Cosa Dev'essere Un Giovane Comunista
Cosa Dev'essere Un Giovane Comunista
Discorso tenuto da Ernesto Che Guevara durante la commemorazione del II anniversario della unificazione del movimento giova-
nile, il 20 ottobre 1962.
Cari compagni,
uno dei compiti pili grati, per un rivoluzionario, è di osservare nel trascorrere degli anni di rivoluzione come
si vanno formando, affinando e rafforzando le istituzioni nate all’inizio della Rivoluzione; come quelle orga-
nizzazioni che iniziarono su piccola scala, con molte difficoltà, con molte indecisioni, si vanno trasformando,
mediante il lavoro quotidiano e il contatto con le masse, in possenti rappresentazioni del movimento rivolu-
zionario di oggi, in vere istituzioni con forza, vigore e autorità fra le masse.
L’Unione dei Giovani Comunisti, attraverso le varie denominazioni, attraverso le varie forme di organizzazio-
ne, ha quasi la stessa età della nostra Rivoluzione. All’inizio fu un’emanazione dell’Esercito Ribelle, e da li
forse veniva anche il suo nome. Era un’organizzazione legata all’esercito per iniziare la gioventù cubana ai
compiti massicci della difesa nazionale, che era il problema più urgente e che necessitava della soluzione
più rapida possibile.
Nell’ex Dipartimento dell’Istruzione dell’Esercito Ribelle (1) sono nate l’Associazione dei Giovani Ribelli e
le Milizie Nazionali Rivoluzionarie. In seguito hanno acquistato una propria vita autonoma. La prima come
organizzazione destinata al progresso politico della gioventù cubana (2), la seconda come una possente
formazione del popolo armato, rappresentante del popolo armato e con caratteristiche proprie, fusa col
nostro esercito nei compiti di difesa.
Dopo, quando con il consolidamento della Rivoluzione potevamo porci i compiti nuovi che si vedevano all’o-
rizzonte, il compagno Fidel Castro suggerì il cambiamento della denominazione di questa organizzazione.
Un cambiamento di denominazione che è tutta un’espressione di principi. L’Unione dei Giovani Comunisti
è direttamente orientata verso il futuro. È strutturata in vista del futuro luminoso della società socialista,
quando il periodo difficile, in cui siamo ora, della costruzione di una società nuova sarà superato, quando
si intraprenderà il cammino del rafforzamento totale della dittatura di classe, espresso attraverso la società
socialista, per arrivare infine alla società senza classi, alla società perfetta che voi sarete incaricati di co-
struire, di o-rientare e di dirigere in futuro.
Per questo l’Unione dei Giovani Comunisti innalza i suoi simboli, che sono gli stessi simboli di tutto il popolo
di Cuba: lo studio, il lavoro e il fucile.
E per questo nei suoi distintivi sono raffigurati due dei più alti esponenti della gioventù cubana, ambedue
morti tragicamente senza poter vedere il risultato finale di questa lotta in cui tutti siamo impegnati: Tulio
Antonio Mella e Camilo Cienfuegos.
In questo secondo anniversario, in quest’ora di costruzione febbrile, di costanti preparativi per la difesa del
paese, di preparazione tecnica e tecnologica accelerata al massimo, si deve porre sempre, e prima di tutto,
il problema di cos’è e cosa deve essere l’Unione dei Giovani Comunisti.
L’Unione dei Giovani Comunisti deve definirsi con una sola parola: avanguardia. Voi, compagni, dovete
essere l’avanguardia di tutti i movimenti. I primi nei sacrifici che la Rivoluzione richiede, di qualunque tipo
essi siano. I primi nel lavoro. I primi nello studio. I primi nella difesa del paese.
E porvi questo compito non solo come l’espressione totale della gioventù di Cuba, non solo come un com-
pito di grandi masse strutturate in una istituzione, ma come il compito quotidiano di ognuno dei componenti
dell’Unione dei Giovani Comunisti. Per questo bisogna porsi compiti reali e concreti; compiti di lavoro quo-
tidiano che non possono ammettere il minimo rilassamento.
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L’organizzazione deve essere costantemente unita a tutto il lavoro che si sviluppa nell’Unione dei Giovani
Comunisti. L’organizzazione è la chiave che permette di afferrare le iniziative che sorgono dai capi della
Rivoluzione, le iniziative che il nostro Primo Ministro imposta in ripetute occasioni e le iniziative che sorgono
dallo stesso seno della classe operaia, che devono anche trasformarsi in direttive precise, in idee precise
per l’azione susseguente.
Se non c’è l’organizzazione, le idee, dopo il primo impulso, vanno perdendo efficacia, cadono nella routine,
nel conformismo e finiscono per essere semplici ricordi.
Faccio questa avvertenza perché molte volte in questo breve e tuttavia cosi ricco periodo della nostra Rivo-
luzione, molte grandi iniziative sono fallite, sono cadute nell’oblio per la mancanza del necessario apparato
organizzativo per sostenerle e portarle a buon fine.
Allo stesso tempo, tutti e ognuno di voi dovete tener presente che essere un giovane comunista, apparte-
nere alla Unione dei Giovani Comunisti, non è una grazia che qualcuno vi concede, né una grazia che voi
concedete allo Stato o alla Rivoluzione. Appartenere all’Unione dei Giovani Comunisti deve essere il pili
alto onore di un giovane della società nuova. Deve essere un onore per chi lotta in ogni momento della sua
esistenza e l’onore di mantenere alto il proprio nome individuale nel grande nome dell’Unione dei Giovani
Comunisti.
In questo modo avanzeremo ancora più rapidamente. Abituandoci a pensare come massa, ad agire sulle
iniziative che ci provengono dalla classe operaia e sulle iniziative dei nostri massimi dirigenti; e allo stesso
tempo agire sempre come individui, sempre preoccupati dei nostri stessi atti, costantemente preoccupati
di non macchiare il nostro nome né quello dell’associazione cui apparteniamo.
Dopo due anni possiamo ricapitolare e osservare quali sono stati i risultati di questo compito.
Vi sono molti successi nella vita dell’Unione dei Giovani Comunisti, e uno dei più importanti, dei più spetta-
colari, è stato quello della difesa.
I giovani che per primi - alcuni fra loro - si arrampicarono sui cinque picchi del Turquino,(3) quelli che si
arruolarono subito in varie organizzazioni militari, tutti quelli che impugnarono il fucile nei momenti di perico-
lo, sono stati pronti a difendere la Rivoluzione in ognuno dei luoghi dove si aspettava l’invasione o l’azione
nemica.
Ai giovani di Playa Girón è toccato l’altissimo onore di difendere li la nostra Rivoluzione, difendere li le istitu-
zioni che abbiamo creato a costo di sacrifici, i risultati che tutto il popolo ha raggiunto con anni di lotta: tutta
la nostra Rivoluzione è stata difesa lì, in settantadue ore di lotta.
L’intenzione del nemico era di creare sulla spiaggia una testa di ponte sufficientemente forte, installarvi un
aeroporto che gli permettesse di estendere la guerra a tutto il nostro territorio, bombardarlo senza pietà,
trasformare in cenere le nostre fabbriche, ridurre in polvere i nostri mezzi di comunicazione e distruggere la
nostra agricoltura. In una parola: seminare il caos nel nostro paese. L’azione decisa del popolo ha liquidato
il tentativo imperialista in sole settantadue ore.
Giovani ancora bambini si sono coperti di gloria. Alcuni sono oggi qui come esponenti di questa gioventù
eroica, di altri ci resta almeno il nome come ricordo, come sprone per nuove battaglie, per nuovi eroismi.
Nel momento in cui la difesa del paese era il compito più importante la gioventù è stata presente. Oggi la di-
fesa del paese continua ad occupare il primo posto fra i nostri doveri, ma non dobbiamo dimenticare che la
parola d’ordine che guida i giovani comunisti è intimamente coerente con se stessa: non si difende il paese
solo con l’esercizio delle armi, tenendosi pronti, ma anche costruendo, con il nostro lavoro, e preparando i
nuovi quadri tecnici per accelerare il suo sviluppo negli anni futuri. Ora questo compito ha acquistato un’e-
norme importanza ed è sullo stesso piano dell’esercizio effettivo delle armi.
Quando sono stati posti problemi come questi, la gioventù ha già detto “presente” una volta. I giovani
brigadisti hanno risposto all’appello della Rivoluzione invadendo tutti gli angoli del paese. In pochi mesi e
in una battaglia molto dura — in cui ci furono anche i martiri della Rivoluzione, i martiri dell’educazione —
potemmo annunciare un fatto nuovo per l’America: quello che Cuba era il primo territorio d’America libero
dall’analfabetismo.
Lo studio a tutti i livelli è anche oggi un compito della gioventù. Lo studio unito al lavoro, come nel caso dei
giovani studenti che stanno raccogliendo caffè nella provincia di Oriente, che dedicano le loro vacanze per
la raccolta di un prodotto tanto importante per il nostro paese, per il nostro commercio estero, per noi, che
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consumiamo tutti i giorni una grande quantità di caffè. Questo compito è simile a quello dell’alfabetizzazio-
ne. È un compito di sacrificio che si svolge allegramente, in cui i compagni studenti — ancora una volta — si
riuniscono sulle montagne per portarvi il loro messaggio rivoluzionario.
Questi compiti sono molto importanti perché nell’Unione dei Giovani Comunisti i giovani non solo danno,
ma ricevono anche: e in alcuni casi ricevono più di quello che danno. Acquisiscono esperienze nuove, una
nuova esperienza del contatto umano, esperienze nuove di come vivono i nostri contadini, di come sono il
lavoro e la vita nei luoghi lontani, di tutto quello che c’è da fare per elevare quelle regioni allo stesso livello
dei luoghi più abitabili della campagna e delle città. Acquisiscono esperienza e maturità rivoluzionarie.
I compagni che svolgono i compiti di alfabetizzazione o di raccolta del caffè, a contatto diretto col nostro
popolo, aiutandolo, lontani dai loro focolari, ricevono - si può ben dire - ancora più di quello che danno, e
quello che danno è molto!
Questa è l’educazione che meglio si addice a una gioventù che si prepara al comunismo: una forma di
educazione nella quale il lavoro perde la caratteristica di ossessione che ha nel mondo capitalista e diventa
un grato dovere sociale, da assolvere con allegria, fra i canti rivoluzionari, nel più fraterno cameratismo, fra
contatti umani che rinvigoriscono gli uni e gli altri e che elevano lo spirito di tutti.
Inoltre, l’Unione dei Giovani Comunisti ha fatto molti passi a-vanti nell’organizzazione. Da quel debole em-
brione costituito come appendice dell’Esercito Ribelle a questa organizzazione di oggi c’è una grande
differenza. Dovunque, in ogni centro di lavoro, in ogni organismo amministrativo, in ogni luogo dove la loro
azione può essere necessaria, ci sono i giovani comunisti che lavorano per la Rivoluzione.
Anche il progresso organizzativo deve essere considerato un risultato importante dell’Unione dei Giovani
Comunisti.
Tuttavia, compagni, in questo difficile cammino ci sono stati molti problemi, ci sono state grandi difficoltà,
grossi errori: e non sempre abbiamo potuto superarli. È evidente che l’Unione dei Giovani Comunisti, come
organismo minore, come fratello pili giovane delle Organizzazioni Rivoluzionarie Integrate, deve attingere
alle esperienze dei compagni che hanno lavorato di pili in tutti i compiti rivoluzionari e deve ascoltare sem-
pre — con rispetto — la voce di quell’esperienza. Ma la gioventù deve creare. Una gioventù che non crea
è veramente un’anomalia. E all’Unione dei Giovani Comunisti è un po’ mancato lo spirito creativo. E stata,
attraverso la sua direzione, troppo docile, troppo rispettosa e poco decisa nel porsi problemi propri.
Oggi questo sta finendo. Il compagno Joel ci parlava delle iniziative dei lavori nelle fattorie. Sono esempi di
come si comincia a spezzare la dipendenza totale — che diventa assurda — da un organismo maggiore,
come si comincia a pensare con la propria testa.
Il fatto è che noi, e con noi la nostra gioventù, stiamo guarendo da una malattia, che fortunatamente non è
stata troppo lunga ma che ha influito molto sul ritardo dello sviluppo dell’approfondimento ideologico della
nostra Rivoluzione. Siamo tutti convalescenti di quel male che si chiama settarismo.
Dove conduce il settarismo? Conduce alla copiatura meccanica, alle analisi formali, alla separazione fra la
direzione e le masse. Anche nella nostra Direzione Nazionale: e il riflesso si è prodotto qui, nell’Unione dei
Giovani Comunisti.
Se noi - anche disorientati dal fenomeno del settarismo - non riuscivamo ad ascoltare la voce del popolo,
che è la voce più saggia e orientatrice, se non riuscivamo ad ascoltare i palpiti del popolo per poterli tra-
sformare in idee concrete, in direttive precise, non potevamo certo dare quelle direttive all’Unione dei Gio-
vani Comunisti. E dato che la dipendenza era assoluta, dato che la docilità era molta, l’Unione dei Giovani
Comunisti navigava come una barchetta alla deriva, guidata dal barcone: le nostre Organizzazioni Rivolu-
zionarie, anch’esse alla deriva.
Si producevano quindi iniziative minime, le sole che l’Unione dei Giovani Comunisti era capace di produrre,
che si trasformavano a volte in grossolani slogans, in manifestazioni chiaramente mancanti di profondità
ideologica.
Il compagno Fidel ha seriamente criticato quegli estremisti e quelle espressioni molto note a tutti voi come:
“le ORI sono la candela...,” “siamo socialisti, avanti e avanti...” Tutte quelle cose, che Fidel criticava e che
voi conoscete bene, erano il riflesso del male che gravava sulla nostra Rivoluzione.
Oramai siamo usciti da quella fase. L’abbiamo completamente liquidata. Tuttavia gli organismi vanno sem-
pre un po’ pili lentamente. E come se un male avesse tenuto una persona nell’incoscienza. Quando poi il
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male cede, la mente recupera la sua chiarezza, ma le membra non coordinano ancora i loro movimenti.
I primi giorni dopo aver lasciato il letto, il procedere è insicuro, ma a poco a poco si va acquistando una
nuova sicurezza. Su questa strada siamo noi.
Dobbiamo perciò definire e analizzare obiettivamente i nostri organismi per continuare a purificarli. Tenere
presente, per non cadere, per non inciampare e cadere al suolo, che camminiamo ancora con passo vacil-
lante. Conoscere le nostre debolezze per liquidarle e acquistare nuova forza.
Questa mancanza di una propria iniziativa è dovuta al misconoscimento, per un certo tempo, della dialettica
che muove gli organismi di massa e all’aver dimenticato che organismi come l’Unione dei Giovani Comunisti
non possono essere semplicemente di direzione, non possono essere qualcosa che emana sempre diretti-
ve alle basi senza ricevere niente da loro.
Si pensava che l’Unione dei Giovani Comunisti e tutte le organizzazioni di Cuba fossero organizzazioni di
una sola linea. Una sola linea che andava dal vertice alla base, ma che non aveva un cavo di ritorno per
trasmettere le comunicazioni della base. Un reciproco e costante interscambio di esperienze, di idee, di
direttive che sono le più importanti, quelle che avrebbero inquadrato il lavoro della nostra gioventù.
Nello stesso tempo si sarebbero potuti individuare i punti in cui il lavoro era più fiacco, i punti di maggiore
debolezza.
Vediamo ancora come i giovani, quasi degli eroi da romanzo, sono capaci di offrire la loro vita cento volte
per la Rivoluzione, vediamo come, se chiamati a svolgere qualsiasi compito concreto o sporadico, sono
pronti a marciare in massa verso quel compito. Tuttavia, a volte mancano al loro lavoro perché hanno una
riunione dei Giovani Comunisti, o perché si sono ritirati tardi la sera prima per discutere qualche iniziativa
dei Giovani Comunisti, o semplicemente non vanno al lavoro perché no, senza giustificazione.
Quando si osserva una Brigata di Lavoro Volontario e si suppone che vi siano dei Giovani Comunisti, in molti
casi non ve ne sono. Non ce n’è uno. Il dirigente doveva andare a una riunione, l’altro era malato, l’altro
non era informato. Il risultato è che l’azione fondamentale, l’azione di avanguardia del popolo, l’azione di
esempio vivente che smuove e porta avanti tutti - come hanno fatto i giovani di Playa Girón - non si ripete
nel lavoro. La serietà che deve avere la gioventù di oggi per affrontare i grandi impegni - di cui il maggiore
è la costruzione della società socialista - non si riflette nel lavoro concreto.
Vi sono grandi debolezze e bisogna lavorarci sopra. Bisogna organizzare, individuare il punto dove duole, il
punto dove ci sono debolezze da correggere e lavorare su ognuno di voi per porre bene in chiaro nelle vo-
stre coscienze che non può essere un buon comunista colui che pensa alla Rivoluzione solo quando arriva
il momento del sacrificio, del la battaglia, dell’avventura eroica, di ciò che esce dal volgare e dal quotidiano,
mentre nel lavoro è mediocre o peggio.
Come può avvenire questo se voi avete già il nome di Giovani Comunisti, nome che noi, organizzazione
dirigente, partito dirigente, ancora non abbiamo? Voi che dovete costruire un futuro in cui il lavoro sarà la
massima dignità dell’uomo, un dovere sociale, un piacere che si dà all’uomo, un futuro in cui il lavoro sarà
creativo al massimo e tutti dovranno essere interessati al loro lavoro e a quello degli altri, e all’avanzamento
della società, giorno per giorno?
Com’è possibile che voi, che già oggi avete questo nome, disdegnate il lavoro? Qui c’è una mancanza. Una
mancanza nell’organizzazione, nella chiarificazione, nel lavoro. Una mancanza, inoltre, umana. A tutti noi - a
tutti, credo - piace molto di pili ciò che rompe la monotonia della vita, ciò che bruscamente, ogni tanto, fa
sentire a ognuno il proprio valore, il valore che si ha nella società.
Immagino, per esempio, l’orgoglio di quei compagni che si trovavano in una batteria antiaerea a difendere
la loro patria dagli aerei nemici ed a cui toccava d’un tratto la fortuna di vedere i propri proiettili raggiunge-
re l’aereo nemico. Uno di quei momenti che non si dimenticano mai, e i compagni cui è toccato di vivere
quell’esperienza non la dimenticheranno mai.
Ma noi dobbiamo difendere la nostra Rivoluzione, ed è quello che facciamo tutti i giorni. E per poterla difen-
dere bisogna costruirla, fortificarla con quel lavoro che oggi non piace alla gioventù, o che perlomeno è da
essa considerato come l’ultimo dei suoi doveri, perché conserva ancora la mentalità antica, la mentalità del
mondo capitalista, e cioè che il lavoro è, si, un dovere, una necessità: ma un dovere e una necessità tristi.
Perché accade questo? Perché non abbiamo ancora dato al lavoro il suo vero senso. Non siamo stati
capaci di unire il lavoratore con l’oggetto del suo lavoro; ed anche di dare al lavoratore la coscienza del
l’importanza che ha l’atto creativo che giorno per giorno egli compie.
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Il lavoratore e la macchina, il lavoratore e l’oggetto su cui si esercita il lavoro sono ancora due cose differen-
ti, antagoniste. In questo senso bisogna lavorare, per formare nuove generazioni che abbiano il massimo
interesse a lavorare e sappiano trovare nel lavoro una fonte permanente di nuove emozioni. Fare del lavoro
qualcosa di creativo, qualcosa di nuovo.
Questo è forse il punto pili fiacco della nostra Unione dei Giovani Comunisti. Per questo insisto, e nell’al-
legria dei festeggiamenti di questo anniversario torno a porre la piccola goccia di amarezza per toccare il
tasto sensibile, per fare che la gioventù reagisca.
Oggi al Ministero si è tenuta un’assemblea per discutere l’emulazione. Molti di voi probabilmente hanno già
discusso dell’emulazione nei loro centri di lavoro e già hanno letto il tremendo documento che sta circolan-
do. Ma qual è, compagni, il problema dell’emulazione? Il problema è che l’emulazione non può funzionare
con dei documenti che la regolano, la ordinano e le danno una forma. Il regolamento e la forma sono neces-
sari per poter poi paragonare il lavoro svolto dalla gente entusiasta che si sta emulando.
Quando due compagni, ognuno su una macchina, si emulano a vicenda per costruire di pili, dopo un certo
tempo cominciano a sentire la necessità di qualche regolamento per determinare quale dei due produce di
più con la sua macchina, la quantità del prodotto, le ore di lavoro, il modo in cui ognuno lascia la macchina,
in cui ne tiene cura... molte cose. Ma se invece di trattarsi di due compagni che effettivamente si emulano ai
quali noi diamo un regolamento, appare un regolamento per altri due che stanno pensando a quando arriva
l’ora di smontare per andarsene a casa, a che serve il regolamento ? A quale funzione adempie?
In molti casi stiamo facendo regolamenti e dando una forma a qualcosa che non esiste. La forma deve
avere un contenuto: il regolamento, in questi casi, deve essere ciò che definisce e limita una situazione già
creata. Il regolamento dovrebbe essere la conseguenza dell’emulazione - che vuole essere attuata in modo
anarchico ma entusiasta, straripante - per tutti i centri di lavoro di Cuba. In quel caso la necessità di regolare
l’emulazione sorgerebbe automaticamente.
In questo modo abbiamo trattato molti problemi, e in questo modo abbiamo deformato molte cose. E quan-
do in quell’assemblea ho domandato perché non era presente, o quante volte era stato presente il segre-
tario dei Giovani Comunisti, ho saputo che c’era stato alcune volte, poche, e che i Giovani Comunisti non
c’erano stati mai.
Tuttavia nel corso dell’assemblea, discutendo questi ed altri problemi, i Giovani Comunisti, il nucleo, la
Federazione delle Donne e i Comitati di Difesa, e il Sindacato, naturalmente, tutti si sono entusiasmati.
Tutti perlomeno hanno provato un rimorso interiore, un senso di amarezza e un desiderio di migliorare, di
dimostrare che erano capaci di fare quello che ancora non era stato fatto: smuovere la gente. Allora, d’un
tratto, tutti si sono impegnati a fare che nel Ministero si diffondesse l’emulazione a tutti i livelli, a discutere
il regolamento, dopo aver stabilito le emulazioni, e a venire nel giro di quindici giorni a presentare un fatto
concreto, con tutto il Ministero impegnato nell’emulazione.
Ed è questa la mobilitazione! La gente ha capito e ha smentito interiormente - perché ognuno di quei com-
pagni è un grande compagno - che ci fosse qualcosa di fiacco nel suo lavoro. Ha sentito la sua dignità ferita
e si è posto decisamente a rimediare. Ecco cosa bisogna fare. Tenere presente che il lavoro è la cosa pili
importante. Perdonatemi se insisto ancora una volta, ma il fatto è che senza lavoro non c’è niente. Tutta la
ricchezza del mondo, tutti i lavori che ha l’umanità, sono niente pili che lavoro accumulato. Senza il lavo-
ro non può esistere niente. Senza il lavoro extra che crea pili eccedenze per nuove fabbriche, per nuove
installazioni sociali, il paese non avanza. E per forti che siano i nostri eserciti avremo sempre un ritmo di
crescita lento. Bisogna finirla con questo. Finirla con i vecchi errori, renderli di pubblico dominio, analizzarli
dovunque e quindi correggerli.
Ora vorrei dire, compagni, qual è la mia opinione, l’opinione di un dirigente nazionale delle ORI, su cosa
deve essere un giovane comunista: vediamo se siamo tutti d’accordo.
Io credo che la prima cosa che deve contraddistinguere un giovane comunista sia l’onore che prova ad
esserlo. Quell’onore che lo porta a mostrare a tutti la sua qualità di giovane comunista, che non si esaurisce
nella clandestinità, che non si riduce a una semplice formula, ma anzi viene espresso in ogni momento,
perché esce dall’anima, e il giovane comunista ha interesse a mostrarlo perché per lui è un orgoglio.
Insieme a questo, un grande senso del dovere verso la società che stiamo costruendo, verso i nostri simili
come esseri umani e verso tutti gli uomini del mondo.
Questo è qualcosa che deve caratterizzare il giovane comunista. Oltre a questo, una grande sensibilità di
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fronte a tutti i problemi, una grande sensibilità di fronte all’ingiustizia, spirito anticonformista ogni volta che
sorga qualcosa che non va, chiunque lo abbia detto. Approfondire tutto ciò che non si capisce. Discutere
e chiedere chiarimenti di ciò che non è chiaro. Dichiarare la guerra al formalismo, a tutti i tipi di formalismo.
Essere sempre aperto a ricevere le nuove esperienze in modo da conformare la grande esperienza dell’u-
manità, che da molti anni avanza sul sentiero del socialismo, alle condizioni concrete del nostro paese, alle
realtà esistenti a Cuba: e pensare - tutti e ognuno - come cambiare la realtà, come migliorarla.
Il giovane comunista deve proporsi di essere il primo in tutto, lottare per essere il primo, e sentirsi infastidito
quando in qualcosa occupa un altro posto. Lottare per migliorare, per essere il primo. È chiaro che non tutti
possono essere il primo, ma essere fra i primi, nel gruppo di avanguardia si. Essere un esempio vivente,
essere lo specchio dove si guardano i compagni che non appartengono alla Gioventù Comunista, essere
l’esempio cui possano guardare gli uomini e le donne di età più avanzata che hanno perduto quel certo en-
tusiasmo giovanile, che hanno perduto la fede nella vita e che di fronte allo stimolo dell’esempio reagiscono
sempre bene. Questo è un altro compito dei Giovani Comunisti.
Poi un grande spirito di sacrificio, uno spirito di sacrificio non solo nelle giornate eroiche, ma per ogni mo-
mento. Sacrificarsi per aiutare il compagno nei piccoli compiti affinché possa svolgere il suo lavoro, affinché
possa compiere il suo dovere nella scuola, nello studio, affinché possa migliorare in qualsiasi modo. Stare
sempre attento a tutta la massa umana che lo circonda.
In sostanza si impone al giovane comunista di essere essenzialmente umano, essere tanto umano da ac-
costarsi al meglio dell’uomo; purificare il meglio dell’uomo per mezzo del lavoro, dello studio, dell’esercizio
continuo della solidarietà con il popolo e con tutti i popoli del mondo; sviluppare al massimo la sensibilità
fino a sentire l’angoscia ogni volta che in qualsiasi angolo del mondo viene assassinato un uomo e fino a
sentirsi entusiasta ogni volta che in qualsiasi angolo del mondo si innalza una nuova bandiera di libertà.
Il giovane comunista non può sentirsi limitato dalle frontiere di un territorio: il giovane comunista deve pra-
ticare l’internazionalismo proletario e sentirlo come cosa propria. Tenere presente, come dobbiamo tenere
presente noi aspiranti comunisti, qui a Cuba, che si è un esempio reale e palpabile per tutta la nostra Ame-
rica, e più ancora che per la nostra America, per altri paesi del mondo che lottano anche in altri continenti
per la loro libertà, contro il colonialismo, contro il neocolonialismo, contro l’imperialismo, contro tutte le forme
di oppressione dei sistemi ingiusti. Tenere sempre presente che siamo una fiaccola accesa, che siamo lo
stesso specchio che ognuno di noi individualmente è per il popolo di Cuba, e siamo quello specchio perché
in esso si guardino i popoli d’America, i popoli del mondo oppresso che lottano per la loro libertà. Dobbiamo
essere degni di questo esempio. In ogni momento, in ogni occasione dobbiamo essere degni di questo
esempio.
Questo è ciò che noi pensiamo debba essere un giovane comunista. E se ci si dicesse che siamo quasi dei
romantici, che siamo degli idealisti inveterati, che pensiamo cose impossibili e che non si può ottenere dalla
massa di un popolo ciò che è quasi un archetipo umano, noi dovremmo rispondere una, mille volte che sì,
sì che si può, che siamo nel vero, che tutto il popolo può avanzare, liquidare le piccolezze umane, come
a Cuba si è andato facendo in questi quattro anni di Rivoluzione, perfezionarsi come noi ci perfezioniamo
giorno per giorno, liquidando intransigentemente tutti coloro che restano indietro, che non sono capaci di
marciare al ritmo in cui marcia la Rivoluzione cubana.
Deve essere così, deve essere cosi e cosi sarà, compagni. Sarà così perché voi siete Giovani Comunisti,
creatori della società perfetta, esseri umani destinati a vivere in un mondo nuovo dove tutto ciò che è vec-
chio, decrepito, tutto ciò che rappresenta la società le cui basi sono state appena distrutte, sarà definitiva-
mente scomparso.
Per raggiungere questo bisogna lavorare tutti i giorni, lavorare nel senso interiore di perfezionamento, di au-
mento delle conoscenze, di aumento della comprensione del mondo che ci circonda. Indagare, verificare
e conoscere bene il perché delle cose e porsi sempre i grandi problemi dell’umanità come problemi propri.
Così, a un certo momento, un giorno qualsiasi degli anni che verranno - dopo aver sopportato molti sacrifici,
certo, e dopo esserci visti chissà quante volte sull’orlo della distruzione - dopo aver visto forse le nostre fab-
briche distrutte e dopo averle ricostruite nuovamente, dopo aver assistito all’assassinio, alla strage di molti
di noi e aver ricostruito ciò che sarà stato distrutto, alla fine di tutto questo, un giorno qualsiasi, quasi senza
rendercene conto, avremo creato, insieme agli altri popoli del mondo, la società comunista, il nostro ideale.
Compagni, parlare alla gioventù è un compito molto grande. Uno si sente capace di trasmettere alcune
cose perché avverte la comprensione della gioventù. Ci sono molte cose che vorrei dirvi: di tutti i nostri
sforzi, i nostri affanni. Di come molti di essi si infrangono di fronte alla realtà quotidiana e come tuttavia bi-
sogna tornare ad affrontarli. Dei momenti di fiacchezza e di come il contatto con il popolo - con gli ideali e
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la purezza del popolo - ci infondono nuovo fervore rivoluzionario.
Ci sarebbero molte cose di cui parlare. Ma dobbiamo anche compiere i nostri doveri. E ne approfitto per
spiegarvi, con tutta la malignità che vorrete riscontrare, perché devo accomiatarmi da voi. Devo accomia-
tarmi da voi perché vado a compiere il mio dovere di lavoratore volontario in una tessitura. Stiamo lavorando
lì già da qualche tempo. Stiamo cercando di emulare l’Impresa Consolidata delle Filande e dei Tessuti Lisci
che lavora in un’altra tessitura, e la Giunta Centrale della Pianificazione che lavora in un’altra ancora.
Voglio dirvi onestamente che il Ministero dell’Industria è l’ultimo, nell’emulazione, e dobbiamo fare uno sfor-
zo maggiore, più grande, costantemente ripetuto, per avanzare, per riuscire a fare quello che noi stessi di-
ciamo: essere i primi, aspirare ad essere i primi perché ci fa male essere gli ultimi nell’emulazione socialista.
Il fatto è che è successo semplicemente quello che è successo a molti di voi: questa emulazione è fredda,
un po’ inventata, e non abbiamo saputo entrare in contatto diretto con la massa dei lavoratori dell’industria.
Domani terremo una assemblea per discutere questi problemi e cercare di risolverli tutti, di trovare i punti
d’unione, di stabilire un linguaggio comune, di assoluta identità, fra i lavoratori di quell’industria e noi lavo-
ratori del Ministero. Dopo aver ottenuto questo sono sicuro che aumenteremo di molto il rendimento e che
potremo perlomeno lottare onorevolmente per i primi posti.
Note:
1) Guevara creò il Dipartimento dell’istruzione dell’Esercito Ribelle alla cui direzione restò sino alla fine del
1960. .
2) Vedi n. 4, “Popolo e Governo devono essere una cosa sola” e “La gioventù e la Rivoluzione.”
3) Il Pico Turquino è la più alta montagna di Cuba (2005 metri); e situato nella Sierra Maestra. Vedi n. 1, p.
65 del volume I.