et la réalité qu'il symbolise. Le symbole en tant
qu'il recèle le prototype participe de lui et coïncide avec lui.
Les «Collybes» - il est intéressant de le noter - défendent
leurs positions en ce qui concerne la bénédiction des collybes
le samedi en évoquant les mêmes arguments que les Pères de
l'Église après le Premier Concile pour justifier la célébration de
Pâques après l'équinoxe de printemps. La fête de Pâques, en
tant que symbole liturgique, doit être conforme avec l'ordre de
la création avec lequel coïncide la résurrection du Christ. La
fête liturgique, en tant que symbole dans le temps, exprime le
mystère de la création et de la rénovation de cette création. Il
y a sanctification et purification du temps, en même temps que
sanctification et purification de l'homme, dans la mesure de la
coïncidence du symbole avec le mystère de l'économie divine et
de son assimilation de la part de l'homme. De cette manière, le
symbole liturgique devient la véritable récapitulation (&VGt"E'PGtÀGtt-
"''''') du terrestre dans le céleste; il devient la révélation de leur
union dans le mystère de la Passion et de la Résurrection du
Christ. La conscience de cette coïncidence entre le symbole et la
réalité engendre nécessairement chez l'homme la soif d'une par-
264 AMFILOHIJE RADQVIC

cipation à cette réalité par le moyen de la communion au corps


et au sang du Christ ressuscité. Ainsi ce n'est pas par hasard
que les «Collybes» prennent la défense de la tradition «con-
sidérée comme peu importante» de la bénédiction des collybes le
samedi, et en même temps, prêchent {( l'innovation» du retour
à la communion fréquente des premiers siècles. Il faut souligner
que ce retour à la pratique ancienne n'était pas compris par eux
comme une restauration archéologique du passé, mais comme
une appropriation de l'expérience ecclésiale catholique. Ce n'est
pas par hasard que ce même mouvement s'accompagne d'édi-
tions nombreuses des oeuvres des Pères de l'Église (citons au
moins la Philocalie) , de la traduction en grec moderne de ces
oeuvres, d'un renouveau de vie liturgique, de prédication et, en
général, de la vie spirituelle, aussi bien au Mont Athos qu'ailleurs
et spécialement dans les îles grecques.

Ce conflit entre les «Anticollybes » et les « Coll yb es » a oc-


cupé plusieurs conciles à Constantinople. Le dernier concile qui
s'en occupa (1819) a rendu justice aux positions des « Collybes »
mais, néanmoins, le conflit persista entre les deux courants spi-
rituels. Les nouvelles idées tant philosophiques que scientifiques
ou religieuses de l'époque dite « des lumières» ne manquèrent
pas d'influencer les cercles intellectuels grecs et, en général,
l'ensemble du peuple qui était en train de se libérer du joug an-
cestral turc. L'État grec nouvellement constitué ayant perdu tout
rapport avec les structures byzantines, cherchait un modèle par-
mi les États occidentaux. Ceux qui eurent à s'occuper de l'orga-
nisation de l'État et du renouvellement de la vie du peuple, esti-
maient que les idées du Siècle des lumières constituaient la meil-
leure base de ce renouveau. Un des représentants les plus en
vue de cette tendance était ADAMANTIOS CORAÏS, suivi par FAR-
MAKIDIS et N. VAMBAS et encore par KAÏRIS qui se montre encore
plus radical que les précédents. Selon CORAÏS, la religion n'aurait
pas besoin de s'exprimer extérieurement. Bien qu'il n'ait pas
nié la nécessité de la liturgie, il réclama une réforme rapide et
radicale de la vie liturgique et des rubriques et leur adaptation
aux besoins de l'époque nouvelle. Selon lui, tout ce qui n'est pas
défini en tant que dogme, appartient à « ]' écorce extérieure» de
la religion et peut, par conséquent, être réformé. Les conceptions
de CORAÏS sont caractéristiques des milieux intellectuels grecs
du XIX-ème et du début du XX-ème siècles, milieux qui avaient
RÉFORMES LITURGIQUES DANS L'ÉGLISE DE GRÈCE 265

subi l'influence occidentale. CORAÏS voulait, par exemple, des of-


fices moins longs, des allègements à la sévérité des carêmes; il
se montrait malveillant à l'égard du monachisme, etc. FARMAKIDIS
manifestait des tendances analogues. La politique du gouverne-
ment et des milieux officiels de l'Église où FARMAKIDIS jouait un
rôle important, tendait à mettre ces idées en pratique. La réac-
tion contre ces tendances fut très forte, et elle fut personnifiée
à cette époque par CONSTANTIN ÉCONOME. Le conflit entre les
deux tendances se prolongea durant tout le XIX-ème siècle. Les
représentants de la politique gouvernementale réussirent à do-
ter l'Église d'une constitution inspirée des modèles protestants,
à fermer quantité de monastères, à imposer une architecture
pseudo-classique. Ils ne parvinrent cependant pas à réaliser la
réforme liturgique dont ils rêvaient parce que la résistance du
corps ecclésial se montra suffisamment forte.

Tout ce bouleversement dans la vie de l'Église coïncida avec


l'apparition en 1838 d'un "typicon selon l'ordre de la Grande
Église du Christ" qui réglemente depuis lors la pratique litur-
gique grecque. Ce typicon constitue une adaptation du typicon
de Jérusalem au typicon du monastère STUDITE et à la pratique
de la Grande Église.
Durant des siècles, cette pratique de la Grande Église s'était
maintenue sous forme d'une tradition non écrite. Comme elle
était plus conforme aux nouvelles velléités officielles, sa fixation
par écrit avait eu pour conséquence l'affaiblissement de la pra-
tique du typicon de Jérusalem, particulièrement dans les églises
paroissiales. Il se créa ainsi une sorte de dédoublement de la
pratique liturgique de l'Église Grecque. (L'Église de Jérusalem
resta plus fidèle au typicon de Jérusalem, de même que le Mont
Athos). Ce dédoublement apparait dans le fait que, d'un côté,
presque tous les livres liturgiques furent imprimés selon le ty-
picon de Jérusalem, tandis que la pratique suivait le typicon de
la Grande Église. Ceci eut pour conséquence inévitable une cer-
taine interpénétration des deux typica et créa en même temps
une difficulté pour la pratique quotidienne. Les monastères grecs,
et particulièrement ceux du Mont Athos, plus enclins à la fidé-
lité à l'ordo liturgique, avaient joué un rôle non négligeable dans
cette interpénétration.
Prenons un exemple. Selon le typicon de Jérusalem, l'Évan-
gile se lit avant le psaume 50 et le canon; selon le typicon de la
266 AMFILOHIJE RADOVIC

Grande Église, l'Évangile se lit après la 8" ode du canon. Il


arriva que là où d'une manière générale fut appliqué le typicon
de Jérusalem, l'Évangile fut quand même lu après la 8" ode. Pre-
nonS un autre exemple. Le typicon de la Grande Église ne fait
pas mention des "vigiles", néanmoins l'Église de Grèce est la
seule parmi toutes les Églises locales orthodoxes à chanter de
véritables vigiles et ceci, non seulement dans les monastères,
mais même, quoique plus rarement, dans les paroisses. Il est
vrai que les vigiles sont chantées également dans les Églises sla-
ves, mais elles se célèbrent le soir et ne durent pas toute la
nuit. Encore un exemple. Le typicon de la Grande Église ne fait
encore aucune mention des offices des heures; cependant, ces
offices sont lus même parfois dans les paroisses.

Nous n'allons pas énumérer toutes les différences qui exis-


tent entre les deux typica. Nous nous contenterons de mention-
ner une opinion - erronée à notre avis - selon laquelle le dé-
doublement en question résulte d'un conflit entre un typicon mo-
nastique, d'une part, et la pratique laïque paroissiale d'autre
part. Une telle explication contredit la vérité historique: ce sont,
en effet, les moines qui voulaient promouvoir, durant la pre-
mière moitié du XIX-ème siècle, la réforme de toute la vie reli-
gieuse du pays et, en particulier, les réformes liturgiques. Rap-
pelons de nouveau les noms de THÉOKLITOS F ARMAKIDIS et de
NEoPHITos VAMBAS, qui traduisirent les Écritures en grec moder-
ne. Théophilos KAÏRIS était moine lui aussi. Fort de ses concep-
tions religieuses particulières, il voulut introduire des structu-
res liturgiques entièrement nouvelles: il alla jusqu'à mettre ses
idées en pratique à l'intérieur de l'école qu'il fonda sur l'île
Andros et qui comptait jusqu'à 600 disciples. L'Église l'a con-
damné comme un hérétique qui voulait fonder une religion na-
turelle nouvelle. En même temps, des laïcs bien connus, comme
par exemple MAKRIANNIS, qui avait été un promoteur du mouve-
ment révolutionnaire pour la libération de la Grèce, ou encore
des écrivains grecs comme PAPADIAMANTIS et MORAÏTIS, prirent la
défense des usages liturgiques anciens à la manière du mouve-
ment des" Collybes". Il est intéressant d'ajouter que, lorsque
le patriarche de Constantinople Joachim III proposa une réfor-
me du carême, une abréviation des offices liturgiques, etc.
PAPADIAMANTIS, l'écrivain le plus célèbre de son époque, chan-
tait de longues vigiles nocturnes dans de petites églises des en-
RÉFORMES LITURGIQUES DANS L'ÉGLISE DE GRÈCE 267

virons d'Athènes, ceci en compagnie de MoRAÏTIS et d'autres laïcs


éminents de ce temps; ces offices n'étaient pas chantés par des
moines, mais par un simple prêtre de paroisse PAPANICOLAOS
PLANAS.
Ainsi sans avoir énuméré toutes les différences entre les
deux typica et sans avoir accepté cette explication des influen·
ces entre les pratiques liturgiques - explication en effet erro·
née - nous nous limiterons à constater le fait de l'existence
simultanée et de l'interpénétration des deux typica, ainsi que
l'attitude du fidèle grec envers les rubriques, illustrant chez
celui-ci un sentiment de liberté plus marquée qu'elle ne l'est dans
les Églises slaves. Ici la fidélité aux traditions liturgiques byzan-
tines s'accompagne d'une certaine liberté créatrice qui, par mo-
ment, peut produire l'impression d'une anarchie. Cette liberté
créatrice se comprend par le fait que l'Église de Grèce réalisa sa
croissance sur les fondements du génie créateur byzantin. La
sacralisation de l'office religieux et de l'acte liturgique est étran·
gère à la conscience religieuse grecque. C'est pourquoi là même
où se manifeste une fidélité quasi fanatique aux rubriques, com-
me dans les monastères du Mont Athos spécialement, c'est da-
vantage une fidélité et une obéissance aux Pères qui transmet-
taient l'esprit de la tradition liturgique plutôt qu'un attachement
à des rubriques sacralisées. Cette fidélité s'accompagne souvent
d'une sorte d'attitude si libre dans l'église qu'elle va jusqu'à
choquer les personnes possédant une notion purement sacrale
de la liturgie.
À ce propos, remarquons que dans la pratique de l'Église
grecque n'existent pas les acathistes et les offices à telle ou telle
icône, comme cela est l'usage dans les Églises slaves, et spécia·
lement l'Église russe. De même, n'existent pas dans la pratique
grecque les bénédictions (consécrations) des icônes, des habits
liturgiques, des vases, des crucifix. Les rituels de ces consécra-
tions, bien que certains d'entre eux aient figuré dans quelques
éditions vénitiennes de l'Euchologion, ont disparu par la suite,
considérés comme une sorte d'innovation non conforme aux dé-
cisions du VIr Concile oecuménique. Cela ne signifie pas qu'une
telle bénédiction n'a pas lieu, mais qu'elle s'effectue dans l'acte
eucharistique et acquiert un caractère christologique. D'ailleurs.
le caractère christologique de toutes les expressions de la vie
chrétienne et de la foi était et reste comme le critère intérieur
de tout ce qui s'accomplit dans l'Église. C'est justement dans
268 AMFILOHIJE RADOVIC

la diversité des compréhensions possibles de ce critère chris tolo-


gique et de ses applications dans la vie liturgique qu'il faut cher-
cher la cause des tendances liturgiques contradictoires à l'inté-
rieur de l'Église grecque et des autres Églises, tendances qui
subsistent jusqu'à l'heure actuelle.

L'inquiétude liturgique dans l'Église grecque réapparait de


nOuveau dans la seconde moitié du siècle passé, liée au nom de
ApOSTOLOS MAKRAKIS. Ce dernier, estimant être en possession
d'une vocation prophétique, voulut réorganiser toute la vie du
peuple grec conformément à l'idéal évangélique; il accordait une
importance toute particulière à la prédication qui, à ce moment,
il faut le dire, était dans un état décadent. C'est pourquoi il fonda
une école qu'il appela ÉCOLE DU LOGOS et prêcha, partout, ras-
semblant autour de lui des milliers d'auditeurs. «Le offices
s'étaient allongés, selon MAKRAKIS, justement parce que la chaire
de prédication restait muette n. Sous son influence, apparait
toute une école de prédication qui, par la suite, reçoit une orga-
nisation structurée dans la confrérie de ZOE, à la tête de laquelle
apparait l'archimandrite EUSEBIOS MATHOPOULOS, élève de MAKRA-
KIS. L'accentuation de la prédication au détriment de l'office lui-
même fut dans l'Église la source d'une nouvelle possibilité d'ap-
proche de la vie liturgique. MAKRAKIS estimait possible toute abré-
viation et toute modification de l'office, compte tenu des cir-
constances. Une telle opinion, défendable en elle-même, prit dans
le cadre de ses conceptions générales, les formes d'un réel indi-
vidualisme religieux teinté de piétisme. Cet individualisme con-
tenait l'embryon de son attitude critique non seulement à l'égard
de l'Église de son temps, mais aussi à l'égard de la tradition
patristique. MAKRAKIS éditait un journal, rassemblait ses dis-
ciples dans des maisons privées, indépendamment des auto-
rités paroissiales et des évêques. Il prônait la communion fré-
quente, etc. Le Synode de l'Église grecque l'a condamné en 1878,
lui reprochant ses abréviations arbitraires de la liturgie eucha-
ristique, l'introduction de la confession commune, son mépris
du mystère de l'Eucharistie résultant de la communion fréquen-
te non précédée du jeûne de l'âme et du corps. Le Synode lui
reprocha tout particulièrement son anthropologie jugée erronée.
Sur certains points les accusations portées contre lui étaient exa-
j

gérées. Il reste vrai que son anthropologie était vraiment obscure


et déficiente. Cette déficience de son anthropologie se reflétait
RÉFORMES LITURGIQUES DANS L'ÉGLISE DE GRÈCE 269

dans ses conceptions théologiques et ecclésiologiques. Elle influen-


çait et compromettait la mise en pratique de ses idées et tout le
mouvement dont il était le promoteur.
Le mouvement de MAKRAKIS doit être considéré comme une
réaction causée par l'état déficient de l'actualité ecclésiale de
l'époque. MAKRAKIS devait réagir contre l'insuffisance de l'édu-
cation donnée par l'Université d'Athènes et d'autres organismes
officiels. Cette université, il l'appela rr",V01<0TlJcrr1jPLov (lieu d'enté-
nébrement total) et voulut organiser la vie du peuple sur la
base d'une « Christocratie ».
La mort de MAKRAKIS ne mit pas fin aux velléités des réfor-
mes liturgiques. La Confrérie des théologiens ZOE continua ses
efforts en vue d'un réveil religieux et d'un renouveau dans
l'éducation. Son fondateur, l'Archimandrite EUSEBIOS MATHOPOU-
LOS, qui avait vécu comme moine, devint ensuite le disciple de MA-
KRAKIS et fonda en 1907 la Confrérie en collaboration avec un
groupe de théologiens dont le célèbre professeur P. TREMBELAS.
Parallèlement à la Confrérie ZOE, d'autres confréries reli-
gieuses furent fondées, certaines sous l'influence de ZOE, d'autres
au contraire, comme par exemple SOTER, apparurent par suite
d'une rupture avec ZOE. L'influence de ZOE augmenta au temps
du successeur de MATHOPOULOS, l'archimandrite SERAPHIM PAPA-
COSTAS (décédé en 1954).
L'apparition de ces confréries et le renforcement progressif
de leur influence coïncida avec l'adoption du nouveau calendrier
grégorien en 1924, qui causa dans l'Église un véritable schisme
persistant jusqu'à nos jours; ce schisme suscita un grand trouble
parmi les croyants. Au Mont Athos, un seul monastère accepta
le nouveau calendrier.
L'introduction de ce calendrier se répercuta sur la vie li-
turgique dans la mesure où le cycle annuel des offices et les
carêmes étaient liés au calendrier julien et à la fête de Pâques.
Comme la fête de Pâques se célèbre, par respect des décisions
du Premier concile oecuménique, toujours selon l'ancien ca-
lendrier il peut arriver, comme il arriva cette année, que le
carême des Saints Apôtres Pierre et Paul soit rendu inexistant.
L'adoption du calendrier grégorien peut être considérée comme
une réforme liturgique officiellement sanctionnée mais intro-
duite sans préparation suffisante et d'une manière non conci-
liaire; cette adoption a créé au sein de l'Orthodoxie un problème
270 AMFILOHIJE RADOVIC

sérieux. Les conséquences de l'adoption du nouveau calendrier


peuvent être plus graves qu'il n'a pu sembler au début.
En ce qui concerne les confréries, on peut dire que sous leur
influence s'est accomplie et continue à s'accomplir dans la pra-
tique une certaine réforme liturgique. Tant que les membres de
ces fraternités s'abstenaient de devenir évêques, leur influence
se limitait à certains milieux ecclésiaux seulement. Mais au temps
de l'Archevêque HIERONYMOS (1967-1973) beaucoup d'anciens
membres de ZOE, parmi les plus actifs, furent élus évêques. C'est
alors que la réforme voulue par ZOE commença à être imposée
officiellement d'en-haut. Ce caractère officiel de la réforme se
manifeste dans le plan de réorganisation de l'Église de Grèce,
préparé par l'Archevêque HIERONYMOS. La nouvelle administra-
tion ecclésiale, qui remplaça dernièrement ceUe de l'Archevêque
HIERONYMOS, a arrêté le processus officiel de la réforme, mais
n'apporte pour l'instant aucune solution aux problèmes posés.
Nombreux sont ceux qui pensent, non sans raison, que la cause
du conflit qui divise actueUement la hiérarchie de l'Église de
Grèce, doit être recherchée, entre autres, dans le dédoublement
de la conscience ecclésiale, causé par l'activité des confréries,
pendant plus de 50 ans.
Nous n'énumérerons pas toutes les modifications apportées
aux offices par ces confréries religieuses. Elles ont des points
communs avec les aspirations liturgiques, telles qu'eUes appa-
raissent en Occident. Ce n'est pas un hasard si le professeur
TREMBELAS a écrit, en 1949, un ouvrage intitulé" Le mouvement
liturgique romain et la praxis de l'Orient », où il affirme que
tout ce que recherche l'Occident se trouve déjà dans la pratique
orientale. Néanmoins, TREMBELAS laisse entendre que cette pra-
xis orientale doit subir un renouveau.

Cette recherche du renouveau a de profondes racines. La


crise spirituelle de notre temps, l'éloignement des masses de
l'Église, et ceci surtout dans les villes, le changement de rythme
de la vie, l'influence très grande de la civilisation technique con-
temporaine, sont autant de facteurs qui donnent lieu à un cer-
tain trouble dans la vie du peuple et posent des problèmes qui
attendent leur solution.
Les confréries religieuses ont tenté précisément de résoudre
ces problèmes par un renouveau spirituel et moral du peuple
RÉFORMES LITURGIQUES DANS L'ÉGLISE DE GRÈCE 271

grec. Il faut reconnaître que cette tentative a été faite avec


beaucoup de labeur et grâce à de nombreux sacrifices, tels que
le travail de prédication, d'impression de livres et de périodiques,
de diffusion et d'étude de la Sainte Écriture, de catéchisation,
d'essais de rendre l'office divin plus accessible, de recherche de
contacts avec tous les milieux de la société, etc ...
Le fait même de l'adaptation de la vie ecclésiale aux nou-
velles conditions et, en particulier, la modification de la vie
liturgique, ne scandalisent pas l'homme d'église. La conscience
d'un orthodoxe réunit une fidélité profonde au typicon de la
prière et un sentiment de liberté radicale en ce qui concerne
l'ordo liturgique. C'est pourquoi la fidelité au typicon peut, à un
moment donné, être remplacée par une prière simple: "Seigneur
Jésus-Christ, Fils de Dieu, aie pitié de moi pécheur ". Aussi peut-
on affirmer que le typicon ne constitue pas en lui-même un but
en soi. Le but du typicon est l'offrande de l'être entier de l'hom-
me à Dieu. Le typicon qui ne serait pas orienté vers ce but
final serait, selon les Pères, comparable à un arbre qui ne por-
terait pas de fruit, et n'aurait ainsi aucun sens. Mais, pour la
conscience orthodoxe, cette liberté est une fin et non un com-
mencement. Le commencement est la crainte de Dieu, la fidélité
et l'humilité devant l'expérience catholique de l'Église qui s'est
exprimée le mieux dans la tradition liturgique de l'Église.
Quand la liberté devient le commencement, le principe ini-
tial, c'est-à-dire lorsqu'elle ne suit pas le chemin de croix, quand
elle n'est pas une liberté crucifiée, elle cesse d'être créatrice.
Au contraire, elle détruit, par son arbitraire et son manque
d'expérience, l'organisme vivant de l'Église et sa véritable tradi-
tion spirituelle. C'est précisément une telle liberté qui scanda-
lise, en suscitant la méfiance envers les réformes liturgiques,
autant en Occident qu'en Orient. Le résultat d'une telle liberté
est ou bien une simple restauration archéologique du passé, ou
bien un individualisme religieux et un piétisme qui n'a rien de
commun avec le véritable éthos de l'Église. La liturgie cesse
alors d'être "",,<,pst,,,. un culte à Dieu et devient un "divertisse-
ment" théâtral de l'homme et de ses émotions, et, en fin de
compte, une course perpétuelle pour rattraper le monde toujours
changeant. La "",,<,pst,,,. qui appartient à Dieu seul devient un
culte du monde et de l'homme.
272 AMFlLOHIJE RADQVIC

***
Le désir de plaire aux hommes et à leurs" besoins» est l'idée
fondamentale qui a guidé les réformateurs grecs, qu'ils en soient
conscients ou non. Chez ces réformateurs, le but de l'office di-
vin est d'éveiller l'émotion religieuse. Pour cette raison, il doit
être organisé de telle façon à répondre à ce but. C'est ainsi
qu'on l'a appelé ouvertement" art théâtral », dont la fin est de
donner naissance à une certaine condition psychologique. Un tel
point de vue se reflète encore dans la conception de l'église, de
l'iconostase, dans la façon de célébrer, dans le rôle et le genre
de la musique liturgique.
Le principal danger que renferme une telle conception est
le danger du subjectivisme religieux, qui se reflète dans la chris-
tologie et dans l'ecclésiologie. Il est vrai que les fondateurs de
la confrérie ZOE ont renoncé aux erreurs dogmatiques de MAKRA-
KlS, mais le résultat ne fut malheureusement pas l'approfondis-
sement de la tradition ecclésiale catholique; ce fut au contraire
la séparation de la vie pratique ecclésiale, de son enseignement
dogmatique, ou, plus exactement, le moralisme superficiel ca-
ractérisant l'homme psychique, qui ne peut voir la profondeur
de la vie spirituelle. Bien que l'affirmation selon laquelle ZOE
n'est rien d'autre que {( l'activisme jésuite uni au piétisme pro-
testant », est quelque peu caricaturale, elle n'est cependant pas
dénuée de fondement. La compréhension moraliste du sacrement
de la Pénitence et de l'Eucharistie, une sorte de minimalisme et
d'indifférence dogmatiques, une tendance à séparer le Christ
" évangélique» de le Mère de Dieu et des Saints, et la tenta-
tive de remplacer le monachisme classique par elles-mêmes et
de substituer à la piété de l'Église leur propre piété, tout ceci
donne un sceau particulier à l'oeuvre des confréries religieuses
en Grèce. Naturellement, les confréries restent dans le sein de
l'Église, et ne renoncent pas consciemment à son enseignement.
Toutefois, il est difficile de nier que leur conception de l'office
divin ainsi que de toute la vie de l'Église est une sorte d'ap-
pauvrissement et d'altération dans la pratique de la plénitude
théandrique de la vérité et de la vie de l'Église. La " nouveauté»
de leurs réformes engendre la crainte, ne serait-ce que sub-
consciente, devant le monde et non pas le sentiment de victoire
sur le monde. L'office divin devient alors en réalité un service
devant le monde et devant le temps, et il cesse d'être un service
RÉFORMES LITURGIQUES DANS L'ÉGLISE DE GIÙlCE 273

de la pénitence et de la joie divine, qui naissent de la rencontre


réelle de l'homme avec Dieu et qui a pour but la transfigura-
tion du monde et du temps. Cela signifie que ce dont l':Ëglise
doit guérir et se libérer devient partie organique de l'office di-
vin. Du reste, c'est le sort de toutes les réformes ecclésiales qui
commencèrent et commencent encore par une adaptation exté-
rieure, et non par une humilité intérieure existentielle devant
Dieu et son :Ëglise et par la pénitence. En fin de compte, tous
ces changements restent au niveau psychologico-social, c'est-à-
dire au domaine de l'homme psychique qui ne reçoit pas ce qui
est de l'Esprit de Dieu (1 Cor. 2,14). Les réformes de cette sorte
peuvent, à un moment donné, sembler utiles, mais lorsque les
conditions extérieures de vie changent, ces réformes sont la
source de nouveaux troubles historiques, précisément parce que
leur critère fondamental est le temps et non l'éternité.

Les forces spirituelles qui apparaissent de nos jours dans


1':Ëglise de Grèce et qui sont souvent passées par la tentation
piétiste des confréries religieuses, mais qui sont simultanément
venues en contact avec une tradition ecclésiale plus profonde,
montrent qu'elles ont compris les dangers que renferment les
réformes de ce type. Ne fermant pas les yeux devant les problè-
mes qui existent et bénéficiant de l'expérience amère des confré-
ries religieuses, ces nouvelles forces spirituelles aspirent, par le
retour à l'Athos et à la Tradition patristique, à donner à la re-
cherche religieuse de notre temps un caractère authentiquement
ecclésial. Ces nouvelles forces s'expriment par le renouveau de
l'iconographie, par le retour au monachisme athonite, par l'inté-
rêt profond envers la théologie patristique et par la recherche
du renouveau de la paroisse comme corps eucharistique vivant.
Ainsi, elles deviennent les porteurs de l'espoir de libération du
piétisme des confréries réligieuses ainsi que de l'authentique
renouveau de la vie liturgique dans l':Ëglise de Grèce. Pour au-
tant qu'elles y réussissent, elles seront les successeurs organi-
ques du mouvement des Collybes du XVIII" siècle, dont nous
avons parlé au début de cet article, et, par ceci, porteurs de la
saine Tradition de l':Ëglise de Dieu.

Arcltim. AMFILOHIJE (RAooVIC)


LITURGIE ARMÉNIENNE ET LITURGIE HIÉROSOLYMITAINE

L'origine du rite armemen est entourée d'incertitudes, com-


me l'est aussi l'histoire des débuts du christianisme en Arménie.
Jusque vers 405, date de la découverte de l'alphabet arménien '.
" la liturgie de l'Église et les lectures de l'Écriture se faisaient
en langue syriaque dans les couvents et les églises du peuple
arménien », affirme l'historien arménien Lazare de P'arp '. Quel-
le était alors la physionomie de cette liturgie? En l'absence de
tout document, il est impossible de le préciser. On peut cepen-
dant conjecturer que les évangélisateurs, des Syriens venus du
Sud, importèrent avec eux leurs rites dans les districts où ils
prêchèrent la foi chrétienne 3 • L'existence, dans les plus anciens
écrits arméniens relatifs à l'introduction de la foi en Arménie,
de traditions syriennes aménagées concernant l'apostolat de
Thaddée - légende d'Abgar et d'Addaï - témoignent de la
présence et de l'action évangélisatrice des missionnaires venus
de Nisibe et d'Édesse 4.
À ce rayonnement de l'Église syrienne s'ajouta, postérieure-
ment, une influence grecque '. L'Église d'Arménie en effet était
liée à celle de Césarée de Cappadoce: c'est là que Grégoire l'I1Iu-
minateur reçut l'ordination épiscopale en 314 vraisemblable-
ment', et qu'il en revint en compagnie, selon certains textes de
l'Agathange, de prêtres et de moines grecs '. Le rite arménien

lE. TER-MINASSIANTZ, De la date de l'invention de l'alphabet aïménien el


d'autres questions subsidiarires (en arménien), dans Banber Matenadarani 7
(1964). p. 2545.
2 LAZARE DE P'ARP, Histoire de l'Arménie, c. 10 (4~ éd.) (en arménien), Venise,
1933, p. 39.
3 Une activité apostolique en Arménie est attribuée, encore au Ive siècle,
à Jacques de Nisibe; voir P. KRUGER, Jakob von Nisibis in s)'rischer und
armenischer Vberlieferung, dans Le Muséon 81 (1968), p. 161-179.
1 E. TER-MINASSIANTZ, Die arrnenisc1w Kirche in ihren Beziehungen zu den
syrischen Kirchen bis zum Ende des 13 lahrhunderts nach den armenischen und
syrischen Quellen (Texte und Untersuchullgen, 11/4), Leipzig, 1904, p. 2-3.
M. VAN ESBROECK, Le roi Sanatrouk et l'apôtre Thaddée, dans Revue des Studes
Arméniennes. Nouvelle Série, IX (1972), p. 241-283.
5 TER-MINASSIANTZ, op. cil., p. 3-5.
6 P. ANANIAN, La consacrazione di s. Gregorio l'Illumina tore, dans Le Muséon
74 (1961), p. 43-73 et 317-360.
7 G. GARITIE, Documents pour l'étude du livre d'Agathange (Studi e Testi,
127), Città deI Vaticano, 1946, p. 95, n. 153.
276 CHARLES RENOUX

a-t-il été marqué, en quelques points, par cette subordination


de la hiérarchie arménienne vis-à-vis du siège de Césarée de
Cappadoce où, jusque vers le milieu du V' siècle 8, les suc-
cesseurs de Grégoire allèrent recevoir l'ordination épiscopale?
Cela paraît certain, si l'on pense, par exemple, à la présence
dans le corpus arménien des anaphores eucharistiques 8 d'une
liturgie de saint Basile dont, aux environs de 425, l'écrivain ar-
ménien Fauste de Byzance cite déjà quelques prières 10.
Les débuts du christianisme en Arménie et ceux de la vie
liturgique des communautés arméniennes ont été soumis, jusqu'au
début du V' siècle, semble-t-il, à une double influence s'exerçant
selon les régions: celle des Syriens au sud, et celle des Grecs à
l'ouest 11,

1. - LE « TYPICON » DE JÉRUSALEM EN ARMÉNIE

L'invention par le moine Mastoc', aux environs de 405, de


l'alphabet arménien ouvre une période à partir de laquelle l'in-
fluence liturgique de Jérusalem va devenir prédominante. Ces
années du début du V' siècle sont marquées en Arménie par
une intense activité de traductions, ainsi que nous l'apprennent
les historiens de cette époque: la Bible d'abord, puis un grand
nombre d'oeuvres des Pères syriens et grecs sont traduites en
arménien 12. C'est alors aussi qu'il faut placer l'adoption, parmi
les livres liturgiques arméniens, du typicon qui réglait le dérou-
lement de l'année liturgique dans les basiliques de Jérusalem.
Le dévolu ainsi jeté sur un livre liturgique de la communauté
de la Ville Sainte par les organisateurs du rite arménien répond
vraisemblablement à leur désir d'affirmer la personnalité de leur

6 Narratio de Rebus Armeniae, éd. G. GARITTE (Corpus Script. Christ. Or.


132), Louvain, 1952, p. 56-57.
9 CATERGIAN, Die Liturgien bei den Armenien. Fünfzehn Texte und Untersu-
chungen, herausgegeben von P.J. DASHIAN, Wien, 1897. Le texte de la vieille
anaphore arménienne de saint Basile, appelée anaphore de saint Grégoiœ
l'Illuminateur, se lit aux pages 120-159.
10 Voir A. RENOUX, L'anaphore armél1ienne de saint Grégoire l'Illuminateur,
dans Eucharisties d'Orient et d'Occident, t. II (Lex Orandi, t. 47), Paris, 1970,
p. 83-108_
Il Voir TER-MIN,\SSIANTZ, op. cit., p. 1-10.
l~ KORIWN, Patmut'iwn varuc' s. Mastoc'i (Texte und Untersuchungen der
altarmenische Literatur, Band 1, Hett 1), herausgegeben von P. Nersès AKINIAN
(2' éd.), Wien, 1952, p_ 41.
LITURGIE ARMÉNIENNE ET LITURGIE HIÉROSOLYMITAlNE 277

peuple et de leur Église, en se démarquant des usages des Églises


environnantes, syriennes ou grecques. Emprunter à Jérusalem,
c'était aussi se tourner vers l'Église, mère de toutes Églises, dont
le rayonnement était alors très grand, grâce aux nombreux pèle-
rins qui la visitaient et aIL" colonies de moines de toutes les
nations qui s'y étaient fixés. Le rite arménien allait être marqué
à tout jamais, comme nous le verrons, par la traduction de ce
typicon.
Il est important, en raison de la physionomie acquise par
le rite arménien grâce à ce livre, de bien situer la date de sa
traduction en arménien. Si elle ne peut être antérieure à 417,
puisque Jean de Jérusalem, mort cette année-là, figure parmi les
saints et les personnages dont le typicon prévoit la commémo-
raison, elle ne saurait être cependant postérieure à 438. A partir
de 439, la liturgie de la Ville Sainte fait appel à de nouveaux
lieux de culte, dûs à la générosité de l'impératrice Eudocie, dont
le Martyrium de Saint-Étienne, et elle s'enrichit aussi de nom-
breux anniversaires de dédicaces et de nouvelles commémorai-
sons ". Or le typicon hagiopolite traduit en arménien au début
du V' siècle, sur la base duquel ont été établis le calendrier des
fêtes et le corpus des lectures scripturaires de la liturgie armé-
nienne, ignore ces développements festifs. C'est à l'évêque Sahak,
mort en 438 et regardé par les historiens arméniens comme le
premier organisateur de la liturgie arménienne, qu'il faut vrai-
semblablement attribuer le choix du typicon hagiopolite, fon-
dement sur lequel allait s'élever une grande partie de l'édifice
du rite arménien ". L'appel fait aux usages de Jérusalem, pour
se dégager à la fois de la dépendance syrienne et grecque, donna
à la liturgie arménienne les structures hiérosolymitaines qu'elle
n'a jamais perdues depuis.
Avant d'analyser cette dépendance, très sommairement car
il est impossible ici de descendre dans tous les détails, il faut
s'arrêter un instant au livre qui en est la source. Le typicon ha-

13 Voir les nombreux autres arguments que nous avons développés dans
Le codex arménien Jérusalem 121, t. 1 et 2 (Patrologia Orientalis, t. 35. 1 et 36,2),
Turnhout, 1969-1971. p. 169-181 et 166-172.
14 L'historien LAURE DE P'ARP nous dit encore que sous Je pontificat de
Sahak la liturgie acquit un nouvel éclat (Histoù"e de l'Arménie, c. 11 [4e éd.],
Venise, 1933, p. 47-53). C'est à Sahak que les traditions arméniennes attribuent
les premières réalisations dans le domaine liturgique (voir A. RENOUX, Isaac
Le Grand [saint]. 438, dans DictiOlmaire de Spiritualité, tome 7, fase. 50-51,
Paris, 1971, col. 2007-2010).
278 CHARLES RENOUX

giopolite, connu sous le nom de vieux Lectionnaire arménien en


raison de la langue dans laquelle il a été conservé, est construit
sur le modèle des typica grecs anciens: pour chaque fête du
Seigneur ou d'un saint, il indique le lieu où se tiendra l'assemblée
liturgique, les psaumes et les lectures qui y seront chantés et
lues. Il diffère cependant du typicon byzantin en ce qu'il com-
prend le texte intégral des péricopes de l'Ancien et du Nouveau
Testament qui seront utilisées à la liturgie et à l'office du soir
durant la période du carême. Somme toute, c'est à la fois un
typicon et un lectionnaire, le livre liturgique que les Arméniens
appellent le casoc'.
Traduit en arménien une première fois dans les années 417-
438, mais à partir de modèles grecs différents, ce livre a sans
cesse été recopié au cours des siècles suivants. Il est ainsi, pour
l'année liturgique, le meilleur témoin de l'évolution du rite ar·
ménien, car à la couche ancienne reçue de Jérusalem s'ajoutent
des périodes liturgiques et des fêtes nouvelles, avec leurs textes
propres. Mais jusqu'au XIV' siècle, le fonds hiérosolymitain, et
en particulier les rubriques stationnales prévoyant la litur-
gie dans telle ou telle église de Jérusalem, subsisteront sans
grandes modifications dans de nombreux témoins manuscrits.

II. - L'ANNÉE LITURGIQUE

Le cycle liturgique arménien actuel est divisé en huit gran·


des périodes: les temps de l'Épiphanie ", du Carême ", de Pâ·
ques, de la Pentecôte ", de la Transfiguration ", de l'Assomption
de la Vierge ", de l'Exaltation de la Croix 20, et enfin de l'Avent ".
Cet ensemble de temps liturgiques et les fêtes qui s'y insèrent
ne proviennent pas entièrement de Jérusalem; quand le typicon
hagiopolite fut adopté en Arménie au V' siècle, dans aucun rite
l'année liturgique ne connaissait encore de pareils développe.
ments. Cependant il faut noter d'abord que comme dans le
typicon de Jérusalem, l'année liturgique arménienne commence

15 Le nombre de semaines varie selon la date de Pâques.


ta Six semaines auxquelles s'ajoute la Grande semaine.
11 Sept semaines.

16 Jamais plus de sept semaines.


ID Jamais plus de quatre semaines.
20 Il peut comprendre jusqu'à dix semaines.
21 Lex six semaines qui précèdent la fête de l'Ëpiphanie.
LITURGIE ARMÉNIENNE ET LITURGIE HIÉROSOLYMITAlNE 279

avec l'Epiphanie qui est suivie d'une octave ". Puis le carême
arménien comprend toujours six semaines, complétées par la
grande semaine qui fournit l'appoint des jours nécessaires pour
atteindre à peu près le nombre de quarante jours de jeûne,
celui-ci excluant les samedis et les dimanches. La cinquantaine
pascale, et surtout les célébrations quotidiennes de la semaine
de Pâques sont restées, nous allons le voir, telles qu'elles étaient
célébrées à Jérusalem. Les périodes suivantes, celles de la Pen-
tecôte, de la Transfiguration, de l'Assomption et de l'Avent, ne
proviennent pas certes de la liturgie de la Ville Sainte; par contre
l'octave qui suit encore la fête de la Croix (le dimanche 14
septembre ou le dimanche le plus proche du 14 septembre) est
l'héritière directe d'une tradition que, grâce à l'Itinerarium Ege-
riae, nous savons avoir existée à Jérusalem dès le V' siècle ".
La dépendance est plus sensible pour le calendrier des fêtes
de saints. Si nous prenons les plus anciens livres liturgiques con·
nus du rite arménien, une dizaine de casoc' (typicon-lectionnaire)
dont les premiers remontent au XI"-XII' siècle ", nous y trou-
vons un sanctoral encore peu développé. A côté de quelques
fêtes arméniennes ou de provenance grecque - Théodore le
Stratélate, Grégoire l'Illuminateur, le Vardavar (la Transfigu-
ration) - la partie la plus abondante du sanctoral est consti-
tuée de commémoraisons qui figurent dans le typicon de Jé·
rusalem:
Pierre l'Apsélamos Le prophète Isaïe
Antoine Les Maccabées
L'empereur Théodose La Théotokos
Les Quarante martyrs L'apôtre Thomas
Cyrille de Jérusalem La dédicace
Jean de JéTIlsalem Philippe
Le prophète Jérémie André
L'apparition de la Croix Jacques et David
Les SS. Innocents Paul et Pierre
L'empereur Constantin Jacques et Jean
Le prophète Zacharie :Ë.tienne
L'Arche d'Alliance

:!2 Les comparaisons que nous faisons dans la suite de cet article sont
basées sur le document hagiopolite que nous avons publié (cf. note 13) et le
Tonac'oyc' en vigueur actuellement dans l'~glise Grégorienne.
23 A. RENDUX, La croix dans le rite arménien. Histoire et symbolisme, dans
Melto. Recherches Orientales 5 (1969), p. 123-175 (p. 125-126).
24 Voir la liste de quelques-uns de ces textes dans A. RENOUX, Le Codex
arménien Jérusalem 121, t. 1, p. 31. Cette liste cependant n'est pas complète
et sera modifiée dans l'édition que nous préparons.
280 CHARLES RENaUX

Ces fêtes se retrouvent dans tous les livres liturgiques posté-


rieurs et figurent encore actuellement dans le calendrier armé-
nien 25. Quelques-unes qui n'ont aucune raison d'avoir été intro-
duites dans l'~glise arménienne, la commémoraison de Pierre
l'Apsélamos et des empereurs Constantin et Théodose par exem-
ple ", témoignent encore de l'enracinement hagiopolite du sancto-
raI de l'~glise arménienne.

III. - LA LITURGIE QUOTIDIENNE

La dépendance est encore plus évidente lorsque l'on prend


connaissance des textes, psaumes, antiennes et lectures de l'An-
cien et du Nouveau Testament, utilisés actuellement dans le
rite annénien.

1. Le plan.
Pour pouvoir juger de cette dépendance, il faut d'abord
examiner le plan d'une célébration quotidienne, dans les limites
où la règle le Tonac'oyc', le typicon arménien actuel. Pour la
liturgie eucharistique d'un jour normal par exemple, le Tonae'-
oye' indique le psaume du début de la célébration, les lectures
de l'Ancien et du Nouveau Testament, le psaume-alléluia et la
péricope évangélique; aucune indication ne figure sur le dérou-
lement du reste de la liturgie. C'est exactement de la même
façon que le typieon hagiopolite du V' siècle prévoit les textes
de la célébration; on le verra par l'exemple suivant du troisième
jour après l'~piphanie:

Typicon hagiopolite Tonac'oyc'


Psaume 2. Antienne: Le Psaume 2. Antienne: Le
Seigneur m'a dit: Tu Seigneur m'a dit: Tu
es mon Fils ... es mon Fils ...

Z5 Voir N. NILLES, Kalendarium Manuale utriu.sque Ecclesiae Oriel1talis et


Occidentalis, t. II, Oeniponte, 1897, p. 553-630.
:zs La mémoire des deux empereurs fut insérée dans le calendrier de Jéru-
salem en raison, sans doute, des constructions d'églises et des nombreux dons
qu'ils firent à la Ville Sainte. C'est la raison première pour laquelle les
Arméniens fêtent Théodose. Les motifs historiques qu'invoque F. NÈVE, L'Arménie
Chrétienne et sa littérature, Louvain, 1896, p. 177-191 (attentions de l'empereur
pour la nation arménienne et ses évêques) n'auraient pas suffi vraisemblable-
ment à provoquer une commémoraison, alors qu'il n'yen avait pas encore
pour le roi d'Arménie, Tiridate.
LITURGIE ARMÉNIENNE ET LITURGIE HIÉROSOLYMITAINE 281

Lecture de la lettre de Lecture de la lettre de


l'apôtre Paul aux Hébreux: l'apôtre Paul aux Hébreux:
Hébr. 1,1-12 Hébr. 1,1-12
Alléluia, Psaume 109 Alléluia: 0 précurseur,
Jean-Baptiste ...
1!vangile selon Matthieu: :e.vangile selon Matthieu:
Mt. 2,13-23 Mt. 2,13-23

Pour la semaine de l'Epiphanie, pour le carême, pour le


temps pascal, et pour toutes les fêtes du Christ et des saints
de la liturgie hiérosolymitaine conservées dans la liturgie armé-
nienne, le Tonac'oyc' reproduit ainsi fidèlement l'ordre de la
célébration reçue de la Ville Sainte. Pour les périodes liturgi-
ques organisées en Arménie, postérieurement à l'adoption du ty-
picon hagiopolite - c'est-à-dire les semaines qui suivent la Pen-
tecôte, la Transfiguration, l'Assomption, l'Exaltation de la Croix
et celles qui précèdent l'Epiphanie - les textes seront choisis
et indiqués de la même façon.

2. Les textes.
La dépendance du rite armemen par rapport à la liturgie
en vigueur dans la Ville Sainte au V' siècle apparaît avant tout,
et massivement, au plan des textes_
Il serait fastidieux de relever toutes les relations existant
entre le rite hiérosolymitain ancien et le rite arménien actuel;
disons seulement que la plupart des psaumes, des antiennes, et
des péricopes de l'Ancien et du Nouveau Testament du typicon
hagiopolite se retrouvent dans le Tonac'oyc' arménien actueL
Voici par exemple le tableau des textes de l'un et l'autre rite
pour la liturgie eucharistique de la semaine de l'Epiphanie:
Typicon hagiopolite 27 T onac'oye' arménien 2S

2e jour: Psaume 5 Psaume 5


Actes 6,8-8,2 Actes 6,8-8,2"
Tite 2,11-15
Alléluia: Ps. 20 Alléluia: affermi par l'Esprit Saint 30
Jean 12,24-26 Jean 12,24-26

Z7 A. RENOUX, Le Codex Jérusalem 121, t. 2, p. 216·224.


28 TOl1.ac'oyc', Jérusalem, 1915. p. 10-13.
29 Le rite arménien a gardé la lecture du martyre d'Étienne qui se justifiait
à Jérusalem au v e siècle, car ce jour-là la célébration se déroulait au Martyrium
de saint :Ëtienne. Les Psaumes 5 et 20 rappellent aussi le protomartyr.
30 Texte non-scripturaire.
282 CHARLES RENOUX

3e jour: Psaume 2 Psaume 2


Hébreux 1,1·12 Hébreux 1,1-12
Alléluia: Ps. 109 Alléluia: 0 précurseur, Jean-Bap-
tiste ... 31
Matthieu 2,13·23 Matthieu 2,13·23

4e jour: Psaume 109 Psaume 109


Galates 4,1·7 Galates 4,1·7
Alléluia: Ps. 131 Alléluia: Réjouis - toi, comblée de
joie ... 32
Luc 1,26-38 Luc 1,26·38

se jour: Psaume 98 Psaume 98


Hébreux 12,18·27 Hébreux 12,18·27
Alléluia: Ps. 14 Alléluia: Toi, petit-enfant ... sa
Luc 1,39·56 Luc 1,39·56

6" jour: Psaume 29 Psaume 29 34


1 Thessaloniciens 4,13-18 1 Thessaloniciens 4,13-18
Alléluia: Ps. 39 Alléluia: Ps. 39
Jean 11,1-46 Jean 11,1-46

7 jour: Psaume 95
C
Psaume 95
Romains 1,1·7 Romains 1,1-7
Alléluia: Ps. 71 Alléluia: Ps. 109
Luc 2,1·7 Luc 2,1·7

8" jour: Psaume 97 Psaume 97


Colossiens 2,8·15 Colossiens 2,S-15
Alléluia: Ps. 84 Alléluia: Réjouis - toi, comblée de
joie ...
Luc 2,21 Luc 2,21.

Les différences sont peu nombreuses, on le voit. Il en va


de même dans les autres périodes pour lesquelles la compa·
raison peut être instituée entre typicon hiérosolymitain et To·
nac'oyc' arménien. Nous l'avons fait ailleurs pour le temps du
carême et celui de Pâques 25: pour ces deux périodes, qui sont

31 Id.
saLue 128
33 Luc 1:70:
J4Le rite arménien a gardé le psaume que justifiait à Jérusalem, au Vc
siècle, la station au Lazarium, église élevée sur le tombeau de Lazare retiré de
la mort. Le choix du Psaume 39 pour l'Alléluia et des deux lectures s'explique
de la même façon. Le caractère local, hiérosolymitain, apparaît ainsi fréquem-
ment dans les célébrations de l'année liturgique.
35 A. RENOUX, Les lectures du temps pascal dans la tradition arménienne,
et Les lectures quadragésimales du rite arménien, dans Revue des Studes
Arméniennes. Nouvelle Série, t. IV (1967), p. 63-79, et t. V (1968), p. 231-247.
LITURGIE ARMÉNIENNE ET LITURGIE HIÉROSOLYMITAINE 283

les plus anciennes de l'année liturgique, le rite arménien n'a


rien innové. Les mercredis et vendredis des semaines de carême
et chacun des jours de la deuxième semaine de carême et de la
grande semaine, psaumes et lectures dont se servait la COmmu-
nauté de Jérusalem dans sa liturgie au V' siècle se retrouvent
sans changement dans le rite arménien actuel.

3. Les textes des stations.

Le respect de l'héritage hiérosolymitain a donc été poussé


très loin. La liturgie de la Ville Sainte, où dès le IV siècle se
trouvaient de nombreux pèlerins venus prier et visiter les lieux
saints, possédait un caractère local très marqué. Chaque jour
ou presque l'assemblée se tenait dans un lieu différent, en fonc-
tion duquel souvent les textes étaient choisis. Pour les célébra-
tions de l'Épiphanie, de la Grande Semaine, de Pâques, du di-
manche octave de Pâques et du jour de la Pentecôte, le carac-
tère commémoratif de cette liturgie était encore plus accentué.
Le typicon hagiopolite prévoit en effet de longues processions,
coupées de stations dans les divers lieux évoquant le souvenir
de la naissance ou des derniers jours de la vie du Christ. Des
psaumes et des lectures adaptés au lieu et à l'événement salvi-
fique qui s'y était déroulé, meublaient ces arrêts. Jusqu'au XVI"
siècle, de nombreux Tonac'oyc' arméniens reproduiront fidèle-
ment ces prescriptions stationnales. Puis dans les siècles sui-
vants, ces indications disparaissent des livres liturgiques, mais
les psaumes et les lectures qui accompagnaient ces offices sta-
tionnaux sont bloqués ensemble et s'agrègent, dans la plupart
des cas, à l'office du soir. Le Tonac'oyc' arménien actuel est
l'héritier de cette évolution: l'office du soir des dimanches de
Pâques et de la Pentecôte conserve encore, mêlés à un ensemble
de textes ajoutés plus tardivement, les psaumes et les lectures
qui constituaient les offices stationnaux de caractère commé-
moratif dans la Jérusalem des IV' et V' siècles.

4. Les fêtes de saints.

La célébration des fêtes de saints reçues de Jérusalem et


conservées dans le rite arménien témoigne de la même fidélité.
L'examen des textes des trois premières commémoraisons de
284 CHARLES RENOUX

l'année liturgique communes aux deux rites permet de le vé-


rifier:

Typicon hagiopolite 36 Tonac'oyc' arménien 31

Pierre l'Apsélamos (11 janvier): Pierre d'Alexandrie et le diacre Abi-


solam 38:
Psaume 105 Psaume 131
Romains 8,28-39 Proverbes 5,1-8
Actes du martyre Baruch 3,31-4,4
Romains 8,28-39
Alléluia: Ps. 104 Alléluia: Ps. 131.9
Matthieu 10,16-22 Jean 10,11-16

Antoine, ermite (17 janvier):


Psaume 115 Psaume 123
Hébreux II,32-40 Proverbes 21,16-24
Isaïe 19.19-21
Hébreux 11,32-40
Alléluia: Ps. 114 Alléluia: Ps. Bienheureux ceux
qui ...
Matthieu 10,37-42 Matthieu 10,37-42

L'empereur Théodose (19 janvier): Théodose et les enfants d'~phèse:


Psaume 131 Psaume 20
1 Timothée 2,1-7 Proverbes 6,2-10
Isaïe 2,1-7
Alléluia: Ps.20 Alléluia: Ps. 20
Luc 7,1-10 Luc 7,1-10.

Le canon de ces trois fêtes a été développé, en particulier


par l'addition de lectures nouvelles afin d'atteindre le nombre
de trois, mais les textes anciens reçus de Jérusalem ont été con-
servés. Il n'est pas nécessaire de s'attarder sur ce point; l'exa-
men du contenu de vingt autres célébrations provenant de Jéru-
salem montrerait la même chose ". Disons, pour faire bref et
pour prendre une juste mesure de l'influence de la liturgie hagio-

38 A. RENOUX, Le Codex Jérusalem 12i, t. 2, p. 224-229.


31 Tonac'oyc', Jérusalem. 1915, p. 17-18.
38 La fête du martyr palestinien a été transfonnée en celle de Pierre,
évêque d'Alexandrie (voir, le Codex Jérusalem 12i, t. l, p. 189-192).
39 Nous l'avons fait pour les fêtes de l'E,piphanie (Revue des Studes Armé-
l1.lennes. Nouvelle Série 2 [1965], p. 343-359), pour le Triduum Pascal (id. 7
[19701. p. 55-122); pOur les fêtes de la Croix (Mello. Recherches Orientales, 5
[19691. p. 123-175), pour la Pentecôte (Studien Zllr armenisc1zen Geschichte, t. 12,
Wien, 1973).
LITURGIE ARMÉNIENNE ET LITURGIE HIÉROSOLYMITAINE 285

polite sur le rite arménien, que la totalité, à quelques exceptions


près, des textes utilisés dans la Jérusalem du V' siècle se trou-
vent encore dans la liturgie arménienne actuelle.

5. L'Office divin.
Le typicon hagiopolite reçu de Jérusalem ne contenait au-
cune indication concernant l'Office divin, sauf pour quelques
jours: l'Épiphanie, la Grande semaine, Pâques, Pentecôte. Pour
ces fêtes, la structure actuelle de l'office arménien est restée
fondamentalement, mis à part quelques ajouts postérieurs, ce
qu'elle était dans le typicon de Jérusalem. Dans la nuit du jeudi
au vendredi saint par exemple, la liturgie arménienne fait tou-
jours appel aux mêmes psaumes, groupés trois par trois et in-
troduits par les mêmes antiennes 40. Les organisateurs du rite
arménien ont eu, dans le cours des siècles, à développer consi-
dérablement cette partie de leur liturgie; ils l'ont fait toujours
en respectant ce qu'ils avaient reçu de la Ville Sainte.
Dans deux autres domaines touchant à l'office divin, celui
de l'homilétique et celui de l'hymmodie, s'est aussi fait sentir
l'influence du typicon hagiopolite. Dans les plus anciens homé-
liaires que nous avons pu examiner, vg. les manuscrits Paris
110, 115, 116-118, Venise 228, on constate que la disposition des
lectures tirées des oeuvres des Pères suit pas à pas l'ordre des
fêtes du Tonac'oyc'. De même pour l'hymnaire, il est signifi-
catif, nous semble-t-il, que l'on y trouve des canons pour les
fêtes de Cyrille et de Jean de Jérusalem, des XL Martyrs, de
Lazare, etc ... autant de fêtes qui répondent à l'ordonnance du
typicon hagiopolite, et dont on ne s'expliquerait pas la présence
dans les premiers hymnaires connus. Il faut constater aussi que
le contenu de ces canons et hymnes s'accorde aux thèmes et
aux faits évoqués dans les lectures bibliques prévues par le ty-
picon hagiopolite; ceci est particulièrement sensible pour la gran-
de semaine ". L'élaboration de ces deux livres liturgiques, homé-
liaire et hymnaire, paraît bien s'être faite sur le plan du typicon
reçu de Jérusalem.

40 A. RENOUX, Le Triduurn Pascal dans le rite arméllien el les hymnes de la


Grande Semaine, dans Revue des I!tudes Arméniennes. Nouvelle Série, 7 (1970),
p. 55-57.
41 Ibid., p. 70..72.
286 CHARLES RENOUX

L'influence de l'Église de Jérusalem sur l'Église d'Armé-


nie par le canal de la liturgie, et en tout premier lieu par l'adop-
tion du typicon hagiopolite, est certaine ". Cette dépendance, qui
se manifeste toujours dans une portion notable de la liturgie ar-
ménienne actuelle, est certes intéressante pour l'histoire du rite
hiérosolymitain ancien. Mais sur le plan pastoral, elle a cepen-
dant des inconvénients auxquels il n'a pas été remédié, lorsque
le rite arménien s'est développé. Il faut d'abord constater un
manque d'unité dans l'organisation du système des lectures
scripturaires. En carême par exemple, on lira, les mercredis et
vendredis, les péricopes d'Ancien Testament (Exode, Job, Isaïe,
etc ... ) héritées du rite hiérosolymitain, et les autres jours de la
semaine des textes empruntés soit à l'Ancien soit au Nouveau
Testament qui n'ont aucun lien avec le fonds ancien des lec-
tures. En deuxième lieu, il faut signaler le manque d'adaptation
de certains éléments (psaumes, antiennes, lectures) qui avaient
été choisis en raison des églises ou des lieux dans lesquels la
communauté hiérosolymitaine tenait son assemblée liturgique ".
Il faut encore noter la complexité de l'ensemble liturgique de
certains jours (vg. la grande semaine, Pâques, le dimanche octave
de Pâques, la Pentecôte). Il était impossible en effet, en Arménie,
de reproduire le déroulement de la liturgie stationnale hagiopo-
lite; il a donc fallu mettre à la suite les uns des autres des textes
(psaumes, lectures) qu'on voulait conserver.
Ces imperfections sont la rançon du désir qu'ont eu les
créateurs du rite arménien et leurs successeurs de se tourner
vers Jérusalem, et de rester fidèles à l'héritage reçu de la Ville
Sainte. Cette relation s'est vécue d'ailleurs, en d'autres domai-
nes que celui de la liturgie. Il faudrait en effet faire état de
tout ce que la théologie et la catéchèse arménienne doivent, par
exemple, à Cyrille de Jérusalem. L'auteur de la Catéchèse insérée

42 Nous n'avons envisagé ici que les seules manifestations de l'influence de


Jérusalem pouvant être rattachées à l'entrée du typicon hagiopolite dans le rite
arménien. Pour être complet, d'autres relations, dont l'origine ne nous est pas
connue, devraient être étudiées. La dépendance de l'office du dimanche matin
par rapport à la vigile cathédrale de Jérusalem (J. MATEOS, La vigile cathédrale
chez Egérie, dans OrientaIia Christiana Periodica 27 [19611. p. 281-312) a-t-elle
sa source dans le typicon hagiopolite? Les rites arméniens du catéchuménat
ont-ils une origine hiérosolymitaine (M. LAGES, The Hierosolymitain Origin of
the Catechetical Rites in the Armenian Liturgy, dans Didascalia 1 [1971J,
p. 233·250)?
43 Voir notes 29, 34.
LITURGIE ARMÉNIENNE ET LITURGIE HIÉROSOLYMITAINE 287

dans l'Agathange, histoire de la conversion de l'Arménie", cite


constamment les Catéchèses du grand évêque de la Ville Sain-
te ". Le Commentaire de Job d'Hésychius de Jérusalem, traduit
en arménien 46, sera repris constamment dans les chaînes patris-
tiques d'auteurs tardifs, comme Jean Vanagan (1200·1250) et
Vardan Aréveltsi (1200-1270). D'autres Pères arméniens se réfè-
reront aussi, pour justifier leur foi et fonder les usages de leur
Église, à Cyrille de Jérusalem et aux coutumes de la Ville Sain-
te 47. Au cours des polémiques concernant la célébration, uni-
que ou distincte, de la naissance et du baptême du Christ, les
Arméniens se défendront en invoquant leur fidélité à l'usage
hérité de Jérusalem d'une unique fête, et en prendront argu·
ment pour récuser la théologie chalcédonienne des deux na·
tures ": célébrer deux fêtes, Noël visant la naissance humaine
et l'Épiphanie la naissance divine, c'est rompre l'unité de la Per-
sonne Divine du Fils de Dieu.
Ces liens liturgiques avec Jérusalem ont·ils provoqué dans
le peuple arménien une dévotion et un attachement marqués
vis à vis de la Ville Sainte? Cela n'apparaît pas dans les écrits
des théologiens ou des spirituels arméniens, ni même dans
l'Hymnaire qui possède pourtant un canon pour Cyrille de Jéru-
salem, un autre pour Jean de Jérusalem, et un troisième, en
septembre, pour l'anniversaire de la dédicace des lieux saints,
le 13 septembre 335 49 • Mais en revanche, les Arméniens, comme
les autres peuples chrétiens, ont eu une véritable attirance pour
le pèlerinage à la sainte cité de Jérusalem, ainsi que l'appellent
les historiens, et dès le V· siècle on y trouve de nombreux cou-
vents de moines 50. L'existence, au moins depuis le VII" siècle,

(( Histoire d'Agathange, c. 23-98; éd. de Venise, 1930, p. 191·533 (en arménien).


45 Voir R.-W. THOMSON, The Teaching of Saint Gregory. An early Armenian
Catechism (Harvard Armenian Texts and Studies, 3), Cambridge. Massachussets,
1970. p. 200.
48 Hé;YCHIUS DE JÉRUSALEM, Commentaire de Job, édité par K. C'RAK'EAN,
Venise, 1913.
41 THOMSON, op. cif., p. 32·34.
t8 Voir les textes édités par K. MKRTC'EAN dans la revue Ararat, 1896, p. 49-52,
et F.-C. CONYBEARE, Dialogus de Christi die nataH, dans Zeitschrift für die
Neutestamentliche Wissenschaft und die KWlde des Urchristentums 5 (1904),
p. 327·334.
4iI Hymnaire Arménien, éd. de Venise, 1907, p. 134-138, 152-156 et 443-447.
00 A.-K, SANDJIAN, The Armenian Communities il1 Syria under Ottomal1 Do-
minion (Harvard Middle Eastern Studies, 10), Cambridge, Massachussets, 1965,
p. 3·5, 95·225.
288 CHARLES RENOUX

d'un épiscopat arménien à Jérusalem, témoigne de l'importance


de la communauté arménienne dans la Ville Sainte et aussi du
prestige qu'a toujours eu pour les Arméniens la Mère de toutes
les Églises.

Charles RENOUX
LITURGIE AMBROSIENNE: AMALGAME Hn~ROGÈNE
OU «SPECIFICUM .. INFLUENT?
FLUX,REFLUX, INFLUENCES

Insérer un rapport sur la liturgie ambrosienne dans cette


vingt-deuxième Semaine d'études liturgiques, c'est avoir la pos-
sibilité uniquement de tracer un tableau sommaire des problè-
mes qui regardent la liturgie ambrosienne, en rapport avec les
autres liturgies.
En effet se proposer de mettre en évidence les rapports
et les relations, les influx réciproques et les interdépendances,
les liens et les contaminations entre la liturgie propre aux églises
locales gravitant autour de la Métropole de Milan, et les litur-
gies des autres Métropoles, en particulier celles des « sedes prin-
cipales» ou « sedes principes» n'est pas tâche facile, spéciale-
ment quand - par la nature des sujets de la Semaine - on ne
doit pas se mettre à distinguer les époques ou les échanges et
influx dont on veut parler: par exemple, s'il s'agit du type uni-
quement liturgico-célébratif, du type rituel, du type eucholo-
gique, etc.
Pour pouvoir tracer un arc complet des problématiques et
des rapports concrets existant entre la liturgie ambrosienne et
les autres liturgies, notamment celle romaine, nous ferons -
pour commencer - quelques petites précisions terminologiques,
puis nous tracerons les problèmes connexes à l'étiologie de la
liturgie ambrosienne, les principales étapes de l'orthogenèse de
pureté liturgique ambrosienne en rassemblant les concrets flux
et reflux existant dans l'assemblage de la liturgie ambrosienne,
ainsi que les plus significatifs influx. Nous concluerons notre ex-
posé avec certaines observations ùlterprétatives des données et
avec les lois les plus saillantes qui se vérifient dans l'échange et
rechange au sein de la liturgie ambrosienne.

I. QUELQUES PRÉCISIONS TERMINOLOGIQUES

a) Justement pour réduire un peu les limites de notre ex-


posé, nOUS rappelons que nous traiterons uniquement de la litur-
290 ACHILLE M. TRIACCA

gie aJl1brosiel1ne et non pas du rite ambrosien Par rite mnbro l, M

sien on entend l'ensemble d'usages et normes cultuelles, juri-


diques, administratives propres aux églises locales gravitant au-
tour de l'Eglise Métropolitaine de Milan_ Nous ne voulons donc
pas parler des influx et échanges qu'une église locale peut avoir
eu avec d'autres quant aux faits qui ont donné la possibilité
de créer des formes de vie et d'expressions ecclésiales néces-
saires pour une existence différenciée des autres églises. Ainsi
le terme" rite» finirait par désigner la communauté locale elle-
même x y z. qui jouit d'autonomies juridico-ecclésiales typiques.
Nous devrions en effet distinguer diverses étapes à travers les-
queUes le rite ambrosien s'est formé dans l'Occident chrétien.
Une de ces étapes est étroitement liée à l'existence et à l'activité
des écoles euchologiques qui formulent les prières pour la litur-
gie locale'.
Par liturgie ambrosienne nous entendons donc, dans ce con-
texte, l'ensemble du dépôt euchologique spécifique aux églises lo-
cales gravitant autour de la Métropole de Milan. Dans ce sens la
liturgie ambrosienne est une des manifestations du rite ambro-
sien. Ceci revient à dire que notre exposé veut attirer son atten-
tion de façon prédominante sur les échanges et les influx de
la liturgie ambrosienne, sans considérer comment cela s'est vé-
rifié dans le rite ambrosien.
La liturgie ambrosienne signifié déjà: créativité originale,
compositions euchologiques, compilation progressive, formulai-
res divers pour des occasions déterminées.
Ceci présuppose la présence d'auteurs dotés d'une certaine
originalité de pensée et d'habilité expressive. Cela postule qu'il
existe une relative continuité entre les divers auteurs ou du
moins entre les différentes écoles euchologiques. Cela signifie
en plus que d'un stade - dans un certain sens informel -
s'ajoute l'étape de la codification propremente dite, la mise en-
semble des parties codifiées en plus amples recueils.

1 Sans vouloir créer des confusions, notre terminologie demande des appro·
fondissements ultérieurs. Toutefois on sait que rit désigne unt:: famille liturgique,
par opposition à une autre (p. ex. le rit romain, le rit gallican; le rir ambro-
sien, etc.) (cfr. C. VOCEL, flllmduclzOIl al!X sOI/l'ces de l'histoire dll Cldle chretiell
Url mo.vell âge [Spoleto 1966] 101). On comprend mieux notre spécification.
c.-à.·d., dans le rite ambrosien il v a le rit alllbmsicn.
2 Cfl'. notre cours monographique chez le «Pontificium Institutum Liturgi-

cum (S. Anselmo - Roma)>> sur: Le coordillate per la determiuClzivne delle


SCllole liturgico·ellcologic1/e lLell'Occidenle cristiuno (5·20.5.1966).
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 291

Mais la formation de la liturgie ambrosienne dit encore que


cela se faisait en concomitance avec une nécessité pastorale du
peuple de Dieu, qui finissait par consentir et agréer une telle
créativité liturgique qui en s'adjoignant aux autres coordonnées
donnait vie au rite ambrosien, c'est~à~dire à une autonomie ecclé~
siale dans l'unique Eglise du Christ '.
n est donc naturel que même dans l'étroite acception de
liturgie ambrosienne, dont nous avons parlé tout à l'heure, nous
ne pourrons pas nous mettre à rapporter toutes les preuves des
témoignages qui intéressent notre résumé, mais - étant donnée
la nature de notre exposé - quelquefois nous ferons brèves allu-
sions et nous citerons dans les notes les études des «probati
auctores » d'accord avec nos affirmations.

b) En outre nous parlerons de la liturgie ambrosienne con-


sidérée dans sa globalité, tandis que une étude approfondie sur
le thème qui a été proposé, mériterait toutes les parties de la
liturgie ambrosienne: liturgie eucharistique, liturgie des autres
sacrements, liturgie de l'office divin, de ce qu'on appelle sacra-
1nentaux, etc ...
En se différenciant, l'investigation deviendrait plus claire et
pourrait se faire plus profonde et profitable.
Vu que notre exposé n'est pas {( super-spécialistique », mais
seulement « spécialistique» et dans un certain sens introductif
à la problématique polyédrique qu'on devra analyser et étudier
dans un autre siège, nOliS nous arrêterons sur les données de
faits généraux et génériques.

c) Pour éviter toute équivoque, la diversité d'adjectifs que


nous emploirons - comme nous l'avons dejà rappelé dans notre
exposé de l'année dernière 4 - est très simple mais très im-
portante.

3 Cfr. aussi pour une tractation plus diffuse sur un argument parallèle au
nôtre: J. PTXEI.L, La litllrgia hispdl1ica. Valo/' documentai de .ms textos para la
llistoria de la teologia, in: Repertorio de Historia de las Ciencias Eclesidsticas
en EspatÎa 2, s. IV-XVI (Salamanca 19ï1) 29-68; TDBI, Andnll1csis y Epiclesi~·
('/1 el allliquo rira Galica/lO, in: Diriaskalia 4 (1974), Extraclo: (Lisboa 1974)
3-130 spécialement 2-14.
~ Cfr. A.M. TRIA.en, Le rite de 1'« impositio II1Qlnll/m slIper illfirmum»
clans l'ancienne litllrgie ambrosienne, in: La maladie et la morI du chrétien dans
la liturgie (Roma 1975) 339-360; spécialement 339-342.
292 ACHILLE M. TRIACCA

On parle ainsi de liturgie ambrosienne ou de liturgie mi-


lanaise. Faisons d'abord la nette distinction entre « ambrosien»
et "santambrosien". Ce deuxième adjéctif implique une rela-
tion à l'évêque Saint Ambroise 5, Au contraire « ambrosien»
s'applique à la liturgie qui, de façon réelle ou simplement nor-
male, s'inspire de la liturgie de saint Ambroise. Le mot "am-
brosien " concerne toute la sphère qui gravite autour de Milan,
siège épiscopal d'Ambroise, et autour des territoires limitrophes
ou satellites de la métropole lombarde.
Au sein même de la liturgie ambrosienne, de nouvelles
distinctions s'imposent - après les travaux récents, dont les
nôtres - selon les nuances propres que la liturgie ambrosienne
assume dans les divers centres cultuels et culturels. C'est ainsi
que l'on peut parler d'ambrosien-milanais, ou simplement mila-
nais, à propos de la liturgie en usage dans la métropole de Milan
et en particulier dans l'église cathédrale ': il s'agit là d'une litur-
gie légèrement retouchée et améliorée par rapport à celle qui
était en usage dans les paroisses ou les centres ruraux \ ou
dans d'autres centres voisins de la métropole soumis à son in-
fluence.

0; Quant à la bibliographie concernant la production liturgique de Saint


Ambroise, 11 vient de paraître la bibliographie santambrosicnne à propos du
Centenaire de la Consécration :Ëpiscopale (374-1974) où il y a aussi la section
liturgique de la production sant ambrosienne. Cfr. A. STETER, Unlers. über die
Echtheit der Hymncn des Ambrosius (Frankfurt 1903); G. DEL TON, Gli Inni di
S. Ambrogio (Milano 1940); G. GHEDI1\I, L'il1l101ogia ambrvsiana (Milan 0, 1940);
G. L\ZZAT1, S. Ambrogio nel XVI celltenario (MHano 1940) 307-320 (= Hymnes);
A. PAREOl, ivi, 69-157 (= La liturgia di S. Ambrogio); pour la question sur De
Sacramefltis cfl'. Bibi. dans: B. ALTAi\:EI~ Patrologia (Torino6 1968) 398. Aussi
E. MO:.!E'fA CAGLIO, S. Ambrogio e l'ufficialura, in: Ambrosius (1940) 113-127.
G Par exemple, la liturgie milanaise trouve une source dans le sacramentaire
d'Ariberfo. Cfr. A. P,\REDI (ed.), Il Sacramentario di Ariberto. Bdizimw dei ms.
D. 3.2. della Bib/io/eca de! Capitola Metropolilano di MilmlO, dans: Miscellanea
Adrianu Eemareggi = Monumenta Bergomcnsia 1 (Bergamo 1958) 329-488. Cfr.
pour 1" bibliogr. K. GAMBER, Co(lices Liturgici Lalini Antiquiures = Spicilegii
Fdburgensis Subsidia 1 (Freiburg, in S. Z1968) n. 530 (= CLLA 530). Ansi on peut
voir aussi le Sacramentaire de « San SimpliciallO »: crr. CLLA 510; récemment
..!dité par J. FREI (ed.), Das ambrosianische Sakramenlar D 3-3 aus dem
muiUilidiscl1el1 Metropolitankapitel. Ein texckritische wui redaktionsgeschic111liche
Ul1terstlc1umg der mailiindischel1 Sakramel1la,.tradilioll = Corpus Ambrosiano-
Liturgicum III (Münster W. 1974).
"i Voir le Sacrarnentaire de Vellegollo (= CLLA 517) c.-à.-d.: Monza, Bi-
blioteca deI Duorno, Ms F 2-102 (CXXVII); le Sacramellfaire de Eedero (cfr.
R. AMIET, La tradition manuscrite du Missel Ambrosien, in: SC"iplorillln 14
[1960J 36 n. 14) c.à.d.: Milano, Bibliotcca Ambrosiana, Ms. A 24 inf; le Sacra-
meil/aire de Annio (= CLL.4 518) c.à.d.: Milano, Bibliotcca dcl Capitolo Metro-
politano di Milano, Ms. D. 3.1; le Sacramentaire de « Santa Maria di Velate)
(= CLLA 1290) c.à.d.: Monza, Bibliotcca Capitolare cod. D 11103 (CXXXIX); cfr.
aussi les notes n. 88-93.
LA LTT. AMBROSIENNE ET LES AllTRES LITURGIES 293

On peut alors parler d'ambrosien de Bergamo', d'ambrasien


de Ticino', d'ambrasiel1 de Novara ", d'ambrosien de Verce/li ",
etc. selon les nuances propres à ces divers centres dont des té·
moignages sont parvenus jusqu'à nous 12, Comme de l'autre côté
on peut parler d'ambrosien-bénédictin en relation avec les con-
taminations des moines bénédictins citées dans certaines sour-
ces 13, d'mnbrosien-r01nai71, etc ...
Il n'y a donc personne qui ne voie combien cela nécessite
une série d'études, jusqu'à présent inexistantes, qui mette au
clair où se trouve et quel soit l'ambrasiel1 pur et quel est l'ambro-
sien contarrziné.
Notons que lorsque nous ne spécifions pas, cela signifie que
nOus voulons parler de liturgie ambrosienne « sic et simpliciter »,

8 Cfr. le Sacrametltaire de Bergarnu (:::: CLLA 505). Cfr. A. P.-\RF.OI (ed.)


Sacramelltarium Berp,omellse. Manoscrillo del seco[o IX della Biblioteca di
S. Alessandro ili Colonna in Bergamu = Monumenta Bergomensia, VI (Ber-
gamo 1962). Ce sacramentaire fut employé «nella rcgione bergamasca; e pl'eci-
samente pressa la chiesa di Santa Maria in Campolongo» (A. PAREDI, O.C., VIII),
quoiqu'il fut «scritto a Milano, pel' una chiesa cattedrale, che, almcno in certi
giorni, segui\'a l'usa liturgico ambrosiano» (IBIDE~·I, X).
9 Il s'agit du Sacramentaire d(' Lodl"illU (== CLLA, 521) c.à.d.: Mitann, Bi-
blioteca Ambrosiana Ms. A 24 inf. (cfr. G.P. BOGNETfI, Il messale e il mm1l/ale
ambrasiano di Lodril1a e la loro origine milanese, in: Bollettino storico della
Sl,jzzera Italiana 14/1 (1949) 1-8). Son origin~: S. Stefano in Brolio (Mi1ano); du
Sacramentaire de Biasca (= CLLA 515) cfr. O. HEUUNG (cd.), Das ambrosiallisclze
Sakramc/"Itar von Biasca. Die Hmzdschrift Mailand Ambrosiana A 24 bis inf.
1. Teil: Text == Corpus Ambrosiano-Liturgicum II (Münster W. 1969).
10 Cfr. A.M. TRIACCA, Per una migliore ambief1taziane delle fonti liturgiche
ambrosiane sinassico"eucaristiche. Note Me/adologicl1e, in: Fons Vi vus. Miscel-
lanea liturgica in memoria di D011 Eusebio Maria Visl1lfll'a (Zürich 1971) 163·220,
"ad hoc)) 202-203. Cfl'. aussi G. COI.OMBO, J santi Gaude11ûo, Agabiu, Lorenzo
/lei Sacramelltario deI secolo Xl-XIJ Cod. 35 (LJV), della Bibliuteca Capi/olare
di S. Maria ill NOl'ara. Prublematica ed avviamelllu allo studio delle {ol1/i litl/"-
gica-agiografiche fino al .sec. XV (Estratto) (Novara 1974). spécialement 3844.
11 Cfr. A.M. TRT.-\CC.\, a.c., 201-202. Cfr. Le Sacramelltaire de VerceIli, Ms. della
Biblioleca Capitolarc (Tesoro della cattcdrale) Cod. CXXXVI (= CLLA 516). Cfr.
aussi CL LA 1685 (== psalteriwn breviariwn); CLLA 890, 1510-1515 (:= crJllectaria);
CL[/1 1028 (:= Comes).
12 Il ne sera pas inutile de rappeler les prompluaires des sources ambrosien-
nes (chronologiquement): L. DELISLE, Mémoires SHI' d'anciens sacramentaires,
clan~: Extrait des Mémoires de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lellres
XXX, 1 (Paris 1886) 198-208; A. EllNER, QI/clleu und ForsclllLl1Rel1 zur Geschichte
und Kllnstgeschicl1fe des Missale RO!11anum im Millelalter. Jter llaliclll"/1 (Frei-
burg i. BI'. 1896) 71-93. 110; H. LECLERCU, in: DACL XI, 1 1086-1097; E. BoultOllF.,
Etude sur les sacramentaires romains fJ. Les textes remw1iés. 2. Le Sacral1U!ll-
tire d'AdrÎen. Le SlIpplémel1t d'Alcltill c/ les grégorie/ls mixtes (Roma 1958)
424-436; K. GAMBER, Sakramentartvpen (Beuron 1958) 120-123; IOEl\I, CLLA 258-
286. (o.c. à la note 6); A. P>\RJ:DI, Messali Ambrosia/li Al1tichi, in: Ambrosius 35
(1959) Supp/CII1. n. 4 (1)-(25). A. A:\I 11'1", o.c. (à la note 7) 16-60.
13 POUl' les sources ambrosiennes-bénédictines, cfr. A.l\.1.. TRl.\CC\, O.C., 100-
128. Nous donnons la liste des monaslères de ta ville de Milan et extra·ville
avec les manuscrits liturgiques propres il chaque monastère; aussi voir avant
à la nole 93.
294 ACHILLE M. TRIACCA

Une fois faites ces spécifications terminologiques préalables,


qui nous servent aussi pour restreindre un peu le champ de
notre exposé, entrons « in medias res )} en progressant par degrés.

II. ÉTIOLOGIE DE LA LITURGIE AMBROSIENNE


ET PROBLÈMES CONNEXES

Pour comprendre les rapports entre liturgie ambrosienne et


les autres on doit tenir présent comme point de départ métho-
dologique du moins un triple problème: le problème des ori-
gines; le courant théologique dans lequel vient de se former la
liturgie ambrosienne; les contacts de divers genres avec d'autres
centres culturels et cultuels.

1. LE PROBLÈME DES ORIGINES DE LA LITURGIE AMBROSIENNE

Ce point nous intéresse pour découvrir ce qui à l'origine


première de la liturgie ambrosienne a influencé l'éventuelle pre-
mière formation du dépôt euchologique ambrosien. En d'autres
termes: quelles sont les sources possibles de la liturgie ambro-
sienne dans la première phase étiologique.
Sans entrer dans le fond des détails, citons les opinions
existantes qui sont dans leur ordre d'importance:

a) origine orientale: soutenue par exemple par Duchesne ",


par Lejay 15 et aussi par Cattaneo ". Ce dernier spécialiste a,
dans divers articles et exposés, touché le problème de la dépen-
dance du rite ambrosien de l'Orient en parlant entre autre des
chants ambrosiens 17;

14 CfI'. L. DVCHF.SNE, Origines du ctllte chretien. Elude st/r la hWI"!!.;/' latine


m1wl[ Charlemagne (Paris 1925) 89-123.
15 Cfr. P. LEJ,\Y, Ambrosien (Rite), in: Dictio11naire d'Arclléolugie chrétielll1e
et de Liturgie l (1907) 1379 SS.
15 efr. E. C.nTANEo, Storia e parlicolarità dei rila ambrosimw, in: Storia di
Milano, 3 (Milano 1954) 761-837, spécialement 764; IDEM, Rita ambrosiww (' lilUrgia
oriemale, in: BORELLA-C.'\'TTA~Eo-VILL..I., Questioni e bibliografia ambrosiane =
Archivio Ambrosiano 2 (Milano 1950) 19-42. Cfr. aussi Ambrosius (1949) 138-161.
17 Cfl". IlJEM, 1 canti della frazioile e comul1iol1e neila litt/rgia wllbn.J5ialla, in:
Miscellunea lilurgica in 1tO/wrem l.. Ctmiberti Mohlberg 2 (Roma 1949) 147-174;
IOEM, L'« intillctio" nella lirurgia al1lbrosÎana, in: Ephemerides liIurgicae 54
(1940) 182·205; clc.
LA LIT. A\lBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 295

b) origine romaine: soutenue par Probst, Ceriani, Magi-


stretti, Cagin, Magani, Cabrol, Batiffol, Jungmann ".
Quant à l'évaluation de ces opinions on doit convenir que
ces origines ont raison toutes deux, en tant qu'elles sont et
peuvent être documentées irréfutablement par des données pré-
sentes dans la liturgie ambrosienne en son noyau primordial
provenant aussi bien de l'Orient que de Rome.
Une donnée est au contraire plus que certaine: l'étiologie
de la liturgie ambrosienne n'a rien à voir avec la liturgie gal-
licane.
Il faudrait donc cesser de compter la liturgie ambrosienne
parmi la liturgie gallicane. C'est erreur de perspective grande
comme celle de vouloir compter parmi la liturgie ambrosienne
la liturgie gallicane.
Qu'il suffise d'avoir mentionné la question des origines,
question qui en partie est résolue et d'autre part se meut en-
core dans la ligne d'hypothèse de travail. Que cette mention
serve au moins à faire soupçonner la présence dans les péri~
copes euchologiques d'éventuelles provenances de tonalités extra-
occidentales ou de toute façon extra-ambrosiennes. Qu'elle serve
également à saisir l'existence de différentes influences qui, fon-
dues avec les souvenirs survivants de romanité~ambrosienne, don~
neront à la liturgie ambrosienne les particularités qui la distin-
guèrent dans la liturgie de l'Eglise Universelle.

2. LE COURANT THÉOLOGIQUE DA:-IS LEQUEL VIENT DE SE FORMER LA


LITURGIE AMBROSIENNE

Les particularités de la liturgie ambrosienne ne doivent pas


être recherchées uniquement dans une problématique du type
extrinsèque, comme d'autre part les influx sur la liturgie am-
brosienne il serait absurde de les rechercher seulement dans les
faits de conctats au niveau purelnent casuel.
On doit se demander à juste titre si parmi les sources am-
brosiennes et extra~an1brosiennes existe ou pas une différence
au point de vue de contenu théologique.
Dans ce sens on comprend la nécessité d'avoir sous les yeux
les idées théologiques dans lesquelles la formation de la Htur-

19 Cfr. la synthèse que nous donne sur cette question P. BORELLA, Il rito
ambrosiano (Brescia 1964) 39-42.
296 ACHILLE M. TRIACCA
~~~--~~~--~~-

gie ambrosienne s'est mise en marche et dont elle a pris inspi-


ration pour les textes euchologiques.
Nous les mentionnons brièvement dans l'ordre chronologi-
que et aussi d'importance soit pour la durée soit pour l'expansion
géographique soit encore pour les articulations et les implica-
tions. Pour un exposé plus ample nous renvoyons à une de nos
études précédents JO.

a) Avant tout la matrice profonde dans laquelle la litur-


gie ambrosienne sJenracine est l'antiarianisme. En fait dans sa
source (IV-V' siècle), dans son dévéloppement (VI-VII' siècle),
dans sa stabilisation (VIII-IX' siècle) la liturgie ambrosienne a
toujours dû lutter contre l'arianisme pur (IV-V' siècle), contre
l'arianisme germanique (VI-VII' siècle), contre les épigones de
l'arianisme (VIII-IX' siècle).
C'est donc très important même pour la position du problè-
me des influx de la liturgie ambrosienne, et en général pour
l'étude des sources liturgiques, tenir présent que à son arrivée
même dans la vallée du Pô Colombanus devra lutter contre l'aria-
nisme comme cela a été attesté par son biographe Jonas ".
L'arianisme présent dans les territoires où on utilisait de façon
indiscutable le rite ambrosien, étant prouvé par Bognetti que les
circonscriptions ecclésiastiques, qui au VI-VII' siècle étaient
liées à la juridiction de Rome, avaient sans doute abandonné
le rite ambrosien et collatéralement gravitent dans le cercle de
la résistence à l'arianisme 21.
Toutefois au VIIr siècle encore on a des réactions offi-
cielles contre l'hérésie comme vient de le témoigner un sermon
contre les ariens 22 composé par Natale, évêque de Milan au
temps de Liutprando (712-744). C'est seulement à la moitié du

19 Cfr. A.M. TRHCCA, COl1troversie e coordinate teologiche nell'amhiellfc mi·


lal1ese, in: Im::M, Pey lma migliorc ... , a.c., à la note 10, pp. 178·190.
zo Cfr. JONAS, Vilae Columbal1Î abbatis discipulorwnque eius lib ri duv, lib. l,
30, in: MGR Scriplorum rerum merol'ingicarwn IV, 106. ( ... Italiam ingreditur
uhi ab AgiluIfo Longobardorum rege han orifice receplus est. Qui largita optionc
ut intra Italiam, quocumque in 10co voluissel, ]labitaret, ibi Dei consultum
cst, dum il1e paenes Mediolanum urbem morarctul', ut hcreseOl'um fraudes, id
est Arianae perfidiae, scripturarum cauterio discerpi ac desecari vcllet. contra
quos etiam libelli florenti scientia edidit)) (= PL 87. 1043·1044).
21 Cfr. G.P. BOGNETTI. i\tlilmw 1011gvbardd, in: Sivria di Milw1U 2 (Milano
1954). 55·299, sptkiaJernent 180·182.
12 Cfr. Breviariunl .4I1lbrusianl/m pars II (Mcdiolani 1857) 478 (13.5): "ingenii
sui vim cliam scriptis declal'adt, quac advcrslls Calholicac fidci hostes edidit ».
LA LIT, AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 297

VIIr siècle que l'arianisme germanique cessa en pratique d'exis-


ter dans les plus grands centres habités et collatéralement le
peuple de Dieu est officiellement et généralement gouverné par
un clergé orthodoxe ". Dans tous les cas soit que le dépôt eucho-
logique ambrosien ait été rédigé dans la première rédaction au
IV-V' siècle, soit dans la seconde rédaction au VI-VII' siècle,
soit qu'il ait été revu et retouché, et quand bien même que le
rédacteur des IX-X" siècles (troisième rédaction) se soit inspiré
à la première rédaction, il ne pourra que refléter cette odeur
d'antiarianisme et par conséquent de Christocentrisme typique
justement à la liturgie ambrosienne.
Naturellement cette vision constitue également un élément
méthodologique très important pour comprendre en partie un
certain isolationisme de la liturgie ambrosienne à l'égard de la
liturgje romaine et en même temps pour comprendre comment
les influx de la liturgie ambrosienne puissent être davantage
documentés sur les régions de l'Occident chrétien et liturgique
où il existait un problème analogue de pureté de la foi comme
cela est arrivé dans le milieu hispano-visigothique et dans le midi
de la France.
Le pourcentage d'éléments christocentriques et antihéréti-
ques finira par apparaître comme filon conducteur même dans
les rédactions manifestement carolingiennes de l'euchologie am-
brosienne, comme nous l'avons déjà démontré par ailleurs ".

h) Sans entrer dans le fond des controverses christologi-


ques dont Ephèse (431) et Chalcédoine (451) sont témoins, et
qui intéressent aussi la liturgie ambrosienne, on doit faire men-
tion du Schisme Acacien (484-519) pendant lequel Milan s'est mon-
trée plusieurs fois sans condition solidaire avec le Pontife Ro-
main 25,
Mais dans l'affaire tricapitolil1e conjointement à la provin-
ce ecclésiastique d'Aquileia, même le siège de Milan finira par

:l3 Cfr. G.P. BOGNETTl, O.C., 197-198.


24 Cfr. A.M. TRHccA, Le prillc1pali redazioni nel prefaziale «De lempore» .
Le il1J1ovazioJ1i redaziunali deI prefaziale u De tempore» in rapporto al contcmllu
teologico, in: IDEM, 1 prcfazi ambrosiani dei cielo «De Tempore» secondo if
« Sacrame11larium Bergo111enSe », Avvia111ento ad uno studio critico·teologico
(Roma 1970) 78-95.
25 Cfr. G.P. BOGi\:ETTl. MUano sotto il regno dei Coti, in: Storia di MilwlO 2
(Milano 1954) 3-25; K. BlHLMEYER- H. TFECHLE, Storia della Chiesa 1 (Brescia 1957)
317·335.
298 ACHILLE M. TRIACCA

se séparer pour quelque temps de Rome. Les complications théo·


logiques et politiques de cette controverse, inexplicable surtout
dans sa localisation, voient l'évêque de Milan, Datius, mourir
dans l'orthodoxie, près du pape Vigilius, en Orient. Mais durant
Je pontificat de Sergius l (687·701) le dissentiment prendra sa
plus grande extension géographique et verra à Milan une suite
d'évêques adhérer au schisme, de l'évêque Vitalis (552-556) à
Laurentius (573-592) ".
Même s'il est vrai que les milanais avaient déjà commencé
en 570 à rentrer, un peu à la fois, dans la communion avec l'Égli-
se Romaine, on sait que seulement avec le retour à Milan en
649 des évêques dans l'orthodoxie, en exil à Genova, les affaires
iront pour le mieux. Bien plus, avec Jean le Bon à l'épiscopat
de Milan, on peut considérer comme finie la scission de Milan
avec Rome, mais pas celles des voisines Pavia et Monza, plus
directement liées aux événements politiques des lombardes et
qui auront fin seulement à partir de 670 et dans la suite ".
Une chose est certaine: que cette question théologique a
eu dans la composition euchologique ambrosienne une répercus-
sion plus directe, que n'a pu l'avoir eu dans l'origine des nou-
veaux patriarcats, comme ceux d'Aquileia et de Grado, et dans
l'origine du nouveau rite (c patriarchino }) 28.

c) Pour ce qui concerne les controverses christologiques


il rest très difficile d'affirmer combien le schisme acacien et la
réaction qui s'en est suivie ont influencé sur les compositions
euchologiques.
Il est hors de doute que les déviations christologiques avaient
créé des préoccupations pour l'orthodoxie. Qu'il suffise de pen-
ser à l'apprehension avec laquelle Columbanus s'adresse à Agrip-

Z6 Cfr. E. STEIN, CltrOllOlof!.ie des métropolitains schismatiques de A1ilml et


d'Aqttilée-Gradu, in: Zeitschrift fill' ScJ-l1vei;:,erische Kircltel1geschichte . Re1'u.e
d'Histoire Ecclésiastique Suisse 39 (1945) 126-136 (A la page 131 on lit pour
Mitan: 1. Vitalis 552-556; 2. Auxanus 556-559; 3. Honoratus 559-571; 4. Frontus
571-573; 5. Laurentius II 573-592).
~J Cfl', A.J. SCHUSTER, La scisma dei Tre CapitoN cd il rito patriarclthw a
MOllza, in: La Scuola Catlolica 71 (1943) 81-94.
28 Cfr. G.P. BOGNl.:ln S. Maria fm·is portas di Cusrelsepl"io e la Sroria religiosa

dei Longobardi, in: G. P. BOGNETTI - G. CHTF.RICl- A. DE C.\PIH:\I D'ARZ.-\GO, Santa


/vfaria di Castelseprio (Milano 1948), spécialement 25; P. P.-\SCHJ~I, S!oria deI
Friuli 2 voU. (Udine 21952-1954) (passim}; L. Q{T,\RINO, A(jllileia come ve.H:ova{o e
parriarcato, in: IOEM:, Il Battesimo Ilel rilo aquileiese (Udine 1967) 15-25; M. RI-
GIJETTI, MU/male di Storia Lilurgicll 1 (Milano 31964) 182-184.
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITuRGIES 299

pinus, évêque de Coma, et au pape Bonifacius IV au nom de la


vérité. Bien qu'il faille noter que les desseins principaux sont
contre l'arianisme, plus enraciné et nuisible que les autres con-
troverses qui pour les esprits occidentaux, llloins habitués aux
subtilités orientales, pouvaient sembler choses de peu d'impor-
tance.
Toutefois il peut être intéressant concernant la question du
monotélisme" de rappeler qu'en 680 Mansuetus, évêque de Mi-
lan, convoque un concile provincial qui avait pour objet égale-
ment cette controverse dogmatique. De Milan on expédia une
lettre à Constantin IV Pogonate en défense de la doctrine christo·
logique orthodoxe 30.
C'est un signe de lutte contre l'erreur, de vie intellectuelle
active" et vestige de la vitalité d'une église dans ses plus hautes
expressions de foi, parmi lesquelles on ne peut pas laisser de
côté la liturgie.

d) Pour la dispute de l'adoptionisme et ses influx sur la


liturgie ambrosienne qu'il suffise de rappeler combien commu-
nément il a été ressenti au sujet de la prédestination, suivant ce
que Jugmann a étudié et mis en évidence 32.

En conclusion: quant aux coups de " flash" sur le domaine


théologique mentionné tout à l'heure nous devons rappeler ceci:
(1) Cela n'est pas étonnant de trouver dans les composi-
tions euchologiques la réverbération des questions concernant la
Personne du Christ.
On comprend comment nécessairen1ent une riche considé-
ration se soit développée bien vite concernant l'Incarnation du
Verbe et sa Naissance Virginale; et par conséquent la Vénéra-
tion de la Vierge et Mère Marie; ce qui a été motivé par un
" Mutterboden" dans lequel la lutte christologique a duré plus
longtemps.

2~ Cfr. A.M. TR1ACC.\, V.C., à la note 10, pp. 18ï-188.


~o Cfr. PL 87, 1261 et aussi G.P. BOGNETTT, Milal1u LUl1gobarda in: Storia di AU-
Ialto 2 (Milano 1954) 417-419.
31 Cfr. A. BER~AREGGI, Stlldi sacri e scuole ecclesia5riche in Milmm, prillla dei
semil1ari, in: Humilitas, Miscelltmea StoriL'a dd Semil1ari milal1esi 5 (1929) 145-
154, spécialement 146.
32 C[r. D.A. Jl'NG"·i.~\:N, Eredità litl/rgica e altl/alità pas/orale (Roma 1962)
13-107. (Tmd. de l'a11. Liftlrgisc11eS Erbe 1I11d pastorale Gege!1lI'Grt [fnnsbruck
1960]).
300 ACHILLE M. TRIACCA

(II) La centralité du Christ assumera dans la suite des


nuances diverses jusqu'à mettre l'accent sur l'Humanité-Divine
du Christ, laquelle était dans sa vie terrestre-historique.
C'est-à-dire on passa d'une vision du Kyrios-Pantocrator au
Deus-Homo, à l'Homo-Deus, au Nobiscum-Deus; les passages
sont à leur tour autant de critères pour étudier la stratification
de l'euchologie ambrosienne, mais aussi pour saisir son {( spe-
cificum » et son éventuel influx sur les sources liturgiques extra-
ambrosiennes.
(III) Cependant on doit également reconnaître qu'une mé-
thodologie pareille n'a pas encore été appliquée, sinon en très pe-
tite partie, à l'euchologie occidentale. En conséquence les vrais
flux et reflux de la liturgie romaine et de la liturgie ambro-
sienne, comme pour d'autres liturgies, reste encore dans l'indé-
terminé et dans l'assertion-non-démontrée.

3. CONTACTS EXTRINSÈQUES AVEC n'AUTRES CENTRES CULTUELS

Nous voudrions ici rappeler les études déja précédemment


faites, dans le but de mettre en évidence les rapports cultuels
entre Milan et d'autres centres cultuels en fonction des compo-
sitions liturgiques. Citant dans les notes ci-dessous les divers
travaux, nous rappelons que les contacts suivants ont été mis
en évidence:

a) Entre Milan et l'Orient soit dans la période de la Proto-


rédaction (IV-V' siècle) soit dans celle de la Deutéro-rédaction
(VI-VII' siècle) ". En rapport tangentiel avec le milieu oriental
on doit tenir corn pte des contacts répétés entre Milan-euchologi-
que et Rave/ma'" spécialement dans la période de l'exil des évê-

33 En 1iynthèse \'oir: G. MERCATI, Al1tiche reliquie liturgiche ambrosia/le e


mn/aile (Roma 1902); A.J. Scm;sTER, Nutizie sulla liturgia ambrosiana, in: Storia
di Mila/zo 1 (Milano 1953) 448-450; E. CATI.o\NEO, Rita ambros;wlO e liturgia orien-
tale. in: BORLLL\-CATTA~EO-VILLA, Questioni e bibliugrafia ambrusiane (Milano
1950) 19-42; E. CAITANEO, Storia e particolarità dei rilo 11mbrosiaJlO, in: Storia di
Milano 2 (Milano 1954) 774-783; P. BORELL:\, II riw ambrosiano (Brescia 1964)
79-84. Cfr. aussi la note 17.
34 Cfr. P. BORELU, O.C., 84-85 a\·cc Bibliographie. Pour Aratore cl Parten.io
qui furent élevés à Milan et furenl ensuite à Ravcnna ct à Rome cfr. G. M.-\N . \-
COIID,\, Storia della scuola in ltalia Ilel Mcdioel'O l, 1 (Milano 1913) 8; A. BER~U­
REGGI, Sludi sacri e scuole ecclesillstiche in Milano, prima dei semil1uri, in:
Hwnilitas, V.C.} 3 (1929) 89.
LA LIT. A~ŒROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES
_--=:..c.c:: 301

ques orthodoxes à Genova, et aussi entre le zones limitrophes


de Milan avec Aquileia ".
b) Et même avec Verona, située entre Milan et Aquileia,
et grand « scriptorium liturgicum" de l'Antiquité Chrétienne; il
y a des témoignages de rapports avec Milan ".
c) On ne peut pas non plus passer sous silence les flux
et reflux qui existent à l'origine et à la formation de la liturgie
ambrosienne avec l'Afrique occidentale chrétienne".
Ausonius lui-même ne manque pas de rappeler les «facon-
da virorum ingenia" présents à Milan, peut-être faisant allu-
sion aux écoles de rhétorique.
A l'une d'elles fut envoyé le rhéteur Aurelius Augustinus,
par les soins du préfet Simmacus '".
Verecundus 39 enseigna assisté de Mebridius '". Il ne faut pas
non plus oublier que Adeodatus est présent, fils d'Augustinus,
qui, éduqué a Milan, retournera ensuite en Afrique ", et Alipius
le futur évêque de Tagaste 42.
Et la liste peut continuer parce que sont aussi présents
avec Augustinus, Navigius, Licentius, Trigerius, Lastidianus et
Rusticus ~~, Pontianus «civis Afer» 4-4, un autre Mebridius 45 et
Evodius 46.
Une vraie colonie africaine et par dessus constituée par des
personnes cultivées qui enseignent et qui viennent dans la ville
nourricière de Milan pour s'instruire 47.

3~ CfI'. P. BORELLA, V.C., 8S-Si; A. CALDERINI, Rapporti ifa Milano cd Aquileia


dt/rallie j secoli IV e V d. C., in: Studi Aquileiesi (Aquilcia 1953) 487-397. Pour
la documentation des relations avec Milan et la zone de Aquileia cfr. aussi.
A.M. TRIACCA, Pel' una miglivre ... , a.c., 192-194; E. CATIANEO, Santi milanesi ad
Aqllileia e swüi aquileiesi a Milano, in: Aquileia e Milano (Udine 19ï3) 235·248;
AA.VV., Aquileia e Milano :::: Antichità Altoadriatiche, IV (Udine 1973).
36 Cfr. P.L. ZOVATIO, Arte paleocristiana a Verona. 1. Il Cristianesimo il
Verona, in: Verona e il suo territorio (Verona 1940).
~1 Cfr. A.M. TIHACCA, o.c., 194.
38 Cfr. A. ACGUSTINUS, Confessionum libri tredecim S, 13,3, in: CSEL 33,
109·110.
39lbi 9, 3, S, in: CSEL 33, 199·20l.
~o Ib/ 9, 6, 14, in: CSEL 33. 181.
~l Ibi, 9, 6, 14, in: CSEL 33, 207.
~~ Cfr. A. AH;l'STIN"VS, Epistula 37, S, in: CSEL 34, 100.
43 Cfr. IDEM, De Beata Vita, liber l, 6, in CSEL 63. 93.

H IDEM, Conf. 8, 6, 14, in: CSEL 33, 181.


~~ lbi, 6, 10, 17, in: CSEL 33. 131·137.
tG lbi, 9, 8, 18, in: CSEL 33, 210.
~1 A. CAUlERINI. Milano durante il Basso Medioevo in: Storia di Milano l
(Milano 1953) 411.
302 ACHIL LE 1'\'1. TRIACCA

C'est plus que naturel d'entrevoir dans ces contacts cultu-


rels, et même dans ces échanges authentiques, une masse d'influx
qui marqueront sur la diversification euchologique, comme cela
sera démontré lorsqu'on étudiera à fond - par exemple - la
série d'oraisons psalmiques africaines en relation avec les priè-
res ambrosiennes.
d) On ne devra pas passer sous silence l'influx avec l'Es--
pagne 4", A Inesure que les recherches récentes avancent, on con-
state que l'hypothèse d'" Ambrosianisch-Symptons » dans la litur-
gie hispano-visigothe est plus qu'une hypothèse, de plus en plus
démontrée et prouvée '". D'autre part, par exemple, on ne devra
pas oublier qu'un certain Laurianus qui sort des écoles mila-
naises aUx temps d'Ennodius, baptisé à Milan et inscrit au clergé
milanais, nous le retrouvons comme évêque de Séville dans la
première moitié du VI" siècle, où il meurt comme martyr 50,
Il n'y a personne qui ne puisse comprendre combien la
nouvelle digne de foi, au dire de Bernareggi ", est importante
pour le monde euchologique occidental.
e) Sans doute les contacts-échanges plus féconds sont liés
aux influx d'au delà des Alpes qu'on peut cataloguer et distin-
guer en deux centres d'intérêt: celui lié aux Scoths et celui de
la réforme carolingienne. Surtout celle liée aux moines est im-
portant et comptera deux grandes vagues.
La première vague est liée à l'évangélisation de la part des
Scoths avec Columbanus et ses compagnons au VII' siècle ;'.

~H
Cfr. A.M. TRIACCA, D.C., 194-195.
Cfr. passim les travaux inédits pour le doctorat en Théologie liturgique
49
auprès du Pontlficium Institulum Liturgicum (S. Anselmo) de J. GIBERT T..\.RRUEL,
Festll111 Resurrectiunis. Esludi de les Lee/ures bibliques i dels Cal1Ls de la
lill/rgia de la Paratûa de la lvIissa hispdnica durant la Cinquantena Pasqual
(Roma 1975) 131-135; 202-203; G. R.-\.MIS MIGLEL, Los nlisterias de pasioll, L'omo
ubieto de la antlrmœsis en los lextos de la misa del rilo hisP';l1ico. Esludiu
biblicu-leol6gico l (Roma 1975) 54-58; 70-73; 81-82.
:;0 Cfl'. Breviariwll Ambrosial1wn Paris II (Mediolani 1857) 492: {{ Laurianum,
c paire impium natum, ab ultima Pannonia Mediolanum profectum, domi
exccPti, Fidc instlilXit, baptizavit, literis erudivH, Diaconuffi fccit: qui deinceps
Ecclcsiac Hispalensis Episcopus Sanctitatis laude floruit >J •
.n A. BERN.-\.REGGl, o.c., 89.
52 CEl'. B. BISCHOFl', Il mOl'lachesimo irlandese /lei suai rapporti col cUl1lù1el1le,
in: Il mOJ1achesil1lo nell'Alto Medioevo e la fornzaziolle della civiltà occidentale
(Spoleto 1957) 121-138; P. RTCHE, L'il1structioH des Laïcs CIl Gaule mérovingienne
au VIl~ siècle in: Carattel'i deI secolo VII in Occjdellte (Spoleto 1958) 873-888;
G. CREM·\SCHl, Gl/ida allo Slt/dio dei latino medioevale (Padova 1959) 21-34; ~L
MOlIRRE, Saint Colomban el ses moines irlandais lénwil1s de l'absolu all miliell
de l'Ellrope barbare, in: IllEM, Histoire vivante des moines des Pères du désert
il Cluny 1 tParis 1965) 220-250; etc.
LA LIT. A.\1BROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 303

Ce n'est pas du tout inopportun de faire mention sur le


fait que, dans l'hypothèse thématique théologique, spécialement
dans la lingne antiarienne, sera présent un échange non seulement
entre ambrosien et production gravitant sur la sphère de Bob-
bio, mais également entre la zone milanaise et la zone bretonne
avec deux attentions sur ces flux et reflux. Avant /Out les Scoths
sans doute trouvaient dans la ville de Milan, et aux alentours,
une vie liturgique sinon florissante et non pas tout à fait or-
thodoxe, mais du moins specifique. Et puis on doit noter que,
si les éléments antiariens sont présents dans la production eu-
chologique attribuable à ces moines (= liturgie bobbiese), de
tels éléments sont rangés sans plus, dans leur mouvement ré-
dactionnel, au milieu du bassin du PÔ pour autant que c'est
ici que le zèle évangélisateur irlandais entre en collision avec
l'arianisme du type germanico-longobardique".
La seconde vague des Scoths à Milan aura bien au IX' siècle".
Nous sommes de l'avis que ces derniers laissent des influx mul-
tiples au point du vue euchologique ", d'autant plus que juste-
ment dans cette période on a attestée dans la zone milanaise la
documentation écrite des premiers livres liturgiques qui sont
parvenus jusqu'à nous.
En d'autres termes on devrait tenir présents tous les « an-
dirivieni» des moines bénédictins qui finiront par laisser l'em-
preint de leurs « influx-contacts» dans les sources ambrosiennes-

,~ Nous avons déja écrit (cfr. A.M. TRIACCA, Pel' Ill/a nzigliare ... , a.c., 196):
« Si devc pure notare che, se elementi antiariani sono prcsenti ncHe produzioni
cucologiche attribuibili a questi monaci, essi vanno assegnati senz'altro, nclla
loro movcnza redazionale, all'ambientc deI bacino padano, in quanta è qui...
che 10 zela c\'angelizzatarc irlandese si scontra con l'arianesimo di tipo germa-
nico-longobardico. In questo st!nso si potrebbe parlare di produzione ambro-
siano-scota, in quanta è facile che sia avvcnuta la fusione tra elemenLi antiariani
precsistenti all'arrivo dei monaci c di strato protoambrosiano cd elementi più
confacenti alla scnsibilità della produzionc d'allora, più sintoni con la peda-
gogia insita nella liturgia stessa. Se si potesse provarc questo, che ci sembra
più che una semplicc ipotesi, si potrebbe avcre in manu unn linea di dimostra-
zione dell'interscambio fra bacino padano e preriforma carolingia, sul cui
matclialc eucologico, oramai amalgamato e collaudato, si articolcrà spedita-
mente la riforma liturgico-carolingia, con maggior possibilità di far perdel'c
le tracce originaric di LIna produzione italico-ambrosiana. (Oui si giustifichc-
rebbe un poco il fatto che negli studi odiemi d'oltralpe sono assenti riferi-
menti, richiesti dalla natura delle cose, alla strato ambrosiano e all'apporto
ambrosiano nella eclettica riforma caralingia) ».
5t Borella parle de «una specie di colonia irlandese» (P. BORELL.\, Il rito
ambrusiano [Brescia 1964] 95).
~~ On doit rappelet' SEDL.·Ln.:S Scorrl.'s a\'ec ses Carmina. Cfr. spécialement
Carmina, Ill, 7. Ad Tadol1em, in: MGR Poetae Latini Aevi Karolini 3, 236-237.
Tadane etait évêque de Milan.
304 ACHILLE M. TRTACCA

bénédictines dont beaucoup de sources sont l'expression plus


tangible, en plus d'une série de contaminations présentes spé-
cialement dans le calendrier ambrosien ".
Mais l'influx plus grand et qui menaça de détruire la litur-
gie ambrosienne, en l'accumulant à celle romaine, est l'influx
qui se vérifia à l'époque carolingienne. Ce secteur est le plus
étudié, tellement que nous ne croyons pas devoir nous y ar-
rêter et nous renvoyons aux études 57.
Parce qu'on n'a pas encore étudié à fond tout l'ensemble
des données, spécialement du point de vue comparatif rédac-
tionnel, il est difficile de savoir quelle à été la contribution des
«scriptoria mediolanensia" présents dans la période carolin-
gienne spécialement dans les monastères de Milan et environs
ambrosiens, Sur le milieu extra-ambrosien. Toutefois tenir pour
compte que la liturgie ambrosienne ait reçu sans donner, nous
semble partial et un « a priori» antiscientifique, alors que, par
exemple, nous avons déjà démontré ailleurs que du moins le
« praefatiale" carolingien a été influencé en partie aussi par
la liturgie ambrosienne ".

***

Une fois tracée cette panoramique préalable pour poser


dans la juste lumière le problème de l'étiologie de la liturgie
ambrosienne nous voudrions donner à présent les principales
étapes de la formation de la liturgie ambrosienne, dans lesquel-
les nous parlerons des influx et reflux de la même liturgie
ambrosienne en égard à ceux extra-ambrosiens.

III. ÉTAPES PLUS SAILLANTES PROPRES À LA FORMATION


DE LA LITURGIE AMBROSIENNE

Procédant un peu synthétiquement de l'étiologie de la litur-


gie ambrosienne à l'actuelle, pénible et rachitique survivance,

~ Cfr. C. MARCORA, Il Santorale Ambrosiano. Ricerche sulla fornzazione dagli


inizi al secolo IV = Archivio Ambrosiano, 5 (Milano 1953). Voir aussi A. PARElll,
lntrodt/z.ione, in: IDF.M (ed.), Sacramenlarium Bergumense, (J.C. à la note 8.
pp. XVIII-XXIX. spécialement XXIV 55.
~7 Voir les oeuvres cilécs a les notes 76 et 93.
~~ Cfr. passim de notre thèse doctorale (à la note 78).
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 305

il nous semble de pouvoir mentionner cinq grandes étapes que


nous illustrons brièvement et uniquement en rapport avec notre
exposé.

1. DE L'UNITÉ PRIMORDIALE [AVEC ROME ou AVEC L'ORIENT?] À LA


PLURALITÉ EXPRESSIVE-INTERPRÉTATIVE (III-VIII" siècle)

Nous entendons par unité primordiale l'unité interne, " l'im-


mutabilité comme profonde sublimité du noyau essentiel - ce
sont des paroles de Baumstark " - à laquelle un développement
liturgique, qui, dans l'Eglise arrive jusqu'à l'époque apostolique
sans interruption, aurait donné sa forme changeante ». Il nous
semble que les lois énoncées par le même Baumstark 60 sont
encore celles qui plus objectivement nous aident à comprendre
comment aussi la liturgie ambrosienne part du noyau commun
primordial dont elle se différencierait en nom de la conserva-
tion du "depositum fidei» incarné dans des coordonnées ty-
piques.
C'est cela l'étape la plus tourmentée, mais aussi la plus pro-
fitable pour la liturgie ambrosienne et pour son "specificum ».
Cette étape comporte:
1) Les échanges, les influx et les contaminations:
- avec Rome et avec l'Orient au IV-VI" siècles ";
- de nouveau avec l'Orient et avec les moines au VII-VIII"
siècles 62.
On devrait ici citer les éléments et les facteurs historiques
signalés par Mercati, par Morin, par Bognetti, et Cattaneo 63. Il
suffit de vous avoir fait une mention 64.

S8 A. BAUMSTARK, Vom geschichtlichen Weyden der Liturgie (Freiburg 1923) 30.


&0 Cfr. IDEM, Liturgie comparée (Chevetogne 31953).
61 Ch. Les oeuvres citées à les notes 16-17 et 33.

S2 Voir aussi: E. CATTANEO, Carrenti spirituali e devozionali dell'Oriente, in:


Atti deI COr/vegno «La Lombardia e l'Oriente .. (Milano 1963) 66-79; IDEM, Il
Breviario Ambrosiano. Note storiche ed illustrative (Milano 1943) 173-177; IDEM,
Missionari orientaU a Milano nell'età longobarda, in: Archivio Storico Lombardo
90 (1963) 215-247; A. PERTUSI, Bisanzio e l'irradiazione della sua civiltà in Occidente
l1ell'alto medioevo, in: Settimal1a di studio deI centro italiano di studi sull'alto
medioevo, XI (Spoleto 1963) 75-133.
83 Pour les opinions de ces auteurs, voir P. BORELLA, Influssi orientali ed
esteri, in: IIJEM, Il rito ambrosiano (Brescia 1964) 79-92, spécialement 79-83 et
bibliographie citée.
84 La question doit être étudiée plu~ profondément. Par exemple voir A. MERK,
Das iilteste Perikopensystem des Rabulakodex, in: Zeitschrift tür Katholische
306 ACHILLE M. TRIACCA

Il nous semble ainsi inutile de nous mettre à placer une


autre fois le problème de l'esprit romain d'Ambroise (ln omni-
bus cupio sequi Ecclesimn romanam) 65 et encore moins l'oeuvre
d'Ambroise en rapport à la création de la liturgie saint-ambro-
sienne et ambrosienne ensuite 66,
Il est certain qu'il existe des influx romains sur la liturgie
ambrosienne dans cette période comme Borella en a succincte-
ment parlé. Toutefois le monde extra-ambrosien prend aussi de
l'ambrosien ou s'inspire à l'ambrosien dans l'Hymnodie, l'Anti-
phonie, etc ... comme on l'à dejà traité plus d'une fois et com-
munément accepté comme donnée acquise 67.
Moins étudié reste le chapitre de l'Ambrosien en rapport
avec celui que nOus préférons appeler ambrosien-bobbiense, plu-
tôt que gallicano-bobbiense.
2) La question de la stratification rédactionnelle de la li-
turgie ambrosienne.
Jusqu'à présent on a étudié et prouvé l'existence de ce que
nous avons appelé proto-rédaction ambrosienne, qui s'est refaite
au milieu du V< siècle.
Le spécialiste Paredi, préfet de la Bibliothèque ambrosien-
ne, est arrivé a ses conclusions grâce aux recherches patientes
de type critique, philologique et historique, spécialement sur les
préfaces des Saints". Le moine de Maria Laach au contraire,
Odilo Heiming, et nous-mêmes avons isolé une deutéro-rédaction
qui a son apogée au VII' siècle ".

Theologie 37 (1913) 202-214 où il est question de l'Evangeliarium de Busto Arsizio.


Cfr. V. MARTIN PINTADO, Los sistemas de Lecturas de la cuaresma' hispanica.
Investigaci6n desde la perspectiva de U/1a comparaci6n de liturgia, in: Salman-
ticenses 23 (1975) 217-269, spécialement 229-247; 264-269. Pour le dit «evangelia-
rium" cfr. A. PARED!, L'evangeliario di Busto Arsizio, in: Miscellarzea Lilurgica
in onore di Sua Eminenza il Cardinale Giacomo Lercaro, II (Roma 1967) 207-249.
65 AMBROSIUS, De Sacramentis III, L 5: in: B. BaTIE (ed.). Des Sacrements, Des
mystères. Explication du Symbole = Sources chrétiennes 25 bis (Paris 1961) 94.
86 Pour la synthèse des opinions des auteurs, voir: P. BORELLA, Il rita am·
brosiano (Brescia 1964) 47-77.
61 C'est inutile de citer tous les auteurs qui affirment la dépendance de l'hyrn-
nologie occidentale de saint Ambroise de Milan.
48 Cfr. A. PAREDI, 1 lJrefazi ambrosiani. Cantributo alla storia della liturgia
Latina (Milano 1937). Les conclusions de Paredi sont acceptées par les «probati
auctores »: voir P. BORELLA, 1 prefazi ambrosiani, in: Ambrosius 14 (1938) 109·
115; L.C. MOHLBERG, Die maildndische Prdfationen, in: TheoLagische Revue 37
(1938) col1. 4147; IDEM, in: Zeitschrift für Kirchengeschichte 58 (1959) 584-585;
O. HEIMING, Das mailiindische Prafationale, Ill: Archiv !ür Liturgiewissenschaft
1 (1950) 128-132.
69 Cfr. O. HEIMING, Aliturgische Fastenferien in Mailand, in: Archiv für
Liturgiewissenschaft 2 (1952) 4446; IDEM, Il lavuro di Maria Laach intorno al
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 307

Ce qui importe de noter c'est que la deutéro·rédaction s'insè-


re dans un cadre de réveil culturel milanais-lombard qui (fin du
VI' . moitié du VIII' siècle) précède la renaissance carolingienne
et dont nOus avons déjà parlé 70.
A propos de cette question de la stratification on doit recon-
naître certaines limites des recherches faites jusqu'à nos jours,
en concomitance avec le peu de connaissance des sources ambro-
siennes, et aussi des celles déjà existant dans l'édition critique ".
Et en plus: en général les spécialistes se désintéressent du problè-
me des influx de la et sur la liturgie ambrosienne basée sur des
critères d'analyse interne aux sources elles·mêmes. Bien plus on
se contente d'avancer les points de convergence ou de divergence
uniquement à partir des parallèles des formules ". Ce qui nous
semble justement peu de chose après tout ce que nous avons
exposé plus haut.
3) La question de la multiplicité synchronique au sein de
la même liturgie ambrosienne de plusieurs formules pour un
même retour liturgique ou pour un même usage liturgique.
Comme nous l'avons démontré soit dans la Semaine liturgi-
que précédente de S. Serge en parlant du " Rite de J'"impositio
manuum super infirmum" dans l'ancienne liturgie ambrosien-
ne» ?:lbiS, soit dans des recherches d'autre genre73 , nous sommes
en face d'un" specificum » de la liturgie ambrosienne là où nous
pouvons parler de " duplicatio euchologique» ou de synchronie
plurirédactionnelle de formules euchologiques diverses 74. Eh!

breviario ambrosiano, in: AA.VV., Problemi di Liturgia Ambrosiana. Alti deI


Congresso Liturgico Ambrosiano = Archivio Ambrosiano 1 (Milano 1949) 48-58;
et aussi: IDEM, Die Episteln der Montage, Dienstage, Mittwoche und Donnerstage
der Mailiinder Quadragesima, in: lahrbuch tür Liturgiewissenschaft 7 (1927)
141-144 (voir: Ambrosius 6 [1930] 25-27); A.M. TRIACC.-\, 1 prefazi ambrosiani deI
cielo «De Tempore» secondo il «Sacrarnentarium Bergomense ». Avviamento ad
uno studio critico-teologico (Roma 1970) 78-90.
70 Cfr. A.M. TRIACCA, Solo «Rinascita carolingia}) (fine sec. VIII-inizi sec. IX)
o già prima «Risveglio lombardo-milanese}) (fine sec. VI-metà sec. VII!)? in:
IDEM, Per una migliore ambientazione ... , o.c. 205-215.
71 Voir les précisions que J. Deshusses et nous-mêmes avons faites dans Ephe-

merides Liturgicae 87 (1973) 415-434.


n Une petite exception est l'oeuvre de A. PAREOl, Testi milanesi neZ Sacra·
mentario Leoniano, in: Studi storici in memoria di Mons. Angelo Mercati =
Fontes Ambrosiani XXX (Milano 1956) 327-339.
72bis Voir ici-dessus la note n. 4.
73 Voir les notes n. 10; 24.
74 Cfr. A.M. TRIACCA, Rilievi su due fenomeni redazionali, in: IDEM, 1 prefazi
arnbrosiani ... , o.c. à la note 69, pp. 57-77 (pour la «Duplicatio euchologica »,
pp. 57·73).
308 ACHILLE M. TRIACCA

bien pour un même but la pluralité expressive-interprétative


qui dans l'arc de trois ou quattre siècles vient de se créer au
sein de la liturgie ambrosienne, signifie que c'est la même « tra-
dition liturgique» qui tout en se vivifiant et en se revêtant de
diverses « traditions liturgiques» dans le passage d'une généra-
tion à une autre ou en s'approchant des cultures (d'abord celle
romano-italique, ensuite celle barbaro-Iongobardique) (<< tradition
"de la" liturgie ») sauve ce qui se rapporte perpétuellement au
Christ.
Alors en face d'une « vis» aussi forte de la liturgie ambro-
sienne qui crée une polyédrique euchologie, on comprend aisé-
ment comment c'est facile d'argumenter que soit cette liturgie
qui influence sur les autres et nos pas le contraire.
Dans ce sens on devrait insérer l'étude de soi-disants géla-
siens du VIII' siècle en rapport avec les forges ou les écoles
euchologiques ambrosiennes de la renaissance lombardo-mila-
naise. Sans faire de la liturgie ambrosienne un mythe, nous réaf-
firmons que étant ignorée par plusieurs spécialistes-savants
ou toutefois non considérée, celle revient à tirer les mêmes con-
clusions des études dans le domaine du provisoire, pour ne
pas dire de l'ambigu.
En conclusion donc, on doit dire que l'Eglise de rite ambro-
sien cherche à prolonger l'opus Christi, renforçant à un temps
tout ce que dans l'écoulement de siècles les usages de diverses
cultures locales apportent dans la liturgie et se servant de la
liturgie pour arriver à une typique autonomie de rite. Dans l'unité
interne de l'église qui est la traditio de faire ce que le Christ
veut, et quid doit être sauvegardée, tout en se conformant à
divers usages, serpent une pluralité expressive et interprétative
du « depositum fidei » prié et perpétué dans la liturgie.

2. DE LA PLURALITÉ EXPRESSIVE-INTERPRÉTATIVE À L'UNITÉ RITUELLE

On peut inclure cette seconde étape du VIII' jusqu'aux XI-


XII' siècles.
Cette étape est caractérisée, pour ce qui concerne la litur-
gie ambrosienne, par diverses tonalités et faits.
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 309

Le faits sont:
al L'explosion rédactionnelle et la multiplicité de manus-
crits, des sources ambrosiennes. C'est l'époque des rédactions
conservées et parvenues jusqu'à nous 75.
bl La rédaction subséquente, collatérale et définitive de
l'euchologie dans laquelle les souvenirs survivants de la proto-
rédaction et de la deutéro-rédaction se fusionnent avec les influx
romains provenant de la réforme carolingienne: ansi naît la
trito-rédaction ambrosienne ou rédaction ambrosiano-carolin-
gienne 76.

15 Tout le monde sait que la datation des sources liturgiques ambrosiennes


manuscrites qui nous sont parvenues, est placée entre les siècles VIII-IX et
XII-XIII. Cfr. A. PAREDl, Messali ambrosiani antichi, in: Ambrosius 35 (1959).
Suppl. n. 4 (1)-(25); K. GAMBER, CLLA n. 501-595; Cfr. aussi oO.cc. à la note 12.
Il faut noter que les causes de la disparition des sources antérieures à ces
siècles, jusqu'à ce jour n'ont pas été étudiées à fond. Mais de l'analyse interne
des sources mêmes. on peut déduire qu'eUes existaient auparavant.
78 La rédaction ambrosiano-carolingienne, c'est-à-dire la rédaction que nous
avons dénommée trito-rédaction, est la rédaction qui fut beaucoup plus
étudiée. Cfr. P. BORELLA, IlIflussi carolingi e monastici sul Messale Ambrosiano,
in: Miscellmzea LiturgÎca in h01Zorem L. Cuniberti Mohlberg l (Roma 1948) 73-
115; IDEM, Influssi carolingi, in: IDEM, Il riro ambrosiano (Brescia 1964) 93-102;
E. C.1\1TANEO, Storia e particoiarità dei rito ambrosiano, in: Storia di Milano
3 (Milano 1954) 786-798; A. PAREOl, L'ambrosiano carolingio in: IDEM (ed.), Sacra-
mentarium Bergomense. Manoscritto dei secolo IX della Biblioteca di S. Ales-
sandro in Colonna in Bergamo (Bergamo 1962) XVI-XXIV; A.M. TRIACCA, La
redazione carolingia e merovingia in: IDEM, I prefazi ambrosiani deI cielo «De
Tempore» secondo il «Sacramentarium Bergomellse ». Avviamento ad uno
studio critico-teologico (Roma 1970) 78-79. Et aussi: P. BORELT.A, Catechismi
liturgici carolingi a Milano, in: Archivio Ambrosiano IX (Milano 1956) 59-68.
Mais c'est nécessaire de rappeler ce que nous avons déjà écrit: Cfr. A.M.
TRIACCA, Per una migliore ambientazione delle fonti liturgiche ambrosiane
sinassico-etlcaristiche, in: Fons vivus. Miscellanea liturgica in memoria di Don
Eusebio Maria Vismara (Zürich 1971) 198-199 à propos de l'époque carolingienne:
«Non èche tutto sia chiara. Pare che per a1cune questioni la discussione sia
risolta. (Per esempio quella trattata da O. HEIMI~G. Die maiUindischen sieben
Votivmessen fiir die einzelnen Tage der Woche lmd der Liber Sacramentorum
des sel. Alkuin, in: Miscellana Liturgica in honorem L. Cuniberti Mohlberg .2
[Roma 1949] 317-339; e, IDEM, Aliturgisclze Fastenferien in Mailand, in: Archtv
fii.r Liturgiewissenschaft 2 [1952J 44-66). Mentre il sapere se Milano risulta sola-
mente passiva in questi scambi e non anche attiva. in quanta un contributo
devono averlo data gli «scriptoria mediolanensia» presenti in questo periodo
special mente nei monasteri di Milano e adiacenze ambrosiane, è cosa difficile
da determinare. Una cosa è certa: dopa l'amalgama di questo periodo fra
elementi romano-caralingi e monastici, il ôta ambrosiano spicca di maggior
autodeterminazione. Se si dovesse parlare solo di passività carolingio-milanes e ,
non si capirebbe il problema di composizioni eucologiche con un solo parallclo
extra-ambrosiano e delle evidenti copiature dal primevo deposito ambrosiano:
operate in questo periodo e peI' giunta in ambiente franco-germanico. (Bastl
pensare al fenomeno avvenuto nei riguardi deI Sacramentario di Drogone, re-
datta proprio in questo periodo, cioè scnza dubbio prima deU'835. CfT. J.B. PELT,
Etudes sur la cathédrale de Metz. La liturgie I [V-XIIIe siècle} [Metz 1937] 52.
Anche: L.C. MOHLBERG, Milano e Metz l1ella redaûone del Sacramentario di
310 ACHILLE M. TRIACCA

c) La grave crise de la liturgie ambrosienne concrétisée


par la tentative d'englober la liturgie ambrosienne dans le cer-
cle de l'unification liturgique voulue par Charlemagne".
On se pose un point d'interrogation sérieux, à savoir: si l'on
doit parler d'un tournant de la tonalité liturgique qui trahit le
« specificum)} ambrosien dans la mesure où la trito-rédaction
serait fruit d'un amalgame hétérorgène, d'un éclectisme eucholo·
gique, d'un syncrétisme rédactionnel. Après des recherches pa·
tientes que nous avons menées en comparant les appareils cri-
tiques et mettant en évidence le type de lecture des morceaux

Drogone, in: Rendiconti della Pontificia Accademia Romana in Archeologia


16 [1960] 151-155 [cfr. CLLA 912]. Il rncdesimo si pub dire dei mss.: München,
Staatsbibliothek CIm 3908, proveniente da Ausburg [cfr. CLLA 1522], e: München,
Staatsbibliothek Cim 14.809 [cfr. CLLA 506]). Troppo spesso si è facili nel
concedere la dipendenza da altra eucologia che non sia la milancse. Comunque
le ricerche da nai condotte - possiamo affcrmarlo fondatamente - ci hanna
portato a concludere che è la redazione ambrosiana a capo degli stemmi
genealogid di parccchie composizioni cucologiche ».
77 Cfr. les Synodes ou Conciles de Frankfurt (794), Rispach (798), Freising
et Salzburg (800), Mainz (813), Aachen (836) où il y a un «ritornello» à propos
de la liturgie, c.à.d.: «ut Romani fadunt », «secundum ordinem et morem
Romanae Ecclesiae» (cfr. C. VOGEL, La réforme liturgique sous Charlemagne,
in: Karl der Grosse [hrsg. B. BISCHOFF] II [Düsseldorf 1965] 220). La Chronique
de Moisac (802) rappelle que sur la question de l'uniformité de la liturgie la
volonté du Charlemagne était catégorique: « Mandavit autem ut unusquisque
episcopus in omni regno vel imperio suo ipsi cum presbyteris suis officium
sicut psallit Romana ecclesia facerent» (= PL 98, 1429). Sur la question de
l'abolition des liturgies différentes de la liturgie romaine en nom de la pureté
de la liturgie en rélation à la situation de Milan, Paredi (o.c., XVII) écrit:
« A Milano forse la situazione non era cosi scadente come m:lle chiese franche.
Di fatto gli usi e i libri particolari di Milano non furono aboliti. Vien da pensare
che quella nuova sistemazione 0 redazione deI Messale milanese sia stata un
compromesso. Certo èche tanto gli Annales Laurissenses quanto gli -Amlales
Eginhardi (cfr. MGR Script. l, 1826, pp. 160-161) attestano che Carlo Magno
nel 781, dopo aver fatto battezzarc a Roma da papa Adriano i figli Pipino e
Ludovico, venne a Milano e quivi fece battezzare la figlia Gisla, essendo j'arci-
vescovo milanese Tomaso e officiante a padrino ». Et le même Auteur au pied
de la page ajoute: «Un compromesso; oppure una limitazione degli usi litur-
gici milanesi e dei libri e deI canto ai confini della sola diocesi di MiJano:
ambrosiano in Mediolanensi dyocesî reservato, come dice Bernardo Norico,
monaco a Kremsmünster su }'inizio deI sec. XIV nella sua Historia Cremifanensis
(MGH Script. XXV, 1880, p. 655, 40). Preferenza per il canto romano, ma senza
abolire l'ambrosiano: questa la conclusione della vertenza, secondo i versi deI
ms. cassinese 318, p. 244, nei quali si dovrebbe vedere una trasposizione leg-
gendaria dei tentativo fatto da Carlo Magno di abolire il rito speciale di
Milano: ma in una forma più antica e credibile che non quella raccontata da
Landolfo Seniore: cfr. A.M. AMELLI, in: Memorie StOl·iche Forogiuliesi, Udine
1913, pp. 153-175; F. S.WIO, Gli antichi Vescovi d'Italia. La Lombardia, Milano
1913, p. 747. l versi sono molto interessanti, perché ci attcstano una vivace
reazione in ItaHa ai decreti di Carlo Magno: Insignis Karolus romanum
pangere carmen Omnibus aecclesiis iussit ubique sacris. Unde per Italiam
crevit contemplio multa Et status aecclesiae luxit ubique sacrae ». Cfr. aussi
P. BORELL4., G.C., 73-78; 93-99.
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 311

euchologiques eux-mêmes, présent bien dans l'ambrosien que


dans l'extra-ambrosien ", nous pouvons affirmer que le rédacteur
ambrosien ou le suturateur.compilateur de la trito·rédaction am-
brosienne par rapport à ses collègues se détache de tonalités
spécifiques qui sont:
a') La volonté de s'insérer dans le sillage théologique-con-
tenutistique des rédactions ambrosiennes qui l'ont précédé. Le
mystère du Christ apparaît dans sa centralité cosmico·anthropo.
logico·salvifique ".
Cela est obtenu, par exemple, dans la continuation de l'ac·
centuation christocentrique des autres rédactions ambrosiennes,
en plus d'adopter encore une méthodologie catéchétique diffuse
visant à éduquer (mais avec un vrai succès?) les participants à
la liturgie 80.
b') La méthode de choix et de transcriptions de morceaux
euchologiques extra·ambrosiens correspondant à un plan bien
fixé et déterminé selon des lignes d'achèvement et de finissage
d'un plan idéal 81.
c') La patiente planification des textes en recourant à des
corrections opportunes dont se détache la volonté de diriger dans
un sens unique les expressions qui se copient. Cela est obtenu
avec ({ parole-spia », mutations de lectures des morceaux qui se
copient, accentuations qui changent le texte originaire en un
autre: pour la note ce qui se copie devient ambrosien soit par
assomption soit par rédaction. On doit parler de goût sélectif

78 Cfr. notre thèse doctorale malheureusement jusqu'ici inédite (auprès


du Secrétariat du Pontificium Institutum Liturgicum - Anselmianum - Rome),
spécialement vol. l, 257-294; vol. III. 116-127 et le vol. II: l testi dei Prefazi
- Tradizioni ed usi liturgici - Apparati Critici (Roma 1968), XX + 137 + (11).
79 Cfr. A.M. TRIACCA, Le innovazioni redazionali deI prefaûale «De Tempore»

il! rapporta al contenu ta teologico, in: IDEM, a.c. à la note 69, pp. 91-95.
aD Cfr. notre thèse doctorale. déjà citée. au vol. 1 et II (passim). Aussi
A.M. TRIACCA, La liturgia educa alla liturgia? Riflessioni fenomenico-pslcologiche
sul dato liturgico globalmente considerato, in: Rivista Liturgica 58 (1971)
261·275.
81 Nous sommes dans l'impossibilité de citer tous les arguments que l'on
peut trouver dans les sources ambrosiennes et qui démontrent notre affirmation.
Par exemple, les préfaces, dans l'édition du «Sacramentarium Bergomense»
n. 283 et n. 293, sont juxtaposées de manière que, seulement dans la liturgie
ambrosienne, elles constituent un «specificum" selon un plan idéologique.
Ainsi n. 283, qui est une préface UR-ambrosienne (cfr. A. PAREDI, l prefazi
arnbrosiani. Contributo alla storia della lilurgia latina [Milano 1937J 134-137)
parle de Moïse, come Anti-type (Nouveau Testament) où le jeûne vrai est celui
du Christ que le chrétien peut imiter comme Moïse l'a déjà fait. Le rapproche-
ment est un «unicum » idéologique ambrosien.
312 ACHILLE M. TRIACCA

rédactionnel où la configuration de la trito·rédaction aux précé-


dentes constitue un argument en plus pour l'ambrosianité de la
rédaction 82.
d') On a ainsi une centralité thématique éminente qui,
dans les sources liturgiques extra-ambrosiennes communément
comprises de la période carolingienne, ne se retrouve pas sinon
d'une manière diluée. Cette caractéristique est parallèle à l'inci-
sivité contenutistique, à la densité conceptuelle et à l'unité théo-
logiquement prégnante.
el Même la meilleure situation de certains morceaux eu-
chologiques en comparaison des sources d'où la trito-rédaction
copie, est déjà un « specificum" ambrosien. Cela veut dire que
la liturgie ambrosienne, même quand elle copie, met du sien et
finit par ambrosianiser même la liturgie romaine. Est-cela une
compensation contre la volonté de la liturgie romaine d'envahir
et de divorer l'ambrosienne? Laissons la question ouverte.
En concluant cette seconde étape des flux et reflux de la
et sur la liturgie ambrosienne, à bon droit, peut-on se demander
si la tentative carolingienne d'aplanir les manifestations liturgi-
ques qui ne font pas bon ménage avec celle officielle de l'empire,
a déterminé au sein de la liturgie ambrosienne un tournant
traître du «specificum" ambrosien ou a camouflé en forme-
crypte ce qu'on devait encore dénicher et mettre en lumière?
Une chose est certaine, que cette période marque pour la
liturgie ambrosienne la première étape vers un graduel «fis-
sismo". D'ores et déjà la liturgie ambrosienne, par exemple,
avec la synchronie intentée de plusieurs formules pour une même
célébration, dénotait une certaine créativité. Avec cette période
carolingienne au contraire se dessinent:
aH) le fixisme concomitant au fixage de formules 83 et de
rites et à un progressif cérémonialisme liturgique ";

83 Il y a beaucoup des critères pour l'ambrosianité d'une pièce, en effet une


pièce peut être ambrosienne par rédaction, adoption, finalité, adaptation. titre
nouveau, etc.
83 Telle est l'époque de la rédaction definitive qui est parvenue à nous:
cfr. supra note n. 76 et plus avant n. 93.
84 Cfr. BEROLDUS sive Ecclesiae Ambrosianae Mediolanensis Kalendarium et
ordines saee. XII. Ex codice arnbrosiano edldit et adnotavit Doctor MarCllS
MAGISTRETTI v. Capituli RR. Beneficiatorwn Officialiwll et 5S. Caeremolliarum
Metropolitanae Mediolani Praefectus (Mediolani M.DCCC.xC.IV); MANUALE Am-
brosiamlm ex codice saec. XI olim in usum Canonicae ValUs Travaliae in duas
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 313

b") le processus lent, progressif et inexorable d'une ro-


manisation envahissante dans le « specificum » ambrosien 05.
On arrive ainsi à une sorte d'unité rituelle qui enveloppe
toutes les manifestations liturgique·sacramentaire·ambrosiennes.

3. DE L'uNITÉ RITUELLE DE BASE À UN NOUVEL EFFORT DE PLURA·


LISME DE MANIFESTATIONS LOCALES LITURGIQUES ET SPÉCIALE·
MENT EXTRA-LITURGIQUES

Cette étape nous la situons entre les XII' IXIII' siècles et XV'.
a) L'unité de base atteint par suite de forces exogènes et
endogènes, une sorte de compromis 86 obtenu, ce qui fut le ré·
sultat de la réforme ambrosiano-carolingienne, les énergies survi·
vantes innées au sein de l'ambrosianisme donnèrent vie à un phé-
nomène pluri-rédactionnel de nouvelle espèce.
Dans les sources liturgiques au fur et à mesure que les éner-
gies viennent à se fixer dans la dernière rédaction manuscrite,
on note divers filons comme l'ambrosien de ville, ce que nous
appelons liturgie milanaise (en relation avec Milan) dont le
texte le plus fidèle est l'ensemble des livres de l'Église Capi·
tulaire: un ensemble de livres euchologico-sacramentaires et ri-
tualistico-protocolaires 87; la liturgie de périphérie, qui, selon les

partes distinctum edidit Doctar Marcus MAGISTRETTI etc ... Pars Prima: Psalterium
et Kalendarium praeviis Praefatione, Dissertatione et Excerptis ex aliis codd.
(Mediolani M.DCCCC.V.) Pars Altera: Officia totius armi et alii ordines (Media-
lani M.DCCCC.IV); PONTIFICALE in usum Ecclesiae Mediolanensis necnon Drdines
Anzbrosiani ex codicibus saeee. IX·XV; collegit edidit et notis illustravit Doctar
Marcus MAGISTRETII etc... praefatus est Antonius M. CERIANI Praefectus Bi-
bliothecae Ambrosianae (Mediolani M.DCCC.XCVII).
85 Cfr. oo.cc. à la note n. 2. Toutefois cfr. M. MAGISTRETrI, in: Pontificale ... ,
O.C., 32 (au pied de la page) écrit « ... Disciplina Ecc1esiae nostrae hoc in parte
se prodit omnino a Romana diversam: nec mirum quod cum quadragesimales
missas, proprias pro feriis, mutuata esset a Gregoriano, tamen nullam pro
sacris et tam solemnibus jejuniorum temporibus Missam susceperit; jam in
limine huius commentarii notavi constantem Ecc1esiae nostrae cultum in anti-
quissimis traditionibus servandis ... ».
BI! Selon la terminologie de Paredi (a.c. à la note 2 p. XVII).
87 On trouve la meilleure expression de la liturgie milanaise dans BEROLDUS,
PONTIFICALE, MANUALE (passim) oo.cc. à la note 76 et dans Il Sacramentario
di Ariberto. Edizione dei ms. D 3,2 della Biblioteca deI Capitolo Metropolitano
di Milano (A. PAREOl ed.), in: Miscellanea Adriano Bemareggi (Bergamo 1958)
329488. Et aussi les mss. cités par K. GA~ŒER dans CLLA 520; 521; 507; 541; 543;
544; 548; 549; etc. et dans IDEM, Sakramentartypen. Versuch einer Gruppierung
der Handschriften und Fragment bis zur Jahrtausendwende (Beuron 1958) 121;
cfr. aussi la note n. 6.
314 ACHILLE M. TRIACCA

diverses zones géo-cultuelles, peut s'appeler liturgie ambrosiano-


bergamoise 88, liturgie ambrosiano-novaroise 89, vercelaise gO, tici-
noise Ill, varesotte 92; la liturgie ambrosiano-bénédictine 93 conta-
minée par les moines bénédictins, etc.
En d'autres termes on a - du point de vue formel - un
ambrosien pur et un ambrosien contaminé. Ceci dénote l'effort
de compensation, au nom d'un pluralisme contre les forces ac-
centuatrices unitaires. C'est encore de cette période la diver-
sification des Ordines pour la célébration des sacrements ".

88 Bergamo, Biblioteca di S. Alessandro in Colonna, Sacramentarium Bergo-


mense (A. PAREnT ed.) (Bergamo 1962 = CLLA 505).
B9 Cfr. A. VrSCARDI, Indicazioni sulla storia culturale di Vercelli, Novara,
Maderna e Ivrea offerte dalle rispettive collezioni capitolari, in: IDEM, Le Origini
(Milano 1939) 161-162 et bibliographie à la p. 180; G. COLOMBO, 1 Sanli Gaudenzio,
Agabio, Lorenzo nel Sacramenlario deI secala Xl-XII, Cod. 35 (LIV), della
Biblioteca Capitolare di S. Maria in Novara, in: Novarien. 6 (1974) 9-51 (passim).
00 Cfr. AM. TRIACCA, Per una migliore ambientazione ... , o.c. (à la note 10)
201-202; Ms. della Biblioteca Capitolare (Tesoro della Cattedrale) Cod. CXXXVI
(:::: CLLA 516); et un psalterium breviarium (:::: CLLA 1686); des collectaria
(~ CLLA 890. 1510. 1511); et un Comes (~ CLLA 1028).
91 Cfr. Milano, Biblioteca Ambrosiana, Ms. A 24 bis inf. :::: Sacramentarium
de Biasca; cfr. Corpus Ambrosiano-Liturgicum II. Das ambrosiallische Sakra-
mentar von Biasca. 1. TeiL Text (O. HEIMING ed.) (Münster i. W. 1969) (:::: CLLA
515); Milano, Biblioteca Arnbrosiana, Ms. A 24 inf. :::: Sacramentarium de Lodrino
(= CLLA 519).
oZ Cfr. Milano, Biblioteca Arnbrosiana, Ms. D. 87 Sup. = Sacramentarium
de Bedem (= A. AMIET, O.C. à la note 7, p. 36, n. 14); Monza, Biblioteca deI
Duorno, Ms. F. 2-102 (CXXVII) = Sacramentarium de Vefzegono (= CLLA 517);
cfr. aussi Manuale ... , O.C., .•• « in usum Canonicae ValUs Travaliae »; etc ...
93 Cfr. P. BORELLA, Influsso carolingi e monastici sul Messale Ambrosiano, Q.C.
à la note 76, spécialement 99-116; IIJEM, 1 codici ambrosiano-monastici ed un
vrelazio inedito per la lesta di S. Benedetto. in: Ambrosius (1947) 25-29; IDEM.
Inllussi benedettini sul Salterio ambrosiano, in: Ambrosius (1947) 42-48. Pour le
monastère de S. Ambrogio: efr. Cod. M. 17, Biblioteca deI capitolo Metropoli-
tano (:::: CLLA 521); Cod. Trotti 251. Biblioteea Ambrosiana (= CLLA 520); pour
le monastère de S. Maurizio Maggiore: cfr. Fonda Monasteri, Cartella 439, Ar-
ehivio di Stato, J\.1i1ano (= CLLA 507); pour le monastère de S. Satiro: cfr. Co-
dice Ms 2, Tesoro della Cattedrale (= K. GalBER, Sakramentartypen, O.C.,
121); pOur le monastère de S. Simpliciano: cfr. Corpus Ambrosiano-Liturgicum,
III. Das Ambrosianische Sakrarnentar D 3-3 aus dern Mailiindischen Metropo-
litankapitel. Eine textkritische und redaktionsgeschichtliche Untersuclzung der
mailiindischell Sakramentartradition (J. FREI cd.) (Münster i. W. 1974) (= CLLA
510); Ms Harley 2510 (B), British Museum, London (= CLLA 511); cfr. O. HEIMING,
Ein «fusionniertes» (sic!) Gregorianum und ein Ambrosiano-Benedictinurn.
Zwei Palimpsest Sakranzentare im British Museum Herleian 2510, in Epheme-
rides Liturgicae 64 (1950) 238-273; pour le monastère de S. Vincenzo in Praw:
cfr. Cod. T. 120 sup. Biblioteca ambrosiana (= CLLA 522). Ces sont les principaux
monastères dans la Ville. Pour les nlonastères extra-Ville cfr. CLLA 502; 727;
728; 801; 1250; 1470 et A.M. TRIACCA, Per una migliore ... , O.C., 200-202.
94 Par exemple, pour le sacrement de l'Unction des malades cfl'. A.M. TRIACCA,
Le rite de 1'« impositio manuum super infirnut11z» dans l'ancienne liturgie am-
brosienne, in: La maladie et la mort du chrétien dans la liturgie (Roma 1975)
339·360.
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 315

La précédente prolifération d'Ordines pour la célébration du


Bréviaire voit une collection des documents dans le « Manuale »,
collatéral à la collection communément appelée du nom de l'au-
teur avec « Beroldus }} où sont contenues les cérémonies, en plus
du Pontifical ambrosien os.
b) Naturellement, cela vaut aussi pour la liturgie ambro-
sienne, cette progressive séparation entre peuple de Dieu et
action liturgique en concomitance avec l'incompréhension du la·
tin et avec une sorte de monopolisation sclérotique de la litur·
gie dans les mains du clergé ". C'est-à-dire soit l'incompréhension
de la liturgie soit sa cléricalisation porte aussi au sein de l'am-
brosien à la création d'un folklore-paraliturgique, notamment en
rapport avec le cycle eortologique et avec les fêtes des événe-
ments. On n'a pas encore approfondi combien ce phénomène
est à rapprocher à la commune manifestation extra-ambrosienne
ou s'il possède quelque chose de «specificum» locale au nom
des lignes survivantes spécifiques et pures ambrosiennes; ou si
au contraire il est contaminé par des influx extra-ambrosiens.
c) Un autre aspect qui devrait être étudié pour voir les
influx ou du moins autre milieu géocultuel sur la sphère ambro-
sienne est le chapitre des «livres d'heures» et des traductions
en langue du peuple, ainsi que la diffusion - à la portée des
groupes d'élites et des confréries - des livres liturgiques offi-
ciels traduits en langue populaire ". Mais cela déjà dépasse notre
sujet.
En conclusion, cette période est caractérisée par une cer-
taine croissance quantitative plus que qualitative de la liturgie
ambrosienne; par son raffermissement organisatif collatéral au
durcissement des frontières de l'archidiocèse de Milan, par une
certaine défense des milieux romains au nom d'autonomies. Le
rite ambrosien se raffermit et prend consistence dont la plus
haute manifestation est la liturgie.

~5 Cfr. la note 84 et aussi. P. BORELLA, Ponlificali arcivescovili a Milano nel


sec, IX, in: Ambl"Osius (1950) 87-88; IDEM, Le Apologiae Sacerdotis negli antichi
messali ambrosiani, in: Ephemerides Liturgicae (1949) 27-41.
~ Cfr. Th. KL,msER. Die Periode der Auflosung, der Wucherungen, der Vm-
und Missdcutungel1: von Gregor VII. bis ZWll Konzil von Trient, in: IDEM,
Kleine Abendliindische Liturgiegeschicl1te Bericht und Besim'lUllg (Bonn 31965)
95-116, et bibliographie ivi, 208 55.
~7 Cfr. pour ces questions E. C.UTANEO, Introduzione alla s!oria della litur-
gia occidentale (Roma 21969) 201-277 et bibliographie ivi; C. MARCORA (A cura di),
1 libri d'ore della Biblioteca ambrosiana (Milano 1973) (passim).
316 ACHILLE M. TRIACCA

4. D'UN CERTAIN PLURALISME LITURGIQUE SURVIVANT, À LA STABILI-


SATION CÉLÉBRATlVE ET EUCHOLOGIQUE

C'est la période qui comprend la fin du XV' et XVII' siècle.


Elle est caractérisée par l'impression des premiers livres Iitur·
giques et par l'assemblée conciliaire de Trente ". Ces deux faits
sont déjà par eux·mêmes significatifs pour les conséquences pré-
visibles. D'une part l'impression des livres liturgiques ambro·
siens" porta à une défense du patrimoine ambrosien, patrimoi·
ne que les décisions conciliaires durent reconnaître d'antique date
et respecter dans son autonomie propre. D'autre part, à l'excep-
tion du Missel et du Bréviaire, dans le Rituel et le Pontifical, en
dehors de petites vétilles, on finira par rencontrer une nette
conformation à la liturgie romaine 100.
Dans ce sens se créa une certaine séparation avec les pé·
riodes précédentes parce que dans la conformation à la litur-
gie romaine on ne se préoccupait pas du « sensus ambrosianus »
à perpétuer, plutôt que de sauver ses propres rubriques et
cérémonies.
La défense ambrosienne fut une défense rubricale-cérémo·
niale dans le Pontifical et le Rituel. Pour le Missel et le Bré-
viaire il eut un renouvellement justement dans le sens du cycle
eortologique. En vérité périodiquement le calendrier liturgique
ira s'enrichissant en conformité au principe de saturation qui
postulera dans la suite une réduction, au nom de lignes plus
simples; chose qui, par exemple, pour le calendrier ambrosien
s'est vérifiée de nos jours 101.

5. DE LA STABILISATION RITUELLE À LA ROMANISATION PROGRESSIVE


ET FORCÉE

Cette étape va de la Réforme liturgique post-tridentine à celle


en cours encore après le Concile Vatican II. Elle est caractérisée
par deux tentatives de romanisation de la liturgie ambrosienne.

Cfr. IDEM, G.c., 278-372; Th. KLAUSER, G.C., 117-139; 211-214.


9.'1
99Pour la liste des livres liturgiques ambrosiens imprimés cfr. BORELLA-
CAITANEO-VILLA, Questioni e Bibliografia ambrosial1.e (Milano 1950) 79-8l.
100 Par exemple, sur l'onction des malades cfr. notre oeuvre citée à la note 94,
spécialement p. 342 55.
101 Cfr. E. CATTANED, Il calendario liturgico ambrosiallo, in: Ambrosius 47
(1971) 263-278. B. BORGQNOVO-G. TERRANEO, Il calendario lilllrgico diocesano, in:
Ambrosius 48 (1972) 412-416.
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 317

La première tentative est celle de la fin du siècle passé et le


début de ce siècle-ci qui a eu le mérite de susciter un cercle
de savants liturgistes à Milan tels que Ceriani, Ratti, Magistret-
ti 10', etc. et de porter à l'édition critique du Missel ambrosien 103.
La liturgie ambrosienne sortit plus consolidée et toujours dans
le sillage de tout ce qui était en vigueur après le Concile de
Trente. Malheureusement les liturgistes ambrosiens pendant
qu'ils s'occupent du Missel, laissent entrer dans le Rituel les
génériques et les plus particulières innovations provenant des
dispositions du Code du Droit Canonique et des Congrégations
Romaines. Il n'y eut plus personne pour défendre le Rite ambro-
sien come un tout comprenant ample motif d'autonomie ecclé-
siale. Il y a seulement des défenseurs de la liturgie. Toutefois
en concomitance avec le mouvement liturgique naquirent des
initiatives de type d'étude et de pastorale liturgique qui dé-
fendirent et répandirent soit la Messe soit le Bréviaire célébré
avec la participation populaire 104.
La seconde tentative est celle qui, avec la Réforme liturgi-
que après le Concile Vatican II, est encore en cours.
De la part de la liturgie romaine l'assimilation de plu-
sieurs morceaux euchologiques ambrosiens aussi bien par la Mes-
se 105 que par la Liturgie des Heures 10', l'assomption aussi de
rites de la Messe ou de structures par la Liturgie des Heures est

101 Cfr. P. BORELLA, Il Tito ambrosiano (Brescia 1964) 135 55. cfr. A.M. CERIANI,
Missale Ambrosianum Velus (Milano 1890); IDEM, Notitia Liturgiae Ambrosianae
ante saeculum XI medium et eius concordia cum doctrina et canonibus oecu~
menici Concilii Tridentini de S8. Eucharistiae Sacramento et Sacrifieia Missae
(Milano 1895, '1912) Cfr. pour MAGISTRETTI la note n. 84.
103 Cfr. A. RATTI-M. MAGISTRETII (ed.), Missale Ambrosianum Duplex (propriwn

de Tempore) editt. Putebonellianae et Typicae (1751-1902) cum critico commen-


tario continuo ex manuscriptis schedis Ant. M. Ceriani ediderunt A. Ratti Bibl.
Ambr. PraefectHs - M. Magistretti Cano ordo Becl. Mediol. (Mediolani 1913).
104 Cfr. le précieux travail de Mons. C. Dotta, la divulgation et la traduction
des livres liturgiques, la revue Ambrosius (cfr. P. PORELLA, Nel ventesimo della
morte di Mons. Cesare Dotta, in: Ambrosius 49 [1973] 405-420); l'Opera della
Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo avec les opuscules La Santa Messa per
il popolo italiano (Rita ambrosiano); etc ... Cfr. AA.VV., Pro/ili di Liturgisti
(Padova 1970) 72-93 (= Mons. A. Bernareggi); 96-108 (= Mons. C. Dotta).
10~ Cfr. les listes des sources des oraisons du Missel Romain du Paul VI dans
Notitiae: cfr. A. DUMAS, Les sources du Missel Romain in: Notitiae 7 (1971) 35-42;
74-77; 94-95; 134-136; 276-280; 409-410 S. BIANCHI, II lvlessale Romano e le sue
fonti, in: L'Osservatore Romano (12 Febbr. 1971) 2; et notre précision sur les
préfaces des défunts dans: Rivista Liturgica 58 (1971) 382-407.
1011 Cfr. la liste partielle des oraisons ambrosiennes, présentes dans la Liturgia
Horarum romaine, chez J. PINELL, Las oraciones deI Salterio «per amzwn» en
el nuevo libm de la Liturgia de las Horas (Roma 1974) 95-96.
318 ACHILLE M. TRIACCA

considérée comme un rapprochement à l'ambrosien au nom d'une


planification fagocytatrice.
Les diversités n'étant plus tellement grandes, en portant
comme argument aussi les coordonnées de pastorale, et disons-le
même, avec une certaine dose d'insouciance (fruit aussi de l'igno-
rance?!) d'une certaine partie du clergé milanais, la liturgie am-
brosienne est en train de connaître la plus grave crise d'identifi-
cation et de survivance qu'elle n'avait jamais traversée depuis
sa naissance.
Il est certain que encore aujourd'hui le Rituel et le Ponti-
fical se sont unifiés presque complètement avec celui romain.
Il subiste encore le Missel 107 (avec une partie du lectionnai-
re 10') et la Liturgie des Heures 109 qui sont en voie de réforme, et
dont à présent certaines parties ont été approuvées par l'auto-
rité centrale 110,
Qu'en sera-t-il pour l'avenir? Nous ne pouvons pas répondre,
parce que c'est toujours précaire d'hypothéquer l'avenir. Seule-
ment nous souhaitons que les principes sanctionnés par la Consti-
tution liturgique Sacrosanctum Conci/ium soient respectés et
actualisés.
Nous souhaitons du moins que d'une conformité désormais
relative et accentuée à la liturgie romaine, on passe à une po-

1Q1 Cfr. par exemple 1. BIFF!, Criteri di cornpostzzone dell'eucologia quaresη

male ambrosiana rinnovata, in: Ambrosius 48 (1972) 27-31; E. CAITANEO, Qua-


resima 1972, in ivi 22-26 et aussi 1. BIFFI, Proposte per la nuova eucologia
quaresimale (pro manuscripto).
109 Cfr. E. GALBIATI, Il nuovo Lezionario ambrosiano deI tempo quaresimale,
in: Ambrosius 48 (1972) 32-39.
lO~ Cfr. E. CATIANEO, Il nuovo «Bl'eviario », in: Ambrosius 47 (1971) 172-188;
F. BROVELLI, Per una revisione deI breviario (pro manuscripto); FERDINANDO e
LoRENZO LoNGON!, Da Quaresima a Pentecoste. Documentazioni su una proposta
per la liturgia delle ore secondo il Rito Ambrosiano (Edizione fuori commercial
(Milana 1974); IIDEM, Lodiamo il Signore. Preghiere per il tempo di Quaresima
Milano 1974); IIDEM, Lodiamo il Signore. Preghiere per il tempo di Pasqua (Mi·
lano 1974). Cfr. Orientamenti Pedagogici TI. 125, 21 (1974) 1054.
m Cfr. Notitiae TI. 97, 10 {1974) 320 où on peut lire: «Rito Ambrosiano. A che
punto è la riforma? "Ambrosius", rivista di pastorale ambrosiana, nel n. 2,
1974, pp. 209-212, fornisce le seguenti natizie: Messale: i lavori, iniziati nell'otto-
bre 1970 (sotto la direziane di Don Inos Biffi) stanna gradatamente arrivanda
in porto. La S.C. per il cuIta Divino ha confermato quasi tutte le parti» dei
<{

testo latino, trannc le Messe votive, rituali, "ad diversa", per i defunti. Del
testo definitivo approvato si ha già una "buona traduzione italiana", che
dev'essere comunque attentamente limata. Lezionario: sono confermate le let-
ture per il tempo quaresimale e dell'ottava di Pasqua. Liturgia delle Ore: i la-
vori dal mana 1973 sono coordinati da Mons. A.G. Martimort. Si ha la speranza
"davvero fondata" che il diurnale per Lodi, Ora media, Vespri e Compicta sia
pronto " per l'inizio dell'Avvento 1974" ».
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 319

lyèdrique, riche et apostoliquement efficace actuation pastorale.


Sans doute la liturgie ambrosienne renaîtra et au sein de l'Eglise
locale de l'Archidiocèse de Milan on prendra conscience de l'im-
portance et de la valeur du Rite ambrosien même pour une plus
concrète et profitable réalisation de l'autonomie des églises lo-
cales.

IV. INITIALE INTERPRÉTATION DES DONNÉES

Après la panoramique" a volo d'uccello» des contacts, flux,


reflux, influx, réalisés entre la liturgie ambrosienne et la litur-
gie extra-ambrosienne, spécialement les influences romaines,
s'impose à présent une interprétation des données-mêmes. Procé-
dant schématiquement, nous rappelons:
1. Une considération préalable: Les textes liturgiques sont
fruit et concrétisation de la foi vécue par l'Église à l'intérieur de
la tradition, l'expérience et la communion avec les autres égli-
ses lll,
La présence d'une liturgie particulière signifie donc vita-
lité locale et vie du "depositum fidei» avec tonalités spécifi-
ques. Par conséquent il est en soi inconcevable qu'une église
tente à étouffer une autre église, en cherchant de supprimer tout
ce qui y est présent. Si cela arrivait, on doit le déplorer ou
l'excuser pour autant que plusieurs fois il y a eu des coordon-
nées de type socio-politique qui ont agi alors qu'au contraire
du point de vue théologico-liturgique, il est inconcevable et ce
serait une erreur grave (si verbum liceat!) comme une héresie
faire taire l'Esprit qui veut s'adresser au Père en tonalités propres
à chaque église.
2. La liturgie ambrosienne sert dans son ensemble eucho-
logique à comprendre la théologie-liturgique à l'intérieur de trois
centres d'intérêt que nous avons mentionnés tout à l'heure:
a) A l'intérieur de la tradition. Le texte liturgique s'inspi-
re de façon prioritaire à l'Écriture Sainte et à la pensée des théo-
logiens, spécialement les Pères, agissant comme expression con-
crète du " sensus fidelium ». Une des caractéristiques qui dans les

111 Cfr. G. RAMIS MIGUEL, D,C., à la note 49, pp. X-XII.


320 ACHILLE M. TRIACCA

contacts avec le milieu extra-ambrosien est sauvegardée en main-


tenant toujours l'ensemble de l'euchologie aussi bien principale
que secondaire avec les caractéristiques de «Heiligeschrift-Eu-
chologie» ou «Vaterschift-Euchologie ». La parole de Dieu fil-
trée à plusieurs reprises par la pensée des Pères, est la pre-
mière source inspiratrice de l'euchologie. La liturgie est tradi-
tion vécue. Le fait que la liturgie ambrosienne ait survécue à
plusieurs tentatives d'assimilation montre qu'elle a en elle une
« vis traditionis eccIesiae» qui serait précaire à supprimer.

h) A l'intérieur de l'expérience. Comprendre la théolo-


gie-liturgique ambrosienne à l'intérieur de la sphère de l'expé-
rience signifie saisir que les vraies raisons de sa subsistance
sont à rechercher dans les motifs inhérents à sauver le « depo-
situm fidei ». Il s'agit aussi des mouvements méthodologico-ca-
téchétiques orientés vers l'immunisation du peuple chrétien con-
tre des erreurs bien déterminées en circulation dans un milieu
déterminé. En un mot: motifs de liturgie vivante pour des hom-
mes vivants comme enCore dans la troisième étape (cfr. III, 3)
nous l'avons vu existant dans l'ambrosien.
c) A l'intérieur de la communion avec les autres églises.
Comprendre l'euchologie ambrosienne qui influe sur celle ro-
maine, hispano-visigothe, gallicane etc ... et aussi comprendre le
phénomène contraire, c'est comprendre comment la vie de l'Uni-
que :Église diversifiée en églises locales forme une vraie «Koi-
nonia» (communauté). La liturgie exprime la communion avec
les églises de plusieurs façons. Celle de l'échange des morceaux
euchologiques est une des façon qu'on rencontre même après
des siècles. On doit admettre que le domaine ambrosien fut
particulièrement fécond, communicatif et en syntonie avec les
autres églises. La même foi portait à prier aussi de la même
façon. Cela est beau! Pourvu que cela soit fait dans le respect
des autonomies locales. Cela sert aussi à être créatifs dans le
domaine euchologique. L'imitation est le premier stade de la
créativité.
3. Nous avons vu le rapprochement de plusieurs rédac-
tions (cfr. III, 1.1) et la synchronisation, par le même usage, de
plusieurs morceaux euchologiques (cfr. III, 1.3) fruit aussi de
diverses écoles euchologiques, comme nous l'avons démontré par
ailleurs. Toute cette pullulation signifie que la vitalité de la
liturgie ambrosienne avait bien compris la loi de l'incarnation
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 321

des expressions liturgiques dans les diverses cultures qui s'alter-


naient dans la plaine padane. Toutefois le même fait de vouloir
sauver, entre rédaction et rédaction, tout ce qui était propre à
la précédente, est fruit de la vraie incarnation historique, qui
nous empêche de nous désincarner con1plètement de ce qui nous
a précédé.
Dans ce sens il émerge de nouveau qu'il serait une très gros-
sière erreur pour une église de supprimer ou de suffoquer une
liturgie.
4. Les motifs qui ont conduit de temps en temps la litur-
gie ambrosienne vers une uniformité euchologique et conséquem-
ment vers une fixation liturgico-expressive, en général n'ont
aucun rapport avec le domaine théologico-religieux pour empié-
ter dans les conditionnements sodo-culturels, dans les facteurs
géo-politiques, dans les mouvements apologétiques-eortologiques.
Ce qui importe de noter c'est que toutes les fois qu'il y a eu une
vexation sur la liturgie ambrosienne, s'est vérifié un appauvrisse-
ment euchologique collatéral à un certain raffermissement pour
les formules survécues au mouvement de fagocytation.
5. Dans ces interprétations initiales des données nous ne
pouvons pas faire plus qu'attirer l'attention sur Ulle série de lois
autour desquelles s'est modulé le changement et l'échange, le
flux et le reflux des contacts entre la liturgie ambrosienne et les
autres. Vu l'importance de ces lois nous en Inentionnons C( ex
professo » dans la V· partie de l'exposé.

V. LOIS QUI SE VÉRIFIENT DANS LE FLUX


ET REFLUX ENTRE LITURGIE AMBROSIENNE
ET CELLES EXTRA-AMBROSIENNES

En cherchant de saisir les lignes macroscopiques qm emer-


gent de l'ensemble des données parcourues et mentionnées plus
haut, et encore plus, cherchant de mettre en évidence tout ce
qui est commun aux données nlêmes, émerge toute une série
de «constantes)} que cycliquement nous trouvons présents au
sein de l'ambrosien de telle façon qu'on peut les appeler « lois» "'.

112 Cfr. A.M. TIUACCA, llltrodll=:imle gellcrale alla lilurgia (Roma 1971-1972)
5-27, spécialement 22-23.
322:....-_ __ ACHILLE M. TRIACCA

1. LOI DE L'AUGMENTATION DU DÉPÔT EUCHOLOGIQUE OU LOI DE L'AU-


XOLOGIE EUCHOLOGTQUE

A chaque contact avec les autres centres euchologiques, à


chaque tentative de violence sur la liturgie ambrosienne, celle-
ci en sort avec une augmentation de formules et formulaires
liturgiques comme aussi avec une augmentation eortologique.
Toutefois il existe le «revers de la médaille» dans cette
loi de l'auxologie euchologique, c'est-à-dire: l'augmentation est
uniquement quantitative, alors que la qualité ambrosienne dégra-
de vers une sorte de planification, applatissement, mise en com-
mun euchologique.

2. LOI DE L'AUTODÉTERMINATION LITURGIQUE PROPRE À CHAQUE GÉ-


NÉRATION

D'une réflexion soignée des données provient la prise de con-


science que chaque fraction d'Église culturellement homogène
jouit du droit inaliénable d'autodétermination «en matière eu-
chologique ».
En effet s'il est vrai que la Trinité n'a pas besoin des for-
mules cristallisées par une culture, ni l'objectivité du culte
n'augmente ni diminue avec la beauté, l'aulicité, l'adéquation
de l'euchologie, il est cependant vrai que l'homme a besoin de
tout cela. Il est clair que l'Église ambrosienne était en posses-
sion de cette vérité et la concrétisait en créant et recréant, en
fondant et refondant périodiquement son dépôt euchologique,
même si pas toutes les fois obtempérant aux principes d'une saine
ambrosianité liturgique. Aussi jusqu'à la période où le peuple
comprenait le latin il nous semble pouvoir affirmer que les éco-
les euchologiques ambrosiennes cherchent à faire recours à la
transmission de contenus théologieo-Iiturgiques usant les moyens
plus adaptés et convenables pour arriver à la fin à se faire com-
prendre. y aura-t-il une vraie euchologie dont la vivacité pour
un peuple chrétien vivant donnera vie à un liturgie vivifiante?

3. LOI DES DIVERSITÉS EXPRESSIVE - LITURGIQUES COMME TABLE


D'ÉPREUVE DE LA VÉRACITÉ DE LA TRADITION VIVANTE

La vitalité et la diversité des formules expressives, au sein


même de l'ambrosien, signifient qu'il y avait là de la vie. Ce
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 323

qui équivaut à dire qu'on était dans l'orthodoxie. On explorait


dans des formes diverses presque pour exprimer la {( vie}) qui
ne peut être freinée dans une seule manifestation.
Dans la liturgie, qui est action du Christ et qui est donc
unique, la polyèdricité de manifestations locales signifie l'unité
dans la multiplicité. Ce qui est un paradigme propre au christia·
nisme, nous le trouvons vérifié aussi dans le domaine étroit de
l'ambrosien. Chaque sous-manifestation euchologique ambrosien-
ne finit par prouver la véridicité de la tradition liturgique am-
brosienne.
Dans ce sens on comprend que c'est une sorte {( de revers de la
médaille» de cette loi qui à son tour peut être une loi ultérieure;
c'est-à-dire: la variété multiple d'expressions liturgiques au mo-
ment de retrocession tendent à une uniformité expressive en
raison de la force centripète propre à la réalité liturgique unique
et une. C'est ainsi qu'on comprend mieux la loi suivante.

4. Lor DU DÉVELOPPEMENT ET DES CONTRAINTES À LAQUELLE LA LI-


TURGIE AMBROSIENNE A ÉTÉ SUJETTE

En effet en concomitance avec diverses coordonnées histori-


ques, socio-culturelles, politiques et aussi en sin tonie avec une
méthodologie missiologique et catéchétique, la pulsation de la
liturgie ambrosienne a vu des développements importans (efr.
loi n. 1) mais aussi des contraintes. Explosions et implosions eu·
chologiques ambrosiennes signifient de nouveau vitalité. On doit
à cette caractéristique de la liturgie ambrosienne si elle a survécu
au cOurs des siècles.
Devrait-on arguer qu'elle survivra aussi pour l'avenir? Nous
le croyons! Nous l'espérons.
La contre-épreuve que le développement et la contrainte dé-
notent vitalité, provient du fait que la formulation de l'eucholo-
gie, perpétuant de rédaction à rédaction un sillage théologieo-
liturgique déterminé, tend à arriver à une formulation organi-
que. Peut-être ce fut ce fait qui a poussé les rédacteurs am-
brosiens à céder quelquefois aux insistances externes et à s'adap-
ter, à englober dans le dépôt euchologique ambrosien tout ce
qui n'était pas ambrosien!?! Nous pouvons le soupçonner à bon
droit. Laissons cependant la réponse parmi les hypothèses de
travail.
324 ACHILLE M. TRIACCA

5. LOI DE L'EXCELLENCE

Est perpétué de l'antiquité et après, parmi la myriade de


pièces euchologiques, tout ce qui excelle en raison de deux faits:

a) La volonté de recourir à des formules de prières im-


personnelles, enveloppées dans /'aI1011)'mat '''. Alors que ce fut
la culture, la capacité, la préparation de quelques compositeurs
ou de « scriptoria " qui sont à la base de la survivance des com-
positions parvenues à nous, ce fut aussi le désir de prier les
prières de tout le monde, qui pousse celui qui nous a précédé
à entourer du halo de l'anonymat tout ce qui est perpétué par
la tradition liturgique.
h) Mais ce fait est collatéral à un autre qui semble antithé-
tique seulement en apparence: c'est-à-dire, on veut rapporter uni-
quement quelque chose d'excellent, d'authentiquement aulique,
démythisant ou hypothisaFlt la personne du compositeur-même,
au nom d'une tradition aulico-sacrale: Ambroise dans notre cas
(Léon, Gélase, Grégoire pour la liturgie romaine; Isidore, Léan-
dre, etc. pour la liturgie hispano-visigothe; Jean-Chrysostome,
Basile le grand etc. dans l'Orient); et polarisant sur des pro-
ductions liturgiques rapportées idéalement, même si pas tou-
jours de fait, aux grande métropoles: Milan dans notre cas, (Ro-
me, Constantinople, Alexandrie, Antioche, Lyon, Tolède, Séville,
etc ...). Cette loi d'excellence signifie une volonté d'introduire la
productiol1 liturgique dans le meilleur corps ecclésial, qui prie
non au nom d'un particulier, mais dans le Christ, avec la voix
chorale de tous. Dans l'actuation de cette loi au sein de la litur-
gie ambrosienne nous avons rencontré aussi l'effort d'adapta-
tion pour se rendre adéquat au génie et à la tradition d'un lan-
gage liturgique visant à habituer les chrétiens à s'élever au-des-
sus des banalités expressives, pour sortir des manières de parler
classiques dont la vie de tous les jours est remplie, pour dépas-
ser le cercle de l'émotivité où on pourrait peut-être facilement
s'étendre.

113 Cfr. A.M. TnlAcc . \, "Impmvvjsazjol1~» (J «/issismo)l ellcologico? Asterisco


ad Wl periodico episodj() cli pasturale lirurgica, in: Salesiallw1T 32 (1970) 149-164,
.!>pêcialement 163.
LA LIT. A1\.lBROSIEN1'\E ET LES AUTRES LITURGIES 325

6. LOI DE L'UNIVERSALITÉ DE LA TRADITION LITURGIQUE QUI S'INCAR-


NE DANS LI\. LOI DU PARTICVLARISME DES TRADITIONS LITURGIQUES

Cette loi se vérifie dans toutes les liturgies orientales et


occidentales, si on la considère en absolu. En fait la réalité de
la «tradition liturgique» finit par se concrétiser et se rendre
visible dans les traditions ultérieures. En effet du point de vue
diachronique nous avons rencontré des traditions ambrosien-
nes diverses: comme la proto-rédaction, la deutéro-rédaction, la
trito-rédaction qui se mouvant toujours dans le sillage de lignes
théologico-liturgiques déterminées (= la tradition liturgique am-
brosienne) finissent par se diversifier en raison de tonalités nou-
velles ou de contaJninations extra-ambrosiennes.
Du point de vue sYl1chronique, par exemple, dans la troisiè-
me des étapes marquantes (cfr. III, 3) nous avons rencontré
une liturgie ambrosienne milanaise; une liturgie ambrosienne
bergamaise, novaraise, ticinaise, varesotte; une liturgie ambro-
sienne-bénédictine etc. Les diverses sous-incarnations ultérieures
ou concrétisations signifient une vitalité spécifique de la litur-
gie ambrosienne. Il est vrai que même la liturgie romaine, la
liturgie hispano-visigothe, la liturgie gallicane etc. ont dans leur
giron la vérification et l'actuation de cette loi. Toutefois nous
retenons opportun de souligner qu'il n'y a pas à comparer la
vitalité ambrosienne avec les autres, en raison de l'étroit espace
géoculturel dans lequel la liturgie ambrosienne se meut avec
une vitalisation liturgique beaucoup plus accentuée. C'est ici
qu'on doit se permettre de donner la vérification de cette loi
comme une des actuations concrètes de la perpétuation de tout
ce qui provient de J'enseignement de l'Incarnation du Verbe.
L'Incarnation du Verbe est toujours un événement d'une
merveilleuse condescendance: une recherche des hommes admi-
rable, incompréhensible, totale, sans aucune réserve (excepté la
contamination pécamineuse). Cela est réalisé par le Verbe avec
une intention clairement orientée vers une pleine convergence
de desseins avec le Père dans l'Esprit. L'Église possède la tâche
délicate et grande de vivifier en tout temps et avec chaque hom-
me personnellement le geste de rapprochement que le Verbe fit
dans son Incarnation historique. L'action de l'Église est plus
qu'analogue à celle du Christ; c'est la même, tnystérieusenlent
actuée en chaque instant de J'histoire du salut. De là résulte
326 ACHILLE M. TRIACCA

que l'assomption ecclésiale de la dimension liturgique repr0-


sente toujous une phase particulière dans l'histoire du salut.
Elle a en soi une densité incomparable parce qu'elle incite
à intégrer l'aspect et la dynamique propre à l'église locale avec
cette liturgie qui est en soi supra-temporelle (perpetuelle-cuIti-
que), supra-locale (catholique).
Les compénétrations de la qualité entre liturgie et église
locale possèdent donc un paradigme parallèle. L'universalité de
l'église locale et la pérennité de la tradition vont de pair, com-
me le caractère concret de l'église locale et la vitalité d'un réveil
entre les traditions liturgiques.
Comme d'autre part l'Église locale dépasse la dimension de
l'espace pour rejoindre l'universalité de l'espace (= la catholi-
cité dans le sens étymologique et réel) ainsi la manifestation li-
turgique concrète dépasse la dimension du temps pour rejoindre
la pérennité dans le temps (= l'unicité du culte) propre au Sa-
cerdoce du Christ (= unique Médiateur) qui s'incarne justement
dans la manifestation liturgique concrète li'.

CONCLUSION

A coup de « flash» nous avons esquissé l'ensemble des pro-


blèmes qui sont collatéraux à la conscience vivante de l'église am-
brosienne de posséder une liturgie spécifique et de devoir la
défendre contre les influx invahissant de l'extérieur.
On a ainsi constaté, du moins au moyen de mentions non
exhaustives, comment chaque époque, de la naissance de la li-
turgie ambrosienne à nos jours, est allée ou s'enrichissant ou
s'appauvrissant dans le domaine de l'ambrosianité liturgique.
Alors que à partir d'une certaine période et après, l'eucho-
logie ambrosienne ne réussit pas à se libérer totalement des
mailles du filet antiambrosien qu'on lui a jeté dessus (en fin de
compte on doit admettre que la liturgie ambrosienne ne peut
pas échapper à l'empreinte d'une certaine hétérogénéité) consti-
tue pour toujours un «specificun1» notabJe qui réussit à sub-
sister et à communiquer aux autres églises quelque chose de soi.

lU Cfr. A.M. TRBCCA, Ciliesa loc.:ale e lilll/"gia. Lillee metndologiclte nllltllate


dalla Cristo!ogia, in: Rivis/a Lirllrgica 59 (19ï2) 108-121.
LA LIT. AMBROSIENNE ET LES AUTRES LITURGIES 327

Dans cette vitalité il y a la présence concrétisée de la vo-


lonté de communion ecclésiale avec les autres églises locales
au nom d'une parité de véracité. Ce qui doit attirer notre atten-
tion est que chaque flux et reflux entre une liturgie et l'autre
sc réduit en convergence de vérité.
Méthodologiquement on pourrait se demander s'il est licite
de procéder pour récouvrir la vérité en courant en (c zig-zag» à
travers uniquement des vérités partielles. Est-il prudente de s'em-
barquer dans une aventure s'alignant parfois avec qui cherche
encore la vérité, alors qu'on a conscience que sa propre litur-
gie fait prier la vérité?
Laissant l'interrogation, on doit accepter la recherche de
tous, pour pouvoir accepter un progrès de l'approfondissement
d'une enquête qui, si elle est menée avec sincérité et engage-
ment, porte facilement à la convergence mentionnée, sûr de la
promesse indéfectible du Christ à son Église qui va se réalisant
et concrétisant dans la liturgie locale non seulement dans son
existence (= in esse) présente, mais aussi dans son devenir (= in
fieri) .

Pontificium Institutum Liturgicum


Anselmianum - Romae

Achille M. TRIACCA, S.D.B.


ARMENIA AND THE GRADUAL DECLINE OF ITS TRADITION AL LI.
TURGICAL PRACTICES AS A RESULT OF THE EXPANDING INFLUEN·
CE OF THE HOLY SEE FROM THE 11th TO THE 14th CENTURY'

1. THE GENERAL HISTORICAL BACKGROUND

Since the fourth century Armenia, divided in two by the


Byzantines and Persians, was the object of constant rivalry for
domination between the Greeks and the Sassanids. This political
partition of the Armenian realm into eastern and western halves
marked the beginning of an internai rupture in her cul tuaI,
political and ecclesiastical life. Thereafter the Armenian Church
was a barometer of the changing political climate, undergoing
repeated adaptation to bring herself into agreement with the new
political conditions '.
The struggle of the Eastern Roman Empire with the Per-
sians resulted in a certain isolation of the Armenians from the
universal Church, and it is weil known that the Armenian
Church had no part in the decisive phases of the christological
controversies of the fifth century. The defective rendering of
Greek terms into Armenian and inadequate information about
the proceedings of the Councils of Ephesus (431) and Chalcedon
(451) led to the condemnation of the Chalcedonian Council '.

'il This article, abbreviated \\iithoul either the consent ur the control of the
Author, has bccn publüihed in J. VELLI.\N (cd.), Syrian Churches, Series vnI
(Kottayam 1975), pp. 110-125. DespHe the Author's n.~pealed insistanœ, proofs of
the article were not made availablc to her for rcvision. Hence the article
appeal"ed \-viLh numerous en ors \vhich the Authot" \Va" given no opportunity
to correct. Especiall\' dcplorable is the fact tha1 the Author's tramliteration
of Armenian namcs' was arbitrarily and unsystcmatically simplified, with the
inevitable result that aIl Armenian tcrms are incorrectly transcribed.
1 Cf. N. ADONTZ, Arme"ia in the Period of Justülial1. The Politicul Condiciolls
bllsed on the Nuxamr System. Trallslated witl1 partial revislol1S, a bibliograpl1ical
IlOte and appel1dices bv N.G. Garsoïal1 (Lisbon/Louvain 1970) pp. 254-275 (cf.
also p. 9); R. GROuSSET,' Histoire de l'Arméllie. Des origil1es à 1071 (Paris 21973)
p. 163 rr. For the earlier historv of Armenia cf. thc valuable contributions or
N. AUONTZ, Histoire d'Arménie. 'Les origines du Xe siècle au VIe (Av. J. C.)
[Paris 1946] and GROl.:SSET, op. cil.
2 Cf. A. GRILLMEIER-H. BACHT, Das KonziL von Clwlkedol1 (3 vol. Würzburg
1951-1954). For the christologica1 controversics cf. P. TEKEY,\N, COlllroverses
dlristologiqttes ell ArméllO·Cilicie dans la secol1de moitié du Xl f~ siècle
(1165-1198) [= Orientalia Chrisliana Analecta 124, Rome 1939]; E. TER-Mr~Assr.-\NT;r.,
Die armellÎsc:he Ki/-che il1 illren BebielulIlgen ;:lt deJ/ syrisdlel1 Kirchctl bis
330 GABRIELE WINKLER

Prior ta the rise of Islam, the western part of Asia Minor,


Lesser Armenia and the Cilician coastline belonged ta the Byzan-
tine Empire. For Byzantium Armenia Minor served as buffer-
state protecting one of the most vulnerable frontiers of the empire
like a rampart against the peril from the southeast: from the
Sassanids, the Arabs, and ultimately from the Seljuk Turks '.
In the ninth and tenth centuries the relationship between the
Greeks and the Armenians became very close out of necessity.
With the rise of the Macedonian Dynasty in Byzantium there
were quite a few emperors of Armenian origin, and they preserved
a certain independence for the Armenian kingdom of the Bagra-
tids. But gradually the ties between Armenia and Constantinople
grew cooler, when the Byzantines interfered tao eagerly in the
internaI affairs of Armenia, trying ta bring about the faIl of
the Touse of the Bagratids.
This blind and inauspicious attempt in the eleventh century
ta annex Armenia entirely ta Byzantium led ta eventual ruin,
not only for the Bagratids but for the Byzantine Empire, tao,
as it opened Asia Minor ta the fatal assault and penetration of
the SeIjuk Turks '. After the military dis aster of Manazkert in
1071 ", when Transcaucasian Armenia and even fast regions of
Cappadocia were overrun by the Turks, many Armenians emigrat-
cd from Greater Armenia into Cilicia, where they created new

::wn Elide des 13. Jahrhunderts nach den armenischen l/11d syrischcn Queflell
(:::0;Texte und Untersuchungen zur Geschichte d. altchfistl. Litcratur 16/4,
Leipzig 1904) pp. 29-151; A. TER-MIKEUAN, Die Anl1ellisclw Kirche in ihren
Beziehllllgcil ZlIr bYZa/ltinischen l'am 4. bis n . .Tahrhll11dert (Lcip?ig l892);
W. DE VRIES, Der christliche Ostcn in Geschicltte und GegcJ1wart (= Das ost1.
Christentum, n. Folgc, Heft 12, Würzburg 1951) pp. 37·38.
3 Cf. note 1. For a general outline of Armenian hisLOry lhroughout the
centuries cc. J. MORG.-\N, Tlle History uf the Arrnenian People trom tlle Remotesl
Times lu Ihe Preselll Da)' (Boston 1965); H. PASDF.RMAnJ..\1\, Histoire de l'ArmélZie
depuis les origilles jusqu'au traité de Lausanne (Paris 21964); Fr. TOtrRNEBIZF.,
Histuire polilique et religieuse de l'A/"l1lé/1ie depuis les origines des Annéniells
inSC]ll'à la luort de leur demie,. roi (l'an 1393) [Paris 1910]; S. DER NF.RSESSl..\1\',
l'Ize AmlClûal1.~ (= Ancient Peoples and Placcs 68, Norwich 1969). For the history
of the Church consult TEI(-MIK~SSlM\TZ, op. cit., and TER-MIKELT.~~, op. cil.
4 Cf. MURG.\:':, Tlle HislOfY, pp. 184·188; PASDERMAD.JAN, Histoire, p. 180-196.
~ AlI the Armenian narnes of places and persans are spcIled in thc Armenian
mannOI· following H. MEII.LET, Altarmenisches Elell1el1larbuch (Heidelberg 1913).
For tllC transliteration of Arrncnian place-names l consulted H. HÜBSCHMANX,
Die aflannenischell Orlsnal11cn mit Beitriigen zur historischel1 Topographie
An/lel1icllS (StraBburg 1904) and for tlle Armenian proper names l adopted
the Orthography of the Armenian historical documents, Le. the Armcnian
historians of that cpoch editcd in Reel/ôl des lûstCJriel1s des croisades. Doc/l-
me/lts arméniens (2 vol. FarnoboI"oul!h 21967), heneeforth cited as Reel/eil land
Recueil II. -
ARME~..nA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 331

principalities in the mountainous regions. The emergence of


lhese small principalities was even favoured by the Grecks.
Armenian governors were appointed in the most important cities,
and these gained a certain independence from the Court of
Constantinople '. The Armenian prince Kostandin, the son of
Rowpen (Rowben), took from the Byzantines the fortress of
Vahka(y) and established his seat of government there in 1092-
1100'.
At the time of the first Crusade (1096-1099)', when Godfrey
of Bouillon broke through the regions subdued by the Seljuks
to advance into Asia Minor as far as the plain of Antiochia, the
Armenians had not yet descended from their rocky shelters into
the vast lowlands of the Cilician littoral. But when the first
waves of crusaders reached Cilician soil after the weary march
over the Taurus Mountains, the Armenians hastened to support
the Western Christian Powers who had barely survived the hard-
ship of constant battle on unknown ground agaist the mighty
empire of the Turks. The leader of the Armenian nobility Kostan-
din, seeing in the crusaders a unique opportunity to shake off
for good the tutelage of the hated Byzantines and to expand his
own power in Cilicia, provided them with men, horses, food
and military equipment. Thus he established a mutual friendship
between the Franks and the Armenians, who saw in each other
not only fellow-believers but vital allies in their military cam-
paigns against a cornrnon enemy 9. At the siege of Antioch in

6 Cf. TOŒNEBTZE, Histoire, p. 169; Mom;AN, The History, pp. 188-190, 192-193.
7 Cf. MnRG,\N, The History, pp. 194-195.
a The dctails of the Iirst crusade are given by Mall'eos of Edessü, an
Anm::nian historian, Armenian text wilh French tram;\. in: Recueil l, pp. 1-150
(cf. p. III-IV). The two volumes of the Recueil are of utmast importanCë
orf the stl..1d~, of Annenian history in the epoch of the crusades. The sevcn
principal crusades tu the Holy Land were as follows: the Firs[ from 1096-1099
(recaptul"e of Jerusalem); Ille Second From 1147-1149 was unsuccessful; t1le Tlzh·d
(1189-1191/2) lcd to the conquest of Acre; in the Fot/rth (120112-1204): the Latin
Empire in the East was established; the Fi/th (1228-1229) was a nev..' attcmpt
ta eonquer Jerusalcrn, which \Vas finally lost in 1244; the Sixtll (1248-1254) and
the Se1'el1th (I2iO) crusades \Vere unsuccessful.
~ Cf. Recueil J, p. II-IV and the chronicle of Matt'eo." of Etlessa, ibid.,
p. 29ff, 33r; G. DE SERPOS, Compendio slOrico di 111emorie crol1ologiche COllcemi?llli
la religiol1i? e la morale della llaz.ione annel1a II (Venice 1786) p. 60f. (Therc are
3 ,·olumes which we cite as Serpos l, II and III.) Cf. furthermore TUU?~EBIZE,
Histoire, p. 170; P.·\SDHRMADJM" Histoire, p. 199[f. Pope Gregory XIII !-iaid later
in his Bull of 1584: «Among the other merits of the Armenian nation as regards
the Church and Christcndom, there is one thal is outstanding and deser\"cs
particularly lo be remcmbercd, namely, that when in limes past the Christian
pI"inccs and armies \Vent forth ta rcc~ver the Holy Lanù, no nation, no people
332 GABRIELE WINKLER
=--------=-==--=---=-::='------ --
1097 the Armenians made haste to aid the half-starved Franks lO_
In acknowledgement of this support, the Franks conferred on
Kanstandin the tide of Baron, and at the same time the mar-
ri age of Kastandin's daughter ta Jascelin, Count of Edessa,
strengthened the mu tuaI ties u.
The continuous struggle of the Armenian principalities to
emancipate themselves fram Byzantine tutelage ", in addition
to dissent in matters of faith, bred between the two parties an
antipathy similar to the aversion which separated the Greeks
and the Latins. The growing self-awareness of the Armenian
nobility was suspiciously watched at the Byzantine Court 13.
Konstandin's son T'oros (1100-1123) even emerged from his
[ortress Vahka(y) and captured the valley of the Pyramus from
the Greeks. To assure the newly gained independence and to
obliterate the last traces of subordination to the Byzantines, the
Armenian aristocracy sought to ally their nobility in marriage
with the leading and most distinguished families of the Franks ".
This shift of Armenian poli tics to the Western Latin Powers
certainly greatly ruffled the Greeks: the Emperor John Com-
nenos II marched into Cilicia in 1137, ard Baron Lewol1 and his
family were taken prisoners and hauled off to Constantinople,
where the Greeks blinded his e1dest son Rowpen with a red-hot
iron and then put him to death ". The Byzantines ruled ail
Cilicia from 1137 to 1145 until the other son of Lewon, T'aros,
who had f1ed to Antioch disguised as a merchant, finally restored
Armenian domination in Cilicia with the help of Prince Ray-
6
TI10nd 1 ,

The disastrous events of 1187, when Saladin took possession


of J erusalem, provoked deep concern in the Western Christian

came to their aid more speedily and with morc enthusiasm than the Armcnians,
giving them assistance in men, horses, food supplies and counsel; \ ....ith all thcir
might and with the greatest bravery and fidclity, they hclped the Christians
in thosc holy \Vars ». Cit. in Serpo.s III, pp. 559-563; MORGAN, T!le His/ory, pp. 195-
196 and 273-274; TOt:RNEBIZE, Histoire, p. 170.
10 Cf. Mall'eos of Edessa in Recueil I, p. 33f; MORG.ü[, The His/ory, p. 196.
11 Cf. TOl,-R"F.BIZE, Histoire, p. 170f; MORGAN, The llistur)', p. 196f.
12 Cf. Recueil l, p. X; MORGAN, The History, p. ISSff.
13 Cf. P.>\SllER\tAIlJAX, His/aire, pp. 202-204.
Il Cf. Reclwil l, p_ XLIX-LIT; TOURNEBIZE, Histoire, p. 170ff.
1, Cf. the Al-menian historian Hay/ail (= Het'owl1) in Recueil II, p. 8;
TOLRNEBfzE, Histoire, p. 174-175; P.-\SDER!\L\DJ..\:-':, Histoire, pp. 204-206; MOllt;.\\i, TIte
llistory, pp. 200-201.
IR Cf. the rhymed chronicle or Va/Iram (RabulVln) of Edessa in Recl/eil l,
p. 503ff; TOlIRNEIlIZE, Histoire, p. 175rr; MORC;.-\X, The Histur)', p. 201.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 333

World ". Supported by the Popes and under their explicit sanction,
military expeditions were sent to the Roly Land to snatch the
Roly Places from lslamie domination. To secure the vital as-
sistance of the Armenians, the Western allies promised to set
up a kingdom in Cilicia. For the crusaders the route through
Cilicia was the shortest way to the Roly Land. Furthermore,
Cilicia was the only country open to the armed pilgrims of the
Western Empire. For free communication between the West
and Asia Minor, and between the great cities of Syria, Mesopo-
tamia and Egypt this area was of vital interest to the various
political groups in West and East lB.
The shrewd foresight manifested by the plan of establishing
a kingdom in Cilicia, at the same time as the creation of the
throne of Cyprus by the Lusingnan family, came from the same
political inspiration and the same urgency to confer on those
regions of utmost strategie importance the necessary power to
keep the invading infidels at bay. The originator of this wise
stratagem \Vas none other than the Roman Pontiff, who even
sought a religious union between the dissidents and the Latin
Church in order to guarantee the newly established political
aid between Rome, Asia Minor and the Roly Land ". On the eve
of the Third Cru sade the Pope sent off letters to both the Prince
and the Catholicos, asking military and financial aid for the
armed pilgrims. As is weil known, the German Emperor Frederick
Barbarossa cherished the grandiose plan to reconstitute the Roly
Roman Empire from the German Nation, integrating into it the
Oriental Realm dominated by the West. And in this scheme the
German Emperor had reserved for Cilicia a very important
raIe :lIJ.
The promise of the royal crown to Lewon and the plans
for the new political axis naturally aroused suspicion and jealousy
at the Byzantine Court. Therefore the Byzantine Emperor Ale-
xis III (I 195-1203), in the vain hope of alienating the Armenian

17 The unsucœssful Second Crusade under Louis VII is scarcely rncntioncd


in the Armenian chroniclcs, nor arc there also no detailed sources abouL
the clusade of Philippe-Auguste and Richard the Lion-Hcarted, for they were
travelling mainly by sea, but the documents about the German Emperar are
quitc explîcit; cf. Reel/cil l, p. IV.
18 Cf. Recueil J, p. II·III.
19 Cf. ibid., p. LIV; V. L-\NGLOIS, Essai historique SHr ta constill.lrion sociale
et politique de l'Annel1Îe SOllS les rois de la dynastie 1"DHbénienne (Saint
Pétersbourg 1860) p. 44; MORGA~, T/1e History, p. 212ff.
20 Cf. PASDERMAl.JJ:\N, Histoire, p. 209.
334 GABRIEl.E \VTNKLER

Prince from the Latins, sent off the ominous counsel ta LeWOH:
"Put not upon thine head the crown the Romans have sent
thee, for thou art much nearer ta us than thou art ta Rome» ".
At the beginning of the Third Crusade the Byzantines Even con-
sidered joining the Saraeens and Turks against the Latin Chri-
stians and the Arnlenians 22.
Ta appease somehow the aroused Greeks, the Armenians
started negotiations simultaneously with Byzantium and the Ro-
man Pontiff in order to settle the ccnturies-old dissent in ecde·
siastical affairs. But the intoleranee of the Orthodox Greeks,
the haughtiness of the emperors, and the experience of several
previous attempts to force a solution to this issue had in the
course of time caused bitterness in the Armenian Church, and
these painful memories now prevented a successfull agreement.
Renee the Armenians turned tm'Jards their Western allies, not
realizing that this shift to Rome would result, on the part of
the Roly See, in the same unyielding intolerance in ecdesiastical
affairs and ultimately result in the suppression of traditional
Armenian usages. as time has shawn 23.
Before the coronation of LewoH, Pope Celestine III issued
through his legate Cardinal Conrad of Wittelsbach a letter as king
the Catholicos Grigor VI Apirat (1194-1203) to reform the Ar-
menian liturgical practices and to bring them into !ine with the
Roman use. The papal legate asked moreover that the study of
the Latin language be introduced in Armenian schools, a sug-
gestion that was met with a particularly cool reception from the
Armenian bishops ". But the ambitious Lewon was not to be
deterred by the misgivings of his hierarchy: "Do not worry»
he informed the bishops. l will satisfy them just for the present
by appearing to give in to them 25. A shrewd politician, he pre-
ferred this sort of stratagem to open dissent.
Meanwhile the German Emperor Frederick Barbarossa had
left Regensburg in May 1189. When he eventually reached Ar-

21 Cf. the Armcnian historian Kiwrakos Ganjakeci (Gelkeci), who narratcs


the c\'cnt of the coronation; Armenian text and French transI. in Recueil L
p. 423 (cf. p. Ur-LIn); TOlTRNEIHZE, Histoire, p. 182, 261; MORCA'\, Tilt' Histor-y,
pp. 215·216.
~2 Cf. MORGAN, The History, pp. 215-216.
2~ Ibid., pp. 216-221.
24 Cf. TOl:RNI.:BIZE, Histoire, p. 268; TEKEY:\X, Controverses, pp. 51-54.
~~ Cf. Kiwrakos GtlTljakeci in ReClleil l, p. 423; MOIl.GAX, The Hislury, p. 223.
ARMENIA AND TTS GRADUAI. LITURGICAL DECLINE 335

menian territory, Lewon sent an ambassadorial escort to wel-


come him. But the entire exalted ideal of creating a new Chri-
stian world power, and in particular the aim of establishing
a kingdom in Cilicia, seemed to dissolve into nothing, when the
emperor, either while crossing or bathing in the river Caycadnus,
drowned in its icy waters ". Despite the resulting uncertainty of
realizing the promised kingship, Lewon gave full support to the
crusaders, and the assistance of his army probably led to the
siege of Acre. The new Emperor Henry VI kept the former
promise given by his father to the Armenian Prince. In 1197 the
Imperial Chancellor, Conrad of Hildesheim, left for Tarsus and
finally in 1198 (or January 6th 1199?)" Lewon was consecrated
king as Leon (Leon) l, by both the Papal Legate and by the Ar-
menian Catholicos Grigor IV (Apirat) , and the union between
the Roman and Armenian Church was proclaimed without any
further negotiations 2B.
With the foundation of an independent kingdom in Cilicia,
Lesser Armenia established direct communication with Europe,
opening her ports to the ships of the Venetian and Genoan
Republics and participating in the enriching transactions of
Mediterranian trade. In 1201 a treaty of commerce was signed
between the Ambassadors of Genoa and Venice and the King

2~ Cf. Recl/eil l, p. 565; P.4.S0ERMADJAX, Histoire, pp. 209-210; MORGAN, The


Hislory, p. 213.
2; The various chronicles do not agree on the date of Lewon's coronatlon.
The Armenians place the ceremony between July 1197 and January 1198, whereas
the Latins date it in 1199 (cf. MORG..\N, The His/or)', pp. 224-225). In Recl/eil 1
(pp. 579-603) is edited a letter of Nerse.s LambrOflaci (Î 1198) to King Leo/1 1
(::;; TI in Dularier's edition of the Recueil 1), and the editor Dulaurier a150
gi\'(:!s the date: 1198 (Recueil 1, p. XV). The date of the letter - at least as [)
date post qtlem non - seems to be absolutly rdiable, [or Nerses died in 1198
(for the death of Nerses in 1198 cf. the confirmation of the Armenian Chronicle
written hy Samw.-vel Aneci ed. in Recueil l, p. 459.) Thus the crux lies in
whether the titles in the Letter have ta be interpreted as nddressed to the Kin g
or P r i ne e Leon. If they prave to be addressed to King Leon, Leon must have
becn crowm:d before 1199, because Nerses died in 1198. The appellations in tlle
letter are: lsk apa t'e isxanowz'ean jer. .. , which Dulaurier rend ers: «Mais ta
Majesté ... " (p. 599). The address at the beginning (p. 579) runs as follows:
H:wln illk'nakaloWl'eamb who rules "\Vith au-rcKPa.·tUa. The tcrm
ink'llakalowt'iwll - aù-roKp!k-rna is very strong evidence that Lëon 1 by the grace
of the Roman Emperor [= Henry -IV] King of Armenia. A felA' years la ter,
howevcr, Leon shook off this vassalage to the Western powers and began n
calling hirnself: King by the grace of Gad; cf. V.M. KL'RKJlAl\:, A History of
Armenia (New York 1964) p. 235.
29 Cf. TOL'R1\EBIZE, Histoire, p. I85E; PASDERMADJ.-\;..!, Histoire, p. 210; DE VRIr.S,
Der christliche Osfen, pp. 94-96; For the previous religious arrangements cf.
notes 21 and 24.
336 ---
GABRTELE WINKLER
-- -- ~- -- -----------

of Cilician Armenia '". In administration the Latin feuda! regime


was taken as a model for the reorganization of the Armenian
Court, thus replacing the ancient feudal system of Armenia. The
titles, and ranks, and entire etiquette of the Royal Court at Sis
were now modified in imitation of the Western aristocracy, and
Latin and French were used along with the native language at
the newly established court ".
As natural allies to the Latins, the Armenians of Cicilia sym-
pathized with the Roman Church rather than with their Byzan-
tine neighbours. This led eventually to a lively antagonism bet-
ween Greater Armenia (i.e. Oriental or Transcaucasian Armenia)
and Cilicia. While Greater Armenia nurtured a narrowminded
nationalism, Cilicia, sharing common borders and mu tuai in-
terests with the neighbouring Frankish colonies, was open to
Latin influence in political and ecclesiastical matters. Solidarity
of shared defence against the surrounding enemies rendered the
fate of both Christian establishments inseparable. The Franks
reached in the course of time a predominant positions at the
Court of Sis, not only in administrative affairs, but in liturgical
and dogmatic matters, too. The splendour and greatness of
the new Court at the time of Leon 1 was never to be achieved
again. Soon internai intrigues and the threatened invasion of
non-Christian neighbours weakened the kingdom of Cilicia.
Preliminary skirmishes led finally to devastation in the catastro-
phe of 1375, when Cilicia fell to islamie domination.
Having thus outlined the general historical background, we
come now to a more specifie description of the ecclesiastical
proceedings.

II. LATIN INFLUENCE IN CILlCIA (llth-14th CENTURY)

The earliest attempts towards ecclesiastical union with Ro-


me began in the time of the conquest of Armenia by the Seljuk
Turks, i.e. the capture of Ani (1064) and the military dis aster of
Manazkert in 1071, caused by the inauspicious politics of the

2~ Cf. Recueil l, p. XCIV-Cry, 745·762; W. HEYD, Histoire du commerce dll


Levarlf au Moyen-Age (vol. l, Leipzig 1923) p. 360; P.Z. BEDOUKIAN, Cainage. of
Ciliciall Armenia (New York 1962); TOLRNEBIZE, Histoire, pp. 201-205; MORGA:-':,
The Histary, pp. 228-230.
30 Cf. Recueil l, p. XIII, LXXIV-LXXXII, LXXXVII-XCII; TOVRNEBIZE, Histoire,
pp. 194-196; MORG.>Ù'l:, The Bistar)', pp. 227-230.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 337

Greeks in Asia Minor. The Armenian Church under the Catholicos


Grigor II (1065·1105) sought to form connections with the Holy
See, requesting the pallium" as a sign of his devotion to, and
communion with, Rome". Pope Gregory VIII in his letter (1080)
to the Armenian Catholicos recommended that the Armenians
1. add water to the chalice during eucharist, 2. omit the theopa-
schite addition (i.e. qui crucifixus es pro nabis) to the Trisagion
(sa1lctus Deus, sanctus tortis, sanctus immortalis ... ), 3. accept
the general councils with special reference contacts were facilitat-
ed by political events in Asia Minor, Le. the emigration of many
Armenians from Transcaucasian Armenia (= Greater Armenia)
to the west to escape the persecutions, and furthemore the arri-
vai of the crusaders which finally led to the conversion of the
Cilician principality into a kingdom patterned after the Court
of the Franks, thus splitting Armenia politically into two halves:
latinized Cilicia in the west Greater Armenia in the east, which
remained isolated ecclesiastically as weil as politically.

31 Cf. A. B-\lG [= PalceanJ, Historia doctrinae catholicae inter armenos


lUlionisque eowm cum Ecclesia Romana ill COl1cilio Florerllino (2 vol: Latini
Arrncnlan, Vienna 1878) p. 28-29; M.J. TERZHN (Le patriarcat de Cilicie el les
arméniens catJlOliques 1740-1810 [Beyrouth 1955J p. 115) gi\'es the following
description of the Pallium: « Le pallium est une bande de laine blanche, large
de 3 doigts, il entoure le cou a l'instar d'une étole pronlongée par des pendants
de la largeur d'un palme, eux-mêmes terminés par de petites pièces de plomb.
1t porte 4 croix grecques de soie noire. Il se fabrique avec la laine des agneaux
bénis à la fête de Sainte Agnès et présentés au doyen du tribunal de la S. Rote
Romaine. C'est à la vigile de la fête de S. Pierre et Paul que les palliums sont
bénis par le Pape ou par un cardinal; ensuite ils sont conservés auprès du
tombeau de S. Pierre >J. The grant of the Pallium was introduced after the
schism of Michel Cerularius (1054) as a sign of union between hierarchs and
the Roman Pontiff (cf. F.x. WERNZ-P. VIDAL, Jus call011icunt II [Rome 1928J
pp. 560-561). Befm·e the reception of the Pallium the patriarchal power was
limited, th us he could not convoke a synod nor consecrate the chrism nor
dedicate a church. These preccpts however were not always strictly observed;
cl'. ibid., pp. 115-17; W. DE VRIES, Rom llnd die Patriarchate des Ostens (Freiburgj
!\.hmich 1963) p. 25Off.
32 Cf. C. G. \L\NQ [= GalanusJ, COl1ciliationis Ecclesiae Armenae cunt Romalw
ex ipsis armenorum patrum et doctorwl1 testimolliis [Armen. and LatinJ prima
pars his/orialis (Romae 1650) p. 228ff. (The other two volumes are: seczHlda
pars controversialis [tom. 1 Romae 1658; tom. II Romae 1661]. The 3 volumes
will be eited as Galal10 l, II and IlL) Cf. furtherrnorc M.A. VAN DEN OUDENRIJN,
"Uniteurs et Dominicains d'Aréne", Oriem Christianus 40 (1956) p. 100. (The
tlther threc publications of van den Oudemrijn on this subject are in Oriells
Christial1//s 42 (1958) pp. 110-133; 43 (1959) pp. 110-119; 45 (1961) p. 95-109. These
four articles will be cited as Olfdcllrijn l, Il, III, IV.) The tirst evidencc of
mutual contacts however is given by the letter of Pope Nicolas 1 ta the Priee
of Asof on the occasion of the Armenian synod on the two natures in Christ
held at $irakavan in 862; cf. G. HOFMANN, «Die Einigung der armenischen
Kirche auf dem Konzil von FiOl-enz 22. No\'. 439 n, Oriemalia Christiana Periodica
5 (1939) pp. 167·169.
33~8____________________G=A~B=RIELE \VTNKLER

The nomination of Grigor III (1113-116) ta the pat ri archal


see provoked an ecclesiastical secession of Greater Armenia when
the church there praclaimed Davit' as anti-Catholicos with his
see in Alt'amar". The newly e1ected Catholicos Grigor III, trying
ta draw the Armenian Church out of its religious isolation, joined
the Latin synods held in Antioch in 1141 and Jerusalem in 1142,
where he declared rather ambiguously that there were no es-
sential differences separating the two churches ". Pope Euge-
ne III askcd the Armenians ta comply with Roman practices, ta
consecrate a mixed chalice and ta transfer the feast of the Nat-
ivity from January 6th ta Dccember 25th, when it was ceJebrated
in the Latin Church.
The brather of the Catholicos, Nerses Sl1orhali, who Jater
became the head of the Armenian Church, sought ta resume
the negotiations and even ta appraach the Greeks ta put an end
ta the dissension which had lasted for seven centuries. Again
the previous probJems were raised, the mixed chalice, the date
of celebration of the Nativity, and the Greeks added the demand
that the Myron be praduced fram olives .". In his writings Nerses
Sl10rhali (he was Catholicos from 1166-1173) manifests a parti-
cular reverence for the Roman Church and the Popes as suc-
tessors of Saint Peter"', but he still defends and justifies skil-
fully the old Armenian Iiturgical uses such as the unmixed
chalice and the celebration of the Nativity on January 6th. In
the Trisagion, he argues, that the Armenians do not invoke the
Trinit y but the Second Persan. Rence the Armenian form of the

:13Cf. Serpos II, 56-60; TOUR~EBIZE, Histoire, 163ff; BALCY, Historia, 29ff.
~-ICf. Oudenrijll l, p. 101; Sapos IL p. 63.
~5 Cf. Serpos II, p. 62. It is interesting ta compare the exagcrated importance
givcn to Grigor's journey by the Catholic Tourncbize (Histoire, pp. 137-138) and
the eagcr attempl to downplay il by the Orthodox point of yicw in M. 01~~L\:\L-\~J
The CllIlT"ch of Arme/lia. Her History, Doctrine, RI/le, Disciplilw, Lilllrgy, Li-
ferafl/re, and Exisfing Condition (London 21955) p. 48. Ther~ is a spron~' possi-
bility that the Anncnians tried in this approach to the Latins ta shake of[
the Byzantine domination, [or in 1137 the Emperar John Comnenos II hac1
invaded Cilicia and the Byzantines ruled over Cilicia from 1137 ta 1145, as Wl'
have shown above.
:l6 In Greater Armenia ·where climatic conditions ' .... ere un[avourable ta tlh'

cultivation of olives, sesame-oil had been llsed for the preparation of chrisl1l,
and gradually this eus tom sprcad ta the rest of Armenia; cr. TOl'RNERIZL,
Histoire, 250; B . \LGY, Historia, p. 32. For Nerses snorlw.li, as '.vell as his lctters
anù other documents, Armen. texte \vith ltalian transI. in: B. T..\lATDd . \N, "Il
primato di Pietro e ùel papa nella chit!sa armena", Srudia Orie11falia Chrisliallu,
Callectanea N. 5 (Il primato e J'unione delle chicsc ncl media oriente) [Cairo
1960] p. 260; B.\LGY, Historia, Oudenrijn l, p. 100.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE
_ _ _ _ _ _0 _ _ 0 _ _ __ 339

Trisagion with the debated addition qui crucifix"s es pro 110bis


should not be altered 30.
Despite his zealous endeavours Nerses was not to see the end
of his efforts to reestablish union between Rome, Constantinople
and Armenia, as he died before he could summon a general
synod. His sucees sor Catholicos Grigor IV Tla(y) (1173-1193)
called together the bishops from the various Armenian provinces
10 continue the negotiations at Hromkla in 1179 "'0 But many
high dignitaries from the eastern provinces refused to consider
the proposaIs put forward by the unyielding Greeks, and when
the Byzantine Emperor Manuel Comnenos died in 1180 the at-
tempts at union with the Greeks came to an end. Thereafter
Byzantium attempted to force the issue. In 1184 the Armenian
Catholicos adressed a letter to Pope Lucius III asking for support
against the oppression of the Greeks 39. In his answer (letter of
the 3rd of Deco 1184) the Pope reassured the Armenians of his
ai d, stipulating the previous conditions (i.e. the mixed chalice
and the date of the Nativity). Furthermore he demanded that the
sacrament of orders be administered in the Latin manner. As a
sign of his special favour he granted the pallium, the mitre and
the ring '". Since the time of the catholicate of Grigor IV Tla(y)
the Armenians use the rite of ordination of the Latin Church".
Once more the possibility of rapprochement of the Arme-
nian Church with Byzantium was studied by Catholicos Grigor
T/a(y) and bishop Nerses Lambro11aci, but the new conditions

:w Cf. Nerses silurhali, «Exposé de la foi de l'église arménienne fait par


urdre de l'empcl-eur Manuel Comnène, en l'an 1166 », ed. E. Dl;r.. WRŒR, Histoire,
dugmes, lraditions et liturgie de l'église armél:iemle oriel1tale avec des IwtiotlS
lIdditiollelles Slir l'origine de cette liturgie. les sept sacreme1lls, les observances,
la 11iérarcl/ie ccclésiaslique, les vêlemenTs sacerdotal/x et la forme intérieUïc
des églisl!s che::. les arméniens (Paris 1855) pp. 70-79. For the Trisagion cf. also
thc Council of Tarsus; T(JL'R~ElnzE, Hisloire, p. 264.
38" Cf. B.-\LGY, Historia, p. 47fl; Serpos II, 441-453.
J~ The Al'l11Cnian his,torian Varclan Bal'jrperdci describes the persecution of
the Arm~njans by the Byzantines; Armen. text with French tnmsl. in Recueil l,
p. 438. The letter of the Catholicos has been lost in the Armenian sources
(it should turn up e\'cntually in the archivcs of the Vatican), but From the
answer or Pope Lucius III it appears Lhat cherc must have been some kind of
profession of faith attached ta the letter. This letler or the Pope (from the 3rd
of Dcc. 1184) has been prcsen'cd only in the Armcnian translation by Nerses
Lamhronaci, [rom which a latin retroversion \'-'as later made, cd. in B.\LGY,
His/oria, pp. 54-56.
~Q Cf. BALGY, Historia, p. 54; TOL"R'.:EIHZE, Histoire, p. 253-258; Oudenrijn l,
p IDO; DE VRU:S, ROIn Il/ul die Patriarc1wte, p. 250 ff.
H Cf. TEKf:YAX, CO/ltroverses, p. 51-54.
340 GABRIELE WINKLER

for union proposed by the Greeks at the Council of Tarsus in 1179


(or 1196) " procluded any genuine agreement, and when shameful
haggling about the enthronisation and the powers of the pa-
triarchs entered the impetuous discussions, everyone realized the
futility of any further negotiations ",
Despite the antagonism of the eastern provinces, Lewon and
the Catholicos Grigor VI Apirat had continued to extend the
approaches to the Latins, and on the occasion of the coronation
of LeWOl1 in 1198 with the royal crown, bestowed by the Pope
and the German Emperor, the negotiations with Rome were again
resumed, The new policy of increasing rapprochement with the
West in military and religious matters had great!y disturbed the
high ecclesiastica! dignitaries of Transcaucasian Armenia who
had no interest in the political ambitions of Cilicia, and when
Grigor VI Apirat (1194-1203), who was suspected of sympathizing
with the Latins, was elected to the pat ri archal see, the oriental
provinces of Greater Armenia hastened to nominate as anti-
Catholicos Barsel II of Ani (1195-1206) ",
To appease and win over to his cause the annoyed clergy
of Transcaucasian Armenia, Lewon 1 (Leon, Leon) yielded to
their demand that he deprive the bishop Nerses Lambronaci,
who had openly adopted Latin innovations, of any further parti-
cipation in patriarchal matters, Nerses Lambronaci, bishop of
Tarsus, had introduced in his diocese, in imitation of the Latins,
the daily celebration of mass ", the recitation of ail seven canon-
ical hours, and ordination according to the practice of the Roman
Church '", Concerning the celebration of the Nativity, the evidence
is not quite clear, but it seems that he had begun to celebrate
the feast on December 25th as the Latins did n, In a letter to
the King ", written in 1198, Nerses Lambronaci justifies himself

n Cf. Galano I, pp. 324-345; TOlJRNF.BIZE, Histoire, p. 261; TEKEYAN, Controverses,


pp. 59-65; Serpas II, p. 85ff.
U Cf. Histoire, pp. 259-267.
TOURNEBIZE,
U Cf. Controverses, p. 65.
TEKEYA. ...,
~5 Cf. En/ir matcllagirk'. Grigor Kat'likas Tlay, Nersës LambrOl1aci (Venice
1865) p. 217 and Recueil l, p. 585. For the controversies of the Eucharist cf. SAD
JOSEPH, (( La forma dell'Eucaristia e l'epiclesi nella liturgia armcna seconda
Nerses Lampronatzi », SIl/dia Oric/1[alia Christial1a, COlieCla11eU N. 4 (Cairo 1959),
pp, 149-182,
46 Cf. Entir matcl1argirk, pp. 241-242 and Recueil l, pp. 599-600.
i7 Ibid., p. 243 (Recueil l, p. 600).
n Cf. note 27.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 341

against the accusation of having introduced these innovations 49.


The relevant passages of that letter run as follows: «1 who am
offering every day Christ as a sacrifice to God the Father, do l
hinder his service being performed with sacerdotal holy vest-
ments ... ? It would be dreadful for your majesty to give up
nowadays the excellent and refined customs of the Latins, i.e.
the Franks, and to return to the coarseness of the old Armenian
[mores]. .. It would be even more dreadful for us to reject the
accomplished reform which we have adopted from them [i.e.
the Latins] to the glory of the holy Church ... As we found the
Armenian churches without sacerdotal vestments 50, we revived
the old usage, profiting from them ... We observed that Un our
churches only] the third and sixth and ninth hour [of prayer]
are performed together, encouraged by them we [now] celebrate
every office at its proper time and [thusl we praise God seven
times a day. We realized that in [our] monasteries there was
no office of peace, [thus] we adopted what we saw amongst
them: to gather at first for prayer in church and afterwards to
take our rest. We observed that we had no [speciall consecration
for the monks - they just applied the form for ordaining a
priest - [now] we consecrate [him] at first as a monk as we
saw it amongst them, and then we make [him] a deacon and
a priest as they do ... » 51.
The Armenian historian Kiwrakos Ganjakeci (Getkeci) ,
narrating the events of the coronation, refers to the daily office,
too, and indicates the stipulations of Pope Celestine III on ac-
count of bestowing the royal crown on Leon as the immediatc
cause of the changes". The decline 53 of the dail)' office is pro-

49 Cf. TOURNEBTZE, Histoire, pp. 274-277; TEKEY.\K, COl1troverses, pp. 66-68. The
whole letter is edited in El1tir matcl1agirk', pp. 207-248 and in Recueil 1, pp. 579-
603 (Armen. and French, but the translation given is not al\>,,rays precise).
~o The office was celebrated without liturgical vestments, and the doors
were kept shut after the bcginning of the ceremony, because of the constant
peril of ravages by the Arabs and later on by the Seljuk Turks; cf. Recueil 1,
p. 585 (note 4).
JI Cf. notes 45, 46 and 47.

~! Here is the tcxt of the conditions mentioned in Kiwrakos report (Re.cueil


l, p. 422): "First: to celebrate the Nativity and the feasts of the saints on the
same day as the Latins; second: tu recite in church the office of the day and
of the night which was abandoned by the Armenians a long time aga, since
the invasion of the ismayeli [= the Amb!';] ".
~~ It is not at ail certain whethc[· the Latins uncovered real abuses in the
celebration of the dailv office, or '\vhethel- the Roman Church, observing that
the Armenians cclebrated only thl'ee offices a day at that time, as we krow
from the letter of Nerses Lambrul1aci la the King (cf. above), attempted to
342 GABRIELE WINKLER
- - - - - -_._-- - - - - - - - - - - - - -

bably to be traced to the historical fact that Armenia was COI1-


tinously overrun by foreign invaders and their churches were
permanently threatened with devastating assaults by hordes of
Arabs and Seljuk Turks. This may also be the reason why the
liturgy was celebrated without special vestments and why the
doors kept shut as soon as the ceremony had begun".
After the cOl-onation the Catholicos Grigor VI ancl King
Leo" 1 (Lewol1) sent several letters to Pope Innocent III in which
they recognizecl the primacy of the Roman Pontiff 55. Further-
more the Armenian Catholicos requestecl the pallium, the mitre
and the ring, as a proof of submission to the Roly Sec '". On
May 23, 1199 the King pramisecl the Pope that « he would bring
ail Armenians, however scatterecl they might be, to union with
the Latin Church» 50. Thereafter the Pope delegated Cardinals
Goclfrey of Santa Prassecle and Peter of San Marcello to bring
the pallium to the Armenian Catholicate ancl to confer the full-
ness of the episcopate on the patriarch ". Besides the previoLls
submission to the primacy of the Roman Pontiff the Armenians
acknowledgecl in 1201 the right of excommunication of any Ar-
menian, whether of the sovereign or his subjects, as a privilege
reservecl to the Pope or his nuncio ".
In man y cities of Cilicia Latin episcopal sees were established
in this period, sicle by sicle with the Armenian titulas 60. But the
unscrupulous Leon drave sorne of the tao enthusiastic Latin

impose their own tmditions, i.e. thcir mon a s tic a 1 structure of office. FOl'
this reference to celebrating the office only three times a day could be an
indication of the so-caJlcd cathedral-office, Le. parochial worship as distinct
trom the cursus l11onasticus. For «cathedral)} and monastic uses in the office
in East and West cf. G. WU.:KLF.R, « über die Kathedralvesper in den verschiedenen
Riten des Ostens und Wcstens », Arc11iv für Liturgiewissenschaft 16 (1974),
pp. 53-102.
54 Cf. note. 50.
5~ Cf. C. B..\RONIl'S [= Baronio}, Annales ecclesiastici, ann. 1198, n. 65·70 (cf.
ann. 119ï, n. 10). The correspondence of the Catholicos and the King with the
Pope can be found also in C. GAL ..\:-\US [=Galano], Historia armena, eeclesiastîca
et politiea (Coloniac 1686) p. 322 ff and in Serpas II, p. 89 ff. The lettcr of the
Catholicos begins thus: «Vobis qui estis caput post Christu111 ... et caput catho-
licae Ecc1esiae Romanae, matris omnium ecclesiarurn ... " (GALANlTS, Historia, p.
322 ff; cf. also next letter p. 327 ff); T.\U.TINTAN, «Il primato », pp. 256-257;
B-\LGY, Historia, pp. 65-66; TOURNEBIZE, Histoire, p. 269.
~6 TOlTRXEBIZE, Histoire, p. 270. DE VRIES, Rom und die Patriarchate, p. 250 t.
~J Cit. in TOPRNEBIZE, lac. cil.
58 Cf. G.\I.i\XtTS, Historia, p. 330; Serpas II, p. 97; DE VRIES, RO/Il Imd die
Patriarchate, p. 250 f.
59 Cf. TOURXEBIZE, Histoire, p. 271.
~~ Cf. Recueil l, pp. LXVI-LXVII (note 2), 673 (note 1).
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 343

monks out of Cilicia" became of the opposition to them of the


Armenian clergy, in order ta win over the interior provinces of
Greater Armenia continously opposed the Cilician attemps at
union with the Latins. It was not the first time that the King
played a double game to attain his ends: when Nerses Lambro-
l1aci was accused of sympathizing too eagerly with the Latin
Church and thus became an obstacle to the royal poliey in
Transcaucasian Armenia, the King rid himself of the bishop.
These inconsistent tactics for and against the expanding Roman
influence explain why the negotiations between the two chur-
ches had ta be resumed again and again even after the union
had been solemnly proclaimed. Thus the Catholicos Yovhan-
nes VI of Sis (1203-1221) revived the previous agreements with
the Holy See. While still archbishop of Sis he wrote in 1201 to
Pope Innocent III, recognizing the primacy of the Roman Pon-
tiff and his supreme magisterium "". As proof of his submission
he requested the pallium, the mitre and the ring, promising to
come to Rome every five years, in the persan of his delegate,
to render homage ta the Roman Pontiff, and likewise to par-
ticipate in ail western synods ".
The Catholicos Konstandin 1 (1221-1267) and the new King
H et'owl1 1 (1226-1270) were even more favorable to the Latin pre-
sence in Cilician Armenia. In the latter's long and not al ways
fortunate reign the hordes of the Mongols were proceeding
westward from the steppes of Inner Asia, leaving everything
ravaged in their wake. The provinces of East-Armenia had been
laid ta ruin and ashes (1233-1243) and beautiful old cities like
Lori (Lori) and Ani, and the fortresses of Kayean and Kar'"
(Kars), were sacked. Faced with imminent dis aster the king sur-
rendered to the invading Mongols. But this was not the end:
Sultan Bibars of the Mameluke dynasty swept out of Egypt,
destroying the Latin principalities while advancing northwards
and finally invading Cilicia "'. These disastrous events seemed
about to culminate in the complete extermination of aU Western
strongholds. In these chao tic times of general upheaval, what

61 Cf. ORMANI.-\~, The ClllIrch, p. 53; MORGAN, The lli.5tory, p. 230.


61. Cf. TAL.I\.TINJ-\N, «Il primato », p. 258.
62 Cf. O. R\YN.\LOt·S [= RnNi\LDT, RINAJ.DJ], Al1nales ecclesiastici ab amlO
MCXCVIII Ilbi desill;t cardil1alis Barollius ... (ed. Mansi), ann. 1247, n. 30-40;
GAL.-\NL'S, Historia, p. 341 f; Serpa.'> II, pp. 96-97; TOUR~EBIZE, Histoire, pp. 279-280;
BALGY, Historia, pp. 64-65.
a~a Cf. Recueil l, pp. 537-540 (cf. a1so 522-524); Recueil II, p. 12 ff.
344 GABRIELE WINKLER
----------"'= '-='-'--- - - -

could ransacked Cilicia do but assure herself of the benevolence


of Rome and her Western allies? In a letter to Pope Innocent IV
the Catholicos declared that the Roman Pontiff was not only the
successor of Peter, « but the father of fathers» and he defined
the Roman Church as «mother and head of ail churches» ".
Shortly before when the ties with the Latins were still very close
a new synod was convoked in Sis (i.e. the 4th synod of Sis
1243) ", mainly to deal with abuses in the ordination of bishops,
priests and deacons 65. The most interesting canon is the 25th
which regulates that the sick should receive extreme unction,
which the Latin Church considered of great importance 66. The
Armenians made haste to affirm that the sacrament of extreme
unction had once been in common use among the Armenians
and that the Patriarch Yovhannes III (surnamed Imastaser = the
philosopher, CathoIicos from 717 to 728) had highly recommended
the practice of anointing the sick ".
Pope Innocent VI initiated the synod of Sis in 1251, raising
the question of the Filioque, which was to become one of the
most debated issues, next to the papal primacy and the christolog-
ical controversies ". Whether the Armenian bishops actually ac-
cepted the Filioque at the fifth synod of Sis remains an open
question ". To the great majority of the clergy, especially in
Transcaucasian Armenia, however, the reconciIiation with the
Latin Church was forced. Evidence of the heated controversy
is given by Mxit'ar Tasraci, who was delegated in 1262 by the
Armenian CathoIicos Konstandin 1 to discuss the claims of
primacy by the Roman Pontiff with the Papal Legate Thomas
de Lentil". Among the other opponents there was another Var-
dapet ", Vardan who was the intimate counsellor of CathoIicos

83 Cf. R,\YNALDL'S, Annales ecc1esiastici, ann. 1247, n. 31; TOURNEBIZE, Histoire,


p. 289; Serpos II, pp. 99-101.
64 Cf. BALGY, Historia, pp. 294-300 (cf. p. 66); TAL4.TINIAN, « Il primato ", p. 263.
fiS Cf. TOURNEBIZE, Histoire, pp. 287-289.
~a Ibid., p. 289; BAI.GY, Hisroria, p. 66.
&1 Cf. BALGY, Historia, p. 300.

68 For the problem of primacy see the evidence (pro and COlltra) in TAL:\TI-
XIA.~J op. cit. and M. ORMANHN, Le Vatican et les arméniens (Rome 1873) which 1
was unable to consult as it is not in the Bodleian Library. For the christological
controversies cf. TEKEYAN, op. cit., The pars controversialis (=Galano II and 1Il)
also gives valuable information on these items.
89 Cf. TOURNEBIZE, Histoire, p. 290 ff; BAI.GY, Historia, pp, 66-67.
7~ Cf. Galano III, pp. 299-372 and Recueil 1. p. 691-698 (introduction: pp.
689.690).
7t This is a special tiLle conferred on cclibate priests who have undergone
special studies; for further information cf. TOlJRN'EBTZE, Histoire, p. 606 f.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 345

Kostandil1 J. He adressed a letter to the King Het'owl1 J advising


him to beware of the errors of the Latins ". Besides this polemic
counseI he composed an ({ Admonition for the Armenians» 73,
which was often consulted by the c1ergy who rejected the union
with the Western Church.
These sources make it evident that even the Catholicos,
who had formerly fostered the submission to the Holy See,
refrained in the course of time from too close a relation with
the Roman Pontiff "'. As a matter of fact after the death of Pope
Innocent IV (1254) the strong ties between Cilicia and the Latins
had evidently become considerable cooler, mainly because of the
hostility of most of the Eastern Armenians, who even threatened
to reestablish the Catholicate in Ejmiacil1 ". Nevertheless King
Het'own J, who seems to have remained a zealous partisan of the
Popes, continued to favour conciliation with the Latin Church.
Just before his death he joined the Franciscan friars, taking the
name Macarius 75.
In the short period of the second half of the 13th century
till the reign of Het'own II (1289·1297) no further significant
negotiations for reconciling the two Churches took place. Both
Patriarchs, Yakob J (1267/8·1286) and Kostandin II (1286-1289),
and the Armenian King Leon II (1270-1289) guarded themselves
from any interference by the Roman Church, and it seems that
at this period the opponent groups of Greater Armenia finally
succeeded in prevailing upon Cilician Armenia in matters of
faith.
The sovereign Het'own II (1289-1297), however, sought again
to repair the somewhat cool relationship with Rome. To attain
his ends he brought about the deposition of the Catholicos
Kosta.1din II, when he openly resisted the new policy of the
King, and the anchorite Step'anos of Hromkla (1290-1293) was
appointed as patriarch. During his reign a new dis aster began
to shake the foundations of Cilicia. The Egyptian Mamelukes
continued to invade Asia Minor after the Armenian King Leon II
(1270-1289) had to sorne extent restored the Cilician realm. In

IlCf. Galano II. pp. 83, 90, 393 et passim; III, pp. 228·229 et passim.
13Ibid.; cf. also the information at the Index (no pagination); T,\LATINIAN,
«Il primato", p. 275.
13.> Cf. T .\Li\TtNIAN, «Il primato n, pp. 273-274.
11 Cf. TOURNEBIZE, Histoire, pp. 292-293.
75 Ibid.} pp. 298-299.
346 GABRTELE WINKLER

1292 the cities of Cilicia were besieged again and Hromkla, whcre
the Catholicos resided, was taken by storm. The Patriarch
Step'anos was taken prison cr and hauled off ta Egypt where he
died saon afterwards 76. In vain did the Armenian King appeal
ta Pope Nicolas IV for immediate help against the menace of
the invading Mamelukes. Intrigues at the Court made the situa-
tion even worse, but Het'own II finally gained control momen-
tarily over the precarious situation into which Cilicia had fallen.
Despite his messages ta the Pope and various courts of the West
seeking their instantaneous support, the Armenians saw them-
selves virtually abandoned ta their own resources and they
had ta reach sorne arrangement by themselves with the Mon-
gols in arder ta keep the Mamelukes at bay. This was the first
sign that the European powers were no longer really concerned
about the fate of Cilicia and the Latin principalities in the Orient,
faced as they were with their own difficulties and controversies
at home. But Armenia was at that time tao deeply cntangled
in the Latin cause and tao deeply menaced by surrounding
enemies ta realize that European interest in the Christian
establishments in the Near East was fading, and tao dependent
ta shake off the links with the armed pilgrims from the West.
The fate of Cilician Armenia and that of the Latin principalities
became more and more inseparable, destined to decline and final
ruin in the whirl of time.
The deportation of the Catholicos Step'anos from his rcsid-
cnce in Hromkla and the general insecurity induced the Ar-
mcnians ta remove the patriarchal see from Hromkla ta the
royal Court at Sis". In this latinized environment the Catholicate
un der Grigor VII (1293-1307) came even more under Western
influences. The old terms of the negotiations for union with
Rome underwent a new revis ion and eventually the stipulations
of the Roman Church were approved by the Catholicos, i.e. the
transfer of the celebration of the Nativity from January 6th
ta December 25th, the mixed chalice and the alteration in the
text of the Trisagion. Ta promulgate the new decisians a synod
was summoned at Sis 1307 by King Leon III (1301-1307) and
the Catholicos Grigor V II, but before they could carry out their
plans the Catholicos died. But his successor Kostanclin III (1307-

7G Cf. Recueil l, p. 541 ff; Snpos JI, pp. 102-104.

7, Cf. TOLTRNF.IHZE, Histoire, p. 302; Oudel1rijH l, p. 100; Serpos II, p. 104.


ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 347

1322) adopted the same proposaIs which \Vere confirmed al the


synod of Sis in 1307 '". The chronicle of Samowcl Aneci, one of
the many who rejeeted the decisions, says: " ... and they conciliat-
ed themeselves with the Roman Church and they set the holy
alliance with our Illuminator" at naught, and they were persuad-
ed ta celebrate the Nalivity on December 25th ... and to pour
water Cinto the chalice] during the holy mystery [eucharistl... " ".
The decisions of this assembly were met with violent 01'-
posi tian by the people. After having returned ta their dioccses
sorne of the bishops even kept quiet about the arrangements
made at the synod because of the open hostility of the people.
Others however, blazed the decisions abroad, thus causing an
open uproar which culminated in the assassination of the main
promulgators of the union, the King and other members of
the royal family".
After the violent death of King Leon III in 1307, O,in became
king (1308-1320). Despite the warning received by the murder of
his nephew (King Leon) and the continued riots caused by the
union with the Latins, King O,in was determined ta put the
agreements of the synod into practice ", while at the same lime
taking drastic measures ta insure the peace within his realm"'.
In 1316 a new synod was convoked at Adana under the Catholicos
Kostc",din III (1307-1322), at wich the former decisions of the
synod of Sis where solemnly confirmed ", the bishops declared
furthermore: 1. ut missae saerificium supra eorporale confiee re-
mus, 2. ut in ecclesia starent clerici, juxta uniuscujusque ordinis
gradum initiat, 3. ut in vigiliis Paschalis, Nativitalis et Baptisma-
lis, piscibus tantum, et o/eo sec und li m m a g 11 a e E ccl e -
s i a e R a 111 a 11 a e rit u nI, contenti esselnus ... 65.
Since the reign of Leon l, who had put himself from the
beginning un der the explicit suzerainty of the Latin Church and

7a Cf. B.\LGY, Historia, pp. 70 ff, 301-312; Recueil l, p. 548; TAL,\TINIAN, «( Il


pl'imato », p. 260; Serpos II, p. 107.
79 I.e. Grigor LOlVSaH'orié (302-325), the founder Arrncnian Church.
ao Ed. in Recueil l, 465 (cf. p. 548); MORG,'~, The History, pp. 245·246.
81 Cf. ReClleil l, pp. 548-549; cf. also pp. 466 (nole), 490, 664; Recueil TT, p. 17.
a2 The Armenian historian Samoll'et AllCci is quitc explicit in his report:
« This year [= 1309-1310] there gathered at Sis ... a large nurnber of monks and
clergy and priests.. together with many of the people, both men and women,
ail hoslile ta the use of wateJ' in the chalice at the mystery [= liturgy] and
olhe!' changes ... ". Arrncn. text with French lranslation in Recueil l, p. 466.
nJ Cf. MORGAN, The History, pp. 246-247.
84 Cf. GalwlO J, pp. 471-501; B,\LGY, Historia, pp. 73 f, 314 fr;Serpos Il, p. 107.
B~ Cf. B,\Ll;Y, Historia, pp. 73, 330.
348 GABRIELE WINKLER

the Western Empire, the Roman Pontiffs had done their utmost
to bring about the desired unification of the Latin and Armenian
Churches, which they made a stipulation for their support in
the appalling conflicts which endangered the very existence of
Cilicia ". Until now the Latin interference in liturgical matters
had remained limited to Cilician Armenia, but with the establish-
ments of the Fratres Unit ores in Greater Armenia, Latin innovat-
ions spread throughout ail the interior provinces of Armenia,
des pite the continued hostility of the majority of the Armenian
clergy.

III. THE ARRIVAL OF THE FRATRES UNITORES IN TRAN-


SCAUCASIAN ARMENIA (= GREAT ER ARMENIA) AT THE
END OF THE 13th AND THE BEGINNING
OF THE 14th CENTURY"

Already at the request of King Het'own II (1289-1297 a few


monks of the FrancÏscan Order had been sent ta Cilicia ta
settle among the Armenians"'. But Pope John XXII (1316-1334),
one of the greatest missionary Popes in the history of the Roman
Church, did not content himself with sen ding off preaching
monks. He parceIJed out the whole Asiatic territory ta the
Dominican and the Franciscan Orders (April Ist, 1318)"". Saon
after Pope John XXII had ascended the throne, King O!;in (1308-
1320) had sent a profession of faith ta the Roman Pontiff OB,.
Rome seemed weil pleased with it. Ta foster, however, the
proclaimed submission, and as a concrete sign of the actual
unification, the Pope demanded in 1318 the establishment of
Latin schools in Transcaucasian Armenia, in arder ta make the

Be Cf. J. GAY, Le pape Clément VI et les affaires d'Orient (1342-1352) [Paris


1904]. pp. 135-136.
87 Cf. Oudcnrijn l, II. III and IV (cf. note above 32); IDEM, Linguae f/aicunae
scrjptores ... (Berne/Munich 1960), pp. 19-72; TOURNEBIZE, Histoire, pp. 320-400;
TflEM, «Les Frères Uniteurs ou Dominicains arméniens (1330-1794) », Revue de
{'OrieIU chrétien 22 (1920/21), pp. 145-161, 249-279; Galano l, pp. 508-531 (the sarnc
lext in: Gi\LANlIS, Historia, pp. 479-501).
88 Cf. ALH.NER, Die Domb1ikanermissiunell, p. 66 f; H. THOROSSIAN, Histoire
de la littérature arménien/le (Paris 1951), pp. 196-197. Tournebize dates it back to
1265 (Altaner, Zoe. cit.: 1266), cf. TOllRNEBlZE, « Les Frères Uniteurs », p. 145.
89 Cf. Oudenrijn l, p. 95.
BY. Whether the sovcreigns \vere always [allowing their personal convictions

Ol" whether they had ta submit themselves to the politieal dcmands of the
time, remains a problem difficult to rcsolve.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 349

young Armenians better aquainted with the Latin Church and


her liturgical uses and to teach them the Latin language ". In
return for these concessions the Pope assured the Cilicians of his
paternal sollicitude in the political controversies between Cyprus
and Cilicia. At his instigation a treaty was signed between the
two parties concerned, stipulating that the Cypriots should not
attack the kingdom of Cilicia ". This agreement was vital to the
Armenians, as the Moslems continued to invade the Armenian
realm at her eastern borders.
In Transcaucasia, southwest of the present Republic of Ar-
menia, there is another little province named Naxijevan 92 which
was to become the point of departure for the reconciliation with
Rome in Greater Armenia promoted by the so-called Fratres
Unitores (Elbark' Miabanolk'). In 1318 Pope John XXII had
created a metropolitan see at Sultaniya as centre of the Dominican
mission. Soon afterwards six bishops of the Dominican Order
were nominated and three of them settled down in the Tran-
scaucasian region, which the Arabs cali Adharbaidjan ".
One of these ecclesiastical dignitaries sent to Transcauca-
sian Armenia was the famous Bartholemy degli Abbagliati (The
Bart'olimeos) ", who later on collaborated in the Armenian
translation of the writings of Thomas Aquinas. He started im-
mediately to learn Armenian and Persian; by his preaching, his
erudition and refinement and most of ail by his virtues, he very
soon won the respect of those with whom he came into contact,
and his fame spread ail over the province of Naxijevan.
In 1328 the superior Yohan from the Armenian monastery
in K'rna(y), followed by sorne other monks, came to meet the
Dominican preacher Ter Bart'olimeos. Yohan had been educated
in the famous monastery of Glajor (Gailujor, Gailejor) in the
province of Siwnik', a monastery which had a very great reputa-
tion among the Eastern Armenians in the 13th century 95. The
Vardapet Yohan and the other monks stayed for two years with

~ Cf. TOURNEHIZE, Histoire, p. 316.


91 Ibid.
92 Before the 10th ccnt. the province \Vas spelled Naxcavan: cf. HtiBSCHI\.oIAN~,
Die altarmenischen Ortsnamen, p. 455.
93 Today part of it is within the borders of Iran, the other is within the
Soviet Union. This region is named after the cId capital Naxcavan (Naxijevan);
cf. OUDENRIJN, Linguae haicanae, p. 19 (§ 12).
w.I For details about Bartholemy cf. OUdeJ1Tijn I, pp. 95·98.
9~ Cf. Oudenriin l, p. 98; TOl.:X.1\:EBIZE, «Les Frères Uniteurs ", p. 146.
350 GA.BRIELE ''''INKLER

the Latin bishop to learn Latin under the Dominicans. Meanwhile


the Dominicans assiduously studied the Armenian language, and
soon they were able to begin an Armenian translation of Western
theological works, mainly the Sentences of Thomas Aquinas"'.
In 1330 Yohan invited the Dominicans to his monastery in
K'ma(y), where the Armenian community decided after a while
to join the Roman faith and submit themselves to the Roman
Pontiff. They even changed their Armenian monastic garb for the
habit of the Dominicans "'. The new foundation called itself the
Congregation of St. Gregory Illuminator (Karg srboyn Grigori
LowsaworCin), and in January 31st 1356 the community received
the juridical approbation of Pope Innocent VI. According to the
Papal Bull they, like the Dominicans, followed the Rule of St.
Augustine '". Since its foundation these Fra/res Unitores had
been influenced by the Dominicans. Later, in 1583, the monaste-
ries of the Fra/res Uni/ores were incorporated in the Order of
Preachers and designated as ProvÏncia Naxivanensis in Armenia
Maiori". The conversion to the Roman Church of the Armenian
Vardapets at the monastery of K'ma(y) had considerable reper-
eussions among the clergy in Eastern Armenia. Many followed
the example of K'rna(y) 100.
Under the direction of the Dominican Ter Bart'olimeos
selections from the writings of Thomas Aquinas were translate d,
with particular emphasis given to those passages of the Summa
which treat of the sacraments 101, and in 1331 the monks of
K'ma(y) began to translate the Dominican Constitutions, so as
to regulate their monastic life in accord with the Latin rules
religions life "'. In the study of dogmatics they followed closely
the Summa Theologiea and the Commenlary on Ihe sentences
of Thomas Aquinas, and in moral theology they used the treatise
De viriL/lib us and De vitiis of Guillelmus Paraldus 103. One of the

00 Cf. TOl:R\:EBTZE, ,< Les Frères Unitcurs >l, p. 167.


9. Cf. Olldel1rij,1 l, p. lOB ff; Galmw l, p. 510-512; TOURNEBIZE, « Les Frères
Unitcurs », pp. 149·150.
9B Cf. Bullarium OrdillÎs Praedicatol"lln1. II, p. 246 cit. in Oudenrijn IL p. 125;

TOllRNEIHZE, "Les Frères Uniteurs J"~ p. 150.


Y9 Cf. Oudenrijn JJ p. 94.
100 Cf. OudeHrijll II, p. 110 ff; TOURNEBIZE, «Les Frères Unitcurs ", p. 150 ff.
101 Cf. TOl.lR"lEBTZE, «Les Frères Unitcurs », p. 147.
1~2 Cf. Oudenrijl1 II, p. 117.
I031bid., pp. 117-119; LOHi, Lingllae haica//ae, pp. 137·244. For the translation
of the Surnma inta Al"menian cf. M.A. \'-\:-.l DEN OUDENRIJN, Eine alte annel1ische
Uberserztmg der Tertia Pars der Theologischell Summa des hl. Thumas von
Aquin (Berne 1955).
---
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLTNE 351

most important promulgators of scholastic ideas in Armenia was


Yakob(os), surnamed T'rgmal1l1 (the translator) 10', In 1337 the
translation of the missal and the breviary according ta the
Dominican rite was finished 105, and from that time toward the
converted Armenians followed the Dominican rite translated
into their own language 106.
Of particular interest is the manual of Mxit'aric which is
divided into fifty-six chapters '"', This writing is basically a
justification of Roman doctrines '"9 and of the liturgical pracÙces
of the Latin Church such as the mixed chalice (chap, 22, 23, 47),
the celebration of the eucharist (chap, 24-27), daily mass (chap,
54) 109, In chapters 41-44 the various couneils are treated; in chap-
ter 45 the misery of the non-converted Armenians is copiously
described, with fuil length instructions on how to discuss reli-
gious matters with them (chap, 46) ''',
Without any concern for the signs of growing hostility on
the part of their compatriots who did not share their preference
for everything Latin and who also resented their pertinacity ta
the reconcile them with the Roman Pontiff by any means, the
Latin missionaries began even to talk patronizingly about those
Armenians who did not want to embrace the Roman liturgical
practices, The Vardapet Yoha" K'rneci, who had a decisive part

104 Cf. Oudcnrijn I, p. 102; TOliRNEBIZE, «Les Frères Uniteurs », p. 153.


lD5 Cf. Otlde.nrijn II, pp. 117-119. The translation of the missal was first
published in Rome 1728 under the title: Missale Sacri Ordinis Praedicato/'llm
auctoritate apostoLica approbatu11l, Rev.mi P.F. Thomae Ripoll, eiusdem ordiJ1is
Generalis Magis/ri iUS5U editum. Romae 1728, {ypis Sacrue Congregationis de
Propaganda Fide; and the breviary in Venicc 1714: Breviarium Sacri 01'dinis
F.F. Praedic. Superiorum facultale c Latino in armenum idioma litterale tra-
duc/um et editwn provincia Naxivallensi in Armenia Majori sub Reverclldissimo
Patre F)'u/re AllloHio Cloche, totius Orelinis eiusdem Gel'zerllli Magis/ra. Vencliis
1714. Tvpis AH/OI1ii Bartoli. The chapter on the missal of the Unitores in Catcr-
gian-Dasian (CI\TERGIAK, Die Liturgien bei den Armeniern. Fünfzehn Texte lllUl
Ul1tel'stu:}wngel1 llerausgegebell t'ail P.J. Dasllian [Vienna 1897; Armen.] pp. 467-
500) is inexact; the Dominican missal of the Uniates is confounded with that
of the Franciscan Pontius [= Ponti]; cf. Ou.del1rt'jn II, p. 117 (note 21); cf. 31so
OlJDENRIJK, l..inguae Ilaicanae, p. 73. For the history of the Unit ores and the
development of theil' missal and brcviary cf. M.A. V.-\K DEN OUDERTJN, Das Offizium
des heiIigen Dominict~s des Beke1ll1ers im Brevier der «Fratres Unitores» t'on
Ost-Armenicn. Eill Bei/rag zur Missions- und Liturgiegeschichle des 14. ]ah/"-
1ll/l1elerts (Rome 1935) pp. 11-35; 65-105 [= the office of Dominic], following the
translation of K'ma[y]; OUDENRTJN, Lingllae haicanae, pp. 73-122.
!O~ Cf. OUDE~RlJX, Das Offizium; IDEM, Linguae haicanae, pp. 73-122.
101 Cf. Ol/denrijl1 II, pp. 119-124.

IG8 About Christology: chap. 6-21, 48; purgatory: chap. 28-29; Filioque: chap.
32, 50; primacy: chap. 33-34, 51; that there are seven sacramerlts: chap. 40.
IO~ Cf. Oudenrijn II, pp. 123-124.
uo Ibid.
352 GABRIELE WINKLER
-------

in translating scholastic theological works into Armenian, l'las


praised by his successors thus: "He was like the faithful explorer
Joshua who entered into the promised land, Le. into the union
with the Roman Church. It was he who brought to our Armenian
nation the message of salvation. He was the head of those who
received the grace to submit to the obedience of the sublime
See of Rome, the entry into the kingdom of heaven » 1II.
This effusive eulogy shows the exuberance of the newly
converted Armenians for the Latin cause. One would flink there
had been no Christian faith before in Armenia, and that the
true founder of the Armenian Church had never existed! Leacking
moderation, the Fralres Uni/ores treated with contempt their
contemporaries who could find no Solace in Latin uses, calling
them heretics and schismatics "'. 50 it was that Yohan K'rneci
accused the Arnlenians of « XIX errares ) lI3. Here are the main
grievances: monophysitism (1), that they accepted neither the
Filioque (2), nor the Roman doctrine about purgatory (3), nor
the primacy of the Roman Pontiff (5), nor the Concilium Cha/ce-
donense (6); further that they did not follow the Latin date for
the celebration of the Nativity (7), nor the Roman prescriptions
for the fasts (8), that they did not have ail seven sacraments,
e.g. confirmation 114 and extreme unction 115 were lacking, and the
essentials of the other sacraments were also ignored (9), that
they did not use the mixed chalice at the liturgy (10), that they
administred Holy Communion under both species (11), that
they used chalices of wood or terracotta (12) ... and on it goes.
Without any distinction between matters of faith, which could
be questioned, and local ritual practices, and bath are condemned
indiscriminately. This intransigent approach of the Fratres Uni-
tores, and most of ail their pertinacity in attemption to force

III Cit. in Oudcnrijn II, p. 125.


\l2 Cf. Oudenriill IV, p. 96; TOl:RNEBIZE, «Les Frères Uniteurs ", p. 152 ff.
113 Cf. Armen. and Lat. text in Calano l, pp. 513-516 (Lat. text a150 in GALANUS,
Historia, pp. 484-458; Franch in TOl:RN"EBIZE, Histoire, pp. 327-331).
114 In the Armenian rite, the «mystery of anointing (or: sealing)>> is closely
linked with baptism; as a matter of fact in the old manuscripts (e.g. Cod. ar/no
457 (9th·lOth cent.) of Venice; Cod. arm. 1001 (lOth cent.) of Erevan] the rite
of baptism and that of sealing are considered as one sacrament called
Mkrtowt'o1Vl1 or Knownk' (both meaning "baptism Il); cf. also Daniel THAURISlO,
Responsio ad errares impositos Harmenis (ed. in Recueil II, p. 606): seCtmdtlnl
consuetudinem ecclesie Armelle [sic], et secundllm rubricas et libros, et seCUlI·
dam opinioncm Armcnorum in baptismo dant tria sacramenta pueris [i.e. bap·
tism, sealing, eucharistJ.
m Cf. supra the proceedings of the 4th synod of Sis 1343.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 3'i3

the desired union, eventually caused new controversies rather


than reconciliation with Rome. These immoderate partisans of
unification even started to rebaptize the converted Armenians
and to reordain the priests and monks, contrary the precise
orders from Rome. In a letter from Pope John XXII to the mis-
sionaries in the Orient (Oct. 3rd, 1333), in case of doubt the
sacraments were to be readministered conditionally were as fol-
lows: Si baptizatus es, non te rebaptizo, sed si nondum baptiza-
tus es, ego te baptizo in nomine ... , and correspondingly for or-
dination: Si ordinatus es rite, non te reordino, sed si nondum or-
dinatus es, te ordino ... 116. The practice of rebaptizing of already
baptized converts was explicitly rejected: Sacrosancta Romana
Ecclesia ... docet insuper baptismum non esse aliquatenus iteran-
dum 117.
Many of the Armenian monks and the clergy as a whole had
been initially attracted by the knowledge and erudition of the
Fratres Unitores, but their respect for them faded very soon
when faced with the request to abandon their own Iiturgical
uses and to adopt the Latin rite. The former interest in the
Fratres Unitores and other Dominican missionaries changed into
open distrust at their attempt to urge the Armenians into union
with the Roman Church no. Gradually relations between both
parties became quite strained, and it was not long before the
hostility of the Armenians led eventually to the persecution of
the latinizing monks 116.

IV. THE CONTROVERSIES OVER RELIGIOUS MATTERS


IN CILICIA (14th CENT.)

The Catholicos of Sis, Yakobos Il T'arsonaci (1327-1341)


seemed to have been well-disposed towards the union of K'rna(y),
and supported the Latin missionaries along with the Fratres
Unitores "". His friendly attitude towards the zealous monks,

li! Cf. Bullarium Ordo Praed. II, p. 203 f cit. in Oudenrijn IV, pp. 96-97; cf.
aIsa the letter of Pope Gregory XI in Bullarium Ordo Praed. II, p. 278. cit. in
Oudenrijn, loc. cit.
117 Cf. letter of Pope John XXII (Nov. 22th 1321) in RAYNALDUS, Annales eccle-

siastici, ann. 1321, n. 11; Oudenrijn IV, pp. 96-10l.


U8 Cf. TOURNlillIZE, « Les Frères Uniteurs », pp. 152-153.
m Ibid., p. 153 ff; Oudenrijn IV, 95 ff. For further information about the
history of the Fratres Unitares cf. Oudenrijn l, II, III, IV; TOURNEBlZE, «Les
Frères Uniteurs », pp. 154-161, 249-270 (cf. supra note 87).
354 GABRIELE WINKLER

however, changed to opposition and eventually to final rejection


when the bishop of Ormi, Nerses Palenc, who belonged to the
congregation of the Fralres Uni/ores 12', rebaptized the converted
Armenians and even reordained the clergy when they embraced
the doctrine of the Roman Catholic Church. He was dismissed
from office by the vexed Catholicos.
The fanatical approach of the latinizing friars may have been
one of the reasons why the Catholicos gradually refrained from
having too close a relationship with the preachers of union '''.
But there is strong evidence that alienation was also caused by
the desperate condition of Cilicia at that time "', when the Ar-
menian realm was continously threatened by the Sultans of
Egypt and invaded by the Mamelukes of Syria and Egypt. It is
true that the Roman Pontiffs assured the Armenians of their
paternal sollicitude whenever difficulties, arose, by that time
none of the potentates in the West still retained any real concern
for what happened to the Christian establishments in the Orient.
In vain had the Pope tried to win the Venetians and the other
Christian Powers for a new Crusade. So Armenian Cilicia saw
herself virtually abandoned and exposed to the menace of the
hostile Mamelukes, who were determined to obliterate the last
Christian establishment in the Near East '''.
In 1337 the Sultan made King Leon IV (1320-1342) swear on
the holy gospels to break completely with the Franks, i.e. " that
he would have no further relations with the Latins" '''. Soon
afterwards, however, Leon IV sent secret messages to Pope Be-
nedict XII and to the Courts of France and England 126. The
Catholicos Yakobos II and other high dignitaries had had just
about enough of the continuaI, insistent requests and claims of
the Roman Pontiff for the complete assimilation in doctrinal
and Iiturgical matters '''. On the other hand the constant assaults

120 Cf. Oudenrijn III, p. 113; TOURNEBlZE, Histoire, p. 333 ff.


111 Cf. Recueil l, pp. 608-609 (note 1).
lU This reason for the alicnation is given by Oudenrijn III, p. 113. Tourne-
bize's point of view, however, secms ta me more adequate (cf. infra).
123 Cf. TOURNEBIZE, Histoire, p. 333 ff.
I2( Cf. GAY, Le pape Clément VI, pp. 20, 133 ff; Recueil II, p. CCVIII.

1:>.S Cf. TOURNEBIZE, Histoire, pp. 336, 655; MORGAN, The History, p. 249; GAY, Le
pape Clément VI, p. 133 (note 2).
128 In a lettcr Pope Benedict XII assured the King that he was not bound
to his promise as he had becn farced inta it; cf. RAYNALDUS, Annales ecclesiastici,
ann. 1337, n. 24; TOURNEBIZE, Histoire, p. 655.
U1 Cf. TOURNEBlZE, Histoire, p. 656.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 35~

by the Mamelukes had created a very tense atmosphere at the


Royal Court. So when King Leon IV resumed the relations with
the West again despite his forced Oath to the Sultan, the
Catholicos accused the King of jeopardizing with his reckless
attitude the security of the Armenian realm. The young King,
fed up with this remonstrating hierarch dismissed him in 1340 '"
when the Catholicos would not bow to his will and Mxil'ar 1
(1341-1355) succeede to the patriarchal see.
At this the deposed bishop of Drmi, Nerses Palenc made
haste to meet the newly elected Catholicos, certain of wining
him for his cause. But after a thorough examination of his
doctrines and his conduct, the Patriarch, far from approving him,
and excommunicated him instead! So Nerses Palenc, greatly
incensed by the Armenian hierarchy, left Armenia for the Papal
Court in Avignon 129. There he found an attentive audience for
his complaint against the Armenian patriarchs clergy, whom he
accused of aIl sorts of abuses and heresies "'. With other Fralres
Unilores, who for sorne time had remonstrated at the Papal
Court, against various Armenian customs and doctrines, the for-
mer bishop of Drmi drew up a list of « CXVII errores » 131.
Meanwhile, in 1340 or at the beginning of 1341"', the Ar-
menian Daniel Thaurisio [= Daniel Arciseci = Daniel of Ta-
briz] ''', arrived in Avignon as delegate of King Leon IV 134 to

128Ibid., p. 337 contra Serpos II, pp. 110-112.


129Cf. TOURNEBIZE, Histoire, pp. 337, 348; GAY, Le pape Clément VI, p. 139 ff;
Recueil !, pp. 701-702; Oudenrijn III, p. 110.
130 Cf. TOURNF.BIZE, Histoire, p. 348; Recueil l, p. 702.
131 Cf. R4.YNALDUS, Annales ecclesÎastici, ann 1341, n. 45; TOURNEBIZE, Histoire,
p 347 ff.
iS2 Cf. Recueil II, pp. CCVII-CCIX.
m Cf. Oudenri;n III, p. 11. Daniel belonged to the Franciscan arder and
tought theology at Sis; cf. Recueil II, p. CCVIII.
lM In many history books about Annenia Leon IV is mentioned as the 5th
king with the narne Leon (Leo, Léon etc), thus counting bar a n Lewon l
(1129-1137), who died in Constantinople as we have seen above as Leon l, ~nd
the fi r 5 t Kin g Leon (I) as Leon II and sa forth. The same confuSIon
occurs with the kings named Kostandin (Constantin, Constantine etc.) and
T'oros (Thoras)· the real arder of the Armenian Kings should be this: Leon l
(1196-1219) .... Ûon Il (1270-1289) .... T'oros 1 (1293-1295) .... Kostandin 1 (1298-
1299), Leon III (1301-1307), ... Leon IV (1320-1342) Guy de Lusignan [Gowton] as
Kostandin II (1342-1344), Kostandin III (134415-1363), (Leon the Usurper (1363-
1365), Kostandin IV (1365-1373), ... Leon V (the last king, 1374-1375). The exact
dates of Kostandin II, III and IV are disputed; cf. Recueil 1, p. 703 (Jean de
Lusignan is counted herc as Kostandin III (1342), but in reality he was just the
regent for his brother Guy de Lusignan); TOURNEBIZE, Histoire, p. 671; Recueil II,
p. XVII (note 3 and 4).
356 GABRIELE WINKLER

appeal to Pope Benedict XII for immediate help against the


appalling assaults and ravages of the Mamelukes that threat-
ened the very existenee of the Cilician kingdom '35. To this
petition was appended a confession of faith by the Catholicos,
and several liturgical books which had been translated by Boé-
mond de Lusignan were included also.
In his answer (August lst, 1341) to the King and the head of
the Armenian Church, the Pope notified them that he had reeeived
from reliable persons 136 a report about the most detestable er-
rors in matters of faith to be found in the Armenian books.
Renee a synod should be summoned at which these errors would
be solemnly condemned. Only after the fulfilment of these
stipulations and the consummation of a much closer religious
union could the Armenians count on the support of Rome and
their Western allies "'. In addition Pope Benedict XII exhorted
both the King and the Catholicos to use their authority to bring
about the formai submission to the primacy of the Roman Pon-
tiff, and requested a revision of ail the liturgical books to expunge
every error and defect '38. Pope Benedict XII offered further-
more to send experts in Latin theologly for a thourough
explanation of the fundamental truths of the Catholic faith. At
the same time he addressed to them a detailed Libellus in 117
articles, referring at length to every item where he saw any
divergence between Latin and Armenian doctrine, so that the
bishops at the synod would be able to reform the Armenian
practiees according to the Roman directives 13'.
The instigator of this treatise was none other than Nerses
Palenc, disposed from office by two suceeeding patriarchs of
Sis (Yakob and Mxit'ar) and residing now at the Papal Court in
Avignon, where he first coaxed the Pope into this harsh Libellus
and then became its promulgator '''. Leon IV immediately ordered

us Cf. Recueil l, 702.


1311 These «trustworthy» persans mentioned here were none other than Ner-
sès Palenc and other Fratres Unitores; cf. Recueil l, p. 702; Recueil Il, p. CCX.
131 Cf. RA,YNALDUS, Annales ecc1esiastici, ann. 1341, n. 45, 46; Recueil II. pp.
CCIX-CCX; TOURNEBIZE, Histoire, pp. 349, 655, 657-658.
138 Cf. Recueil II, loc. cit.; TOURNEBlZE, Histoire, p. 657.
l3Q Cf. BALGY, Historia, 80 ff; Recueil II, loe. cit.; GAY, Le pape Clément VI,
p. 140.
HO Cf. note 136. Even Tournebize, who is always in favour of the tacties
of the Roman diplomacy in Cilicia, refers to the personality of Nerses (Histoire,
p. 348-349). For further information cf. Daniel THAURISro, ed. Recueil II, pp. 616 f,
621, 637-638 et passim; TOURNEBlZE, Histoire, p. 662; GAY, Le pape Clément VI,
pp. 141-143.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGJCAL DECLINE 357

Daniel Thaurisio ta prove that ma st of the accusations were


without any foundation and invented by mere calurnny 141. Daniel
retorted with vigor defining the Armenian position with regard
ta the grievances of the Roman Pontiff "'. The detailed refutation
of Daniel, entitled Responsio ad errores impositos Harmenis 143,
gives very valuable information about Armenian doctrines and
liturgical uses in the 14th century, and about the national customs,
the administration, and the ecclesiastical proceedings at that
time. Besides this precious evidence the Responsio shows that
various Armenian sources were sent to the Roman Pontiff: 1.
six volumes of several liturgical books 144, sorne of which
are explicitly mentioned: a. two volumes of the Pontificale (in
art. LIX, XCIV, XCVI) 145 translated into Latin by Boémond de
Lusignan "'; b. the Rituale (art. LXII) '''; c. the Missale and the
Breviarium (art. CXII) 14'; 2. a so-called Liber epistolarum (art.
LXXXVII), CI et passim 149 which seems to have contained as
weil the Liber concilii 150 (art. l, CXV) 151; 3. the letter of Catholicos
Yacob II to Pope Benedict (art. XXXIX) "'.
The specifie concessions to the Roman Church in the Respon-
sio were as follows:
art. I: acknowledgement of the debated Filioque (Recueil
II, p. 560-564);
art. II: the symbolum fidei is brought into line with the
Latin Credo (p. 564-566);
art. III (cf. XXXIX): the use of the mixed chalice during
the liturgy (p. 567, 593f);
art. XXXVI: acknowledgement of the Chalcedonense (p.
590-591) ;

141 Cf. Recueil l, p. 702.


14.2 It is disputed whether Daniel wrate the Respollsio while he was still in
Avignon or immediately after returning to Armenia; cf. Recueil II, pp. CCXI,
CCXIII-CCXV. The Responsio is basically a vehement protestation against the
slander of Nerses at the Papal Court; cf. note 140.
143 Ed. in Recueil II, pp. 557-650 (Introduction: pp. CCVIII-CCXVIII).
Ut Cf. art. LXII (Recueil II, p. 608).
us Cf. Recueil II, pp. 60S, 631, 632·633, 634.
146 Ibid., pp. 632-633, 634.
1(1 Ibid., pp. 607-608.

148 Ibid., p. 644.


149 Ibid., pp. 626, 637-638.
1611 Ibid., p. 56l.
LU Ibid., pp. 647.648.

15:1 Ibid., p. 595. AU the sources mentioned here should turn up eventually
somewhere in the archives of the Vatican.
358 GABRIELE WINKLER

art. XXXIX: celebration of the feast of the Nativity on 25th


December instead of January 6th (p. 593-596);
art. LXVI: the Latin form of conferring confirmation is
to be used along with the old Armenian form (p. 609);
art. LXVII: extreme unction is to be administred in the
manner of the Latin Church (p. 610);
art. LXVIII: a. the Latin doctrine of consecration (p. 610;
cf. LXX, p. 612-613) and b. daily mass (p. 611; cf. LXXXI, p. 623)
are admitted;
art. LXXXIV: at confession the absolution is to be ad-
ministered in the Roman fashion (p. 625);
art. LXXXVI-XVII: acknowledgement of the primacy
(p. 625-631);
art. XCIV-XCVI: Latin innovations in the ordination ritual
are accepted (p. 632, 634-635).

Besides this detailed refutation of the accusations by Daniel


and the adoption of Latin liturgical uses, King Leon IV and the
Catholicos Mxit'ar 1 convoked a synod to satisfy the Roman
Pontiff. Before the assembly could take place, however, the
King died in 1342. As he had no male heir his nephew Jean de
Lusignan took over the affairs of government as regent until
his brother Guy de Lusignan finally ascended the throne 15'. By
this event the crown of Cilicia passed to a French family, and
henceforth Cilician Armenia was ruled by a Latin government.
As Morgan had justly pointed out this implied a far-reaching
change, for Latin influence would necessarily prevail and national
tradition would suffer 15'.
There were also serious consequences in domestlc and
foreign poli tics : the majority of the Armenians remained hostile
to the new reigning family and the intimate connections between
Armenia and her Western allies again aroused the ire of the

153 Jean de Lusignan was never crowned as Kostandin III as Dulaurier (in
Recueil l, p. 703) erroniously assumed; cf. Recueil II, p. XXI. He was just a
proxy for his brother Guy de Lusignan who was not very keen to accept the
Armenian crown, being fully aware of the precariolls situation inta which the
kingdom had fallen. After a year's delay he finally made up his mind and set
out for the Armenian territories. Knowing only tao weIl what he was up
against, he took a considerable body-guard with him; cf. MORGAN, The History,
p. 251; and the chronicle of Jean DardeI (a franciscan friar of French origin
and the intimate confidant of the last Armenian King Leon V, 1374-1375; cf.
Recueil II, pp. V-XIV) ed. in Recueil II, pp. 21-22.
lM MORGAN, The History, pp. 250-251.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 359

surrounding enemies "'. The new concessions to the Latin had


provoked an uprising and in the general upheaval it seems that
Jean de Lusignan was assassinated '" in the very same year that
he had become regent "'.
The synod already convoked by Leon IV was held at Sis
in 1342 "'. The real abuses were corrected, and for the other
accusations an explanation was offered "9. The assembly, which
probably took place in the time of Guy de Lusignan 160 [= Kostan-
din II '" J, proclaimed again the union with Rome, and a sort
of confession of faith was sent off to Rome along with the
conclusions of the synod '62. The bishops of this council had
far the most part adopted ail the items of the Responsio 16'. As in
the document of Daniel the ecclesiastical authorities yie1ded to
various Latin requests in matters of faith and liturgical prac-
tices '''. Thus they accepted the Filioque as weil as the Roman
doctrine of purgatory, of original sin, and of sanctifying grace.
They acknowledged the Roman claim of primacy (Pontifex Ro-
manus exeellentior quam ahi pontifiees) and likewise the Council
of Cha1cedon. Concerning confession the Latin indicative form
of absolution was adopted (Ego te absolvo ... ) instead of the
native deprecatory formula (Misereatur tui amator hominum
Deus ... ) '''. For baptism a similar change was made. The rites
of ordination were to be administered by assimilating the usages
of the Latin Church.

155 Ibid., pp. 251-252.


l~ Cf. E. DULAURIER in Recueil I, p. 704-705 contra M.U. ROBERT in Recueil II,
p. XXI.
157 Cf. Recueil l, p. 705.
158 The exact date of the sixth synod of Sis is still discussed. E. Dulaurier

affirms that it was held in 1342 (cf. Recueil l, p. 703 note 5); Tournebize dates
it 1344 or evcn 1345 (Histoire, pp. :;65-366); M.U. Robert (Recueil Il, p. CCXII-
CCXIII) and Morgan {The History, p. 253) share this opinion. But as Dulaurier
has pointed out very weIl, it must have bcen held earlier than 1344, for Cilicia
desperately needed the immediate help of the Western allies, and could not
afford ta delay the requested synod too long.
159 Cf. Recueil !, pp. 703-704.
160 Cf. MORGAN, The History, p. 252.
181 Cf. note 134 and 153; MORGAN, lac. cit.; TOURNEBIZE, Histoire, p. 665.
16~ Cf. MANSI XXIV, coll. 1185-1270; TOURNEBIZE, Histoire, pp. 366-388.
163 Cf. TOURNEBIZE, Histoire, p. 661.
let Ibid., pp. 366-388.
165 Cf. also the polernic position of Vardan on this subject in Galano III,

pp. 494, 606, 616-617, 621-623 et passim; on the disputes and controversies on the
sacraments cf. Galano III, pp. 489-537 (baptism), pp. 538-603 (eucharist), pp. 604-
630 (confession), pp. 631-649 (extreme unction), pp. 650-708 (orders), pp. 709-
771 (matrimony).
360 GABRIELE WINKLER

These concessions, like most of the previous ones, did not


arise from sincere conviction but from mere political necessity 1136,
since the Armenians in Cilicia were floating helplessly in a sea
of enemies. It is a tragic fact that right from the beginning
Armenia was destined to ruin when she decided to throw on in
her lot with the Latin principalities in the Orient and to share
their thought·patterns and doctrines in order to shake off the
domination of the Byzantines on her northwest borders, and
to keep at bay the encroaching infidels advancing from the
southeast. On every border of her realm mighty enemies lay in
ambush, determined to crush the last fragile Latin establishment
in the East. The initial straits turned into a fatal impasse and
the events wich we now are narrating merely signal the way to
final disaster. The menace of collapse originated not only from
outside but also from within the Armenian realm itself. The
perillay in the fact that Armenia was ruled by foreign sovereigns;
it lurked in the open hostility of the people, caused by the
expanding Latin influence in ecclesiastical affairs. From the
historical evidence it seems as if the last French sovereigns
who governed Cilicia were not always fully aware of the u1timate
consequences of their policies and that they stumbled uncon·
sciously into the trap.
Guy de Lusignan had finally accepted the Armenian Crown
and ascended the throne in 1342 as King Kostandin II (1342-
1344) 16'. In the same year Pope Benedict XII died and was
succeeded by Clement VI. Despite the vast concessions made in
the Responsio and in the 6th synod of Sis in 1342; and despite
the very close relationship between Kostandin II and Cle-
ment VI ''', the Roman Pontiff did not appear to be convinced

11511 The evidence from a Dominican friar, who had been in the Orient, is
quite revealing: Primo ergo loco pona Armenos, eo quod nec ad fidem catholi-
cam, nec ad Romanam Ecclesiarn., nec eciam [sic] ad seipsos veritatem unquarn
et fidelitatem integre servaverunt. 1psi inter omnes Orientales sunt heretici
pessirni et, tam clerus quam populus, multis erroribm involuti... Et quamvis
Arrneni de Minori Armenia [antum, cum quondam Cilicia clicebatur, quandam
unionern fecerwzt cum Romana Ecclesia et confessionem fidei verbo expresse-
rint et in scnptis ... Hoc vere Armeni retinent et observant, dum potencia Tur-
chorum oppressi veZ Saracenorum tributis et invasionibus fatigati, ad Romanam
Ecclesiam crebro veniunt et recurrunt, quos certe non tantum vinculum amoris
et reverencie ad hoc attrahit et illducit, qua11tum cogit necessitas et impellit ...
The wnting is entitled Directorium ad passagium faciendum, lib. II, 1 ed. in
Recueil II, pp. 487488.
181 Cf. note 134 and 153.

lU Cf. the chronicle of Jean Darde!, chap. XXIII and XXIV, ed. Recueil II,
pp. 26-27; TOURNEBlZE, Histoire, pp. 666-669.
ARMENIA AND !TS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 361

of the orthodoxy of the Armenians and of the sincerety of their


adherence to the Roman Church "9. It was not without good
reason that the Pope mistrusted them, for vehement opposition
against the Latins had flared up again when the news of the
recent concessions to the late daims of Rome spread abroad 170.
The negotiations persisted because the government depended
absolutely on the help of the Western allies against the Mamelu-
kes >n, but a revolution broke out as Sis and in the uproar the
hated foreign sovereign was slain in 1344 172. The reason for
Kostandin's murder obviously lay in the fact that he had
constantly appealed to the Roman Pontiff without receiving any
actual support. In addition, he had openly favoured the Latin
aristocrats, apolicy which incensed the Armenian barons at the
Court 173.
After the enraged crowd had assassinated Guy de Lusignan,
Iike his brother Jean before him, Kostandin III ," ascended the
throne in 1344. The murder of the King, which conveyed the
real feelings of the Armenians towards the Latins, did not
discourage Pope Clement VI, however, and new negotiations
began. In a letter he summarized the Roman doctrine and sent
it by his legates Antonio di Gaeta and Giovanni di Pisa to the
high dignitaries of Cilicia "'. Here is the document's preamble:
Ad portandum eosdem articulos fidei et traditiones Ecc/esiae
Romanae, in quo continent ur: lU articu/i Sanctae Romanae Ecc/e-
siae, ad quos tenetur omnis fide/is catholicus, sine quibus non est
sa/us, quos dominus Benedictus XII disposuit mittere antedictis;
Z' errores Armenorum cum responsionibus ad colorandum fa/si/a-
les contentas in dictis articulis, convocato eorum generali con-

189 Cf. Recueil !, p. 708; Recueil II, p. CCVII.


170 In a letter the King had urgently requested help. The Pope replied that
first they had to remave every dissent with Rome before they could obtain
any aid from Western Christianity. The letter is partially edited in RAYNALDUS,
Annales ecclesiastici, ann. 1344, n. 4; cf. Recueil II, p. CCXIV, note 2.
m Cf. Jean DARDEL, chap. XXXIII-XXXVIII, ed. Recueil II, pp. 26-30; Recueil l,
pp. 7fJ6.707.
m Ibid., chap. XXXIX (Recueil II, p. 30); Recueil l, p. 707; MORGAN, The
History, pp. 252-253; TOURNEBIZE, Histoire, p. 669; GAY, Le pape Clément VI, p. 146.
171 Cf. GAY, Le pape Clément VI, p. 139.
114 Cf. note 134 (and 153); Tournebize counts the new king erroneousl~ as
Kostandin II (cf. Histoire, p. 671) and Dulaurier as Kostandin IV (Recuetl l,
p. 707). In reality he was Kostandin III; cf. MORGAN, The History, p. 255.
115 Cf. Recueil l, p. 708; TOURNEBIZE, Histoire, p. 676; GAY, Le pape Clément,
p. 146.
362 GABRIELE WINKLER

ciZia; 3' impugl1ationes errarum praedictorum auctoritatibus


Sacrae Scripturae et rationibus ... 176 ,
As the situation of Cilicia became more and more critical
King Kastandin III (1344-1363) sent off his secretary, the knight
Constance Carsilly, to plead with the Western allies for im-
mediate help, since the Egyptian fleet had started to attack the
ports of the Cilician coast "'. Pope Clement VI, however, was
first of ail concerned about the actual adherence of the Ar-
menians to the Holy See. He complained that he had not yet
received any decisive answer concerning the official religious
attitude of the Cilicians towards Rome. On September 29, 1351
he despatched an indignant letter about the incidents provoked
by the constant agitation about religious matters in Armenia 17'.
This strongly-worded letter contained a detailed list of
queries to which Catholicos Mxit'ar 1 was asked to supply a
precise answer 179. To make sure that his orders were strictly
followed the Pope also addressed King Kostandin III, asking
him to support the union and intimating at the same time that
he was about to send him six thousand florins 180. He even sent
letters to the Patriarch of Jerusalem and the bishops of Cyprus
urging them to send experienced Latin theologians to the Ar-
menian Catholicos in order to be certain that the Armenian
uses were conformed the Roman injunctions 18'. The main points
of the letter to the Catholicos were as followes: the ever debated
Filioque (1), original sin (2), the question of rebaptism (39), the
Latin doctrine of the Eucharist (45) and confession (46). In his
reply the Catholicos took up these questions but in sorne cases
in less detail than was requested. The salient point, however, lies
in the first chapter of his declaration: « The Ca t h 0 1 i c
Chu r chi s the Rom a n Chu r c h and she alone possesses
the means of salvation, the true baptism and the true remission
of sin ... }) 182.

17~ Cit. in Recueil !, p. 708, note 1.


177 Cf. TOURNEBIZE, Histoire, p. 676; Recueil l, p. 708; MORGAN, The History,
p. 254.
119 Cf. RO\YNALDUS, Annales ecclesiasticÎ, ann. 1351, n. 2-18; TOURNEBlZE, Histoire,
p. 682; GAY, Le pape Clliment VI, p. 149.
179 Cf. TouRNEBrzE, Histoire, pp. 683-684; GAY, Le pape Clément VI, p. 149.
IftO Letter of Sept. 14th; cf. TOURNEBIZE, Histoire, p. 693.
IB1 Letter of Sept. 22nd 1351; cf. RAYXALDUS, Annales ecclesiastici, ann. 1351.
11 9; TOURNEBIZE, Histoire, p. 693.
lU CH. in TOURNEBIZE, Histoire, pp. 68+685.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 363

With this statement the Roman daim for the identification


of Catholicism with the Latin Church (which was verified at
that time if not de iure then at least de facto) was conceded
without further ado, and hence the possibility of any other type
of Catholicism than that of the Latin rite was abandoned. This
officially opened the door for complete Latinization in doctrinal
and liturgical affairs. In addition the Patriarch yielded to the
Roman request to celebrate the important feasts according to
the Roman calendar 183. Gnly in delivering the liturgical books
which had been requested by the Roman Pontiff did the Ca-
tholicos seem to hesitate, affirming instead that they contained
no errors 184.
Although the position of complete submission to the Holy
See on the part of the Armenian Catholicos was expressed in
plain terms, the Pope appears not to have been satisfied 185. Pope
Clement VI, however, died in 1352 before he could not complete
his further plans 186.
When the Sultan of Egypt heard about the newly planned
alliance between the Armenians and the Christian Potentates in
the West, he invaded Cilicia. Despite the obviously desperate
situation of the Armenians '" the Western Powers seemed deaf
to the appeals of the Cilicians 1"'. Weakened by the constant in-
ternaI religious altercations, the Armenian realm was an easy
prey to the assaults of her enemies. In 1359 Sultan AI Melek-En-
Nasser captured the cities along the Cilician coast 189. Thereupon
the Cypriots and the knights of Rhodes hastened to help the
Armenians, and with their aid they eventually succeded in driv-
ing back the enemy.
The fragility of the union between the Armenian Church
and Rome became evident after the death of Catholicos Mixt'car !,
when the new Patriarch Mesrop ! (1359-1372) and the bishops
decided at the 7th synod of Sis in 1361 to abolish the Latin use
of adding water to the chalice during the celebration of the
eucharist 190.

183 Ibid., p. 69l.


184 Ibid.
1~ Cf. the detailed infonnation in TOURNEBIZE, Histoire, p. 684 ff.
19~ Ibid., p. 694.
187 Cf. GAY, Le pape Clément VI, pp. 134-135.
IIlI1 Cf. MORGAN, The Histor)', p. 254.
lll~ Ibid.

le!! Cf. TOURNEBIZE, Histoire, p. 697; Recueil I, 713.


364 GABRIELE WINKLER

When in 1363 King Kas/andin III died leaving no heir 191,


rioting broke out over the question as ta whether the new King
should be again of the House of Lusignan or from one of the
Armenia baronial families and Cilicia feil into anarchy 192. Pope
Urban V had recomended Léon de Lusignan as successor. In a
letter he represented him as a good Catholic devoted ta the
Roman Church, but this was hardly an outstanding recommen·
dation ta most of the Armenians '''. Léon de Lusignan, however,
refused ta accept the Crown at that time ''', and Kas/andin IV
(1365-1373) was elected 19'.
In 1371 the Sultan of Egypt advanced, leaving a waste land
in his wake. The rich cities were sacked and even the capital
Sis was partially destroyed by fire 19'. When Kas/andin IV showed
no real concern about what was happening ta Cilicia, he was
assassinated in 1373 by the aroused aristocrats "'. Meanwhile the
Genoese, instead of assisting the Latin establishments in the
East, stabbed the Western allies and Cilicia in the back, con-
quering Cyprus in 1373 for their own profit 196. But this was not
the end; Cilicia accelerated her own downfall. Léon de Lusignan,
who in 1374 finally accepted the Armenian Crown, had insisted
on being chowned according ta the Latin ritual. However this
decision caused such unrest that il was agreed ta have a double
ceremony, first the Latin corona tian and then the Armenian 19'.
This was a grave political mistake that eventually led ta the
betrayal of the foreign sovereign by the Armenians. The first
concem of the newly elected King Lean V (1374-1375) was ta
raise the financial means necessary ta fare the Sultan of Egypt,
but the Latin cause was irretrievably lost when a large group of
Armenians and even Catholicos Paw/as 1 (1374-1378) himself
joined the army of the Sultan ta shake off once and for ail the
hated House of Lusignan 20" that had been ruling the Armenians

191 Cf. Recueil II, p. 36 note 1; TOURNEBIZE, Histoire, p. 700; MORGAN, The
History, p. 255.
192 Cf. RecueU I, p. 713.
193 Ibid" p. 714.
JB4 Cf. MORGAN, The History, p. 258.
19S Ibid .. p. 255.
Ille Cf. Recueil l, p. 717.
197 Cf. the chronicle of Jean Dardel, chap. LIII, Recueil II, pp. 41-42.
198 Ibid., chap. LXII, Recue.il II, p. 48 ff; MORGAN, The History, pp. 260-261.
1l1li Ibid., chap. LXXXI and LXXXII, Recueil II, p. 65-66. Léon de Lusignan
was crowned as Lëon V.
200 Cf. MORGAN, The History, pp. 265-269.
ARMENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 365

since the death of Leon IV (1342). Reeling under the burden of


these domestic and foreign intrigues, Cilician Armenia could no
longer resist the superior power of the Egyptian army. In 1375
the Cilician Kingdom collapsed under the frightful betrayal of
the Armenians, who obviously preferred to accept the temporal
domination of Islam rather than submit themselves to complete
Latinisation. The unyielding policies of the Roly See and the
latin intolerance in liturgical matters had finally caused such
bitterness that the Armenians were determined to rid themselves
of Roman tutelage at any cost '01.
Keeping in mind however, the great complexity of the
political setting of Armenia in particular and of the Orient as
a whole at that time, and considering the historical evidence, it
is hardly surprising that none of the important potentates of
that period, and in particular neither the Roman Pontiffs nor
the Armenian Sovereigns, were able to foresee the final outcome
of their policies once they had set the bail rolling.

Gabriele WINKLER

APPENDIX

With the destruction of the Latin principalities in the Orient and


especially ,vith the collapse of the Annenian kingdom in Cilicia the
negotiations with the Roly See had come momentarily to a standstill.'
But in the 15th century the Roman Pantiffs again took the lead, and at
the Councils of Basle and Florence the negotiations culminated once more
in a union between Rome and a part of the Armenian Church 202.
In the proceedings the complete submission to the Holy See on the
part of the Armenian delegates was never questioned by either party
and the subservient attitude of the Armenians became obvious right frOID
the beginning when they addressed Pope Eugene IV at the first audience
(between Aug. 13th and Sept. 4th) as follows: Christi sedem tenes, Christi
vicarius es in sede apostoZorum. Venimus ad Te, caput nostrum. Venimus

lOI Cilicia became a scene of ruin and devastation; over thirty thousand Ar-
menians fled before the ravaging enemy. King Leon was carried off ta Egypt
and the Cilician Kingdom was thus destroyed forever, cf. the chronicle of
Jean DARDEL, chap. LXXXIII-CXLIV, Recueil II, p. 67-109; Recueil l, p. 718-736.
~02 Cf. Documenta Concilii Florentini de Unione Armenorum. Textus et do-
cumenta, ed. G. Hafmann, fasc. 19 (Rome 1935); G. HOFMANN, « Die Einigung der
armenischen Kirche auf dem Konzil von Florenz 22. Nov. 1439 », Orientalia Chr.
Periodica 5 (1939), pp. 151-185.
366 GABRIELE WINKLER

ad pasto rem nostrum. Tu es fundamentum ecclesiae. Omne membrum,


quod elongavit se a Te, infirmatum est; et gregem, qui se a Te separavit,
fera pessima devoravit eum. Ecclesia, quae Te non fuit secuta veZ per
Te sustentata, funditus fuit eversa. Tu. capuf, condole membris. Tu pastor,
collige gregem. Tu fundamentum, confirma ecclesias. Tu, habens potestatem
coelestium clavium, aperi nabis portam vitae eternae ... 203 •
AU issues already mentioned above as the result of Latin influence in
Armenia were resumed again in the Decretum pro Armenis, and the union
of 1439 reflects anew the Latinisation of Armenian uses 2(14.
Since the documents of the council of Florence are weIl known in the
West, attention should be directed briefly to the corrections and ad-
ditional notes which were made in the 17th century in the Armenian
liturgical books, namely in the missal, the breviary and the hymnary,
when they were translated into Latin. These alterations led to a strongly
worded commentary by the erudite Armenian G. Averuchian, a Catholic
Mechitarist monk from the Armenian Monastery of San Lazzaro in Ve-
nice 205 •
Already in 1642 a Latin translation of the Armenian liturgy had been
prepared by Vincenzo Riccardo and was published at the Propaganda
Fide 206. In this edition sorne prayers and rubrics were changed and
several things omitted. Furthermore the translation did not always cor-
respond to the Armenian text 207. In order to correct tbis edition of
Vincenzo Riccardo the Propaganda Fide put the task of a new translation
into the hands of the Armenian priest Basil Barsech. The new edition,
however, was obviously a change for the worse since other alterations
and innovations came in now to distort the original text 200. Basil Bar-
sech and his assistant John Agob 209 were both born in Constantinople.
Barsech had received bis education among the Latins, and after a sojourn

Z03 Cf. Doc. Conc. Florentini (ed. Hofmann), p. 20.


21H Petrowicz even goes sa far as ta say: Il celebre decreto per gli Armeni
non è altro che un'esposizione della dottrina e delle principali pratiche della
Chiesa Romana. G. PETROWICZ, La Chiesa Armena in Polonia. Parte prima 1350-
1624 (== Studia ecclesiastica 12, Rome 1971) p. 54. For the latinization. of the
East cf. DE VRIES, Rom und die Patriarchate, pp. 183-373.
21)5 G. AVEDICHIAN, Sulle correzioni fatte ai libri ecc1esiastici armeni nell'anno
1677 (Venice 1868),
2116 Ibid., 272; the edition gives the Annenian text and the Latin translation
in parallel columns.
207 Ibid.
2011 Ibid., p. 273.
208 It has not been possible for me to trace the Annenian spelling of the
two names, hence l have simply anglizised the ItaHan spelling of the names
in Avedichian. (the original Armenian spelling is probably: Basil Barsech == Ba-
silios Barset; John Agob = Yovhan[nësJ Yakob).
210 Ibid., pp. 28-29.

2ll Ibid., pp. 29, 40-42; Avedichian becomes quite exasperated about Barsech:
Quindi le correziol1i barsechiane, appunto perché stampate co' torchi della sacra
Congregazione di Propaganda, hanno eccitato in Oriente un grande alarme con-
tro la sacra Congregazione medesima; e sonosi fieramente querelati gli armel1i,
che i loro libri ecclesiastici, consecrati dall'uso di tanti secoli, siano stati non
corretti, ma corrotti, per una soverchia credulità agli strani deliri d'un ardito
sognatore (p. 42).
AR1\.1ENIA AND ITS GRADUAL LITURGICAL DECLINE 367

in the Orient as a missionary, he eventually took up residence in Rome,


where he hand his compatriot started ta translate the Armenian litur-
gical books into Latin 210. In 1677 their edition of the liturgy was publis-
hed at the Propaganda Fide and ta this translation various corrections
ta the breviary and the hymmary were appcnded 211. In their publication
the two latinizing priests branded as irregular and abusive whatever
seemed to depart from the Roman rite and Latin grammar 212 •
The following is a brief summary of the alterations in the Latin
translation of 1677 concerning the Anaphora and the Office.

a) THE EUCHARISTIC LlTURGY

In the prayer of the priest: Nemo dignus est... at the Rogo te, qui
es solus benefieus et ad exaudiendum pro pen sus (Lat. ed. p. 7 col. 1) the
ad exaudiendum propensus was omitted (Avedichian, p. 317),
The chant: Corpus Domini et sanguis Redemptoris ad est cor a m
(Lat. ed. p. 20 col. 1) was changed by Barsech into: stabit ante (Avedichian,
p. 275); likewise: Christus inter nos man i f est u s e st: Qui est
Deus, hic d z s c u b u i t (Lat. ed. p. 22 col. 1) into: manifestabitur and
discumbet (Avendichian, p. 282).
At the Eucharistie prayer the words immortalis et factrices (Lat. ed.
p. 8 col. 1) were omitted (Avedichian, p. 287).
At the Sanctus ... es vere ... the inconfusa unione [miowt'iwn] incarna-
tus ex Deipara et semper Virgine Maria (Lat. ed. p. 8 col. 2) was replaced
by: inconfusa unitate [miaworowt'iwn] (Avedichian, p. 314).
The Epiclesis was changed in bath editions (1642 and 1677) ta accord
with to the Latin doctrine of transubstantiation (Avedichian, p. 322 ff.).
At the Intercessions (Le. the commemoration of the dead; Lat. ed.
p. 9 col. 2) the following categories \Vere omitted: proto-patres, patriar-
chas, prophetas, apostolos, martyres (Avedichian, p. 290).
After the Intercessions the diaconal proclamation P e r hoc san c-
t lt met div i n u m Sac r i fic i u m oblatum supra hane mens am,
Dominum oremus (Lat. ed. p. 24 col. 1) which was changed ta: Pro
ofterentibus sanctum et divinum hoc Sacrificium (Avedichian, p. 315).
At Communion the whole following passage was omitted: Fide credo
in sanctissimam Trinitatem ... Fide bibo santissimum et purificantem san-
guinem tuum, Deus meus Jesu Chris te, in remissionem peecatorum meo-
rum. (This text was, however, edited - although deformed - in the edition
of 1642, p. 108; Avedichian, p. 318), Likewise after Communion at the
praey: Gratias agimus tibi, Chris te Rex ... (Lat. ed. p. 13 col. 2) the follow-
ing text is missing: Concede expiationem et magnam miserieordiam (it
is fonud instead in the edition of 1642; Avedichian, p. 318).
During the transfer of the gifts to the altar various psalm verses
were introduced (Lat. ed. p. 21 col. 1): In sole extendit tentorzum suum ... ;
Et exultat ille ... ; /ter facite eL .. ; Deus ab austro veniet... ; Atollite, prin-
cipes, portas vestras ... ; Qui est iste Rex gloriae ... (Avedichian, p. 319).

112 Ibid., pp. 29, 33, 35.


368 GABRIELE WINKLER

Athe the feast of the Nativity (Lat. ed. p. 16 col. 2) ordi [fiIiusl is
replaced by dowstr [filia] in the liturgical texts of the feast (Avedichian,
p. 311).
The Armenian text at the feast of the Haly Cross: Crux in principio
appandt florida, in paradiso a Dea plantato, fa c tac 0 n sol a tri x p e r
Set h pronosticum Patri Adamo was altered to: consolatrix tacta ad
Seth (Avedichian, p. 311-312).
The «(H) agiology)} of Eastertime: Venite populi, hymnos cum an-
gelis cantemus i Il i, dicentes ... (Lat. ed. p. 20 col. 3) was changed to:
cantemus Dea... (Avedichian, p. 312).
At the «(H) agiology) of the prophets and apostles the chant: Qui
humiliter discendisti de coela in terram, t i b i hoc sacrificium offeri-
mus (Lat. ed. p. 20 col. 2) was altered to: Te sacrificium ofterimus (Ave-
dichian, p_ 313-314).

b) IN THE OFFICE

In matins (ed. lat. n. 1) at the hymn Matutinum lucis ... emanatio a


Patre... Barsech Întroduced emanatio a Patre et Fil i o. .. (Avedichian,
p. 46; cf. also p_ 89)_
In the prayer with the following incipit: Propter crucern tuam ... the
S. Jacobi pontificis, et Meruchaei anacoritae (Lat. ed. n. 7) was altered
to: intercessione et orationibus sanctorum, aut sancti... (Avedichian, p. 50).
The introitus: Dei Genetrix innupta [anharsnaceal] was erroneously
translated by Barsech with indesponsata (ed. lat. n. 8) and afterwards
replaced by Dei Genetrix Virinescia [arnangitak] (Avedichian, p. 52, 57).
The introitus of the Kings (Quemadmodum post pium Regem Eze-
chiam susdtavit Deus Josiam ... ) and the introitus sanctorum Vartaniano-
rum (ln universalis belli... ) were omitted (Avedichian, p. 68 ff).
In the Symposium fidei the Latin translation does not correspond
with the Armenian text (ed. lat. n. 11; Avedichian, p_ 75 ffl-
Besides these alterations various Armenian words were translated
inaccurate1y (Avedichian, p_ 93-118).

N.B . . Par manque de temps utile cet article vient d'être publié sans que l'A.
ait eu la possibilité de la réviser personnellement, comme il était dans ses \'oeux.
Quant à la transcription en types latins des termes arméniens, il faut noter
qu'elle a été faite dans les possibilités techniques de l'irnpœssion (N.d.l.R.).
LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRèS LA Rt:FORME

Ceux qui ont choisi le thème de cette conférence avaient à


l'esprit l'influence exercée par les grandes Églises, Rome, Cons-
tantinople, Alexandrie, Antioche sur le développement liturgique
d'Église voisines moins importantes et l'influence mutuelle des
unes sur les autres au cours des temps. J'ai préféré donner une
interprétation différente à ce thème en appliquant le terme
{( universelle» aux prières (c officielles}) d'une Église donnée et
le terme « individuelles)} aux prières privées ou dévotions du
laïcat de cette même Église. Je me réfère en particulier à des
textes qui étaient en usage en Angleterre, mais ce que j'aurai à
dire de la période précédant la Réforme s'applique également aux
Églises catholiques d'Europe.
D'abord trois questions préalables:
1) Qu'était-ce au juste que le livre d'Heures, communé-
ment appelé « Primer» en anglais?
2) Quels rapports y avait-il entre ces Livres d'Heures et
les textes liturgiques officiels?
3) Puisqu'un grand nombre de ces livres ont un contenu
semblable en substance, dans quelles circonstances cette docu-
mentation a-t-elle été compilée?

À considérer les titres divers et erronés qui désignent sou-


vent les Livres d'Heures même dans les catalogues des biblio-
thèques, il semble qu'il y ait bien des malentendus quant à
leur véritable nature. Il n'est pas rare par exemple qu'on les
voie désignés sous le nom de missels, alors qu'un missel est
destiné à la célébration de la messe, ce qui ne correspond pas au
contenu du Livre d'Heures. Ou alors on les assimile à des
bréviaires, qui sont destinés à l'Office divin officiel de l'Église
d'après un texte rédigé et établi par l'Église. Cet office varie
d'un jour à l'autre dans certaines de ses parties, il couvre tout le
cycle liturgique. Il est en outre divisé en un certain nombre
d'heures canoniales fixées depuis une époque très ancienne.
370 ---.-.-
DOUGLAS WEBB
-------_.- ----

Sans doute les Livres d'Heures doivent au bréviaire une


partie de leur contenu. Mais il y a cette différence, qu'ils igno-
rent la succession des fêtes et des jeûnes de l'année ecclésiasti-
que. La récitation des Heures était affaire purement privée et le
contenu des exemplaires manuscrits n'était soumis à aucun
contrôle officiel.
S'il est vrai que la matière de ces Livres d'Heures servait
à l'origine d'Heures supplémentaires aux moines et aux monia-
les, ils étaient surtout destinés à la prière privée des fidèles.
L'abbé Y. Leroquais fait ressortir leur importance dans une
oeuvre monumentale 1 où il écrit: « Si le Livre d'Heures n'a pas
rang officiel comme le bréviaire ou le pontifical, il n'en pré-
sente pas moins un intérêt réel. Tel quel, il a répondu à un
besoin de la piété des fidèles du )3' au 16' siècle. Il a exprimé
l'âme religieuse de nos ancêtres, leurs préoccupations, leur ma-
nière de converser avec Dieu et avec les saints, il a été le livre
de prière du Moyen-Age".
On voit que le contenu de ces Livres d'Heures est en grande
partie le même pour tous et aussi pour les textes liturgiques:
le calendrier, les Heures de la Bienheureuse Vierge Marie, les
louanges, les Vigiles des défunts, les Litanies des saints, les Heu-
res du St. Esprit, celles de la Croix, un choix de psaumes et
d'oraisons et diverses prières de dévotion.
L'historique de ces éléments permettra de répondre aux deux
autres questions préalables, à savoir: les rapports avec la litur-
gie officielle et les circonstances de la composition des Heures.

La récitation solennelle de l'Office quotidien avec la suc-


cession régulière des Heures canoniales a toujours constitué le
premier devoir des moines. C'était selon St. Benoît de Nursie, le
Père du monachisme occidental, l'Opus Dei, l'oeuvre de Dieu qui
consistait en une succession parfaitement ordonnée d'offices
comprenant le psautier lu en entier chaque semaine. Ce devoir
fut, malgré une certaine opposition, imposé également au clergé
séculier. Les fidèles assistaient au moins à certains de ces offi-
ces. Mais la piété médiévale ne se contenta pas de ces actes de
dévotion, elle y ajouta des offices supplémentaires en rapport
avec les saisons et les circonstances de la vie, qui ont fini par être

1 Cf. Abbé V. LtROQLAJS, Les Livres d'Heures de la Bibliothèque nationale,


Tome 1, p. 1 ss.
LES LIVRES n'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 371

intégrés au culte. Peu à peu cependant les laïcs cesseront d'y


prendre part, et le clergé séculier sera autorisé à réciter l'office
en privé, parfois en le divisant simplement en deux parties.
Une fois dispensés de la récitation entière de l'Office quo-
tidien, les laïques conservèrent les heures brèves en l'honneur
de la Vierge Marie et autres dévotions semblables dont on adopta
l'usage au cours de l'année. Les dévotions supplémentaires
n'étaient en usage qu'à certaines époques de l'année ecclésiasti-
que et finirent par être séparées du psautier et, avec d'autres
éléments, incorporées au Livre d'Heures.
En ce qui concerne la substance de ces Livres d'Heures, ils
comprenaient d'abord les 15 Psaumes Graduels, Pss 120 à 134,
introduits pense-t-on par St. Benoît d'Aniane '. La vie austère de
ce moine né au milieu du 8' siècle lui valut très tôt une réputa-
tion de grande sainteté. Il fut chargé de visiter les monastères
d'Aquitaine. Plus tard un monastère fut construit par lui à Aix-
la-Chapelle afin de servir de modèle aux autres. On espérait ainsi
atteindre à l'uniformité de l'observance dans tous les monastè-
res du royaume franc. St. Benoît d'Aniane introduisit entre autres
avant Matines la récitation de 15 psaumes, divisés en trois
sections dont chacune devait être suivie d'une prière destinée
à une intention particulière: les cinq premiers pour les vivants,
les cinq suivants pour tous les fidèles défunts et les cinq der-
niers pour les fidèles récemment décédés. C'est seulement après
la récitation de ces psaumes qu'on entonnait Matines. Cet usage
devint courant dans les monastères du 10' siècle et universel
à la fin du même siècle, malgré les hésitations de certains mi-
lieux.
On croit savoir que St. Benoît d'Aniane souhaitait d'autres
innovations, dont la récitation régulière de l'Office des défunts.
On n'est pas d'accord sur la date exacte mais la récitation de
psaumes aux funérailles est nettement attestée depuis le 3' siècle,
nlais elle est certainement plus ancienne. C'était aussi l'usage
de célébrer l'Eucharistie aux funérailles, St. Cyprien fait état
d'un sacrificiwl1 pro dormitione qui était célébré aussi le jour
anniversaire. Le Sacramentaire gélasien du 7 e siècle mentionne
en outre la même célébration les 3', 8' et 30' jours après le décès.
IVlais ces célébrations n'ont rien de commun avec un Office des

2 On n'a pas dc pretl\"t;' certaine que ces pS<lumcs étaient bien ccux qu'utilisait
St. Benoît, mais on peut le supposer.
372 DOUGLAS WEBB

défunts proprement dit, dont il est difficile de préciser l'origine,


qu'elle soit monastique ou séculière.
S'il faut en croire les pénitentiels de Théodore de Cantor-
béry (t 690) et d'Egbert d'York (t 766) qui ont préservé la majeure
partie du pénitentiel romain du 7' siècle, il n'y aurait pas eu de
Vigile des défunts à cette époque. D'après l'abbé V. Leroquais 3
les plus anciens témoins de cet office ne remontent pas plus
haut que le 9' siècle. Il en trouve la première référence dans une
lettre décrivant les Vigiles des défunts dans l'Abbaye de Corne-
limunsler peu avant la Conférence d'Aix-la-Chapelle en 817:
L'office Se composait des Vêpres, des Matines et des Laudes. Les
premières se disaient à la suite des Vêpres du jour, les Matines
après les Complies du jour, les Laudes après les Matines. La
coutume d'ajouter à l'Office du jour un Office quotidien des
défunts se répandit à travers l'empire franc vers le milieu du
10' siècle. Il ne semble pas que Cluny ait contribué à faire con-
naître cet office qui est antérieur à la fondation de cet ordre,
mais il contribua grandement à son expansion. L'Office quoti-
dien des défunts s'est étendu aux églises cathédrales et col-
légiales et l'usage en devint universel dès le 13' siècle'.
Autre élément de ces Livres d'Heures, les Sept Psaumes de
la pénitence qui sont particulièrement aptes à exprimer la dou-
leur du péché et la prière pour implorer le pardon. Ce sont les
psaumes
6 Domine, ne in luron: tua arguas me, miserere mei,
31 Beati quorum remissae SWll ùüqIlitates,
38 Domine, ne in tu rare Tl/a arguas me, quoniam sagittae,
51 Miserere mei, Deus, secllIzdwll magnam misericordiam tua m,
102 Domine, exalldi orali01ZCI11 lIleam, el clamor meus,
130 De profundis clama vi ad te, Domine,
143 Domine, exaudi oraliOlJeIn meam, auribus percipe.

Presque tous sont précédés de l'antienne Ne remi>1iscaris.


Cette utilisation des psaumes pour exprimer la douleur du péché
remonte très haut dans l'histoire du culte chrétien. Possidius 5 rap-
pelle que St. Augustin au cours de sa dernière maladie faisait

J Cf. V. LEROQl',uS, op. cil., p. 22.


4 Cf. d'autres récits des origines et de l'histoire de l'Office des défunts
ùans H. B,\TlFFOL, Histoire dll Bréviaire romain, Paris, 1893. Fr. CABRaL et
H. LECLERCO, Dictionnaire d'arch~ologie chrétien/le et de liturgie, \'oL 9 Paris,
1930. V. LEROOUAJS, op. cit., p. IX.
$ Cf. Vila S. At/g., Patrologia Latina, Tome XXXII, col. 576.
LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 373

écrire des psaumes de pénitence sur des parchemins qu'on sus-


pendait aux murs de sa chambre. On ne sait pas s'il s'agit des
psaumes énumérés ci-dessus mais ils sont clairement indiqués
par Cassiodore au siècle suivant 6.
Dans la 2- moitié du 8- siècle c'était l'usage au Mont Cassin
de les réciter le soir des funérailles d'un moine, coutume qui se
répandit dès le 9" siècle dans tous les monastères de l'Empire
franc. Un siècle plus tard les psaumes pénitentiels seront fer-
mement établis pour compléter l'Office quotidien et régulière-
ment récités après Prime. Dès le 12" siècle l'usage s'en étendit
aux églises cathédrales et collégiales du moins aux féries. Puis
peu à peu cet usage se perdit et se réduisit aux vendredis du
Carême.
C'est à titre de supplément à l'Office divin que ces psaumes
furent insérés dans les Livres d'Heures où on les trouve dès
le 13" siècle et plus généralement au 14".
Il en sera de même pour les Litanies, qui sont une des for-
mes les plus anciennes de la prière chrétienne dont l'usage re-
monte aux débuts de notre culte. On les trouve dès le 10" siècle
dans les manuscrits, à la suite des psaumes de pénitence.

Ce sont les Heures de la Bienheureuse Vierge Marie qui ont


donné leur nom à ces Livres d'Heures. Le bréviaire contenait
plusieurs offices en l'honneur de la Vierge Marie, entre autres
ceux de la Nativité, de l'Annonciation, de la Visitation. C'étaient
des offices proprement dits, qui comptaient trois nocturnes et
neuf leçons à Matines. Il existait en outre un office abrégé, dé-
nommé Officium part'WH beatae Mariae Virginis avec les sept
heures canoniales, filais un seul nocturne à Matines avec trois
leçons seulement. L'ordre des psaumes était beaucoup moins
compliqué:
Le dimanche, le lundi et le jeudi on récitait les psaumes
suivants: « Donûtze, Dominus Hoster », « Caeli enarrant », «Do-
Inini est terra ».
Le mardi et le vendredi: «Eructavit », «Deus noster, refu-
gium », « Fundantenta ».
Le mercredi et le samedi, « Cantate Domino», « D01nil1us
reg71avit », « Cantate Domino », C'est cet office qui fut inséré
dans le Livre d'Heures.

6 C\SSIOOORE, Exposit. ÎI1 pss VI, Patr. Lat., t. LXX, col. 60.
374 DOUGLAS WEBB

D'après l'abbé Leroquais on ne connaît pas de témoins de


cet office avant le JO" siècle, le premier en date étant probable-
ment Vlric d'Augsburg Ct973). On raconte que vers la fin de sa
vie il ajoutait à la récitation de l'Office quotidien le « Petit office
de la Vierge", celui de la Croix et des saints. Le coutumier
d'Einsiedeln mentionne un Office de la Vierge Marie chaque sa-
medi depuis Pâques jusqu'à l'Avent. Il fut introduit en Angle-
terre à l'époque de la conquête normande. Les deux plus anciens
manuscrits sont le « Royal 2 AV " du 11" sciècle, et le « Tiberius
A 3". Il semble que Cluny, qui fut si souvent à la pointe du
progrès en fait de liturgie, ait résisté à cet usage. St. Hugues
en restreignit l'usage à l'infirmerie.
Les Matines de la Ste Vierge comprenaient: un verset, un
répons, le Gloria, suivi de l'invitatoire Ave) Maria, Gratia plel1a,
Dominus tecum, le ps. 95 avec une hymne, une antienne, trois
psaumes, une bénédiction, trois leçons avec leurs répons, et
le Te Deum laudamus. Elles s'achèvent par le verset Ora pro
nabis, sancta Dei genetrix et son répons Ut digni efficiamur
pmmissionibus Christi.
Les Laudes consistent en un verset d'ouverture et un répons,
l'antienne et trois psaumes, un invitatoire suivi du Benedicite
omnia opera, et les pss. 148 à 150, l'antienne 0 Admirabile, un
bref capitule, une hymne et les commémoraisons.
Les petites heures, toutes construites de la même manière,
consistent en un verset d'ouverture, le répons et le Gloria, l'an-
tienne, trois psaumes, un capitule, un répons et des oraisons.
Les Vêpres après le verset et le répons d'ouverture, le Gloria,
comprennent une antienne et cinq psaumes, un capitule, une
hymne, le Magnificat, son antienne et une oraison.
Les Complies se composent du verset d'ouverture et du ré-
pons, de 4 psaumes avec leurs antiennes, un bref capitule, une
hymne, le Nunc dimittis et son antienne et les oraisons de
conclusion 7.

Autre élément important du Livre d'Heures les suffrages


formés d'une antienne, d'un verset, d'un répons et d'une oraison,

7 Ce résumé du contenu des Heures de la ViCI"ge Marie c~t bi.l~é sur l'usagt!

de Sarum qui figure dans le Re!. c. 52.1 imprimé à la Bibliothèque universitaire


de Cambridge.
LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 375

récités en l'honneur de Dieu et de ses saints après Laudes et


Vêpres. La présence des suffrages dans l'Office est attestée dès
le 13' siècle. Jean d'Avranches, dans son traité De Ecclesiasticis,
mentionne les commémoraisons en l'honneur de la Bienheureuse
Vierge Marie, des Saints Anges, des Saints Jean-Baptiste, Pierre,
Jean l'Bvangéliste, Btienne et de plusieurs autres. Cet usage
remonte sans doute bien plus loin. Deux de ces oraisons se
trouvent déjà dans un psautier du 10' siècle '. Il est évident que
ces textes ont été insérés dans les Livres d'Heures à partir du
bréviaire. Ils étaient peu nombreux au début, mais on en ajouta
d'autres au fil des siècles. Le Livre d'Heures imprimé à Sarum
n'a pas Dl0Ïns de 22 commémoraisons de divers saints avec, en
outre, une oraison pour la paix et une autre pour les fidèles dé-
funts. Leur nombre varie d'une livre à l'autre. On ne sait pas
ce qui inspirait le choix des saints, peut-être le désir du desti-
nataire du manuscrit ou celui de l'éditeur ou du copiste.

Les calendriers qui figurent d'habitude dans les Livres d'Heu-


res étaient parfois copiés sur des missels et des bréviaires pour
indiquer la date des offices ou des messes. Il y avait donc fré-
quemment des espaces blancs qui ne plaisaient pas aux compi-
lateurs lesquels semblent avoir été préoccupés de les combler
en ajoutant des noms de saints. Cela se fit de plus en plus à
partir du 14' siècle avec divers subterfuges, soit en répétant des
noms, soit en insérant des noms nouveaux ou des renseignements
d'astronomie; de sorte que ces calendriers des derniers Livres
d'Heures n'offrent plus guère d'intérêt pour le liturgiste.

Les éléments que nous venons d'énumérer, le calendrier, les


Heures de la Vierge, les Psaumes de la pénitence, les Litanies
et suffrages formaient l'essentiel des Livres d'Heures. C'est ce
contenu primitif qui fut par la suite séparé des bréviaires et du
psautier et finalement réuni en un seul livre avec son originalité
propre. D'autres éléments s'y ajoutèrent au fil des années et
en devinrent partie intégrante: ainsi des fragments des quatre
évangiles, le récit de la Passion selon St. Jean, les Heures et
office de la Croix et du St. Esprit, les Quinze Joies de la Vierge,

8 Le manuscrit Fr. 1.23 à la Bibl. univ. de Cambridge, un psautier du lOe


siècle, contient deux de ces prières, Dralio ad Del/m Pl/frem et Oralio ad Filiunl
(fs) 542 ct 546 qui ont été par la suite introduits dans le Livre d'Heures.
376 DOUGLAS \VEBB

le Psautier de St. Jérôme. Il s'agit là d'une compilation de quel-


ques 100 versets empruntés à divers psaumes, le premier au Ps. 5,
Verba mea auribus percipe, Domine, le dernier au Ps. 142, et
perdes ol1mes qui tribu/ant a/7imam meam. C'est là un sommaire
de tout le psautier destiné sans doute aux malades, aux voyageurs
et à ceux qui n'avaient pas le temps de réciter le psautier en
entier.
Deux oraisons figurent presque toujours dans le Livre d'Heu-
res, J'une, 0 Intemerata, est adressée à la Vierge Marie et à
St. Jean. Dom A. Wilmart la croit d'origine française et cister-
cienne du 13' siècle. L'autre, Obsecro te, jouissait d'une grande
faveur, elle était censée assurer la vision de la Vierge Marie sur
le lit de mort ainsi que diverses autres grâces.
Les Heures de la Croix n'ont pas de place précise: on les
trouve parfois après les Heures de la Vierge, parfois après les
Litanies. Il s'agit d'un office très bref, composé d'une hymne,
d'une antienne et d'une oraison, sans psaumes, ni leçons. ni
répons. C'est un Parvus ordo de Cruce. On en trouve un plus
long dans certains Livres d'Heures, Ordo magnus de Cru ce. Dans
la plupart des manuscrits figurent aussi les Heures du St. Esprit,
structurées comme les précédentes, avec également une version
plus longue comprenant 3 leçons et 3 psaumes. Ces deux offices
sont assez anciens.

À l'époque de l'invention de l'imprimerie en Occident les


manuscrits de psautiers qui contenaient les Heures de la Vierge
et autres dévotions étaient devenus d'abondantes sources d'inspi-
ration pour les ouvrages de piété en anglais et en latin .. Mais
l'imprimerie entraîna la disparition des miniatures et autres des-
sins qui embellissaient tant de Livres d'Heures. Heureusement
l'emploi de planches les empêcha d'être entièrement privés d'illus-
trations.
Il est évident aussi que ces Livres d'Heures imprimés, habi-
tuellement désignés comme des «Primers ), étaient destinés à
l'usage personnel des fidèles chez eux comme à l'église. E. Hos-
kins' le démontre dans ses Home beatae Mariae Virginis en ci-
tant une rubrique anglaise placée en tête de certaines prières
latines: c( Avant de quitter votre chambre à votre lever» et en

9 E. HOSKl:-<S, op. cit., p. XVII.


LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 377
---'

se référant à la citation du « Livre de courtoisie) de Caxton 10.


Il ressort en outre d'un récit de voyage d'un Italien du 15' siècle
que les Livres d'Heures étaient d'une usage courant chez les
fidèles en particulier et à l'église 11. Nous savons que les fidèles
avaient coutume de réciter les Heures chez eux ansi qu'à l'église,
mais on ne peut dire s'ils se joignaient à la récitation liturgique
des Heures par les clercs. Les témoignages sont ambigus, ils
pourraient s'appliquer soit au bréviaire, soit au Livre d'Heures.
Un autre témoignage à l'appui de cette opinion ressort du rap·
port du procès d'Arthur Chapman qui en 1570 fut cité en justice
à Durham 12 pour avoir lu un livre anglais dans l'église de Wol·
singham à l'heure de la prière du matin alors que le prêtre ré·
citait son office, pour n'avoir pas écouté la lecture du prêtre et
s'être occupé de son livre à lui. Il l'aurait lu à haute voix alors
que le prêtre après la première leçon lui avait enjoint de cesser.
À part quelques exemplaires manuscrits du 14' siècle qui ont
subsisté ", il semble que les Heures n'ont pas été traduites en
anglais avant 1535. Dans les textes imprimés des Heures de la
Vierge c'est l'ordinaire de l'Avent à la Purification qui est le plus
usité bien qu'à l'occasion on trouve aussi les deux autres. Cer-
taines éditions sont dans les deux langues, les oraisons latines
étant traduites.
Il est clair que certains éléments de ces Livres d'Heures
n'étaient guère appréciés des réformateurs du Continent et de
leurs congénères anglais, en particulier les oraisons dont certai·
nes étaient, selon l'abbé Leroquais, « entachées de superstitions,

10 «Avant toute chose et surtout le matin quand vous vous levez, rappelez-
vous la croix du Christ, regardez-la, signez-vous trois fois, dites le Notre Père,
avec dévotion, l'Ave Maria, le Saint Credo. Et puis vous passerez d'antant
mieux la journée ct en vous habillant honnêtement ct en VOLIS parant avec
,"atre compagne.. et ... le livre de Notre-Dame que vous dites et en observez
l'usage chaque jour avec Prime et les Heures". Cité par Hoskins, à partir du
Livre de courtoisie de Caxton. Early English text Society, n. 3 extra series, p.S.
II «Bien que les Anglais suivent tous la messe chaque jour et disent
beaucoup de Paternôtres, que les femmes portent de longs rosaires à la main
et que tous ceux qui savent lire emportent avec eux l'Office de Notre·Dame et
avee d'autres le récitent dans l'église, verset par verset, à voix basse ~I la
manière des religieux, ils entendent toujours la messe les dimanches dans
leur église paroissiale ". Cité par Hoskins à partir de Cam den Society, «Véritable
récit cie l'île d'Angleterre Il, p. 23.
l ! Cité par Hoskins dans «Dépositions à la cour de Durham II, p. 231.
Surtees Society Chapman était forgeron de son état.
13 Tl existe quatre Primers manuscrits anglais du ISe siècle dans la Bodleian
Library, 246, 275 Douce: Bodley 85, Rawlinson c. 699, un à la Bjb[joth~que
universitaire de Cambridge, Del 11,28, et un à Emmanuel Collcge, Cambndge.
w. Maskell imprime le texte d'un manuscrit du même genre dans M01ll1menta
Ritualia Ecclesiae Anglica/we, Vol. Il, London 1846.
378
------------------
DOUGLAS WEBB

soit à cause de l'origine ou de l'efficacité qui leur est attribuée,


soit à cause du nombre fabuleux d'années d'indulgences qui leur
est attaché)}, Néanmoins ces livres de piété jouissaient d'une
grande popularité parmi les laïques. Augmentés de textes supplé-
mentaires dont l'alphabet, ils servaient de livres de lecture aux
enfans. D'où leur nom anglais {( Primer », qui signifie aussi
({ abécédaire».

Cependant l'attitude du roi, Henri VIII, et des autorités reli-


gieuses empêcha assez longtemps toutes réforme spectaculaire
de leur contenu. Mais des ouvrages nouveaux imprimés sur le
continent parvinrent en Angleterre.
La plus ancienne de ces oeuvres est sans doute le Hor/u/us
animae de George Joye, un lettré de Cambridge qui était en rela-
tions étroites avec les réformateurs en Angleterre et sur le Con-
tinent. Il s'y retire en 1527 pour échapper à l'arrestation par les
agents du Cardinal Wolsey. Le titre de son livre, Hortu/us ani-
mae, n'était pas nouveau: il désignait déjà de nombreux ouvra-
ges de piété, y compris les Heures de la Vierge qui circulaient
en Europe ", par exemple une édition imprimée à Paris en 1531
contenant les Heures de la Vierge, les Sept Psaumes de la péni-
tence, et l'hymne funèbre. D'après le titre il suivait le rite de
Sarum.
Cependant en 1531 un Hortulus fut placé sur la liste des
livres prohibés par John Stokesby, évêque de Londres et violent
persécuteur des hérétiques. Comme il n'y a rien dans cette édi-
tion de Paris qui puisse motiver une censure, il faut croire que
l'évêque visait plutôt une édition anglaise d'origine protestante.
On n'en connaissait aucune jusqu'en 1945 quand on découvrit
un exemplaire anglais du Horlulus sur le marché, qui fut acquis
par le British Museum. D'après le colophon il serait «imprimé
à Argentine, le quartier des imprimeurs de Strasbourg en l'année
du Seigneur 1530 par moi, Francis Foxe, Bénissez le Seigneur» 15.

H L'Université de Cambridge possède une édition latine probablement im-


primée en Allemagne, qui contient les Heures de la Vierge Marie.
1." En void un sommaire: Un nouveau calendrier; la Passion de Notre
Sauveur, Christ, avec la concordance des quatre :Ë.vangilcs, ulle instructiun
profitable pour les enfants, un dialogue chretien plein de science, une confessiOll
générale devant Dieu. Il ya un psaume ajouté à l'Office du soir ct le lwlica JIIl~
à Complies avec le Salve, Regina et une cole te (collecte). S'y ajoutent les
Sept Psaumes de la pénitence, ceux de la Passion, les Louanges. TOllS les
psaumes sont récemment corrigr.:s.
LES LIVRES n'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 379

Ce serait d'après C.C. Butterworth l'oeuvre de George Joye '",


qui a publié une édition des Psaumes en 1530.
Joye dut être fort mécontent que les psaumes de la Passion
mentionnés dans le sommaire aient été omis. Son calendrier était
un curieux mélange de martyrologe et de propagande. On avait
considérablement réduit le nombre de saints et rempli les blancs
de commentaires théologiques d'inspiration extrêmement pro-
testante. La fête de la Translation de St. Thomas de Cantorbéry
en juillet y figurait. Mais le dimanche suivant, qui est d'ordi-
naire le Dimanche des Reliques, était l'occasion d'une attaque
virulente contre le culte des reliques. La décollation de Jean-
Baptiste provoque une semonce à l'adresse de ceux qui discrédi-
tent \cs prophètes et les prédicateurs de Dieu. La Passion de
Notre Sauveur est une reconstruction intelligente des récits
des quatre Évangiles, entrelardée de commentaires moralisa-
teurs du cru de l'auteur. Joye est certainement l'auteur de la
traduction, mais l'oeuvre, dans l'original" Historia supplicii Do-
mini Jesu» est due à Martin Bucer. Le Hortulus ne contient
pas d'alphabet, mais Joye ne néglige par entièrement les enfants:
il ajoute une "instruction profitable et très chrétienne pour
l'instruction des enfants» et un dialogue où c'est l'enfant qui
pose les questions sur les prières du matin et du soir ainsi qu'un
catéchisme élémentaire sur le Credo et les Commandements.
Certaines prières et actions de grâces sont d'origine luthérienne.
La confession générale est une longue énumération de péchés
et d'imperfections qui remplit plusieurs pages. Elle est suivie de
quatre prières tirées de l'Ancien Testament, selon la Bible latine
d'Otto Brunfels (?) en 1528 sous le titre de " Precationes bibli-
cae ». Tout cela remplit environ 80 pages qui seront suivies des
Heures proprement dites, commençant par les Matines. Les psau-
mes ne diffèrent guère des textes du Vieux Sarum. Mais les ré-
pons, hymnes et collectes sont autres. On remarque surtout" les
leçons tirées de l'Écriture» à Matines et l'omission de prières à
la Vierge. La traduction des psaumes est presque identique à
celle de Joye de 1530. Pour les leçons du Nouveau Testament il
se servit d'une version légèrement modifiée de Tyndall. J oye omet
toutes les prières très étudiées adressées à la Vierge, à part l'Ave,

16 C.C. BFTTERWORTH, Les «Primers» Grlglais (1529·/545), Uni\'crsity of


Pennsylvania Press, 1953.
Maria. À la fin de Complies dans l'édition récente il omet le
Salve, Regina qu'il remplace par une autre prière, intitulée Salve,
Rex ". Il n'y a pas de Litanies ni de chant funèbre. Les dernières
pages contiennent les Sept psaumes dont deux, les Pss. 51 et 130,
figurent dans les « Primers» suivants, surtout ceux du rite de
Sarum et les louanges qui consistent en un psaume entier, le
Ps. 119.

Les aventures matrimoniales de Henri VIII et sa querelle


avec le Pape eurent leurs répercussions sur l'histoire du "Pri-
mer ». À la suite de l'appui qu'ils avaient donné au roi, deux hom-
mes, Thomas Cromwell et Thomas Cranmer furent élevés à de hau-
tes positions d'autorité et d'influence. Cromwell devint Lord
Chancelier et Cranmer en 1533 achevêque de Cantorbéry. Tous
deux favorisèrent la Réforme. En 1534 le Synode vota une réso-
lution déclarant que le Pape n'avait pas plus d'autorité en Angle-
terre que n'importe quel évêque étranger. La même année, le
Parlement décréta une loi déclarant Henri Chef suprême de
l'E.glise d'Angleterre. Le roi cependant exerça pendant un cer-
tain temps une action modératrice, il se souvenait que le Pape
lui avait conféré le titre de Défenseur de la Foi. Après la paru-
tion de la Bible allemande de Luther en 1534 le Parlement supplia
le roi de faire faire une traduction anglaise des E.critures. Les
imprimeurs et éditeurs étrangers prirent des dispositions dans
ce sens de sorte que plusieurs volumes contenant des parties des
livres saints pénétrèrent en Angleterre. Enfin en 1534 le premier
« Primer» anglais parut à Londres. Tout cela ne s'était pas fait
sans opposition. L'évêque Tunstall de Durham blâma violem-
ment une édition anglaise du Hortulus animae parce que le ca-
lendrier contenait des allusions désobligeantes au mariage de
Henri VIII avec Anne Boleyn.

Le "Primer» publié en 1534 parut sous le titre suivant:


« Livre d'Heures en anglais qui contient certaines prières et
pieuses méditations très nécessaires à toutes personnes qui ne
comprennent pas la langue latine ». Il était imprimé par John By-

17 En voici le texte: "Salut, (Jésus-Christ), Roi de miséricorde, notre vie,


notre salut, et notre espérance. Nous te saluons, vers toi nous crions, nous qui
sommes les enfants d'Eve expulsés du Paradis; vcrs toi nous soupirons, san-
glotant et pleurant dans cette vallée ùe misère; hâtez-vous donc, notre média-
teur, tournez vers nous votre regard miséricordieux »,
LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 381

dell pour William Marshall. On n'en connaît que deux exemplaires,


l'un à Bodleian d'Oxford, l'autre à la Bibliothèque publique de-
Boston. On est peu renseigné sur la personnalité de William Mar-
shall. C'était, semble-t-il, un homme de confiance de Cromwell lors
de la suppression des monastères, partisan zélé d'un mouvement
de réforme et probablement homme de loi. Il garantit la publi-
cation d'un certain nombre d'ouvrages dont il est possible qu'il
ait traduit lui-même certaines parties. Aucun doute sur son ar-
dent protestantisme.
Le contenu de son « Primer» provient de deux sources
principales, pour les trois cinquièmes du Hartu/us animae de
George Joye et pour le reste de Martin Luther. Il n'y a pas de
table des matières imprimée. L'oeuvre se distingue par deux
traits principaux.
D'abord la grande part de textes didactiques, une admo-
nestation, un exposé sur les Dix Commendements, le Credo, le
Notre Père, l'Ave, Maria. Sa dernière source est l'Enchiridian
piarwn precatarum de M. Luther paru en 1520, peut-être passé
dans le " Primer» par l'intermédiaire du Hartu/us de Joye, la
" Passion de Notre Sauveur Christ, harmonisée d'après les 'Ëvan-
giles », de la même source, ainsi que « l'instruction pour les en·
fants », sauf qu'ici Marshall l'a remplacée par de nouvelles priè-
res et actions de grâces.
Les Heures commencent par les Matines avec psaumes et
dévotions habituels jusqu'à Complies et suivent de près le texte
de Joye. À part quelques modifications dans les hymnes pour
améliorer la versification. Les psaumes habituels et les louanges
proviennent du Hartu/us. Les Psaumes de la Passion, omis dans
le Hartu/us, sont du psautier de Joye paru en 1530. Les dévo-
tions et prières y compris celles d'Isaïe, d'Anne et de Daniel"
également. L'unique nouveauté consiste en une pétition au roi
" qu'il veuille bien ordonner aux prélats de son royaume de ne
plus refuser à son peuple ... la lumière de la parole ». Le " Pri-
mer» conclut par un exposé de Savonarole sur le Ps. 51, pro-
bablement traduit par Marshall. C'est certainement le plus an-
cien exemplaire de ce traité imprimé en anglais. Par ailleurs le
calendrier provient du Hartu/us avec quelques modifications,
l'omission de la référence à Sir Thomas Hitton. Autre carac-

18 Cf. LXIII, 5; Is. LXIII, 15 et 1 Sam. II, 1-10; Daniel IX, 4-19.
382 nOUGI AS WEBB

téristique de ce « Primer », l'olllission des Litanies, du chant des


défunts, à savoir les Vêpres, Matines et Laudes des défunts.

Vers la fin de l'année 1534 eurent lieu des sessions du Sy-


node de Cantorbéry où l'on discuta des" livres suspects ». Un
abbé de Northampton se plaignit" d'un certain livre connu sous
le nom de "Primer" qui contenait des rubriques douteuses en
anglais, en tête de certaines prières », Malheureusement on igno-
re s'il s'élève contre une compilation protestante en anglais ou
une édition orthodoxe en latin - ce qui est fort probablement
les cas. Un Livre d'Heures était paru à Paris en 1534 " ad legiti-
mum Salisburiensis Ecclesiae usum», qui contenait les rubri·
ques anglaises et promettait des indulgences pour la répétition
de certaines prières ". Le résultat de ces délibérations fut une
suggestion que les propriétaires des «( livres suspects» soient
tenus de les soumettre à l'autorité compétente, mais il n'y a pas
de preuve que ce fut mis en pratique. En même temps on supplia
le roi d'autoriser une traduction anglaise de la Bible.
A Londres le " Primer» de Marshall paru en 1534 jouit d'un
tel succès que d'autres éditeurs furent tentés de publier des
traductions anglaises des Ecritures. L'un d'eux était Thomas
Godfrey, surtout réputé pour son édition de Chaucer en 1532.
Vers la fin de 1534 ou au début de 1535 il publia un " Primer»
en anglais. Composé sur le modèle de Marshall mais en grande
partie tiré du Hortulus animae de Joye avec certaines modifica-
tions et additions, Godfrey se servait d'un calendrier orthodoxe
en latin, omit une préface et commença par des pages didacti-
ques sur le Commandements, le Credo et le Paternoster. Il couvre
le même terrain que Marshall, mais il en est indépendant jusqu'à
la première demande de l'Oraison dominicale. A ce point son
oeuvre paraphrase virtuellement celle de Marshall. Il adresse
une exhortation d'inspiration luthérienne à ceux qui reçoivent
le Sacrement et une instruction pour les enfants tirée du Hor-
tulus de Joye.
Les Heures de Godfrey sont imprimées en gros type, la
formulation est celle de Joye, sans altérations. Après les Mati-
nes vient le récit de la Passion par Joye, avec un passage supplé-

19 «Notre Saint Père Sixte IX, le 40c pape, a accordé tJ. tous qui récitent
dévotement cette prière devanl une image de Notre-Dame la somme de 60
années d'indulgences ».
LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 383

mentaire imprimé en type plus petit dont l'origine n'est pas cer-
taine. L'office de Prime, les Heures, l'Office du soir et Complies
sont en type plus gros, suivis d'un choix de prières tiré égale-
ment du Hortulus, des Sept psaumes, des Psaumes de la Pas-
sion (du « Primer» de Marshall) et des louanges.

On n'à qu'un seul exemplaire du «Primer» de Redrnan


d'après le rite de Sarum, celui de la Bibliothèque nationale de
Paris. La page de titre indique ceci: «Ce "Primer" du rite de
Salisbury en anglais et en latin est disposé ... sans aucune recher-
che», Le contenu est celui des « Primers» traditionnels en la-
tin '". À strictement parler c'est le premier imprimé en anglais
selon le rite de Salisbury. Le texte latin est imprimé dans la marge.
Ce qui est intéressant c'est l'indication des SOurces du texte
anglais. Le colophon dit: «Imprimé à Londres dans Fleet Street
dans la paroisse de St. Dunstan à l'enseigne de George par moi,
Robert Redman ».
Le calendrier en anglais, rédigé comme d'habitude, est suivi
de quatre extraits traditionnels des Évangiles, la version anglai-
se provient pour la plus grande part du Nouveau Testament de
Tyndall de 1534.
y figurent quatre pages d'écrits divers avec une paraphrase
de l'Oraison dominicale par John Colet, Doyen de St. Paul, qui
provient du « Primer» de 1532, l'Ave, Maria, les Douze articles
du Credo en latin et en anglais, sans commentaire, les Dix Com-
mandements, le texte latin de Deut. V, et la traduction anglaise
en vers, quelques pages de textes variés dont le récit de la
Passion selon St. Jean reproduit presque mot pour mot d'après
la version de Tyndall datée de 1534.
La préface « avertit le lecteur de certaines choses contenues
dans le livre ». L'inspiration est nettement protestante, mais
moins que la préface de Marshall. On souligne les contradictions
entre les versions anglaise et latine des psaumes. Pour l'une l'au-
teur se réclame de l'usage de Filenus (alias Martin Bucer). Mais

20 Le voici: un almanach. un calendrier. les quatre :Ë.vangiles, la Passion dl'


Notre-Seigneur, Egresslts Jesu, le Notre Père, }' Ave, Maria (en anglais et latin),
les Dix Commandements Matines, Vêpres et Complies, le Salve, Regina, Gaude,
Virgo, Gaude ... les XV O~s, les Sept Psaumes avec les Litanies, le Chant funèbœ
et les louanges, les Psaumes de la Passion, le Psautier de St. Jérôme, une prièn~
pour celui qui va recevoir la Ste Communion, une prière à dire après J'avoir
reçue, 0 bOl1e lest! (en latin et en anglais), une prière sur les Sept Paroles
du Seigneur en Croix, la Prière de Salomon pour mener une bonne vic.
384 DOUGLAS WEBB

les psaumes de ce nouveau « Prin1er» proviennent de diverses


sources, en dernier lieu du psautier de Joye de 1530 et 1534. Le
texte latin des Heures est tout à fait orthodoxe. Il faut dire peut-
être que nous avons là le premier texte imprimé en anglais d'un
certain nombre de collectes et de prières adressées à la Vierge
Marie qui ont subsisté jusqu'à ce jour. Redman ne mentionne
jamais les sources de ses traductions anglaises, mais il y en
avait six.
Pour les Matines et les Laudes chaque fois que les textes
anglais et latin coïncidaient il se sert du « Primer» de Marshall
lequel reproduit le Hortulus de Joye et son psautier de 1530. Là
où Marshall s'écarte du texte latin, Redman n'hésite pas à in-
nover. Il se sert par exemple d'une reconstruction du Ps. 51 à
partir de l'exposé de Savonarole pour remplacer le Te Deum
pendant le Carême.
Pour les Heures et l'hymne des défunts Redman utilise les
psaumes de Joye de 1534, les Psaumes de la Passion, le Psautier
de St. Jérôme venant de la même source. La traduction de la
prière 0 bone J esu par Redman est peut-être la première en
anglais. Le volume s'achève par la «Prière de Salomon» pour
mener une bonne vie (Prov. 30).

En 1535 William Marshall fit paraître une seconde édition


de son « Primer» probablement pour répondre aux critiques diri-
gées contre la première. Imprimée par John Bydelle et datée
du 16 juin 1535, elle a pour titre ces mots: «Un bon "Primer"
en anglais nouvellement corrigé et imprimé, augmenté de certai-
nes méditations pieuses et prières très nécessaires et profitables
à tous ceux qui ne comprennent vraiment pas les langues latine
et grecque». On lui accorda le privilège du droit de reproduc-
tion, ce qui signifie que son oeuvre ne pouvait être copiée par
d'autres. Il est évident que Marshall bénéficiait de quelque pro-
tection en haut lieu.
Le ton de son admonestation aux lecteur qui précède les
almanachs et calendrier est beaucoup plus bizarre que celui de
sa première édition et nous fait supposer que ce ton aggressif
était voulu. Elle contient quelques cinq pages de dénonciations
de certaines prières dont le Salve, Regina et les XV Oes. Le ca-
lendrier a sa forme traditionnelle, visiblement emprunté à Red-
man, quoique dans la commémoraison des papes canonisés, ceux-
ci soient désignés comme évêques et non comme papes. Tout le
LES LIVRES n'HEURES AVANT ET APRÈs LA RÉFORME 385

contenu original de la première édition se retrouve quoique en


un ordre différent, et la versification des hymnes est améliorée.
Parmi les additions importantes on note: le chant funèbre
et les louanges restaurées en réponse aux critiques contre leur
omission dans la première édition, les prières 0 bone J esu et
Conditor coeli provenant de Redman. Mais à part ces modifica-
tions, Marshall ne fait aucun autre effort pour se conformer au
rite de Sarum. Il conserve les additions non orthodoxes de sa
première édition, comme par exemple les leçons scripturaires
des Matines. Après quelques remarques assez peu flatteuses sur
les Litanies, Marshall offre une forme adaptée des Litanies de
Redman, suivies de l'exposé de Savonarole sur les Ps. 51. Puis
viennent les traités sur la Passion de son édition antérieure, le
dialogue sur le catéchisme dans lequel contrairement à l'usage
c'est l'enfant qui pose les questions et le père qui répond. Le
Chant funèbre est cité en entier précédé d'un prologue dans
lequel Marshall remarque: «Il n'y a rien dans ce chant funèbre
tiré de l'Écriture qui fasse mention des âmes défuntes - pas
plus que dans le conte de Robin Rood ». Quant aux sources, il
semble que les psaumes proviennent du psautier de Joye de
1530 avec quelques emprunts faits à Redman.
Après l'exécution en 1535 de l'Évêque John Fisher et de Sir
Thomas More, Thomas Cromwell poursuivit sa visite des monas-
tères qui devait aboutir à leur dissolution finale. La cause pro-
testante était désormais en voie de progrès. La publication de
la Bible anglaise se poursuivait rapidement en juillet de la même
année. Le Synode tenta de dominer la situation par la publica-
tion des Dix Articles afin d'établir la tranquillité et l'unité chré-
tiennes. L'année suivante les ordonnances prévoyaient l'usage plus
large de l'anglais dans les offices.

En 1536 parut un « Primer» très curieux publié à Londres


par John Gough, mais probablement imprimé à Anvers ". On ne

Z1 Le contenu est annoncé dans le titre: « Ce "Primer" du rite de Salisbury


en anglais et en latin est présenté sans aucune recherche. Et diverses conve-
nables et saintes exhortations en langue chrétienne. Les Matines, Prime et
les Heures, les 7 Psaumes, les Litanies, les Psaumes de la Passion avec le Ps.
« Beati immaculati» et le Psautier de St. Jérôme, une confession générale,
ainsi Qu'une oeuvre profitable dénommée le paradis de l'âme. avec dévotes
méditations et prières qui n'ont encore jamais été dites, ni lues et en anglais,
ainsi que Matines, Plime et les Heures et l'Office du soir etc. eum gratia et
privilegia regali. Dieu garde notre très noble roi Henri VIII avec sa gracieuse
reine Anne et toute leur progéniture, John Gough, Imprimeur »,
386 DOUGLAS WEBB

connaît que trois exemplaires de cet ouvrage, deux à la Bodleian


d'Oxford et une troisième, imparfaite, à la Bibliothèque uni-
versitaire de Cambridge_ L'analyse du «Primer» de Gough le
présente comme une compilation de textes empruntés à d'autres
avec de textes nouveaux_ Les sources principales sont Redman,
Godfrey et Marshall. Le calendrier est celui de Redman non
corrigé, suivi d'un alphabet. L'Oraison dominicale est en latin
et sans la paraphrase anglaise de John Colet. Le dialogue sur la
vie chrétienne commence par le texte de Godfrey. À partir des
Dix Commandements on trouve un traité sur Dieu et l'homme
dérivé d'un « Primer" latin de Robert Wyer, paru en 1533. Ce-
pendant Gough en omet la 3· partie et ajoute quelques prières
pour les repas qui diffèrent de celles des « Primers " antérieurs.
Il y a une section sur les Dix Commandements avec un contenu
plus ancien qui se termine par un avertissement sur les peines
éternelles pour ceux qui négligeraient les Commandements: un
traité de l'Oraison dominicale du psautier de Godfrey, l'Ave,
Maria, l'Office pour tous âges et conditions, une confession géné-
rale prise dans le « saint» « Primer" de Marshall. Le récit johan-
nique est puisé dans le « Primer" de Redman, enfin un discours
sur les Sept péchés capitaux provenant peut-être de Loccard.
La façon dont l'auteur traite des Heures fait supposer qu'il
désirait plaire autant que possible à tout le monde. En règle
générale le texte latin est celui de Redman, le texte anglais de
Redman et Godfrey. Les Litanies n'ont pas de texte latin mais à
la place de l'invocation des saints, plusieurs pages sur «les li-
tanies de Jésus-Christ" qui résument la vie du Seigneur ". Sui-
vent les supplications et répons habituels tirés de Godfrey.
Le Symbole de St. Athanase en latin et en anglais est l'un
des textes les plus anciens imprimés en anglais. La page suivante
est occupée par une gravure sur bois. Le titre se lit ainsi: «Ici
viennent les Matines en l'honneur du Nom béni de Jésus ». Ces
Matines ressemblent à une adaptation des heures canoniales avec
différents hymnes, répons et passages bibliques sur le Nom de
Jésus. Ils étaient parus en latin dans un Libre d'Heures de 1503,

2l Parmi ces prières de demande on trouve par exemple: «Jésus, toi qui
fus enveloppé de vêtements simples, fais que nous ne péchions pas en nous
habillant". «Jésus qui as discuté avec les docteurs de la loi dans le Temple,
conserve-nous dans ta loi évangélique et défends-nous des erreurs de l'anti-
Christ ».
LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 387

mais c'est ici la première traduction anglaise, d'ailleurs assez


faible. Pour les psaumes Gough s'appuie beaucoup sur Redman.
Après ces Heures du Nom de Jésus on trouve 57 pages de dévo-
tions et de méditations pour une bonne part traditionnelles y
compris une version des « Quinze Oes» traductions très pro-
J

bablement de Gough lui-même.


Autre trait nouveau, une série de sept prières, une pour
chaque jour de la semaine. Après les 15 Oes le titre « Un bouquet
ou collection de lumière pour guider et réconforter tous les pé-
cheurs qui marchent dans l'obscurité, tirées du Nouveau Testa-
ment ". Ceci vient d'une oeuvre antérieure de Patrick Hamilton,
traduite en anglais par John Frith" et re-publié par un impri-
meur inconnu. Finalement Gough abandonne Frith et Redman
et ajoute quelques paragraphes sur la Passion du Christ, d'après
Marshall, intitulée « Profitable commémoraison de la Passion du
Christ ". Les deux exposés de Savonarole sur les Pss. 51 et 31 ven-
dus séparément ont dû être imprimés en même temps que le
« Primer", le texte latin de Savonarole n'est pas reproduit, le
texte anglais semble venir des prières bibliques de Redman.

Entre 1537 et 1540 parurent différentes traductions anglai-


ses de la Bible, qui culminèrent dans la Grande Bible de 1540.
Sur ces entrefaites un nouveau Parlement se réunit en 1539 qui
se montra quelque peu réactionnaire en matière religieuse. À la
demande expresse du roi et au grand déplaisir de Cromwell il
décréta les Six Articles qui réaffirmèrent, au moins pour un
temps, les éléments principaux de la doctrine catholique. Néan-
moins tout le temps que Cromwell resta au pouvoir il favorisa
et seconda la cause protestante de son mieux.
L'un des protégés de Cromwell, John Hilsey, succéda à John
Fisher au siège de Rochester et s'il n'était décédé en 1539 il
aurait bien pu faire une belle carrière. Il publia une nouvelle
espèce de «Primer" qu'il dénomma «Manuel de prières". Il
nourrissait sans doute l'espoir de le voir agréé comme authen-
tique et définitif, espoir déçu à cause de sa propre mort et de
la chute de Cromwell. Son ouvrage parut le 5 juillet 1539 sous le
titre «Manuel de prières », ou « Primer» en englais présenté en

23 Hamilton était un jeune Abbé écossais d'origine noble qui embrassa le


luthéranisme et fut martYl;sé en 1528. Frith, qui connaissait Tyndall et les
réformateurs de Cambridge, fut martyrisé en 1533.
388 DOUGLAS WEBB

entier, dont le lecteur percevra bientôt le contenu grâce au pro-


logue qui suit le calendrier. Il y verra brièvement" l'ordonnance
de toute l'oeuvre disposée par John, défunt évêque de Rochester,
sur l'ordre de l'honorable Seigneur Thomas Cromwell, Seigneur
du Sceau Privé, vice-régent de la Grandeur du Roi ». L'impri-
meur était John Wayland.
Ce livre est remarquable par le grand nombre de justifica-
tions et d'explications, bien imprimé, mais pas particulièrement
bien édité, sans doute à cause de la santé déficiente de l'auteur.
Autre trait intéressant, la division en trois parties: La Foi, la
Prière (les Heures, les 15 Oes, les 7 psaumes, les 15 psaumes, les
Litanies), les Oeuvres. Cette dernière partie s'achève par divers
textes de l'Écriture qui convenaient pour ce que les anciens" Pri-
mers» nommaient les États de la société. Une partie du Primer
semble empruntée à la version de la Bible par Miles Coverdale,
parue en 1537, et au " Primer» de Redman de 1538. Hilsey s'est
cependant séparé dans une large mesure de ce " Primer» du rite
de Sarum, en particulier par son choix de textes scripturaires.
Il n'a pas retenu les psaumes traditionnellement prescrits pour
les Offices, de Matines à Complies.
Le " Primer» commence par un almanach pour 17 ans, de-
puis le jour de Pâques 6 april 1539 jusqu'au jour de Pâques 14
avril 1555. Le calendrier ne donne que les grandes fêtes du
Seigneur et des Saints, il prescrits les épîtres et les évangiles
ainsi que ceux de tous les dimanches de l'année ecclésiastique.
Un bref prologue dédie l'oeuvre à Thomas Cromwell; un autre
plus long au fait que la version anglaise vient des "psaumes
hébreux traduits par St. Jérôme ». Il y a des préfaces aux Ma-
tines et aux Heures, ainsi que des paragraphes introduisant les
Laudes, l'Office du soir, les Sept psaumes. Après les Litanies
plusieurs pages d'instructions sur la manière de célébrer la
messe », dans lesquelles l'auteur se souvient visiblement des
Six Articles auxquels il s'était opposé, blâmant la folie de ceux
qui mettent en question la doctrine de la Présence réelle. Il y a
un bref prologue au Chant funèbre.
La partie de l'ouvrage traitant des" Oeuvres» est en anglais
seulement. C'est un développement des Matines tiré de Marshall
et de Redman. On trouve aussi" l'abrogation des Jours Saints »,
qui dispensa les laïques d'assister aux offices à l'époque de la
moisson comptée à partir du premier jour de juillet jusqu'au 25
LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 389

septembre. Les clercs avaient toutefois la permission d'observer


ces jours, à condition que ce fût avec discrétion et sans sonner
les cloches.
On a vu que Hilsey avait effectué des modifications considé-
rables dans les Offices. Au début de Matines, il avait substitué
l'invitatoire de Joye et de Marshall: «Venez à moi, vous tous
qui travaillez» au traditionnel Ave, Maria du rite de Sarum. Il
modifia tous les psaumes de ce dernier rite, aux Matines et à
d'autres Heures. Il omit les louanges et les psaumes de la Pas-
sion ainsi que le Psautier dit de St. Jérôme. Il retint le Chant
des défunts, mais il modifia les leçons du « Primer» de Redman
qui étaient des adaptations rimées, et en utilisa d'autres puisés
dans les Écritures. Dans les trois passages de Joye qu'il avait
retenus, il s'était servi de la Bible de Coverdale. En fait il n'aimait
pas les leçons du « Primer» de Sarum parce qu'elles offraient
peu de réconfort aux affligés.
Il est intéressant de voir comment Hilsey utilise ses sources.
Il choisit le texte approuvé du « Primer» de Redman pour l'Orai-
son dominicale, pour la Passion selon St. Jean, les Dix Comman-
dements, plusieurs hymnes et collectes, les Sept psaumes et les
six premiers des 15 psaumes. Les «Primers» de Sarum conte-
naient 58 psaumes. Hilsey emprunte la version de Redman pour
moins de 20, pour le reste, y compris quelques 14 psaumes nou-
veaux et autres extraits de la Bible, il se sert de la version de
Coverdale. Quand le «Primer» eut été imprimé Hilsey envoya
un exemplaire à l'Archevêque Cranmer pour demander son appro-
bation. Il semble que la réponse ait manqué de chaleur.

Vers 1541 le roi commença d'exercer une influence modé-


ratrice sur les « Primers ». La première édition de celui de Hen-
ri VIII fut publiée par Grafton le 29 mai 1545 sous le titre de
« Primer présenté par Sa Majesté le Roi et son clergé pour être
enseigné, appris et lu. Aucun autre ne doit être utilisé à travers
tous ses domaines. 1545 ». Au cours des années qui suivirent ce
« Primer» eut dix éditions anglaises, deux en anglais et en latin,
et une en latin. Le roi prit grand intérêt à ce projet, il publia
une ordonnance pour souligner la place du «Primer» dans le
système d'éducation religieuse de son temps, et la nécessité
d'une certaine uniformisation de ces manuels. À l'avenir seul
ce nouveau texte devait être utilisé. Il ressort de cette ordon-
nance que le « Primer» serait utilisé par jeunes et vieux. Dans
390 DOUGLAS WEBB

la préface à la version anglaise et latine les aspects de religion


et de piété sont soulignés. On prend soin d'équilibrer les droits
de l'anglais et du latin et de souligner la nécessité de l'harmonie.
Il n'y a pas de subdivisions dans le " Primer» de Henri VIn
comme ce fut le cas dans le manuel de Hilsey, mais il retient
trois parties principales, les préliminaires habituels, le calendrier,
['Oraison dominicale, l'Ave, Maria avec les prières des repas,
les Heures depuis Matines jusqu'à Complies, les Sept psaumes,
les Litanies, le Chant funèbre, les Louanges, les Psaumes de la
Passion, la Passion selon St. Jean, le tout suivi d'une longue
et inhabituelle série d'oraisons.
Le calendrier comparé à celui du Vieux Sarum contient beau-
coup moins de noms de saints, environ huit par mois, avec une
préférence compréhensible pour les saints anglais, et surtout des
noms connus. On trouve des renseignements chronologiques sui-
vis d'une partie consacrée à l'Oraison dominicale et aux Com-
mandements.
La partie centrale, celle des Heures, suit la ligne générale
des textes de Sarum, avec cependant des traits nouveaux: le
choix et l'ordre de succession des psaumes est différent, il y
a sept psaumes pénitentiels. Les psaumes des Matines sont in-
changés, mais leur nombre passe de 58 à 36. Les Psaumes gra-
duels sont omis, ceux de la Passion différents. Cinq psaumes
figurent pour la première fois, dont trois parmi ceux de la Pas-
sion. La version utilisée est celle de « Rouen» des « Primers »
de 1536, corrigée par Redman en 1537. Toutes les variantes des
textes originaux tendent à démontrer l'influence de la Bible de
Cranmer de 1540. Les psaumes qui n'ont pas figuré dans celui
de Sarum sont puisés dans cette dernière.
Les Matines conservent les psaumes de Sarum ainsi que
l'Ave, Maria de J'invitatoire, les leçons traditionnelles à la louan-
ge de la Vierge sont remplacées par d'autres: un texte d'Isaïe
11, et deux de l'Évangile de St. Luc, contenant le récit de l'An-
nonciation. Le texte suit de près celui de la Grande Bible, ici
et là corrigée probablement par l'éditeur.
Il y a de nouvelles traductions des hymnes qui représentent
un grand progrès sur celles de Sarum et de Marshall. On ne
connaît pas l'auteur, mais ce n'est certainement pas Cranmer
qui, dans une lettre au Roi, reconnaissait qu'il était incapable
cl' écrire en vers anglais.
LES LIVRES D'HEURES AVANT ET APRÈS LA RÉFORME 391

Le nouveau {{ Primer» atténue l'importance donnée au culte


de la Vierge Marie et à la vénération des saints dans le «Pri-
mer» de Sarum. Il n'y a donc que 8 collectes à la fin de Laudes
dont aucune ne s'adresse aux saints. Tout de même les textes
proviennent du rite de Sarum et probablement du Manuel de
Prières de Hilsey. L'ampleur des changements opérés apparaît
le mieux dans les Heures qui n'ont plus qu'un seul psaume suivi
chacun d'une antienne et d'une courte oraison ou collecte. Les
antiennes au lieu de célébrer la Vierge sont formées de deux
Béatitudes ". Les oraisons se réfèrent à ces vertus célébrées dans
les antiennes. L'office du soir est consacré plus spécialement à
la commémoraison de la Vierge et comprend naturellement le
Magnificat. Les Complies, très abrégées, conservent deux psau-
mes traditionnels. Les Sept psaumes demeurent, mais la collecte
finale a été ré-écrite. Les Litanies étant celles de Cranmer, com-
posées en 1544, excluent toute référence aux saints sauf l'implo-
ration « Sainte Marie, Mère de Dieu, Notre-Seigneur Jésus-Christ,
priez pour nous... Tous les saints patriarches et prophètes,
apôtres et martyrs, confesseurs et vierges, et toute la bienheu-
reuse cohorte du ciel, priez pour nous ». La conclusion ressemble
pour l'inspiration à celle des «Primers» plus anciens retou-
chés par Cranmer. L'office des défunts fortement abrégé réduit
le nombre de Psaumes et n'a que trois leçons. Hilsey avait tenté
d'atténuer la tristesse de ce Chant funèbre en choisissant trois
leçons dans Job, trois dans St. Augustin et trois dans le Nou-
veau Testament. Il n'y a pas de division entre les psaumes de
Matines et ceux de ce Chant funèbre, mais on a conservé l'essen-
tiel de chacun avec l'ancienne formule de conclusion: «Dieu, aie
pitié de toutes les âmes chrétiennes ». Trois prières achèvent
le Placebo, toutes finalement tirées de l'ancien texte, les louan-
ges sont représentées par le Ps. 119 dans la version de Redman
parue en 1537.
Dans la partie qui suit figurent Psaumes de la Passion qui
sont nouveaux, puisés dans la Bible de Cranmer, suivis du récit
de la Passion selon St. Jean, tirée du Manuel de Hilsey, et fina-

24 L'antienne de Sexte est «Bienheureux les miséricordieux car ils obtien·


dront miséricorde. Bienheureux les coeurs purs car ils verront Dieu. Seigneur
Jésus-Christ dont le propre est de faire miséricorde, vous êtes toujours pur et
sans nulle tache de péché. Accordez-nous la grâce de vous imiter dans la miséri-
corde envers notre prochain et de conserver toujours un coeur pur et une
conscience pure".
392 DOUGLAS WEBB

lement de la version du Nouveau Testament par Tyndall. Suivent


six prières sur la Passion peut-être de la plume de Cranmer à
la place des « 15 Oes » et 35 prières sur différents thèmes d'origine
diverse, entre autres de l'écrivain espagnol, Juan Luis Vives_ Six
de ces prières proviennent de l'Epitome des Psaumes de Taver-
ner, onze de sources bibliques, les deux dernières sont 0 bone
Jesu de St. Bernardin de Sienne et une autre attribuée à Érasme
pour l'heure de la mort. Cette partie s'achève par « une confes-
sion générale des péchés» et deux prières de Vives traduites du
latin, l'une contre le diable, l'autre « pour désirer la vie à venir ».

Nous dirons en conclusion que les « Primers » de Henri VIII


étaient plus qu'une révision des anciens Livres d'Heures, mais
bien plutôt des livres de dévotion privée, une introduction offi-
cielle de la langue vulgaire dans la liturgie de 1549. Désormais
le « Primer» n'eut plus de raison d'être, car le nouveau « Prayer
Book» convenait à la fois à la prière privée et au culte public.
On recherchait dorénavant des livres de piété personnelle. C'est
ce besoin que les auteurs s'efforceront de satisfaire à l'avenir.

Douglas WEBB
UNITÉ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS
AUX VIII", IX· ET X· SIÈCLES

La série des « Semaines d'études liturgiques» de Saint Ser-


ge se caractérise par les thèmes qui ont été choisis pour chacune
de ces semaines. Récemment, pour le colloque des liturgistes
scandinaves, j'ai eu à dresser une liste de ces thèmes afin de
souligner l'intérêt que nous avons, nous nordiques, à suivre
l'activité qui se déroule autour de Saint Serge '. Or, en ras-
semblant les titres des 11 semaines précédentes, j'ai été frappé
par le fait qu'elles ont toutes été d'actualité, qu'elles se sont
toutes situées à l'intérieur des grands débats liturgiques, théolo-
giques et oecuméniques de notre temps. Leurs relations avec les
grands sujets étudiés lors des grandes réunions oecuméniques
sont évidentes. Leurs relations avec ceux de Vatican II et ses
suites ne le sont pas moins. Et en ce sens il semble normal de
souligner que le thème de l'année 1975 converge, lui aussi,
avec une problématique contemporaine très vive: celle de la
dichotomie et de la nécessaire communion entre l'Église locale
et l'Église universelle (le thème), celle de l'unité et de la diver-
sité (le sujet de cette conférence), celle, enfin, du «pluralisme»
(ce mot, dont on abuse un peu dans le débat théologique
d'aujourd'hui, recouvre les deux autres paires de concepts),
« pluralisme» dans une Église donnée, pluralisme même entre
Églises, pluralismes d'existence de formes différentes d'institu-
tions, de théologies, et, ce qui est le cas ici, de liturgies.
Cependant, en disant que nos semaines ont fait preuve d'un
enracinement indéniable dans une problématique actuelle (et
vivante), on n'a pas dit que la projection dans le passé d'une
telle problématique soit dangereuse pour une compréhension
saine de l'histoire, et c'est même le contraire qui est vrai. La

1 Les Semaines liturgiques ont été éditées partiellement dans la collection


Lex Orandi (vols. 39, 40, 46-47 et 48, Paris 1963-1970). Sur les éditions dans la
série Bibliotheca Ephemerides Liturgicae - Subsidia, voir à la fin du présent
volume. Cf. aussi F. PETIT, Le.s COI1.férences Saint-Serge, Ephemerides Liturgicae
88 (1974) 124-130, ainsi que les mémoires de Dom Bernard BOTIE, Le mouvement
liturgique. Témoignages el souvenirs, Paris 1973, pp. 136-144.
394 NIELS K. RASMUSSEN

longue série des conférences publiées le montre d'ailleurs. Mais


il est nécessaire que nous sachions pourquoi nous posons telle
ou telle question à J'histoire si nous voulons conjurer le danger
qu'il y aurait de défigurer la réalité historique - ou ce qu'il
nous reste de cette réalité dans les documents que le cours
des siècles nous a transmis.
La question des pontificaux primitifs, de ce qu'ils ont en
commun et de ce qui les sépare, devrait donc, à priori, pouvoir
s'insérer dans une problématique comme celle qui a été choisie.
Mais notre question s'insère aussi ipso iure dans son propre
contexte: nous savons qu'un des très grands problèmes de
J'Empire carolingien était celui de redonner à une Europe di-
visée et dissoute une nouvelle structuration qui pourrait la faire
tenir ensemble. Cette problématique, plus générale que notre
thème (parce qu'englobant tous les aspects de la réalité politico-
culturelle) mais moins étendue du point de vue chronologique
(parce que limitée à la première moitié du IX· siècle) a été étu-
diée de façon remarquable par Raymond KOTTJE dans une leçon
d'habilitation à J'Université de Bonn en 1965 sous le titre trè,<;
significatif pour nous: "Unité et Multiplicité dans la vie ecclé-
siale à la période carolingienne» '. L'auteur s'est demandé
jusqu'à quel point la volonté d'uniformisation qui était celle de
Charlemagne et de ses amis dirigeants était vraiment réalisée
dans les faits. L'idéologie de J'Empire, telle qu'on peut la trouver
exprimée au Concile de Mayence en 813, était " Que la paix et la
concorde, ainsi que l'unanimité règne, de même que nous avons
un Père, une Mère l'Eglise, une foi, un baptême» '. Kottje, au
lieu de s'en tenir à ces exposés de programme et de principes,
a étudié ce qui, de facto, nous a été légué par J'histoire, les ma-
nuscrits, et il a fait cette recherche à propos de quatre domai-
nes différents de J'activité culturelle carolingienne: la Bible, la
liturgie, les institutions monastiques et les institutions juridi-
ques. Le résultat, quant aux institutions monastiques, correspond
assez bien aux inspirations de Saint Benoît d'Aniane: la Rè-
gle de Saint Benoît est introduite presque partout, bien que
cela ne soit pas toujours dans la version" pure» de l'exemplai-
res de Saint Benoît d'Aniane lui - même. Mais pour les autres

2 R. KOTTJE, Einheit und Vielfalt des kirchlichef'l Lebens in der Karolinger-


'leU, Zeitschrift für Kirchengeschichte 76 (1965) 323-342.
3 MGH, Concilia II, pars 1", Hannover-Leipzig 1906, p. 261; KOTIJE, p. 323.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS 395

points l'enquête s'avère négative. Pour la Bible, contre Gan-


shof, il a été montré par Bonifatius Fischer, de Beuron, que
l'édition {( impériale» corrigée par Alcuin n'a pas COnnu une
grande diffusion et que même des manuscrits de luxe de
la Hofschule ne l'ont pas comportée. Pour l'unification du
droit: bien que la collection Dionysio-Hadriana que Charles
avait reçue pendant son séjour à Rome en 774 (et qui est donc
le premier des Codices authentici) existe en 28 exemplaires de
la première moitié du IX· siècle, il appert que, parmi les ma-
nuscrits conservés de cette collection, il n'yen a pas qui pro-
viennent du Nord ni du Centre de la France, ni donc du grand
scriptorium de Tours.
Enfin, parce que cela nous touche de plus près: la liturgie.
L'exemplar authenticum de l'Hadrianum, voulu comme le livre
liturgique de l'Empire, n'est transmis, dans son état primitif,
qu'en neuf exemplaires datant de la première moitié du IX·
siècle. Le manuscrit n'était pas fonctionnel et devait vite être
supplémenté par l'ouvrage que nous attribuons maintenant à
Saint Benoît d'Aniane. De plus, ni l'exemplar authenticum ni le
livre supplémenté n'ont réussi à se substituer rapidement aux
livres gélasiens qui continuaient d'exister, d'être utilisés et d'être
copiés.
Les résultats de cette enquête de Kottje que nous nous
sommes permis de rappeler nous montrent donc que l'étude du
matériau qui nous est transmis nous permet quelquefois de
nuancer de façon considérable, sinon de contredire, les asser-
tions historiques plus générales, surtout si ces assertions ont été
trop tributaires d'une idéologie dominante', telle que celle de
l'unification de l'Empire par Charlemagne. C'est la même métho-
de que nous allons utiliser en parlant des premiers pontificaux.
Qu'est-ce qu'est un pontifical? Nous qui pensons souvent
dans les catégories qui nous ont été imposées par les livres
imprimés, catégories unifiées et uniformisées, n'avons peut-être

4 Il est significatif que la grande exposition sur Charlemagne à Aix-l~­


Chapelle en 1965 ait été organisée précisément par le Conseil de l'Europe. Mals
elle donnait aux chercheurs, en plus d'une inoubliable expérience, des instru·
ments de travail de tOut premier ordre: Charlemagne, Oeuvre, rayonnement
et survivances, Aix-la-Chapelle 1965 (catalogue d'exposition. qui existe aussi en
allemand), Düsseldorff 1965 et W. BRAUNFELS (éd.), Karl der Grosse, Lebenswerk
und Nachleben I-IV & Registerband, Düsseldorff 1965-1968.
S Cf. P.M. GY, Typologie et ecclésiologie des livres liturgiques, La Maison
Dieu no. 121 (1975) 7-21.
396 NIELS K. RASMUSSEN

pas de difficultés à répondre à cette question '. Mais il convient


de laisser de côté les partis-pris et d'interroger les textes eux-
mêmes en posant la question: Quelles sont les caractéristiques
du document cultuel spécifique (à supposer qu'un tel document
existe) d'un évêque qui préside une célébration du VIlr au X"
siècles? C'est à cette question que nous voudrions essayer de
donner une réponse en divisant l'exposé en trois parties: 1)
Le VIII' siècle. 2) La période carolingienne et ottonienne en de-
hors du document dénommé « Pontifical Romano-germanique»
(PRG), et enfin 3) ce Pontifical Romano-germanique.

1. DES «PONTIFICAUX» AU VIII' Su:.CLE?

Il n'a pas manqué de Iiturgistes pour affirmer l'existence


de pontificaux antérieurs au IX' siècle. Nous ne nous arrêterons
pas aux attributions traditionnelles qu'une église faisait de son
livre liturgique à son fondateur ou à un membre éminent de sa
series episcoporwn, tel que le « Pontifical d'Egbert» ' ou le « Pon-
tifical de Tirpin » '. Mais en 1911, M. RULE étudiait le «Missale
Francorum » du milieu du VIII' siècle' et voyait en lui « le pre-
mier pontifical ». Cependant, quand nous examinons le contenu
du Missale, nous voyons bien que ce document liturgique ne se
sépare pas de façon considérable des autres sacramentaires. Il
est vrai qu'il commence avec une section d'ordinations et de
dédicaces, mais il continue avec une section eucharistique, priè-
re eucharistique incluse. Le Missale Francorum n'est donc pas
en soi un document cultuel spécifique d'un évêque, car un prêtre
aurait très bien pu s'en servir pour la célébration de l'eucharistie.
Tout au plus pourrait-on l'admettre dans la catégorie «types
hybrides », dont il sera question plus loin.

5 Cf. infra, note 23 et A. MUNDÙ, Adnotationes in antiquissimul1l Ordinem


Romanum Feriae V in Cena Domif1i noviter edirunt, dans Liturgica, 2 (Scripta
et Documenta, 10), Montserrat 1958, pp. 181-216; surtout pp. 182-189: «De ponti-
ficali Egberto Eboracensi attributo ».
7 Le «Pontifical de Tirpin» est perdu, mais était encore connu par Martène.
A. MUNDO penche toutefois pour l'attribution à Tirpin, cf. art. cU., pp. 190·203.
8 Ms. Vat. Reg. Lat. 257; K. GAMBER, Codices Liturgici Latini An.tiqlliores~
(Spicilegii Friburgensis Subsidia, 1), Fribourg 1968 [désonnais CLLA2J. no. 410.
M. RULE, The so-called Missale Francorum, Journal of Theological Studies 12
(1911) 214-250 et 535·572.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS 397

De même, en 1955, le regretté Dom Louis BROU publiait une


note intitulée" Le fragment liturgique Colmar 144, reste d'un
pontifical irlandais du VIII' siècle» '. Le fragment contient la
fin de la bénédiction des vierges et le début de la bénédiction
d'une veuve. Mais d'un fragment nous ne pouvons nullement tirer
une conclusion sur la spécificité d'un manuscrit 10. Il semble
plus indiqué dans le cas de référer le fragment à la catégorie
connue, le sacramentaire, ce fragment devant provenir de la
section épiscopale qui était une partie intégrale d'un tel livre.
Il faut être net. Aucun document antérieur à l'an 800 nous
est parvenu qui soit un document cultuel spécifique d'un évêque.
Au contraire, les rites épiscopaux sont contenus dans les sacra-
mentaires qui étaient le livre présidentiel, à l'usage tant du
prêtre du second ordre que de celui qui était investi de la pléni-
tude du sacerdoce. Le sacramentaire est polyvalent et nous en-
seigne que la présidence de l'assemblée liturgique est primaire
par rapport à la distinction par les degrés d'ordre. Et le sacra-
mentaire, s'il est complet, permet d'accomplir le rôle présiden-
tiel tant de l'eucharistie que des rites non-eucharistiques (épisco-
paux ou presbytéraux), voire celui de présider l'Office. On pour-
rait ici donner un aperçu sur l'agencement des offices épisco-
paux à l'intérieur des principaux types de sacramentaires, mais
cela nous entraînerait trop loin.

II. LES LIVRES ÉPISCOPAUX DU IX' ET X' SIECLES


À L'EXCEPTION DU PRG

C'est donc seulement à partir du IX' siècle que nous ren-


controns ces livres épiscopaux. Ils sont mal connus et seulement
une partie d'entre eux ont déjà fait l'objet d'une édition. Il n'y
en a pas beaucoup plus d'une vingtaine qui nous soient parve-
nus 11, mais il ne faut pas exclure qu'on puisse encore en trou-

9 L. BROU, Le fragment liturgiql!e Colmar 144, reste d'un pontifical irlandais


du VIlle siècle. Bulletin de Littérature Ecclésiastique (1955) 65-71; CLLA2 108.
le Cette remarque est valable également pour les fragments postérieurs
dont GAMBER donne la liste en CLLA2 1559.
Il C. VOGEL, Introduction aux sources de l'histoire du culte chrétien au moyetl
âge (Biblioteca di «Studi Medievali », I), Spoleto 1966 [désormais VDGEL,
Introduction ... ], pp. 185-186. Mais il convient de réviser la liste à la lumière de
découvertes et de nouvelles datations.
398 NIELS K. RASMUSSEN

ver 1"-, Comment classifier ces manuscrits? En quoi sont-ils


semblables? En quoi divergent-ils les uns des autres? Je rap-
pelle que l'enquête porte ici sur le document cultuel spécifique
de l'évêque. Cela permet déjà d'en restreindre le champ. Nous
excluerons donc tout de suite les Ordines Romani et les collec-
tions d'Ordines, de même que les livres liturgiques mixtes où
les Ordines sont la partie majeure. Car l'Ordo n'est pas à propre-
ment parler un document cultuel, au moins pas dans sa concep-
tion primitive. C'est une aide pour le célébrant ou pour celui
qui est chargé de diriger une action liturgique, mais il n'est
document cultuel que s'il contient in extenso toutes les formules
euchologiques de l'action liturgique en question. Cette limita-
tion, d'ailleurs, ne doit pas porter tort au sujet, car ce que
nous excluons, c'est exactement ce qui a été étudié par Michel
ANDRIEU dans le catalogue et dans l'introduction de son grand
ouvrage sur les Ordines Romani, paru en 1931 13 •
Ceux qui ont édités quelques-uns de ces pontificaux jusqu'à
maintenant, par exemple METZGER en 1914 pour les deux ponti-
ficaux de la Rhénanie Supérieure 14 ou MAGISTRETTI en 1897 pour
le pontifical de Milan ", ont souvent - à moins qu'ils ne se
soient contentés d'une édition non-annotée - essayé de déter-
miner le caractère de leur manuscrit en cherchant ses dépen-
dances par rapport à des sacramentaires connus. C'est certaine-
ment une chose utile et nécessaire (elle peut dispenser d'une
édition complète, par exemple).
Toutefois, déterminer les emprunts faits au Grégorien, au
Gélasien du VIIr siècle, au Supplément ananien ou à tel Ordo
Romanus peut certes avoir son intérêt, mais une telle détermi-
nation, finalement, n'apporte que rarement des indices vraiment
significatifs sur l'utilisation et la fonction d'un manuscrit. Que
les sacramentaires et le Ordines aient fourni les bases des ma-

12 En 1970 on a trouvé dans une étable à Brodie Castle, Morayshire en


Ecosse un pontifical de Winchester datant d'environ l'an 10001 Ce pontifical
est maintenant au British Museum, Ms. Add. 57337; d. Sotheby & Co., Catalogue
of Western Manuscripts and Miniatures for the Sale of July 12, 1971, lot 35,
et J. BRÜCKMANN, Latin Manuscript Pontificals in England and Wales, Traditio
29 (1973) 431432.
13M. ANDRIEU, Les Ordines Romani du Haut Moyen Age. Vol. J. Les Ma-
nuscrits (Spicilegium Sacrum Lovaniense, 11), Louvain 1931.
lt M.J. ME"IZGER, Zwei karolingische Pontifikalien vom Oberrlzein (Freiburger
Theologische Studien, 17), Frciburg im Breisgau 1914; CLLA2 1551 ct 1552.
lS M. MAGlSTRETTI, Pontificale in usum ecclesiae mediolanensis ... (.\1onumenta
vcteris liturgiae ambrosianae, l), Milano 1897; CLLA~ 570.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS 399

nuscrits pontificaux est évident et l'intérêt de ces données n'est


donc que tout relatif.
Nous voudrions ici tenter d'aller par un autre chemin en
nous demandant s'il ne serait pas possible de dire quelque chose
sur l'origine des ces manuscrits en les analysant d'un point de
vue formel: Quelle fonction un tel manuscrit a-t-il pu remplir,
vu qu'il est composé de telle façon, est «fabriqué» de telle
manière et que tel matériau a été utilisé pour sa confection?
Également en nous demandant si à partir de ses critères "ex·
térieurs» il n'est pas possible d'arriver à une typologie dans
le sens qui a été donné à ce mot par le grand projet lovaniste ":
" établir la nature propre de chaque genre de source et arrêter
ainsi les règles spéciales de critique valables pour chacun»".
Essayons donc de dresser - au moins à titre provisoire - une
typologie du document liturgique épiscopal. Nous mentionnerons
successivement: 1) le rouleau, 2) le libellus, 3) la collection de
li belli, 4) les compositions spéciales. Ensuite, et partant d'un autre
critère de division, nous traiterons du: 5) pontifical sans déco-
. ration et du 6) pontifical de luxe. Finalement, il sera question
des 7) types hybrides.

***

1) LE ROUl.EAU. Le plus simple de ces documents est le ro-


tulus. Normalement, en Occident, nous ne mettons en relation
le rouleau qu'avec les Rotuli d'Exultet '", mais il est hors de
doute qu'il ait existé tout un éventail de rouleaux liturgiques et
parmi ceux-ci aussi des rouleaux liturgiques épiscopaux. Le plus
ancien rouleau conservé est celui de Ravenne, mais il n'est pas
épiscopal. Nous avons un témoignage écrit sur le rouleau con-
tenant le Canon de la messe qu'envoyait dans les années 740 à
750 le pape Zacharie à Saint Boniface ". Dans la région bénéven-
taine nous avons conservé un rouleau très décoré qui contient
les ordinations mineures et majeures et nous avons deux rou-
leaux qui contiennent la bénédiction de l'eau baptismale (ces

lB Typologie des sources du moyen âge occidental. Directeur: L. Genicot,


Turnhout 1972 sqq. Plus de 10 fascicules ont paru jusqu'à maintenant (1975).
11 Op. cil., L. GENlCOT, Introduction (fase. 1), p. 8. .
18 Cf. l'ouvrage monumental de G. CAVALLO, Rotali di Exultet dell'Italia Me-
ridionale, Bari 1973. Abondante bibliographie pp. 239-251.
1& MGH, Epistolae Merowingici et Karolini Aevi, Tom. l, Berlin 1892, p. 372.
400 NIELS K. RASMUSSEN

derniers n'étant pas nécessairement épiscopaux, mais, vu leur


belle décoration, cela semble probable) 20, Dans les deux cas, il
est possible qu'il s'agisse d'assimilations par rapport aux rou-
leaux d'Exultet: cela permettait d'utiliser trois rouleaux diffé-
rents pour la vigile pascale dans les cas où celle-ci aurait com-
porté aussi des ordinations ", Mais si Bénévent pose un problè-
me spécifique parce que régional, nous savons par la correspon-
dance de Hincmar de Reims que, même dans la région française,
il existait des rouleaux pour la consécration épiscopale: il parle
dans sa lettre à Adventius de Metz des prières qui se trouvent
«( in rotula consecrationis » u. Le « Pontifical d'Egbert» mention-

ne aussi que la grande admonitio diaconale pour la réconciliation


des pénitents le Jeudi-Saint (Adest venerabilis pontifex) est lue
d'après un rouleau (c'est donc un parallèle de la vigile pascale) ",
Et dans le rite ambrosien, le rouleau et le rotularius se sont
maintenus jusqu'après le XII' siècle ",
Le rouleau constitue un exemple intéressant de survivance
de l'antiquité, Son avantage pour un usage épiscopal est que
l'évêque n'a besoin que du rouleau qui contient le rite spécifique
qu'il doit accomplir, Normalement, il lui faut l'aide d'un rotu-
larius pour le tenir et le dérouler devant lui, bien que nous
ayons des illustrations byzantines où nous voyons le rouleau dé-
roulé sur un pupître (comme dans certaines des enluminures
des rouleaux d'Exultet) , Par suite des difficultés de conserva-
tion, peu de rouleaux épiscopaux nous sont parvenus, mais il
est hors de doute qu'il faille considérer le rotulus comme le do-
cument épiscopal le plus simple et probablement, dans la lu-

20 Roma, Bibl. Casanatense, Ms. 724; CLLA2 499 (les trois rouleaux sont
groupés sous une cote unique); Bari, Bénédictionnaire de la Cathédrale
(CAVALLO, op. cU., pp. 81-85 et planches 12-17).
uDe quand date la coutume (abusive ... ) d'ordonner des clercs au cours de
la vigile pascale?
22 MIGNE PL 126, vol. 187 et M. ANDRIEU, Le sacre épiscopal d'après Hincmar
de Reims, Revue d'Histoire Ecclésiastique 48 (1953) p. 36.
~ Paris, BN Ms. lat. 10575, f. 181v; CLLA3 1570. Il s'agit d'une addition (encore
un libellus?) qui n'a pas été reprise dans l'édition de W. GREENWELL, The Ponti-
fical of Egbert, Archbishop of York (Surtees Society, 37), Durham 1853. Une
nouvelle édition est en préparation pour le Henry Bradshaw Society par
B.J. WIGAN. L'Ordo pour le Jeudi-Saint a été imprimé par E. MART.t=:NE, De
Antiquis Ecclesiae Ritibus, lib. IV, cap. xxii, dans l'édition d'Anvers 1737, col.
304: « sed archidiaconus legat coram eo [sc. epicopo] et populo rotulam in
qua continetur quaedam indita de paenitentium reconciliatione ».
24 Cf. M. MAGISTRETII, Beroldus sive Ecclesiae Ambrosianae Mediolal1ensis
Kalendarium et Drdines saec. XII, Milano 1894, par ex. p. 44 et passim, et
G. MERCATI, Antiche reliquie liturgiche (Studi e testi, 7), Roma 1902, p. 11 et p. 15.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS 401

mière de l'histoire générale des documents écrits, comme le


plus ancien 25.
2) LE LlBELLUS. Très apparenté à la catégorie que nous ve-
nons de mentionner est le libellus. Un pontifical du X' siècle
de Reims" contient dans ses premiers cahiers deux rituels pres-
que identiques pour la célébration d'un concile. Le premier Ordo
se termine sur le f. 7", ensuite il y a deux feuilles blanches, dont
la première appartient au premier cahier du manuscrit tandis
que le seconde constitue le début du deuxième cahier. Mais
quelle peut être la signification de deux rituels juxtaposés de
cette manière dans un manuscrit? Il s'agit, pensons nous, pour
les huit premières feuilles, d'un libellus, ayant eu une existence
autonome avant d'être incorporé dans le pontifical de Reims.
De même, Michel GROS, il y a quelques années, a isolé du sacra-
mentaire de Nonantola, comme entité autonome, un rituel pour
la dédicace des églises ". Et déjà, en 1902, G. MERCATI avait don-
né une édition d'un autre rituel de dédicace, l'Ordo de Lucca,
un petit quaternion qui est joint à un manuscrit dans la Biblio-
thèque capitulaire de Lucques ". Notre expérience nous a montré
qu'une enquête codicologique poussée peut facilement révéler
l'existence d'autres libelli ayant survécu comme appendices à
un manuscrit ". Nous présenterons la fonction du libellus dans
l'étude du type suivant.
3) LA COLLECTION DE LiBELLI. À Bibliothèque de l'Univer-
sité de Leyde se trouve un manuscrit que GAMBER appelle le « Pon-
tifical de Beauvais» an. Nous avons montré ailleurs qu'il s'agit
en fait d'une collection extraordinaire de quaternion es, de ca-

as Signalons en passant que le rouleau connaîtra un NachlebeJ1 en Angle-


terre ct dans la Normandie. Nous compton'i y revenir.
28 Reims, Bibliothèque Municipale, Ms. 340.
17 Paris, BN Ms. lat. 2292, dernier cahier; CLLA z 770; cf. M. GROS. L'Ordo
pour la dédicace des églises da/1S le sacramentaire de Nonal1tola, Revue Bé.né-
dictine 79 (1969) 368·374.
28 Lucea, Biblioteca Capitolarc, Cod. 60S; CLLA 2 575; cf. G. MERC.\Tl, op. cil.
mpra, note 24, pp. 21-27.
29 N.K. RASMLSSEN, Une «Cartula inÎssalis» relrouvée, Ephemerides Litur-
gicae 83 (1969) 482-484. Mais un prétendu libellus peut aussi sc révéler n'êlre
qu'un fragment. Tel semble être le cas de Wien, ()sterreiehische National-
bibliothek, Cod. lat. 958 (Theol. 992); CLLA2 764 (GAMBER est d'avis contraire).
Notre hypothèse a été reprise par F. UNTERKIRCHER dans la préface à l'édition
en fac-similé du manuscrit: Karo1lingisChes Sakramentar Fragment Codex Vin-
dobonensis 958 der Oesterr. Nationalbibliothek (Codices selecti phototypice im-
pressi, 25), Graz 1971.
30 Leyde, Bibliothèque de l'Université, Ms. Bibl. Publ. Lat. 111:2; CLLAJ
1563 (donne une autre cote).
402 NIELS K. RASMUSSEN

hiers, écrits à des endroits divers et à des moments différents.


Il s'agit de six libelli épiscopaux reliés ensemble ". Il y a deux
libelli pour les ordinations, un pour le Jeudi-Saint, un pour la
dédicace et un pour les funérailles et pour la pénitence.
Comment interpréter ces données? La réponse est très im-
portante pour l'histoire de la genèse du pontifical. D'habitude,
on explique cette genèse de deux manières ". Soit qu'un compi-
lateur se soit saisi d'une collection d'Ordînes qu'il a mise à jour
en la « truffant" de formules euchologiques, soit que la procé-
dure inverse ait eu lieu: on a extrait les fonctions épiscopales
d'un sacramentaire et on les a complétées par les rubriques né-
cessaires pour l'accomplissement raisonnable d'une rite, rubri-
ques qu'on a prises d'un Ordo qui décrivait ce rite. (Et je laisse
ici de côté la question difficile de la corrélation possible entre
la genèse du pontifical et celle du missel plénier).
Il est possible de faire des comparaisons entre tous les pon-
tificaux primitifs qui nous sont parvenus. Quand on le fait, on
se rend compte que ces pontificaux, pour ce qui concerne leur con-
tenu et la succession des rites à l'intérieur de chaque manuscrit,
ne se ressemblent pas, et qu'ils sont tous, sauf en ce qui con-
cerne les exemplaires du PRG, différents les uns des autres ". Il
y déjà 25 ans que A. STUIBER, pour expliquer le caractère hété-
roclite du Sacramentarîwn Veronense, faisait appel au mode de
composition d'un ensemble liturgique par le rassemblement des
libelli ". Mais, dans son cas, il fallait postuler leur existence à
un moment antérieur à celui de la composition du manuscrit.
Dans deux ou trois cas de pontificaux étudiés par nous, en par-
ticulier dans celui de Beauvais-Leyde, une analyse codicologique
rigoureuse révèle la survie des libelli, groupés sous forme de
manuscrits ou d'un libe/lus, juxtaposé à un manuscrit. Cela est
déjà important comme une confirmation a posteriori de la pos-
sibilité de la thèse de Stuiber, mais il ne l'est pas moins pour
expliquer la genèse du pontifical. Car la grande diversité que
présentent les pontificaux dans leur composition et leur con-
tenu, diversité dont il a été question, s'explique parfaitement si

31 N.K. Rr\SMt:SSEr\, Le «Pontifical» de Beauvais, Studia Patristica X (Texte

und Untersuchungen, 107), Berlin 1970, pp. 413-418.


3~ Meilleure présentation: V()(;n.} Introduction ... , p. 184.
3. Il faudrait peut~étrc formuler une réserve pour cc qui concerne les ponti-
ficaux anglais.
34 A. STLTIBER, Libelli Sacramentoram Romani (Theophaneia, 6), Bonn 1950.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS 403

l'on admet que ces premiers pontificaux n'ont été de fait que le
rassemblement assez fortuit de libelli épiscopaux ayant eu une
existence à part (ou ont été tout au plus une première copie
d'un tel recueil).
La fonction du libellus est assez claire. Il permet une éco·
nomie d'espace, ce qui peut être utile en voyage. Il permet à
un évêque officiant de prendre un autre rite que celui contenu
dans son sacramentaire. Il est facile de l'envoyer. Il permet aussi
d'élaborer, de changer, d'introduire dans un ordo des formules
nouvelles alors que cela n'était pas possibile dans un sacramen-
taire complet. L'analogie avec les livres liturgiques actuels à
feuillets mobiles est sous ce rapport éclairante. Elle l'est aussi
pour expliquer pourquoi si peu de ces libelli nous sont parve-
nus aujourd-hui: ils n'étaient pas destinés à être conservés, et
c'est seulement quand ils ont été reliés tôt avec d'autres libelli
ou ont été joints à un autre volume, que nous pouvons les pos-
séder aujourd'hui.
4) LES COMPOSITIONS SPÉCIALES. Il existe cependant une ca-
tégorie où le manuscrit ne peut en aucune manière provenir d'un
rassemblement de /ibelli. Comme exemple, je mentionnerai ce
manuscrit que nous avons l'habitude d'appeller le «Pontifical
de Poitiers}) 35, attribution qui repose sur des indices tout-à-fait
insuffisants. C'est un grand volume, fort de 280 feuillets, pro-
bablement écrits de la même main. Il comporte une petite pre-
mière partie d'ordinations (7 feuillets) et une troisième partie
(21 feuillets) d'un contenu mixte: confession de foi, messes et
bénédictions diverses. La deuxième partie, tout-à-fait dispropor-
tionnée par rapport aux deux autres (250 feuillets), est une col-
lection d'ordines très variés pour la préparation et la célébra-
tion pascales. Il y a une profusion de messes pour le Jeudi-Saint
et aussi un extraordinaire bréviaire-missel complet pour la cé-
lébration de la messe et de l'office pour la semaine pascale ".
Le caractère extravagant de la composition de ce volume vaut
la peine d'être souligné. On peut même se demander si nous
sommes ici en présence d'un livre liturgique authentique, dans
le sens qu'a donné à ce mot Cyrille VOCEL: «L'authenticité ... dé-

Paris, Bibliothèque de l'Arsenal, Ms. 227; CLLA2 1555.


3:,
Cf. notre étude: Les préfaces pascales du {( Puntifical de Poitiers,., dans
36

Mélanges liltlrgiques offerts ail R.P. Dom Bernard Botte o.s,b., Louvain 1972,
pp. 461-476.
404 NIELS K. RASMUSSEN

couic du fait que le texte a été effectivement utilisé pour l'ac-


complissement du culte"". Il semble, en effet, matériellement
impossible que le rituel entier prévu pour le Jeudi-Saint ait pu
être célébré dans une journée! Il y a dans le « Pontifical de Poi-
tiers" de fortes indications d'une appartenance monastique, et
la meillcure solution à l'énigme qu'il nous pose serait peut-être
de penser qu'il s'agit d'une compilation privée, effectuée par un
moine féru de liturgie, mais que le volume n'a pas été destiné à
un usage liturgique à proprement parler. Cette hypothèse vaut
au moins la peine d'être prise en considération. Le manuscrit
est encore loin d'avoir livré tous ses secrets, mais on attend
pour le prochain printemps (1976) la dissertation doctorale de Don
Aldo MARTINI, de Rome, sur le sujet.
On peut cependant recourir à un autre critère pour diviser
les pontificaux: en se basant sur la qualité extérieure du ma-
nuscrit. Cette division se révèle également éclairante.

5) LE PONTIFICAL SANS DÉCORATION. Connaissant par l'histoire


générale du christianisme le rôle de l'évêque dans son diocèse
et l'importance primordiale de la liturgie épiscopale pour la vie
chrétienne des prêtres et des fidèles, on s'explique mal que
n0l11bre de premiers pontificaux soient de très médiocre qua-
lité, que peu soient honnêtes et qU'u11 seul manuscrit de luxe
puisse être mentionné, alors que nous avons de nombreux sacra-
mentaires et - surtout - de nombreux évangéliaires de luxe.
Une première réponse est que, même en dehors du cas des
libelli isolés, un volume compact et réduit pouvait rendre ser-
vice à l'évêque lors de ses déplaceme"ts. Un grand et beau sacra-
Inentaire, peut-être même avec une relieure en métal et pierres
précieuses, n'était pas pratique à emporter. Si le volume ne
comportait pas déjà un certain nombre de messes, on pouvait
toujours lui ajouter la prière eucharistique et quelques messes:
de cette manière l'évêque pouvait n'emporter que cet unique
volume. Tel semble être le cas du " Pontifical de Cahors" ", dont
s'occupe M. l'Abbé LANGLOIS. Les pontificaux de voyage devaient
contenir certains rites qui pouvaient se dérouler en dehors de

~; OTTOSE~, La problématiqot! de
Cf. C. VOGEL, Introduction ... , pp. 44-47 et K.
l'édition des textes liturgiques latil1s, dans O.S. Du:: - H. FRIIS JOl{,\xSEK-
B.D. LARSEN, Classica et Mediaevlllia Francisco Blatt dedicara (Classica et Mediae-
valia, Dissertationcs, IX), Kobènhavn 1973, pp. 549-551.
:J3 Paris, BN Ms. lat. 1217; CLLA~ 1566.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS 405

l'église cathédrale, tels les rites monastiques et peut-être les ordi-


nations des moines; les dédicaces, la confirmation, bien sûr.
D'autres rites pouvaient en revanche être omis: la consécration
du chrême et les autres rites de la semaine sainte, la consécra-
tion épiscopale. De plus, comme le rituel n'existait pas encore
comme livre JO, le volume devait également contenir ce dont
l'évêque pouvait avoir besoin comme tout prêtre: rites de bap-
tême, de mariage, de l'onction et des funérailles.
Mais la simplicité et la modicité peuvent aussi s'expliquer
autrement. Le fait que les collections d'Ordines d'Andrieu soient
tous des mss. sans prétention, se retrouverait dans le cas de ma-
nuscrits ayant servi aux ministres subalternes des évêques à pré-
parer la liturgie de leurs maîtres. Il serait évidemment anachro-
nique de parler ici d'exemplaire de céremoniaire 40, mais pro-
bablement pas d'exemplaire d'archidiacre. Le «Pontifical de
Poitiers» indique bien quelque part comment il revient à l'archi-
diacre de tenir le livre devant l'évêque et de lui indiquer les
passages "; de même, l'inscription dédicatoire du «Pontifical
d'Halinard» (un pe).! postérieur à l'an 1000, il est vrai) prouve
que le volume a été en possession de deux archidiacres 42. N'est-
il pas naturel que la personne remplissant cette charge ait eu
besoin d'un « exemplaire de travail» pour se préparer aux de-
voirs de son office?
Un troisième facteur peut aussi intervenir pour expliquer la
modicite. Il est évident que si la Hofsclzule et les cours ont pro-

~g Cf. P.M. GY, Collectaire. ,-illlel, pmcessional, Revue des Sciences plliloso-
pl,iques et théologiques 44 (1960) 441-469 et W. Vo:-;; ARX, 21/r EIl1eSlel/Ungsgc·
schichte des Riltfale, Zeitschrift fUr schweizcrische Kirchengeschichte 63 (1969)
39-57.
40 Sur le mot caeremoniarius, cf. P.M. Gy, art. cil . .H/pra en note 5. p. JO,

note JO et 11.
Il F. 167\', cf. M,\RlblO, l'éd. citée supra, \'01. III, col. 301: "Archipresbv!t"l"
\"l'I·O librunl !-iacramentorum super allan."':, ante pontificelll sustcntan:s, ad Ctlll1
locum ubi pontife:.: dicere dcbct in cano ne Comm/l11iCal1les, tangit rcvcren!el"
eum manu paginam apertam ln qUa ipsa illatio SCI"Lpta est, et tUTIe rl'spicielltc
pontifiee ad eum ]ç\'at ipsum lib.l:um, et legit pontifex eandem iIIationl'nl
lta se habentem ».
n Dijon, Bibliothèque Municipale i\ls. 122, f. 1\·; cf. V. LElmnl'AlS, Le.~ f1'lilli-
[icaux mal1uscrits des bibliolhèques publiques de France, vol. l, Paris 1937,
p. 142 et 147; COMITÉ INTERNATTON.\L DE PAIY..ûGR·\PHIE, Catalogue des mwwscriL~ ell
écrittlre latine porlanl des indicatiolls de date, de lieu ou de copiste, [France),
Tome VI, Paris 1968, p. 462. - Les rOl1ctions litllrgiques des archidiacres ont été
beaucoup moins éwdiées que les aspects .iuridiques ct administratifs de leU!·
charge. Il faut à cc Pl"OpOS regret tel- qu'il n'existe pas encore de tables à la
collection des Ordine.s Romani. Elles pennettraient un prcmiel· "déblaiement»
de cc problème.
406 NIELS K. RASMUSSEN

duits des exemplaires d'un luxe incomparable, cela ne pouvaIt


pas être le cas dans un modest diocèse du Massif Central ou
du Midi de la France. Le pontifical d'Albi 43 est petit, écrit d'une
grosse écriture irrégulière, sur un parchemin quelconque et où
l'on trouve comme seule décoration de petits animaux de style
très rustique dans les entrelacs autour des litanies.

6) LE PONTIFICAL DE LUXE. Cependant, il existe Wl pontifical


de luxe! C'est le pontifical de la métropole de Sens, aujourd'hui
conservé à Léningrad H. Ce pontifical est extraordinaire parce
qu'il présente la contre-épreuve de ce que nous venons de dire
sur les pontificaux simples. La forme et le contenu concordent
parfaitement. Le pontifical de l'important métropolitain de Sens
est un exemplaire cathédral et royal. Il comporte de grandes
pages avec des initiales en or sur fond pourpre. Il a servi à la
consécration épiscopale des nombreux suffragants de la pro-
vince de Sens qui ont fait leurs serments de fidélité dans le vo-
lume même 45; il contient en outre les rituels du couronnement
du roi et de la reine ainsi que le rituel des Festkronungen. En ce
sens il est unique et d'une valeur inestimable.
Mais pourquoi est-il le seul qui nous soit conservé? Nous
pensons que cela est dû pour une part au caractère profondé-
ment conservateur de la liturgie. Rappelons-nous la loi de
BAUMSTARK sur le maintien des structures liturgiques les plus an-
ciennes aux moments les plus solennels 46 (cette loi, d'ailleurs,
ne doit pas être restreinte au seul domaine liturgique ou ecclé-
siastique: elle est valable pour tout rassemblement social so-
lennel "). Appliquée à notre problème, cette loi fait considérer

ta Albi, Bibliothèque Rochegude, Ms. 20 (olir/. 34); CLLAJ 1562; Catalogue


des mal1uscrits dalés (référence dans la note précédente), Tome VI. Pari:;
1968. p. 433.
J
H Lcnigrad. Bibliotèque M.E. Saltykov-Schredin, Ms. Q v !, 35; CLLA , p. 564:

cf. A. STAERK, Les manuscrits latins du VC ail XIIIe siècle conservés à la


Bibliothè(/UE Impériale de Saint-Pétersl70urg, Saint-Pétersbourg 1910, pp. 151-173.
"., Les datations proposées par S.S. NERETIN .\, Sur l'histoire du millltSCllle
caroline dans la France dl! Nord (UI IX~ siècle [en russe], Sredni~ Veka 29
(1966) 191-207 ne peuvent pas être considérées comme définitives.
46 Cf. A. BAUMST.4.RK, Dus Geselz der Erlwltung des Allen ilt liwrgisch
lwchwcniger Zeit, Iahrbuch für Liturgiewisscnschaft 7 (1927) 1-23.
4) Sauf, bien entendu, pendant les périodes où les structures mêmes de la
sociétê sont en mutation. Les grandes fêles de la Révolution française étaient
profondément originales: cfr. le catalogue d'exposition Les fêles de la Révolutio1l,
Ville de Clermont-Ferrand, Musée Bargoin 15.6 - 15.9 1974 et M. OZot'F, La fêle
sous la Révolwion française dans J. LE GoFF - P. NOR..\. (édd.), Faire. de l'histoire,
vol. 3, Paris 1974, pp. 256-277.
UNITÉ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS 407

comme vraisemblable que les évêques, dans les endroits les plus
prestigieux de l'Empire, puis dans les royaumes, ont pendant
très longtemps continué à utiliser leurs sacramentaires au lieu de
prendre un pontifical simple 48.

7) LES TYPES HYBRIDES. Dans tout essai de classement il y a


des inclassifiables! Il y a des manuscrits pour lesquels on peut
à juste titre hésiter sur l'attribution au genre pontifical. Men-
tionnons les bénédictiomzaires épiscopaux. Le volume 162B que
Dom E. MOELLER vient de publier dans le Corpus Christianorunz
et qui contient l'introduction et une partie des indices de son
monumental CorpllS Benediction",n Episcopalium 49 nous per-
met de mesurer l'importance de cette catégorie de manuscrits
épiscopaux. Quelquefois, dans les bénédictionnaires, nous trou-
vons incorporées les bénédictions d'objets qui sont spécifiques
de l'année liturgique (e.g. cierges, cendres, saintes-huiles) et alors
le bénédictionnaire se rapproche du pontifical. Mentionnons aus-
si le sacramentaire en deux volumes de Cambrai 50 (avec le problè-
me non encore résolu de sa répartition). Mentionnons enfin, bien
qu'il convienne maintenant de le dater du XI' siècle, le pontifical
de Saint-Aubin d'Angers 51 qui dit à sa première page qu'il s'agit
d'un Liber secundus.
Il y a des pontificaux-missels, telle sacramentaire de Hugues
le Grand de Nevers, édité jadis par CROSNIER ". Le pontifical de
Roda dont nous attendons l'édition par BARRIGA semble bien de-
voir être aussi rangé dans cette catégorie 53. Et il y a la fusion
pontifical-collectaire, qu'il s'agisse d'un pontifical épiscopal ou
d'un pontifical abbatial (catégorie qu n'existera probablement que
dans une période postérieure à celle dont nous nous occupons
ici). Tel est le cas du " Pontifical de Baturich» (Ratisbonne), à

j8 Il est à ce propos significatif qu'aucun pontifical n'est indus dans le


catalogue des reliures de luxe qui comporte 127 numéros: F. S:EE~nOCK, D.er
kircJtliche Prachleillband im !rüflerl Mittelalter von den Anfangel1 bIS zwn Gotlk,
Berlin 1965.
\g E. MOELLER, Corpm Benedicr;Ol1wn Episcupalilllll, Corpus Christianorulll,
vols. 162, 162A et 162B, Turnhout 1971-1974. L'ouvrage n'est pas encore complété.
1>\) Cambrai, Bibliothèque Municipale, Ms. 162-163; CLLA2 761. .
• 1 Angers, Bibliothèque Municipale. Ms. 80 (72); CLLA2 1560. La datatIOn
es t à réviser.
52 Paris BN Ms. latin 17333; CLLN 1572; [êd. CROSNIER et autrc's], Sacramell-
tarium ad tlSum Aecclesiae Niverl1ensis, Nevers 1873.
5J Lerida, Archido Capitular, Cod. 14; CLLA 1575.
J
408 NIELS K. RASMUSSEN

supposer qui soit correcte la reconstitution qui en a été faite par


F. UNTERKIRCHER ".

III. LE PONTIFICAL ROMANO· GERMANIQUE

Si dans la partie II nous avons fait une exception pour le


Pontifical Romano-germanique c'est qu'il est le seul à exister
comme un type répandu. Après les études d'ANDRIEU tout au long
de sa vie, après celles de Cyrille VOGEL et après l'édition monu-
mentale de ce pontifical par celui-ci et Reiner ELZE ", cette ca-
tégorie nous a livré une grande partie de ses secrets. Rappelons
brièvement quelques-uns des résultats des recherches mention-
nées: sur la base de certaines compilations antérieures, les
moines de l'Abbaye Saint-Alban de Mayence, ville de résidence
de l'archevêque-archichancellier de l'Empire, élaborent, dans les
années 950-961/3, une compilation de pontifical, compilation de
très grande taille (l'édition comporte plus de 800 pages et 258
numéros). En dehors des ordînes avec leurs formules euchologi-
ques complètes, il y a aussi bien des parties didactiques (ser-
mons d'évêque, explications plus ou moins allégorisantes), que
des parties eucharistiques (un bon nombre de messes), ainsi que
des parties juridiques (extraits des décisions conciliaires) ou juri-
dico-liturgiques (formulaires et ordalies).
Depuis les travaux d'ANDRIEU et de VOGEL on a un peu pris
l'habitude de considérer le PRG comme le pontifical du Haut
Moyen Age. Cela n'est pas le cas, comme nous l'avons vu. Mais
la réaction est normale, car, à la différence de tous ses devanciers
ou contemporains, il est le seul à avoir connu une diffusion et
une Traditionsgeschichte 55. La raison de ce succès, succès qui
devait finalement entraîner un peu partout l'adoption du PRG,
a été bien mise en évidence par Cyrille VOGEL. Elle ne tient abso-
lument pas aux qualités inhérentes de la compilation (qui sont
très limitées à cause surtout de l'étendue démesurée du volume)

5~ Wien, Ùsterrcichische Nationalbibliothek, Ms. Vindob. Sel'. no\'. 2762;


CLLN 1550; éd. F. UNTERKIRCHER - K. GAMBER, Das Kollektar-POl1lifikale des
Bise/lOfs Balurich VOI1 Regcl1slJw'g (Spici1cgium FribUl'gLllSC, S), Fribourg 1962.
:;5 C. VOGEL - R. EI.ZE, Le POl/tilieul R01l1wlO·germunique du dixième siècle
J-III (Stuùi c testi, 226, 227 ct 269), Città deI Vaticano 1963 et 1972.
~e Sur le Nac1llebell du PRG, cf. VOGEL _ ELZE, yol. III, pp. 51·55 ct VOGE!.,
llltrodlfctioll..., pp. 199-215.
UNITI~ ET DIVERSITÉ DES PONTIFICAUX LATINS 409

mais au contraire à des circonstances qu'on ne saurait qualifier


autrement que de non-liturgiques. Elle est due, en premier lieu,
à la situation très centrale de l'endroit de la compilation, à sa-
voir dans un des centres névralgiques de l'Empire; et, en second
lieu, à une telle situation politico-culturelle en Italie que l'on y
avait impérativement besoin de se procurer ailleurs (en Alle-
magne ou en Suisse) des livres liturgiques qu'on n'était plus
capable de confectionner soi-même. On peut dire que le PRG
(issu de Mayence) a connu un succès de diffusion beaucoup plus
grand que celui, tout relatif, qu'avait connu 150 ans auparavant
l'Hadria11llm d'Aix-la-Chapelle et sans pourtant, comme celui-ci,
avoir été voulu comme un élément unificateur. Le PRG est ainsi
devenu un maillon important dans l'histoire de la liturgie occi-
dentale. Mais cela ne s'est pas fait suis meritis et, en ce sens,
les autres pontificaux méritent une étude aussi approfondie que
celle dont a fait l'objet la compilation de Mayence.

CONCLUSION

Au terme de cette enquête il s'avère donc que la probléma-


tique aurait dû être énoncée plutôt comme diversité-unité que
comme u.nité-diversité. Mais il reste encore à expliquer pourquoi
l'unité n'a pas été recherchée en dehors du cas de Mayence. Cette
diversité extraordinaire (et nous ne nous sommes même pas
préoccupés des versions différentes de tel ou tel rite) est due
à un facteur qui est tout à fait propre au caractère du ponti-
fical. Le pontifical de l'évêque est Wl /ivre unique dans W1 dio-
cèse. Il n'y a pas besoin d'une production de masse, comme pour
le sacramentaire, le missel, le rituel presbytéral, les livres de
chant (il vaut mieux que ceux-ci concordent entre eux, en effet)
ou les livres de l'office. Avant que l'uniformité ne revête de nou-
veau (après l'insuccès carolingien) un caractère idéologique (pen-
dant les réformes grégoriennes), il y avait très peu de moments
où elle pouvait être postulée sur des bases fonctionnelles. Car il
y a fort peu de rites supradiocésail1s. En effet, je n'en vois que
trois: les rites royaux ou impériaux, les rites conciliaires et la
consécration épiscopale, mais même dans ces cas un livre pou-
vait à la rigueur suffire pour la présidence. Donc, la diversité des
réalisations, comme celle du contenu ne portaient tort à per-
410 NIELS K. RASMUSSEN
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sonne et une fois un recueil établi, celui-ci pouvait jouir d'une


existence paisible pendant longtemps. L'unité des pontificaux,
en dehors du colosse de Mayence, se trouve ailleurs, c'est-à-dire
dans leur fonction de livre fournissant un support littéraire à la
présidence par l'évêque, dans une assemblée liturgique, de rites
dont le caractère n'est pas principalement eucharistique.

Accadel11ia di Dal1imarca, Rome.

Niels Krogh RASMUSSEN, a.p.

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