POLITICHE A SOSTEGNO DELLA PRODUZIONE AUDIOVISIVA I
RISCHI DI POSSIBILI EFFETTI PERVERSI
Questo articolo analizza le politiche italiane ed europee a sostegno dell'industria
audiovisiva.
1- introduzione
Le misure approvate in Italia nel novembre 2021 per la trasposizione della Direttiva
Europea sui Servizi Media Audiovisivi includono un aumento degli obblighi di
investimento per i fornitori di media audiovisivi, l'introduzione di sotto-quote per
generi specifici e una nuova regolamentazione che riguarda il rapporto tra i
fornitori di servizi media audiovisivi e i produttori indipendenti, con un focus
particolare sulla durata dei diritti di sfruttamento.
L'obiettivo principale di queste misure è quello di proteggere e sostenere la
produzione cinematografica e audiovisiva italiana. Questo scopo è generalmente
condivisibile anche dal punto di vista economico. Tuttavia, l'articolo avverte che se
tali misure vengono applicate oltre un certo limite, potrebbero produrre effetti
contrari alle intenzioni iniziali, generando risultati indesiderati. Sebbene queste
politiche siano principalmente rivolte alle piattaforme Video on Demand (VOD),
sono coerenti con un approccio regolatorio più ampio che riguarda l'intero settore
audiovisivo e che adotta meccanismi tradizionali di protezione della produzione
nazionale.
Nel corso degli anni, politiche simili di quota di produzione sono state imposte
anche alle televisioni generaliste e a quelle a pagamento. Di conseguenza, l'analisi
proposta nell'articolo adotta una prospettiva più ampia, partendo dalle specificità
economiche del settore audiovisivo, che sono comuni anche ad altri ambiti della
produzione culturale e informativa.
L'articolo è strutturato in vari paragrafi: nel 2 vengono analizzate alcune tendenze
recenti, come l'aumento della produzione, l'incremento dei costi dei fattori
produttivi e la riconfigurazione della filiera distributiva. Questi trend sono rilevanti
per la formulazione di politiche pubbliche adeguate. Il 3 esamina alcune
caratteristiche economiche specifiche della produzione audiovisiva che non sempre
vengono considerate nella definizione delle politiche pubbliche. Il 4 discute gli
effetti economici delle misure di protezione contro la concorrenza internazionale
nel settore audiovisivo, sottolineando come queste possano avere effetti contrari
agli obiettivi iniziali. Infine, il 5 analizza più in dettaglio la situazione dell'industria
audiovisiva italiana e gli effetti dell'approccio regolatorio sulla sua competitività.
2. Tendenze globali nell’industria audiovisiva con un impatto sulla regolazione
Negli ultimi anni si sono consolidate alcune tendenze nell’industria audiovisiva che
stanno contribuendo a cambiare il contesto e l’organizzazione della filiera, queste
sono:
1- l’aumento della produzione;
2- la riconfigurazione dei canali distributivi;
3- l’evoluzione dei consumi.
2.1- L’aumento della produzione
L’aumento della produzione nell’industria audiovisiva si è manifestato sia in termini
di numero di film e serie che in termini di investimenti complessivi. Tra il 2014 e il
2018, gli investimenti nel settore sono cresciuti del 25% a livello mondiale. Secondo
l’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo, il numero di film prodotti a livello globale è
aumentato da 7.455 nel 2014 a 8.204 nel 2018. Negli Stati Uniti, questo fenomeno è
ancora più evidente: i film distribuiti nelle sale sono passati da 563 nel 2010 a 765
nel 2018.
Il segmento che ha visto il maggiore incremento è quello delle serie televisive.
Secondo l’osservatorio FX, negli Stati Uniti, il numero di nuove serie prodotte
annualmente è passato da 266 nel 2011 a 532 nel 2018, escludendo gli show senza
sceneggiatura e i formati brevi. Mentre la produzione di serie per i network è
rimasta stabile, quella per la televisione a pagamento è raddoppiata.
Questo aumento della produzione è stato alimentato dalla crescente domanda finale
da parte dei telespettatori, ma anche dalla domanda intermedia da parte di network
televisivi, canali via cavo e piattaforme digitali. Di conseguenza, il prezzo dei
contenuti è aumentato. L’espansione della produzione ha portato a un’impennata
della domanda di talenti e di altri fattori produttivi, il cui costo è anch’esso
aumentato. Tuttavia, nel breve periodo, molti fattori produttivi con costi fissi non
possono essere facilmente adattati all’aumento della domanda. Nella componente
artistica, solo i talenti più affermati hanno la possibilità di garantire una maggiore
probabilità di successo. L’aumento della domanda intermedia si traduce in un
aumento del prezzo di questi fattori.
Per contrastare questi aumenti di costo, le produzioni hanno cercato di contenere le
spese, optando per centri di produzione meno consolidati e sfruttando più
decisamente i sussidi geografici offerti dalle amministrazioni locali in molti paesi,
che contribuiscono a ridurre i costi complessivi della produzione.
2.2- La progressiva riconfigurazione della filiera distributiva
La filiera distributiva audiovisiva sta subendo una riconfigurazione sostanziale,
caratterizzata da un approccio più flessibile e dinamico rispetto al tradizionale
sistema di “windowing”. In passato, la distribuzione dei contenuti audiovisivi
seguiva finestre preordinate, ma oggi i tempi di rilascio sui vari canali sono sempre
più ravvicinati, con una distribuzione dei titoli su molteplici piattaforme spesso
simultaneamente o in sequenze diverse a seconda del mercato. Questa evoluzione
ha subito un'accelerazione con la crescita del Video on Demand (VOD), che ha
portato a un declino della distribuzione fisica dei DVD.
Il VOD si è diversificato in molteplici servizi, che spaziano dai grandi nomi globali
come Netflix ai piccoli operatori specializzati per aree geografiche o per generi. Nel
2020, in Europa, il numero di abbonamenti ai servizi di Subscriptions Video on
Demand (SVOD) ha superato per la prima volta quello della pay-TV tradizionale,
anche se l’86% degli abbonamenti è orientato verso piattaforme statunitensi.
Questa crescita del VOD ha spinto i broadcaster tradizionali a investire in
piattaforme on demand proprie, talvolta creando alleanze europee per competere
con i colossi globali.
I servizi SVOD, una volta raggiunta una dimensione sufficiente, iniziano a produrre
contenuti originali in esclusiva, diminuendo così la dipendenza da fornitori esterni e
abbattendo i costi medi di produzione. I contenuti originali servono anche come
incentivo per attrarre nuovi abbonati. Anche le emittenti tradizionali hanno da
tempo adottato la produzione di contenuti esclusivi, prediligendo serie a stagioni
brevi per minimizzare il rischio di insuccesso e dando seguito solo alle serie di
maggiore successo.
Nel settore cinematografico, non tutti i contenuti seguono il sistema classico di
distribuzione a finestre; oggi la scelta del canale distributivo è più flessibile e varia
in base a mercato e tipologia di prodotto. Alcuni film vengono distribuiti prima in
TV o su piattaforme VOD, a volte in esclusiva, con finestre di distribuzione che
alternano periodi online e offline.
Parallelamente, le principali major di Hollywood hanno iniziato a integrare
verticalmente la distribuzione con servizi proprietari (ad es., Disney+ e HBO Max),
sfruttando la tecnologia del VOD per offrire una gamma più ampia di contenuti a
prezzi competitivi. Questa integrazione verticale permette alle major di distribuire i
propri contenuti globalmente, sfruttando economie di scala e costruendo una base
di abbonati attraverso reti esistenti.
La varietà di scelta offerta dalle piattaforme VOD supera notevolmente quella della
pay-TV o della TV generalista. Ad esempio, Netflix offre in media oltre 4.000 titoli
nei principali paesi europei, con un rinnovo continuo del catalogo. Inoltre, queste
piattaforme sviluppano nuove metriche di valutazione basate non solo sugli ascolti,
ma sull’intensità delle preferenze degli utenti, dati che permettono di personalizzare
l’esperienza di visione grazie all’intelligenza artificiale e ai sistemi di
raccomandazione.
Infine, il VOD ha contribuito alla globalizzazione dei consumi, facilitando la
distribuzione internazionale delle serie e dei film. Le piattaforme globali hanno
iniziato a produrre contenuti originali mirati ai gusti dei singoli mercati, con
l’obiettivo di conquistare il pubblico locale e aumentare la circolazione dei prodotti
internazionali, trasformando le dinamiche di consumo audiovisivo.
2.3- L’evoluzione dei consumi audiovisivi
L’evoluzione dei consumi audiovisivi sta seguendo tendenze significative. Il 2020 ha
visto un calo del 18% nella spesa globale per i contenuti audiovisivi a causa della
pandemia, con un crollo dei biglietti venduti al cinema (ridotti di quattro volte),
compensato solo in parte dalla crescita del video online. Questo declino, secondo il
rapporto PWC, indica un possibile trend a lungo termine in cui la spesa per servizi
di abbonamento video (SVOD) supererà stabilmente quella per i biglietti al cinema.
Prima della pandemia, le sale cinematografiche globali mostravano una crescita
lieve, soprattutto in Asia, mentre nei mercati più maturi la spesa e i biglietti erano
già in leggera diminuzione. Allo stesso tempo, il mercato dell’home video fisico ha
subito un calo, nonostante l’aumento delle visioni domestiche.
Negli Stati Uniti, il consumo di audiovisivi vede ancora predominante la TV
tradizionale (circa 220 minuti al giorno), mentre il tempo passato sui computer per
la visione di film e serie è di soli 20 minuti al giorno, e il mobile, pur in crescita, è
sui 50 minuti. Anche in Italia si osservano proporzioni simili, con una spesa per il
cinema attorno al 25% del totale, il 10% legato a formati come il Transactional
Video on Demand (T-VOD), mentre il resto si riferisce a diverse forme di
televisione.
Il cinema ha subito un calo di lunga durata, iniziato negli anni ’50 con la
trasmissione di film in TV, e proseguito con l’home video. Oggi i ricavi di un film
dipendono da una varietà di canali distributivi e per i produttori, il cinema
rappresenta meno del 35% dei guadagni complessivi. In Europa, i ricavi televisivi
per i film restano alti, sostenuti anche dagli obblighi di programmazione che
inflazionano il valore dei diritti TV. Tuttavia, il cinema resta cruciale dal punto di
vista promozionale poiché il successo nelle sale influenza il prezzo dei diritti nelle
finestre successive, in particolare per pay-TV e TV gratuita. In Italia, la
distribuzione in sala è considerata un successo se copre almeno i costi
promozionali, senza necessità di generare profitti diretti.
L’industria audiovisiva europea, sempre più globalizzata e competitiva, sta
beneficiando di un aumento nei consumi, anche se la competizione online sta
creando una trasformazione epocale. La digitalizzazione richiede una
riorganizzazione dei finanziamenti pubblici verso l’internazionalizzazione,
favorendo le coproduzioni e le collaborazioni tra broadcaster europei, per rafforzare
la competitività dell’industria.
3- LE CARATTERISTICHE ECONOMICHE DELLA PRODUZIONE AUDIOVISIVA
La produzione audiovisiva è un’attività economicamente complessa, caratterizzata
da alti costi fissi non recuperabili, incertezza nel successo dei prodotti e concorrenza
a costi fissi endogeni.
3.1- costi fissi alti
Nel settore audiovisivo, la produzione di un'opera originale comporta costi fissi
significativi, indipendenti dal numero di copie distribuite o dal numero di
spettatori. Diversamente, i costi variabili, soprattutto per i prodotti televisivi, sono
minimi o quasi inesistenti. Questa struttura di costo favorisce forti economie di
scala: i costi fissi per la produzione di un singolo contenuto permettono di abbattere
il costo unitario quanto più il prodotto viene distribuito su larga scala.
Inoltre, tali costi fissi giocano un ruolo determinante nella qualità finale del
prodotto: l’attrattiva di un contenuto per il pubblico dipende in gran parte dalle
risorse artistiche e produttive impiegate. Di conseguenza, i prodotti destinati a un
mercato ampio tendono ad avere budget maggiori e una qualità percepita più alta
rispetto a quelli pensati per mercati più ridotti.
Questi costi fissi sono considerati “affondati” (sunk costs) perché, una volta
investiti, non sono recuperabili: a differenza di altri settori in cui beni capitali come
macchinari possono essere rivenduti o riconvertiti, in campo audiovisivo non esiste
un mercato dell’usato per film incompleti o per girati inutilizzati. Questo significa
che, se un progetto fallisce, i costi sostenuti non possono essere recuperati né
riutilizzati.
La natura di questi costi rende quindi il settore particolarmente rischioso. Gli
investimenti devono essere sostenuti prima dell’inizio di qualsiasi ritorno
economico, e l’impossibilità di riconversione degli investimenti iniziali in caso di
insuccesso rende molto elevato il rischio per i produttori.
3.2- L’assenza di una funzione di produzione definita
Diversamente da altri settori, nell’audiovisivo non esiste una "ricetta" chiara e
replicabile per ottenere un prodotto di successo: non è possibile stabilire
precisamente materiali, processi o quantità in modo da poterli trasmettere o
verificare in modo rigoroso.
Questa imprevedibilità implica che chi finanzia un progetto audiovisivo è costretto a
delegarne la realizzazione a professionisti che operano in un regime di forte
incertezza, senza poterli monitorare a fondo o verificarne il lavoro in ogni dettaglio.
Anche nelle grandi imprese, ciò conferisce alla produzione un carattere artigianale
che si avvicina alla ricerca e sviluppo, poiché ogni progetto è unico e richiede
creatività, senza garanzie di successo.
Il mercato dell’audiovisivo è paragonabile, sotto questo aspetto, alla scienza, alla
moda o al design, dove il successo dipende da molteplici variabili. In questo settore,
il consumo di un prodotto è in genere unico: gli spettatori di solito guardano un film
o una serie solo una volta. Questa caratteristica spinge i produttori a immettere
continuamente prodotti nuovi, rendendo difficile fare affidamento su dati passati
per prevedere il successo di nuove opere.
La produzione audiovisiva, nonostante la disponibilità di dati sui fattori associati al
successo (come budget, attori, generi), si confronta con un’alta variabilità dei
risultati, rendendo ogni previsione estremamente incerta. Come evidenzia lo
studioso De Vany, i tentativi di ridurre il rischio, come l’uso di attori noti, sequel, o
generi popolari, possono al massimo aumentare le probabilità di successo, ma non
possono eliminare i fallimenti.
L’incertezza della domanda, combinata con gli alti costi fissi e non recuperabili,
rende quindi la produzione cinematografica estremamente rischiosa. Inoltre, poiché
l’audiovisivo è un lavoro di squadra, è complesso misurare l’apporto di ogni risorsa
individuale coinvolta. Per ogni progetto si sviluppano spesso soluzioni contrattuali
su misura, che distribuiscono rischi e incentivi, adattandosi alle risorse specifiche
del progetto e alla strategia distributiva pianificata.
3.3- Le strategie adottate per ridurre i rischi
L’industria audiovisiva ha sviluppato due principali strategie per ridurre i rischi di
un settore caratterizzato da incertezza e alti costi:
- la strategia di portafoglio, simile a quella usata nei mercati finanziari. Si investe su
un insieme di progetti (ad esempio 10 titoli), accettando che alcuni siano insuccessi
o vadano in pareggio, mentre altri potrebbero essere successi o addirittura grandi
successi (“blockbuster”). La diversificazione permette di compensare i rischi tra i
vari prodotti, poiché le perdite di un titolo possono essere bilanciate dai profitti di
un altro, stabilizzando così la redditività complessiva.
Nel caso delle serie televisive, per ridurre ulteriormente i rischi, la produzione è
frazionata in piccole stagioni iniziali di pochi episodi, una strategia che permette di
valutare la risposta del pubblico prima di impegnarsi su una produzione più estesa.
- processo di selezione a stadi successivi, che applica un filtro rigoroso dall’idea alla
realizzazione. Si parte da molte idee e solo poche arrivano effettivamente alla
produzione, riducendo progressivamente il numero attraverso varie fasi (da 100
idee iniziali a 1-2 progetti effettivi). Questa selezione mira a garantire un alto
“production value” e un forte potenziale di successo di pubblico, incoraggiando uno
spiccato orientamento al risultato in tutti i partecipanti al progetto.
Negli Stati Uniti, la divisione delle responsabilità artistiche tra sceneggiatore,
regista e produttore esecutivo, e la forte competizione per raggiungere il successo di
pubblico, promuovono un controllo sociale che limita i comportamenti
opportunistici. Anche il controllo del canale distributivo da parte dei produttori
riduce l’incertezza, poiché le serie vengono progettate tenendo in mente un canale
specifico e il suo pubblico.
Nel modello americano tradizionale, solo un ristretto numero di idee raggiunge la
fase di pilot, e di questi pochi arrivano a una produzione completa. Se la serie ha
successo nel primo anno, è possibile che venga commissionata una seconda
stagione, fondamentale per raggiungere il pareggio dei costi (break-even). Infatti, il
produttore copre il 30% dei costi iniziali e comincia a ottenere guadagni solo con la
distribuzione successiva alla seconda stagione. Questo modello crea un forte
incentivo per raggiungere il successo sin dall’inizio, riducendo lo spazio per
risparmi ingiustificati o mancanza di impegno.
3.4- Un carattere specifico del settore audiovisivo: la concorrenza a
costi fissi endogeni
Il settore audiovisivo è caratterizzato da una concorrenza a costi fissi endogeni, un
fenomeno per cui l’espansione del mercato non porta a un aumento del numero di
imprese, ma piuttosto a un incremento della qualità del prodotto attraverso
l’aumento dei budget. Questo avviene perché le imprese tendono a reinvestire le
entrate aggiuntive per mantenere la loro posizione nel mercato. L’aumento della
domanda genera più risorse che vengono utilizzate per alzare il “production value”
(valore di produzione), soprattutto nei mercati maturi dove le imprese devono
competere offrendo prodotti di qualità sempre maggiore.
Questo modello ha portato l’industria statunitense a dominare il mercato
audiovisivo globale. Grazie alla dimensione del proprio mercato interno, i
produttori americani dispongono di budget più elevati, che permettono loro di
creare prodotti audiovisivi più attrattivi e di maggior qualità percepita rispetto ai
concorrenti di paesi con mercati più piccoli. La qualità percepita si correla con le
risorse investite: un budget maggiore consente infatti un prodotto visivamente e
narrativamente più ricco. Nei mercati locali, tuttavia, i prodotti audiovisivi locali
possono mantenere un ruolo rilevante grazie al legame con la cultura, i personaggi e
le ambientazioni del luogo.
Il dominio degli Stati Uniti è stato ulteriormente supportato dall’espansione
internazionale di Hollywood, una strategia motivata anche dalla necessità di
contrastare l’aumento dei costi di produzione. Essendo i costi marginali bassi,
l’espansione internazionale è risultata vantaggiosa per Hollywood, portando a un
circolo virtuoso di incremento dei budget e attrattiva globale per film e serie TV,
rafforzando così la sua posizione di leadership.
Per i produttori di altri paesi, il percorso verso la competizione internazionale è più
difficile. Un mercato interno di piccole dimensioni aumenta il rischio e rende
difficile competere con le produzioni americane, che dispongono di risorse e
conoscenza approfondita dei mercati globali. Le tradizionali politiche di sostegno
europee hanno aiutato i produttori locali a sopravvivere, ma hanno fatto poco per
incentivare una maggiore propensione al rischio e all’innovazione. In questo
contesto, i servizi di Video on Demand (VOD) hanno aperto nuove possibilità,
offrendo alle produzioni nazionali a medio budget un accesso simultaneo a diversi
mercati, riducendo il rischio associato all'internazionalizzazione.
4- Gli effetti economici delle politiche pubbliche di protezione delle industrie
nazionali
Le politiche di protezione e sostegno all’industria cinematografica in Italia si
inseriscono in una tradizione europea di misure che, a partire dal secondo
dopoguerra, hanno mirato a preservare le produzioni nazionali dalla concorrenza
americana e a promuovere lo sviluppo di industrie audiovisive competitive. Queste
politiche includono obblighi di programmazione, quote d’importazione e
investimenti nella produzione nazionale, estesi anche ai servizi on-demand.
Sebbene finalizzati a obiettivi culturali e politici, questi strumenti agiscono
tecnicamente come barriere all’importazione, limitando l’offerta estera e spesso
provocando effetti indesiderati, come un calo della qualità del “production value” e
una minore capacità competitiva internazionale per i produttori locali.
In teoria, le politiche protezionistiche sono note per ridurre il benessere dei
consumatori attraverso l'aumento dei prezzi e la limitazione dell'offerta competitiva
estera. Tuttavia, nel contesto audiovisivo, la risposta dei consumatori è complessa:
limitare i contenuti esteri non garantisce un aumento di interesse verso i prodotti
nazionali, poiché questi non sono sostituti omogenei di quelli stranieri. In effetti, i
consumatori possono preferire i titoli esteri, confermando indirettamente la
necessità di protezioni per i prodotti nazionali. Questa protezione ha, dunque,
effetti limitati sulla crescita del settore nazionale, mentre gli effetti collaterali
negativi, come ridotta innovazione e propensione all’export, sono significativi.
Studi recenti hanno evidenziato come misure protezionistiche possano
paradossalmente ridurre la produzione locale. Katz e Juan (2020), analizzando un
ampio campione di 60 paesi, hanno osservato una diminuzione del 10% nella
produzione nazionale in presenza di quote imposte su servizi on-demand, indicando
che la produzione locale risente principalmente delle dinamiche di mercato e della
domanda interna. Le quote spesso incentivano contenuti mainstream, limitando
così la diversità dell’offerta. Un altro studio di Frontier Economics (2020) mostra
come le politiche restrittive riducano non solo le importazioni, ma anche le
esportazioni, incrementando i costi per l’industria nazionale e ostacolando
l'innovazione.
In parallelo, ricerche su altri media hanno indicato come le quote possano avere
effetti controproducenti: Kyle e Niuy (2017) hanno rilevato che le quote di musica
francese in radio hanno portato a una riduzione dell’ascolto durante le ore di punta,
mentre Crampes e Hollander (2008) hanno teorizzato che le quote televisive
possano, in certe condizioni, ridurre paradossalmente sia la produzione che
l’audience di programmi nazionali.
Mentre le politiche protezionistiche europee nell’audiovisivo sono giustificate
dall'importanza dell’identità culturale, esse devono bilanciarsi con la necessità di
innovazione e apertura al mercato globale per evitare di danneggiare a lungo
termine la competitività dell’industria nazionale.
4.1- Un caso interessante: la Corea del Sud
Il caso della Corea del Sud rappresenta un modello di successo di sviluppo
dell'industria audiovisiva nazionale che combina sostegno all’identità culturale con
un approccio non eccessivamente protezionistico. Prima del 1990, il mercato
cinematografico sudcoreano era di dimensioni ridotte, e la produzione nazionale
aveva un ruolo marginale. Tuttavia, con la riduzione delle barriere agli scambi
internazionali, un sistema di sussidi limitati ma ben mirati, e l’entrata di grandi
imprese coreane nel settore audiovisivo, la Corea ha stimolato una forte crescita del
settore, con effetti positivi sul mercato interno e sull'export.
Queste politiche hanno incentivato l'aumento della qualità e del budget medio delle
produzioni nazionali, riducendo il divario con gli standard internazionali. Il numero
di film prodotti si è leggermente ridotto, ma sono cresciuti sia i ricavi medi che il
numero di biglietti venduti per i film nazionali, un risultato particolarmente
evidente se confrontato con altri paesi. La strategia coreana ha dimostrato l'efficacia
di un equilibrio tra apertura internazionale e sostegno all'industria culturale,
valorizzando l'identità nazionale e promuovendo l’esportazione dei prodotti
audiovisivi coreani.
Questo approccio consente di valutare le politiche adottate attraverso indicatori
chiari, come la percentuale di consumo di prodotti nazionali e la quota di
esportazioni nei ricavi totali. L’esperienza della Corea del Sud evidenzia che, pur in
un percorso complesso, una combinazione di internazionalizzazione e sostegno
mirato può aiutare le industrie audiovisive a competere globalmente.
Negli ultimi anni, la Corea del Sud ha consolidato e sviluppato la propria
produzione di serie televisive, spinta anche dalla crescita delle piattaforme globali.
Il successo mondiale di Squid Game è un chiaro esempio della forza e vitalità
dell’industria audiovisiva coreana, che ha saputo sfruttare le nuove opportunità
offerte dalle piattaforme di streaming per raggiungere un pubblico internazionale.
Questo successo si inserisce in una strategia di politiche pubbliche che ha
incentivato l’espansione delle produzioni culturali nazionali. L’approccio adottato
dalla Corea ha portato risultati significativi anche nel settore musicale, dove il k-pop
è riuscito a imporsi globalmente con una proposta culturale originale, differenziata
dal mainstream musicale. Questo dimostra che una politica mirata può essere
determinante per la crescita e l’affermazione internazionale dei prodotti culturali,
purché sia ben calibrata e attenta ai dettagli per evitare effetti negativi imprevisti.
L’obiettivo di queste politiche è rafforzare l’industria nazionale, preservare l’identità
culturale, incrementare la quota di mercato interno dei prodotti nazionali e favorire
l’export.
5- Il disegno delle policies e i rischi possibili
Le politiche pubbliche destinate al settore audiovisivo devono essere progettate e
gestite da autorità che comprendano profondamente i meccanismi economici
dell’industria e gli incentivi degli operatori. Questo perché, data la complessità e la
flessibilità dei modelli di finanziamento e distribuzione, esiste il rischio che gli
interventi pubblici inducano le imprese verso soluzioni subottimali o che possano
essere sfruttati dai rent seekers, cioè da soggetti che cercano di trarre vantaggio
dalle politiche senza contribuire alla crescita dell'industria.
Un rischio significativo è che gli interventi riducano la propensione all'innovazione,
fondamentale per attrarre il pubblico e competere a livello internazionale. Per
supportare la crescita dell’industria audiovisiva nazionale e aumentarne le
esportazioni, è necessario incentivare la produzione di contenuti innovativi, capaci
di rispondere a temi universali e attrarre anche mercati esteri. Le politiche devono
quindi essere progettate per spingere gli operatori verso l’innovazione, evitando
distorsioni e inefficienze.
I supporti indiretti, come l’infrastruttura comune (studi, agenzie per l’export,
formazione del capitale umano), sembrano essere più efficaci rispetto agli interventi
che selezionano operatori specifici o producono discriminazioni fra diverse tipologie
di produzione. Inoltre, gli incentivi fiscali generali, che non selezionano i progetti,
sono generalmente più giustificabili rispetto a misure che interferiscono con la
scelta dei contenuti o dei soggetti produttivi. Questo perché nell'industria
audiovisiva, fortemente innovativa, le asimmetrie informative tra regolatori e
imprese sono elevate, rendendo difficile per il regolatore selezionare i progetti
giusti.
Molti paesi europei sembrano essere consapevoli di questi problemi e applicano
normative protezionistiche leggere, con poche regole generali, cercando di
interferire il meno possibile nelle scelte operative degli operatori. Ad esempio, in
Germania, i servizi lineari sono obbligati a trasmettere il 50% di opere europee, ma
non ci sono obblighi stringenti di investimento. Paesi come Spagna, Olanda,
Portogallo, Grecia e Polonia hanno obblighi di produzione europei relativamente
leggeri, con percentuali che variano tra il 1,5% e il 6%. Un’eccezione è la Francia,
che ha un approccio più interventista, con regolamenti dettagliati e un sistema di
sussidi che ha suscitato critiche per aver creato una polverizzazione del settore,
favorendo piccole case di produzione a scapito delle grandi. Inoltre, l’alta quota di
sussidi destinati alle produzioni nazionali (fino all’85% per il 20-25% del fatturato)
è stata considerata dalla Commissione Europea troppo elevata e discriminatoria
verso le altre produzioni europee. Anche in Francia, alcuni esperti hanno criticato
l'efficacia di questo sistema, suggerendo che la sua efficacia per promuovere
l’industria audiovisiva e gli obiettivi culturali sia discutibile.
6- Conclusioni
Le recenti misure promosse dalla Direttiva sui Servizi Media Audiovisivi (AVMS) si
inseriscono in un percorso di sostegno all’industria audiovisiva europea che dura da
decenni. Sebbene gli aiuti comunitari e nazionali abbiano permesso alle industrie
audiovisive nazionali di sopravvivere, gli obiettivi di creare un mercato comune
europeo e di sviluppare un’industria competitiva a livello globale sembrano ancora
lontani. Le politiche di difesa finora adottate sono principalmente protezionistiche,
ma si sono rivelate poco efficaci in un mercato caratterizzato da prodotti altamente
differenziati.
Storicamente, la strategia europea ha cercato di identificare un "cattivo" (ad
esempio, le televisioni, le televisioni a pagamento e più recentemente le piattaforme
SVOD) a cui affidare il compito di finanziare le produzioni nazionali, senza
focalizzarsi troppo sull’aumento dell'attrattività e sull’orientamento di mercato delle
stesse produzioni.
Tuttavia, il panorama dell'industria audiovisiva sta cambiando rapidamente,
soprattutto con le recenti innovazioni tecnologiche. Questo potrebbe suggerire una
necessità di evoluzione nelle politiche, orientandosi verso strumenti che supportano
non solo la sopravvivenza delle industrie nazionali, ma anche la loro competitività
sui mercati globali. Le industrie audiovisive europee hanno molto da guadagnare
dalla collaborazione con le nuove piattaforme digitali, ma per sfruttare appieno
questa opportunità, devono migliorare il loro orientamento al mercato, la capacità
di assumere rischi e l’attenzione verso i mercati internazionali.