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Tesi+ECONOMIA

La tesi esplora il modello di economia circolare come alternativa sostenibile all'economia lineare, evidenziando la necessità di un uso più razionale delle risorse naturali. Viene analizzato il contesto normativo europeo e italiano, i principi fondamentali dell'economia circolare e i modelli di business emergenti, con casi studio su aziende come IKEA e Barilla. L'obiettivo è promuovere un sistema economico che riduca gli sprechi e favorisca il riuso e il riciclo, migliorando l'efficienza e l'impatto ambientale delle attività produttive.
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La tesi esplora il modello di economia circolare come alternativa sostenibile all'economia lineare, evidenziando la necessità di un uso più razionale delle risorse naturali. Viene analizzato il contesto normativo europeo e italiano, i principi fondamentali dell'economia circolare e i modelli di business emergenti, con casi studio su aziende come IKEA e Barilla. L'obiettivo è promuovere un sistema economico che riduca gli sprechi e favorisca il riuso e il riciclo, migliorando l'efficienza e l'impatto ambientale delle attività produttive.
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UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE

FACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ”


_______________________________________________________________

Corso di Laurea Magistrale o Specialistica in Economia e Management

ECONOMIA CIRCOLARE

CIRCULAR ECONOMY

Relatore: Tesi di Laurea di:

Prof.ssa Camilla Mazzoli Algida Jongari

Anno Accademico 2020 – 2021


1
INDICE:

Introduzione………………………………………………………………...4

Capitolo 1 – Quadro generale dell’ economia circolare

1.1 Origine e definizione …………………………………………………………………6

1.2 I principi dell’economia circolare……………………………………………………9

1.3 Da un economia lineare ad un economia circolare…………………………………11

1.4 Benefici che porta l’economia circolare……………………………………………14

1.5 Costi , debolezze e minacce dell’economia circolare………………………………16

Capitolo 2 – Percorso normativo dell’economia circolare

2.1 politiche e normative ……………………………………………………………………18

2.2 lo scenario europeo………………………………………………………………………19

2.3 lo scenario italiano ………………………………………………………………………21

2.4 contesto internazionale …………………………………………………………………26

2.5 Piano d’azione UE per lo sviluppo della finanza sostenibile……………………………32

2.6 Tassonomia dell’UE……………………………………………………………………42

2
Capitolo 3 – l’economia circolare nelle imprese

3.1 Modelli di business circolari…………………………………………………………48

3.2 Fare economia circolare ………………………………………………………………54

3.3 Modello ideale e modello reale………………………………………………………58

3.4 Il ruolo del design nei modelli circolari………………………………………………60

3.5 Misurare l’economia circolare…………………………………………………………62

3.6 Il Life Cycle Assessment………………………………………………………………66

Capitolo 4 – Aziende alle prese con l’economia circolare

4.1 Origini dell’azienda IKEA……………………………………………………………74

4.2 Attitudine alla circolarità di IKEA……………………………………………………76

4.3 L’azienda Barilla……………………………………………………………………..82

Conclusioni ………………………………………………………………………………88

Bibliografia ………………………………………………..……………………………92

3
INTRODUZIONE

Il lavoro realizzato nasce con l’intento di parlare del modello economico, che punta al

miglioramento, nonché al superamento delle inefficienze del classico modello lineare, il sistema

in questione è il modello di Economia Circolare. Inizialmente si parlerà delle origini e delle

cause che stanno portando a questo cambiamento di modello economico. Il sovrasfruttamento

delle risorse naturali e l’aumento smisurato della popolazione stanno portando l’uomo a cercare

delle soluzioni alternative, c’è la necessità di un nuovo modello più sostenibile e razionale.

Successivamente, si passerà all’analisi dei principi su cui è fondata, gli obiettivi a cui sta

puntando, le principali differenze con il modello lineare. Vedremo un inquadramento normativo

europeo ed italiano e l’unione delle diverse scuole di pensiero che hanno portato alla formazione

della circular economy. Verrà analizzata la situazione attuale ed i vari punti critici da migliorare

per arrivare all’attuazione del modello. Seguirà una spiegazione della creazione di valore

all’interno dei cicli produttivi e verrà spiegato in che modo è possibile misurare la circolarità di

un prodotto o di un’impresa. Il capitolo continuerà parlando dei nuovi modelli di impresa che

stanno andando a formarsi per entrare a far parte dell’economia circolare. Non è però solo

importante il mutamento delle imprese, oltre la produzione serve un cambiamento anche per

quel che riguarda il modello di consumo. Nell’ ultimo capitolo verrà analizzato il caso

dell’azienda Ikea che è molto impegnata nella sostenibilità ambientale e tiene molto alla salute

del pianeta.

Negli ultimi anni il modello basato sull’economia circolare si è molto evoluto. Molti temi come

il reperimento sostenibile delle materie prime, la produzione e la progettazione ecologica, la

distribuzione e il consumo più sostenibili, sono diventati temi chiave per l’economia circolare.

4
In un futuro sempre più prossimo si cercherà di progettare e sviluppare sistemi di rigenerazione,

riuso e riparazione di beni in maniera sempre più efficiente con lo scopo di facilitare la

manutenzione dei prodotti e aumentarne la vita . Si proverà a far concepire agli operatori una

consapevolezza che i propri prodotti una volta utilizzati saranno destinati ad essere riparati e

riutilizzati.

5
CAPITOLO 1 - QUADRO GENERALE DELL’ECONOMIA CIRCOLARE

1.1 Origine e definizione

L'economia circolare prende spunto dai meccanismi che contraddistinguono i sistemi viventi e

assume che i sistemi economici debbano funzionare come organismi, in cui le sostanze nutrienti

sono elaborate e utilizzate, per poi essere reimmesse nel ciclo sia biologico che tecnico.

A causa dell’aumento demografico mondiale, della crescita di domanda di materie prime, negli

anni è venuto sempre più necessario il bisogno di un nuovo modello economico, basato su una

gestione delle risorse naturali più sostenibile e razionale. In questo momento stiamo usando le

risorse naturali molto più velocemente del tempo che gli ecosistemi impiegano per rigenerarsi.

In una situazione tale c’è bisogno di cambiare il modello economico e la circular economy

permette di passare da un semplice modello a ridotto impatto ambientale a un alternativo

modello economico più attraente, basato sulla creazione di valore economico, ambientale e più

positivo a livello sociale. C’è bisogno di un cambiamento a monte, dove bisogna migliorare la

gestione delle risorse naturali, aumentando la loro efficienza produttiva nei processi di

produzione e consumo, riducendo gli sprechi e cercando di mantenere il più alto possibile il

valore di prodotti e materiali. Anche a valle occorre evitare di far smaltire ciò che possiede

ancora una qualsiasi possibile utilità e anzi, cercare di recuperarlo e reintrodurlo nel sistema

economico. Questi due aspetti fondamentali rappresentano l’essenza dell’Economia Circolare

che punta a far diventare le attività economiche più efficienti e a meno impatto sull’ambiente

grazie all’innovazione tecnologica e ad una migliore gestione. La transizione verso un modello

economico basato sull’economia circolare che possa gestire in maniera più razionale ed

efficiente le risorse ha bisogno di un sistema di strumenti regolatori ed economici e la

6
sensibilizzazione di tutti i partecipanti al sistema sociale (imprese, pubblica amministrazione,

consumatori, associazioni).

La circular economy è quindi un sistema economico pianificato per il riuso dei materiali in cicli

produttivi successivi, riducendo gli sprechi al minimo. Un’economia con zero rifiuti, o quasi,

dove ogni prodotto viene consumato e smaltito senza lasciare scarti. L’idea che sta alla base

della Circular Economy è rappresentata dalla formula “Fare di più con meno”. Questo tipo di

economia non solo protegge l’ambiente e permette un risparmio sui costi di produzione e

gestione ma produce anche un utile. L’economia circolare mira a promuovere un uso più

appropriato e sostenibile delle risorse, al fine di conseguire un migliore equilibrio tra la sfera

economica, sociale e ambientale.

L’applicazione del concetto di Economia circolare ai sistemi economici odierni è ancora ad uno

stadio embrionale. Il concetto di economia circolare è difficilmente riconducibile ad una data

di nascita precisa o ad un autore specifico, trae origini negli anni ’60 e ’70 da discipline quali

l’Economia ecologica ed ambientale e l’Industria ecologica.

La fondazione Ellen MacArthur spiega le principali scuole di pensiero sviluppate nel corso

degli anni:

o CRADLE TO CRADLE: ogni materiale del processo produttivo e commerciale deve

continuare ad essere riutilizzato all’interno del proprio ciclo produttivo. I prodotti, una

volta reinseriti nel ciclo produttivo successivo possono perfino aumentare il proprio

valore. Il concetto di rifiuto viene eliminato. E’ una teoria che porta maggiore rispetto

all’ambiente e all’uomo basandosi soltanto sull’energia rinnovabile e preservando la

condizione degli ecosistemi .

7
o ECONOMIA DELLA PERFORMANCE: Questo approccio comprende 4 scopi

principali: allungare il ciclo di vita dei prodotti, creare prodotti di valore che durino nel

tempo, fare azioni di rinnovamento dei prodotti e minimizzare gli sprechi.

o BIOMIMICRY: (biomimesi) è lo studio dei processi della natura, biologici e

biomeccanici, utili a trovare ispirazione per migliorare le attività e tecnologie umane.

La natura rappresenta un modello per la progettazione di oggetti e manufatti tecnici utili

a risolvere i problemi degli esseri umani. Si basa su 3 princìpi: Nature as Model, lo

studio e l’emulazione della natura; Nature as Measure, l’uso di uno standard ecologico

per la valutazione della sostenibilità delle nostre innovazioni; Nature as Mentor, la

valutazione della natura per capire cosa poter apprendere da essa e non cosa poterne

ricavare.

o ECOLOGIA INDUSTRIALE: è lo studio del sistema industriale inteso in senso ampio

(sistema produttivo, sociale e culturale) visto nel contesto dell’ambiente. E’ considerata

scienza della sostenibilità, si basa sulla considerazione dei rifiuti come l’input da cui

partire per attuare un piano industriale che possa sfruttare l’ambiente e al tempo stesso

rispettarlo.

o CAPITALISMO NATURALE: si riferisce a tutte le cose viventi che formano gli asset

naturali. E’ basato su 4 punti principali: massimizzare la produttività delle risorse

naturali, attrezzarsi con modelli e materiali di produzione di natura biologica, creare un

sistema che garantisce una serie di servizi e reinvestire sul capitale naturale.

o ECONOMIA BLU, cerca di utilizzare le risorse disponibili in un sistema a cascata dove

il rifiuto di un prodotto diventa l’input per iniziare un nuovo sistema a cascata. Il rifiuto

iniziale non viene utilizzato per tornare all’inizio del suo ciclo ma viene utilizzato per

produrre qualcos’altro, e i rifiuti di questo nuovo prodotto a sua volta verranno utilizzati

per produrre un altro prodotto ancora.

8
o DESIGN RIGENERATIVO: considerato la cornice dell’economia circolare. Un

sistema produttivo che rigeneri prodotti e risorse in tutti i comparti produttivi prendendo

spunto dall’agricoltura che già lo faceva.

1.2 I principi dell’economia circolare.

Figura 1

L’economia circolare, basandosi sulla definizione data dalla Ellen MacArthur Foundation, si

tratta di un modello ripensato radicalmente rispetto al modello di produzione classico che si

basa sul massimo sfruttamento delle risorse naturali ed è volto all’obiettivo di massimizzare il

profitto attraverso la riduzione dei costi di produzione. Un’impostazione circolare volge alla

revisione di tutte le fasi della produzione.

L’Economia Circolare si basa sui Principi delle tre “R”: Ridurre, Riusare, Riciclare, che

corrispondono a tre azioni da implementare:

9
➢ Ridurre: produrre e consumare usando la minore quantità possibile d’input (energia e

materie prime), e limitando l’emissione di output nocivi per l’ambiente, al fine di

aumentare l’efficienza del sistema economico. Questo primo principio presta attenzione

all’importanza di evitare esternalità negative come inquinamento dell’aria, dell’acqua,

acustico e il rilascio di sostanze tossiche. Queste esternalità creano seri danni

all’ambiente e scoraggiano l’efficacia del sistema economico.

➢ Riutilizzare i prodotti dopo che sono già stati immessi nel mercato, “consumati” e

dismessi, per lo stesso scopo per il quale sono stati progettati, evitando che possano

trasformarsi in rifiuti pericolosi. Il sistema, deve decidere quali risorse utilizzare e deve

preferire i migliori processi e tecnologie che utilizzano risorse rinnovabili bilanciandone

il flusso.

➢ Riciclare: usare più volte un prodotto o parte di esso, recuperando materiali di scarto

da rielaborare in prodotti o sostanze, mantenendo lo scopo originale o attribuendone

altri. Questo principio parla della differenza tra cicli biologici e tecnici. I cicli biologici

gestiscono tutti i nutrienti rinnovabili che devono essere reintegrati nella biosfera in

modo che con la decomposizione tornino ad essere materia prima per altri cicli

successivi. I cicli tecnici invece gestiscono tutti i materiali non rinnovabili che non

possono essere reimmessi nella biosfera e che devono quindi essere progettati per

circolare il più a lungo possibile, non necessariamente soltanto tramite riciclo. Così

facendo non si progetta soltanto per riciclare ma anche per ristrutturare e rigenerare.

Il riutilizzo comporta maggiori benefici ambientali rispetto al riciclo perché necessita di meno

risorse, energia e lavoro, inoltre la sua diffusione genera un ciclo virtuoso, tale che, a un

aumento della domanda di prodotti riutilizzabili, corrisponde un’offerta incentivata a progettare

beni durevoli per più cicli.

10
Il riciclo rappresenta la soluzione meno sostenibile tra le tre, sia in termini di efficienza sia di

profittabilità perchè è limitato dalle componenti stesse di cui è fatto un prodotto, che possono

non essere riciclabili o esserlo fino a un certo numero di volte.

1.3 Da un economia lineare ad una economia circolare

Figura 2

Negli ultimi due decenni, l’Economia Circolare ha acquisito una rilevanza crescente in tutto il

mondo, come valida alternativa per superare i problemi del prevalente modello economico di

tipo lineare, basato sul concetto neoclassico di produzione e consumo, pur avendo generato un

livello di crescita senza precedenti a partire dalla Rivoluzione Industriale, si è rilevato fonte di

instabilità e inefficienza sia sul piano socio-economico che ambientale.

11
Nelle economie agricole antecedenti la rivoluzione industriale veniva riutilizzata o riciclata

qualsiasi cosa potesse essere riconvertita. Successivamente si attuò un sistema economico che

si fondava sullo sfruttamento immediato, i beni avevano un ciclo di vita abbreviato che divenne

un ciclo lineare. L’economia odierna è basata sull’approccio lineare (prendi, produci, usa e

getta). Si parla di “lineare” in quanto una volta terminato il consumo termina anche il ciclo del

prodotto che diventa un rifiuto. I prodotti sono pensati per rispondere ad un solo bisogno e la

diversificazione sembra essere più importante del bisogno stesso. I beni vengono acquistati,

usati e gettati di continuo invece di essere riparati o riusati. Questo a livello ambientale ed

economico è insostenibile per via delle materie prime e delle energie limitate, ma anche per la

volatilità del prezzo delle materie prime e dei rischi che ne comporta. Nell’ecosistema naturale

non esistono discariche, tutto quello che è scarto per una specie è un alimento per un’altra

specie. Il ciclo ricomincia da capo ogni volta. Questo modello naturale funziona da millenni in

maniera impeccabile, ed è proprio a questa tipologia di economia che si sta cercando di ispirarsi.

Se si desidera essere competitivi bisogna trarre il massimo dalle risorse, reimmettendole

all’interno del ciclo di produzione invece di gettarle in discarica e facendole diventare rifiuti.

Negli ultimi anni, nel mondo, diverse multinazionali stanno avviando piani diretti ad

un’economia circolare.

In un’economia circolare i flussi , di materiali sono di due tipi: biologici cioè possono essere

reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici che son rivalorizzati senza entrare nella biosfera”.

Immaginiamo di progettare prodotti che dopo averli usati riconsegno i materiali di cui sono

formati a chi li ha prodotti e restituire all’ambiente le parti biologiche. A questo si aggiunga

l’ipotesi che questi prodotti siano creati e trasportati utilizzando solo energie rinnovabili e

pulite. Un sistema perfetto di economia circolare dovrebbe funzionare così. Per quanto riguarda

i rifiuti biologici dovremmo iniziare a riprogettare i prodotti nelle loro parti e nelle loro

confezioni, usando materiali sicuri e compostabili che possano aiutare le piante a crescere

12
meglio. Quando invece si parla di materiali tecnici ci si riferisce a prodotti non costruiti con

materiali biodegradabili, qui avviene un recupero di un altro tipo, un sistema capace di riciclare

metalli, leghe, in maniera che continuino a mantenere le loro qualità e che possano essere ancora

utili oltre il loro progetto di utilizzo originale. Così facendo i prodotti dei giorni nostri

potrebbero diventare le risorse del domani. Con il termine “circolare” si indica appunto questo

flusso continuo che prevede un sistema basato sul prendi, produci, usa e riusa o ricicla. Una

strategia tale comporta un passaggio da una gestione dei rifiuti “cradle to grave” (dalla culla

alla tomba) ad una gestione “cradle to cradle” (dalla culla alla culla) con una diminuzione di

produzione di rifiuti grazie all’eco-innovazione e all’utilizzo di nuovi modelli di business . Una

concezione che farebbe bene all’ambiente, alla società e all’economia. Un tipo di economia

strettamente legato a quella circolare è la “Green Economy”, che si basa su un’efficiente uso

delle risorse, su una produzione di beni pulita e sicura e sul ridimensionamento

dell’inquinamento. La green economy può quindi considerarsi anche circolare in quanto l’uso

efficiente delle risorse è strettamente correlato alla minimizzazione degli scarti e alla loro

trasformazione in nuove materie prime. In un’economia circolare prendono sempre più piede

concetti come eco-design, riparazione, riuso, manutenzione, condivisione dei prodotti,

ricostruzione, prevenzione della produzione di rifiuti e loro riciclaggio. Il modello

dell’economia circolare non è solo di approccio ambientale o etico, può anche, favorire

l’innovazione che dia un vantaggio competitivo e una maggiore protezione per persone e

ambiente di cui l’Europa possa andare fiera, offrendo contemporaneamente ai consumatori beni

più durevoli nel tempo e innovativi, che possano creare risparmi e migliorare la qualità della

vita. Inoltre, con la riduzione dell’utilizzo delle risorse non rinnovabili, l’economia circolare, è

uno dei modelli strategicamente più efficace per combattere le calamità ambientali come la lotta

all’inquinamento atmosferico, il surriscaldamento globale, i rifiuti terrestri e marini e la tutela

della biodiversità.

13
1.4 Benefici che porta l’economia circolare

La fondazione Ellen MacArthur rivela che, l'Economia Circolare sarà in grado di apportare in

Europa benefici diretti: beneficio economico, risparmio sui costi delle materie prime, aumento

del Pil, incrementare la produttività annua delle risorse. Inoltre genera, effetti positivi indiretti,

quali, flusso di innovazioni e un aumento di occupazione nei settori chiave dell’economia,

conducendo l’Europa verso una maggiore competitività nel mercato globale. L’Economia

Circolare ha bisogno di molta manodopera in diversi settori, per esempio dove è necessario

l’uso intensivo della tecnologia, che comporta lo smontaggio delle apparecchiature e un

complesso processo di riciclo e riuso, ugualmente nel processo di raccolta e riciclaggio dei

rifiuti urbani. Questi professionisti necessitano di una formazione specifica e capacità operative

avanzate. Il Circular Economy Network (2018), promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo

Sostenibile dell’Economia Circolare in Italia, stima un aumento dell’occupazione in Italia di

almeno 50.000 nuovi posti di lavoro, per la gestione dei rifiuti e nel settore delle riparazioni,

qualora le imprese italiane si adeguassero agli standard di quelle francesi, tedesche o spagnole.

Le opportunità sono i fattori dell’ambiente esterno, in grado di produrre conseguenze positive

sull’implementazione del modello dell’Economia Circolare. La scarsità delle materie prime e

il loro prezzo più elevato e volatile limitano l’uso del modello di produzione lineare e un

incentivano quello circolare in cui le merci di oggi sono le risorse di domani. Le nuove

tecnologie dell’informazione tracciano il materiale attraverso la catena di approvvigionamento

per identificare i prodotti, i componenti e lo stato di conservazione, manutenzione ed usura del

prodotto durante l’uso. I Social Network favoriscono la diffusione di una nuova cultura fondata

sulla condivisione, sul riuso e sulla responsabilità nella produzione e nelle pratiche

commerciali. Le nuove programmazioni a livello internazionale, in particolare a livello europeo

promuovono il cambiamento verso un nuovo modello di sviluppo.


14
I punti di forza sono i fattori interni che generano miglioramenti e vantaggi in termini

d’implementazione e facilitano i processi che conducano a risultati tangibili. L’Economia

Circolare preserva e rafforza il Capitale Naturale, incentivando l’uso delle energie rinnovabili,

eliminando l’uso di composti chimici tossici e riducendo la produzione di rifiuti. La Vision e la

Mission dell’ Economia Circolare sono incentrate su un Codice etico, che, promuovendo

responsabilità sociale, economica e ambientale, risponde alle esigenze delle nuove generazioni,

sensibili a un agire economico centrato sulla sostenibilità. L’Economia Circolare offre alle

aziende localizzate in un territorio la possibilità di lavorare in rete, promuove la simbiosi

industriale fondata sullo scambio, condivisione e la gestione congiunta delle risorse. Cosi si

hanno vantaggi ambientali, perché ciò che è un rifiuto per un’azienda diventa input per un’altra,

e vantaggi economici con riduzione dei costi di transizione e la possibilità di creare nuove

opportunità di business. L’Economia Circolare, grazie al riutilizzo, ricondizionamento dei

prodotti, alla rigenerazione dei componenti, al riciclo e al recupero di energia, offre il vantaggio

di risparmiare sul costo netto dei materiali e la diminuzione dei volumi dei materiali e prodotti

comporta una diminuzione delle esternalità negative. Un aumento della produttività dei

materiali corrisponde ad un impatto positivo sullo sviluppo economico. La circolarità è un

nuovo modo di pensare, capace di accendere soluzioni creative e stimolare l’innovazione.

Riducendo la dipendenza verso il mercato delle risorse, diminuisce il rischio di esporsi agli

shock dei loro prezzi e i costi delle esternalità.

L’Economia Circolare offre nuovi modelli di business in grado di ottenere vantaggio

competitivo crescente, perché capaci di creare più valore da ogni unità di risorsa.

15
1.5 Costi, debolezze e minacce dell’economia circolare

Il modello dell’Economia Circolare comporta notevoli costi di transizione nell’ambito della

ricerca e sviluppo, nel settore degli investimenti da parte delle aziende per implementare i nuovi

cicli di produzione e nelle nuove infrastrutture digitali. Sono quindi da considerare ostacoli i

costi di transazione che devono essere affrontati per consentire il passaggio verso il modello

dell’Economia Circolare. Essi includono investimenti in immobili, nuove infrastrutture digitali,

R&D, marketing per promuovere i nuovi prodotti.

Le minacce sono fattori dell’ambiente esterno, in grado di produrre conseguenze negative

sull’implementazione del modello economico dell’Economia Circolare. Vanno monitorate e

analizzate per contenere i danni derivanti da esse. La barriera più difficile da superare è la

difficoltà a rompere abitudini radicate a livello di governance e dei consumatori. Vi è ancora,

a tutti i livelli, un’incompleta consapevolezza e conoscenza delle opportunità di risparmio,

riutilizzo, recupero e riciclaggio e una difficoltà nel coinvolgere partner che possano supportare

le aziende per ottimizzare l’uso delle risorse. A ciò si aggiungono un eccesso di burocrazia,

difficoltà a soddisfare specifiche tecniche e regolamenti, mancanza di esperienza e carenza di

competenza .

Le aziende italiane, in particolare le PMI, hanno difficoltà ad accedere al credito per sostenere

i nuovi investimenti necessari per trasformare l’economia in senso sostenibile e la mancata

attribuzione di un prezzo alle esternalità ambientali negative non consente di rovesciare il

rapporto rischio/rendimento di un’operazione finanziaria in termini di sostenibilità.

Ulteriori ostacoli allo sviluppo dell’Economia Circolare in Italia sono una crescita della

domanda dei prodotti riciclati più lenta dell’offerta e la mancanza di uno sbocco adeguato per

la gestione degli scarti che le aziende producono. Vi sono quindi diverse barriere che possono

ostacolare il cammino verso un’Economia Circolare alcuni ostacoli possono svanire da soli

16
con il tempo; altri, invece, potrebbero richiedere nuovi quadri specifici, in termini di corporate

governance, collaborazione, tecnologia o regolamentazione. Sarà quindi necessario

intensificare l’istruzione riguardante il nuovo modello economico, favorire l’innovazione,

modificare le regole e le linee guida in campo ambientale, soprattutto per ridurre le esternalità.

Le debolezze che ostacolano la realizzazione del modello dell’economia circolare, sono

rappresentate da tutti quei fattori interni che generano peggioramenti e svantaggi in termini

d’implementazione e che complicano i processi che conducono a risultati tangibili. Un grosso

limite dell’Economia Circolare è rappresentato dall’effettiva possibilità di riciclo cioè le risorse

non rinnovabili possono essere non riciclabili; anche nel caso di risorse riciclabili, vi sono dei

limiti al riciclaggio dettati dalla richiesta di grandi quantità di energia che è a sua volta causa

di un elevato prezzo di alcune materie prime secondarie. Alcuni limiti biofisici e termodinamici,

propri dei sistemi tecnologici e degli ecosistemi, sono imposti dalla scarsa quantità delle risorse

non rinnovabili e dalla capacità di carico e rigenerazione dei rifiuti e d’inquinanti della natura,

senza che si realizzino danni al Capitale Naturale.

17
CAPITOLO 2 - PERCORSO NORMATIVO DELL’ECONOMIA CIRCOLARE

2.1 politiche e normative

L’economia circolare richiede un ampio sostegno politico sul piano europeo, nazionale,

regionale ed internazionale poiché le catene di fornitura si estendono su scala globale.

Comprendere rapidamente le opportunità dell’economia circolare e affrontarne le sfide

dipende dal sostegno diffuso della società. È essenziale coinvolgere le ONG, le

organizzazioni di imprese e di consumatori, i sindacati, il mondo scolastico e

universitario, gli istituti di ricerca e le altre parti interessate, a tutti i livelli di governo.

Nella transizione verso un’economia circolare, questi soggetti possono operare come

soggetti facilitatori. È necessario un intervento anche per comunicare alle persone nella

vita di ogni giorno (sul luogo di lavoro, nelle scuole, fra le comunità locali) le idee e i

benefici dell’economia circolare. Le reti di socializzazione (social networks) e i mezzi

di comunicazione digitale possono convogliare parecchi consumatori verso i nuovi

prodotti e servizi circolari. Adesso la transizione verso l’economia circolare è sostenuta

da un numero sempre maggiore di politiche e iniziative. Tuttavia, persistono ancora

delle specifiche barriere politiche, sociali, economiche e tecnologiche, ad una

accettazione e realizzazione pratica dell’economia circolare.

Alle imprese mancano spesso la consapevolezza, le conoscenze o la capacità di mettere

in pratica le soluzioni dell’economia circolare. I sistemi, le infrastrutture, i modelli

economici e la tecnologia di oggi possono bloccare l’economia in un modello lineare

perché gli investimenti nelle misure di miglioramento dell’efficienza o nei modelli

imprenditoriali innovativi restano insufficienti, in quanto percepiti come rischiosi e

complessi. Inoltre la domanda di prodotti e servizi sostenibili può continuare a essere

18
bassa, in particolare se questi implicano modifiche dei comportamenti e perché spesso

i prezzi non rispecchiano il vero costo dell’uso di risorse ed energia per la società. Infine

i segnali politici per la transizione verso un’economia circolare non sono abbastanza

forti e coerenti perciò persistono queste barriere.

Perciò il cambiamento è già in atto ma deve passare attraverso una revisione normativa

che aiuti a semplificare il processo di attuazione e cerchi di migliorarne la coerenza.

Inoltre serve la collaborazione di tutti gli attori della circular economy (governi,

pubbliche amministrazioni, imprese, istituti di ricerca, consumatori) per favorire

l’innovazione, il trasferimento di tecnologie e la competitività dei settori industriali.

2.2 lo scenario europeo

Il modello di economia circolare è la risposta proattiva alla crisi del sistema economico lineare,

spesso inefficiente e costoso, che si affida esclusivamente sullo sfruttamento delle poche risorse

per soddisfare molti bisogni dei consumatori. È evidente però che per promuovere la transizione

da un modello lineare ad uno circolare occorrono politiche ambiziose, supportate da un quadro

legislativo chiaro in grado di dare i giusti segnali agli investitori.

In Europa ci stiamo abituando a sentir parlare sempre di più di economia circolare. Nel nostro

continente si punta molto al settore “verde”, più specificatamente sul riciclaggio di rifiuti e

risorse.

I progetti legati all’economia circolare sono sostenuti dai Fondi europei.

La Commissione europea lavora per un quadro di agevolazione dell’economia circolare che

abbini regolamentazione, ricerca e innovazione, incentivi, scambio di informazioni e il sostegno

19
agli approcci su base volontaria nei settori chiave. Per riunire tali elementi e collegarli

all’agenda per l’efficienza nell’impiego delle risorse, l’UE ha fissato un obiettivo che

garantisca un aumento della produttività delle risorse di ben più del 30 % entro il 2030. Il

passaggio ad un’economia circolare è un elemento fondamentale della visione definita dall’UE

e dai suoi Stati membri nel 7° programma d’azione per l’ambiente: “La nostra prosperità e il

nostro ambiente sano, sono frutto di un’economia circolare innovativa, dove nulla si spreca,

dove le risorse naturali sono gestite in modo sostenibile e dove si tutela, si apprezza e si

ripristina la biodiversità con modalità che migliorano la tenuta della nostra società”.

La transizione verso un’economia circolare per un uso efficiente delle risorse è tra le priorità

dell’agenda europea, stabilita nell’ambito della strategia Europea Horizon 2020.

Recentemente, dal Consiglio, dalla Commissione e dal Parlamento Europeo, è stato approvato

un pacchetto di direttive sui rifiuti e sull’economia circolare. La Commissione Europea, in

corrispondenza della prevista revisione della legislazione europea sui rifiuti, ha elaborato un

pacchetto di misure che si pongono l’obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti e di promuovere

una più generale transizione verso un’economia circolare.

Tali misure sono contenute nella Comunicazione “Verso un’economia circolare: programma

per un’Europa a zero rifiuti“ che ha stimolato l’ingresso della tematica nel dibattito pubblico

europeo.

La commissione europea ha chiesto ai Paesi membri che riciclino almeno il 65% dei rifiuti

urbani e l’80% di quelli da imballaggio, ha vietato di gettare in discarica rifiuti biodegradabili

e riciclabili, ha richiesto una diminuzione del 50% degli sprechi di cibo e un aumento della

responsabilità dei produttori. Le norme dovrebbero essere pienamente in vigore tra il 2030 e il

2035 per dare tempo ai Paesi membri di potersi adeguare, inoltre l’UE fornirà diversi incentivi

per spingere ed aiutare ulteriormente i membri dell’Unione. La ricerca dell’eliminazione degli

20
scarti e l’ottimizzazione dei processi produttivi non porterà soltanto l’economia verso una

crescita sostenibile ma creerà nuovi posti di lavoro, creerà sfide competitive per le aziende ma

soprattutto porterà ad un aumento del PIL.

Il pacchetto di norme fa una previsione sugli obiettivi richiesti, presume che il riciclo di rifiuti

urbani possa alzarsi al 55% nel 2025, al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Verrà rafforzata la

responsabilità estesa dei produttori che dovranno assicurare le percentuali di riciclo, la

copertura dei costi per la raccolta differenziata, i costi di informazione, di raccolta e

comunicazione di dati riguardanti la gestione di rifiuti dei loro prodotti. Un’altra norma prevede

che lo smaltimento dei rifiuti urbani gettati in discarica non debba superare il 10% del totale

dei rifiuti urbani prodotti. Infine entro il 2025 lo spreco alimentare deve ridursi del 30%, mentre

per il 2030 deve essere inferiore a quello odierno del 50%.

Figura 3

21
Un nuovo passo avanti è stato fatto il 2 dicembre 2015 con la Comunicazione “L’anello

mancante: un piano d’azione europeo per l’economia circolare“, documento che ha iniziato ad

analizzare l’interdipendenza di tutti i processi della catena del valore: dall’estrazione delle

materie prime alla progettazione dei prodotti, dalla produzione alla distribuzione, dal consumo

al riuso e riciclo. Si tratta di un articolato pacchetto di misure che comprende l’elaborazione e/o

la revisione di alcune proposte legislative, nonché un piano d’azione generale corredato da

un allegato in cui è indicata la tempistica prevista per ogni azione.

Il piano d’azione individua misure chiave e aree specifiche di intervento tra cui: la progettazione

ecologica, lo sviluppo dei mercati delle materie prime secondarie, l’adozione di modelli di

consumo più sostenibili, la gestione dei rifiuti.

Le misure come la migliore progettazione ecocompatibile, la prevenzione e il riutilizzo dei

rifiuti possono generare, in tutta l’UE, risparmi netti per le imprese fino a 604 miliardi di euro,

ovvero l’8 % del fatturato annuo, riducendo al tempo stesso le emissioni totali annue di gas a

effetto serra del 2-4 %. In generale, attuare misure aggiuntive per aumentare la produttività

delle risorse del 30 % entro il 2030 potrebbe far salire il PIL quasi dell’1 % e creare oltre 2

milioni di posti di lavoro rispetto a uno scenario economico abituale. I cittadini europei sono

convinti dell’esistenza di un solido collegamento positivo fra la crescita, l’occupazione e

l’efficienza nell’impiego delle risorse. Un recente sondaggio Eurobarometro ha svelato che una

forte maggioranza di persone pensa che l’impatto di un impiego delle risorse più efficiente

produrrebbe un effetto positivo sulla qualità della vita nel loro paese, sulla crescita economica,

e sulle opportunità di lavoro.

22
2.3 lo scenario italiano

La legislazione italiana radica i propri principi in materia di economia circolare in quella che è

la normativa inerente ai rifiuti. Il 2 febbraio del 2016, è entrato in vigore il Collegato

Ambientale contenente disposizioni in materia di normativa ambientale per promuovere la

green economy e lo sviluppo sostenibile. Esso ha permesso che i principi dell’economia

circolare entrassero a far parte dell’ordinamento Italiano. Il documento agisce con ampio raggio

su tutto ciò che riguarda l’ambiente, dalla gestione dei rifiuti fino alla mobilità sostenibile.

Negli ultimi anni, in Italia, la sensibilizzazione verso il fronte rifiuti è cresciuta molto.

Il 26 settembre 2020 entra in vigore il d.lgs. 116/2020 – “Decreto Rifiuti” – che recepisce in un

unico decreto due delle quattro direttive europee (la 2018/851 e la 2018/852) contenute nel

“Pacchetto Economia Circolare”.

Sul piano normativo, con il d.lgs. 116/2020 vengono recepite le prime due direttive europee che

riguardano i rifiuti, gli imballaggi e i rifiuti di imballaggio e sono questi, gli ambiti sui quali

vengono apportate le principali trasformazioni dell’ordinamento attuale. Con questo decreto

viene modificata in modo sostanziale la parte quarta del d.lgs n.152/2006, ovvero il cosiddetto

TUA (Testo Unico Ambientale) e a questo nuovo testo saranno tenuti ad adeguarsi tutti i

soggetti pubblici e privati che producono, trasportano e trattano i rifiuti. Le novità sono molte

ed impattano e cambiano sia l’economia strettamente connessa al mercato dei rifiuti, che in

generale l’approccio economico di ogni singolo stato, con scenari oggi in corso di definizione

ma che saranno positivi per la crescita economica dell’Eurozona e dell’Italia.

La prima sostanziale trasformazione riguarda l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani

quando essi siano "simili per natura e composizione ai rifiuti domestici".

23
La Direttiva Europea chiedeva, che i rifiuti urbani e quelli industriali, quando sono simili,

fossero considerati assimilabili al fine del conteggio generale del materiale riciclato. Dunque,

nella percentuale di rifiuti che, l’Italia dovrà destinare al riciclo potranno essere considerati sia

i rifiuti urbani che quelli industriali. Perciò i rifiuti speciali e quelli urbani, quando sono simili,

saranno conteggiati allo stesso modo e contribuiranno entrambi al raggiungimento degli

obiettivi di riciclo nazionale definiti dalla comunità europea. Il comma 2 bis dell’art. 198 del

D.Lgs. 152/06 ribadisce che le aziende non sono obbligate a scegliere il gestore pubblico per

la gestione dei rifiuti da loro prodotti, ma dovranno solo comprovare di aver avviato i rifiuti al

recupero tramite attestazione rilasciata, dal gestore scelto.Quindi le aziende che scelgono un

operatore privato per la gestione dei propri rifiuti saranno detassate in proporzione a quanti

rifiuti avviano al recupero tramite l’operatore scelto. Le aziende potranno comunque avvalersi

degli operatori pubblici ma saranno vincolate a questo operatore per i successivi 5 anni, senza

possibilità di recesso ed eventuale passaggio ad una gestione tramite operatore privato. Per i

meccanismi di tracciabilità dei rifiuti vi è il nuovo registro elettronico dei rifiuti, il Rentri, che

sostituisce il Sistri. In attesa che il nuovo registro elettronico sia operativo, il decreto stabilisce

le modalità di compilazione dei registri di carico e scarico, riporta in maniera più estesa l'elenco

dei soggetti obbligati ed esonerati, conferma le tempistiche delle annotazioni e modifica la

tempistica per la conservazione dei registri da cinque a tre anni.

La Responsabilità estesa del produttore del bene, nasce dal principio secondo il quale

l’inquinamento ha un costo che deve essere sostenuto dal soggetto che produce il bene

inquinante. L’Unione Europea basa le sue politiche di raccolta differenziata coinvolgendo in

maniera diretta dal punto di vista finanziario e organizzativo i produttori e distributori dei beni.

Questo approccio ha la finalità di stimolare l’internalizzazione dei costi del fine vita

includendoli nel prezzo del prodotto ed incentivare i produttori, al momento della progettazione

dei loro prodotti, a tenere conto in maggior misura della riciclabilità, della riutilizzabilità e della
24
riparabilità. Questo principio veniva esposto a suo tempo nella direttiva europea n. 98 del 2008

sui rifiuti e la direttiva europea 2018/851 (una delle quattro del Pacchetto Economia Circolare)

lo rafforza, stabilendo che la responsabilità del produttore debba essere estesa anche ai beni

durevoli.

Importanti aziende italiane già impegnate nell’economia circolare si sono riunite e hanno

formato un’Alleanza economica che ha come obiettivo il rafforzamento dell’impegno al

miglioramento dell’innovazione, la competitività e le azioni ambientali delle aziende made in

Italy. Il Documento di Posizionamento Strategico Nazionale dei ministeri dell’Ambiente e

dello Sviluppo Economico è un importante atto per la strategia nazionale per lo sviluppo

sostenibile. Con questo documento si definiscono gli obiettivi per i modelli di produzione e

consumo sostenibili e sull’uso delle risorse in modo efficiente. L’Italia conserva tra le

principali economie dell’Unione europea la medaglia d’oro per l’economia circolare ma questo

primato è a rischio. Nella produzione circolare il nostro Paese ottiene 26 punti, con un distacco

di 5 punti dalla Francia. Rispetto al 2020 l’Italia è stabile al primo posto ma senza miglioramenti

significativi, al contrario, la Francia nello stesso periodo cresce di 1 punto.

Figura 4

25
Il primo febbraio 2018 dall’unione di FISE (Federazione Imprese di Servizi) e UNIRE (Unione

Imprese del Recupero) nasce Unicircular (Unione delle Imprese dell’Economia Circolare).

Unicircular nasce con l’obiettivo di far crescere la “cultura circolare” e si propone come punto

di riferimento per tutte le imprese che sono interessate al modello di economia circolare con

l’intento di aiutarle nel loro percorso rappresentando le loro esigenze con le istituzioni e

diventando luogo di confronto.

2.4 contesto internazionale

L’Unione europea si candida al ruolo di capofila globale nella transizione verso l’economia

circolare. La Commissione nel Circular Economy Action Plan scrive: "gli sforzi dell'UE

possono essere coronati da successo soltanto se trainano anche la transizione globale verso

un'economia giusta, a impatto climatico zero, efficiente sotto il profilo delle risorse e circolare.

Vi è una crescente necessità di portare avanti il dibattito sulla definizione di uno "spazio

operativo sicuro" per far sì che l'uso delle diverse risorse naturali non superi determinate soglie

a livello locale, regionale o globale e che l'impatto ambientale rimanga entro limiti che il nostro

pianeta può sostenere.” Perciò nasce la proposta di un’alleanza mondiale finalizzata ad

individuare le lacune in termini di conoscenze e di governance per promuovere un’economia

circolare globale e portare avanti iniziative di partenariato, anche con le grandi economie.

Per i paesi con una prospettiva di adesione all'UE e le economie emergenti, i nuovi modelli

sostenibili apriranno nuove opportunità commerciali e occupazionali, rafforzando nel contempo

i legami con gli attori economici europei .

Per sostenere la transizione globale a un'economia circolare, la Commissione europea intende:

26
o guidare gli sforzi a livello internazionale per raggiungere un accordo globale sulla

plastica e promuovere l'adozione dell'approccio dell'UE in materia di economia

circolare sulla plastica;

o proporre un'alleanza mondiale per l'economia circolare finalizzata a individuare le

lacune in termini di conoscenze e di governance per promuovere un'economia circolare

globale e portare avanti iniziative di partenariato, anche con le grandi economie;

o esaminare la fattibilità di definire uno "spazio operativo sicuro" per l'uso delle risorse

naturali e prendere in considerazione l'avvio di un dibattito su un accordo internazionale

sulla gestione delle risorse naturali;

o costruire un partenariato con l'Africa rafforzato per massimizzare i benefici della

transizione verde e dell'economia circolare;

o assicurare che gli accordi di libero scambio rispecchino gli obiettivi rafforzati

dell'economia circolare;

o continuare a promuovere l'economia circolare nel processo di adesione dei Balcani

occidentali e nel contesto dei dialoghi politici, dei consessi e degli accordi ambientali a

livello bilaterale, regionale e multilaterale, nonché nel quadro dell'assistenza

preadesione e dei programmi di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale,

incluso della piattaforma internazionale sulla finanza sostenibile;

o intensificare le attività di sensibilizzazione, anche attraverso la diplomazia europea nel

quadro del Green Deal e le missioni sull'economia circolare, e collaborare con gli Stati

membri dell'UE per rafforzare il coordinamento e gli sforzi congiunti a favore di

un'economia circolare globale.

La transizione verso un’economia efficiente nell’uso delle risorse, con basse emissioni di

sostanze nocive e resiliente ai cambiamenti climatici costituisce la rinnovata sfida a livello

27
mondiale per raggiungere una crescita sostenibile. Con una popolazione mondiale di più di 9

miliardi di persone prevista per il 2050 e la rapida crescita economica dei paesi in via di

sviluppo, la domanda di risorse naturali, in particolare di materie prime, si prevede che

continuerà a crescere in maniera esponenziale nei prossimi decenni. La letteratura offre

numerosi studi e ricerche dalle quali emerge l’assoluta necessità e l’obbligo di cambiare rotta e

imboccare la strada verso una maggiore efficienza nell’uso delle risorse. Tra questi ricordiamo

lo scenario progettato dal lavoro dell’UNEP 2017, il quale evidenzia che l'uso delle risorse

naturali aumenterà da 85 miliardi a 186 miliardi di tonnellate nei prossimi anni fino al 2050,

riflettendo un aumento del 28 % delle dimensioni della popolazione, probabilmente concentrata

nelle regioni urbane dell’Africa e dell’Asia e un aumento del 71% del consumo pro capite delle

risorse. Tale tendenza si ripercuoterà negativamente sull’ambiente con un aumento degli

impatti ambientali e climatici qualora non si adottino politiche e misure per un uso più efficiente

delle risorse. La diffusione di un nuovo modello “circolare” di produzione e consumo

costituisce un elemento di importanza strategica per raggiungere gli obiettivi globali di

sostenibilità e garantire un futuro prospero per l’umanità. Il disaccoppiamento assoluto della

produzione economica e del benessere sociale dall'uso delle risorse e dell'energia, e dai relativi

impatti ambientali deve essere il principale obbiettivo della politica internazionale. A tal

proposito, numerose sedi internazionali hanno trattato il tema dell’economia circolare e

dell’efficienza delle risorse in quest’anni.

Il 2 agosto 2015 è stato raggiunto un accordo tra i 193 Stati membri dell’Onu per fissare

i nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile. La lista, che si compone di 17 obbiettivi di

sviluppo sostenibile, stabilisce l’agenda che l’organo internazionale si impegna a rispettare

dal 1° gennaio 2016 al 2030. La gestione delle risorse è fondamentale per l'eliminazione

della povertà e per il futuro sostenibile.

28
Figura 5

E’ stato espresso un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo,

non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale. In questo modo

viene superata l’idea che la sostenibilità sia unicamente una questione ambientale e si

afferma una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo. Tutti i paesi sono

chiamati a contribuire allo sforzo di portare il mondo su un sentiero sostenibile, senza più

distinzione tra paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo, anche se evidentemente le

problematiche possono essere diverse a seconda del livello di sviluppo conseguito. Ciò

vuol dire che ogni paese deve impegnarsi a definire una propria strategia di sviluppo

sostenibile. L’attuazione dell’Agenda richiede un forte coinvolgimento di tutte le

componenti della società, dalle imprese al settore pubblico, dalla società civile alle

istituzioni filantropiche, dalle università e centri di ricerca agli operatori dell’informazione

e della cultura.

Sempre nel 2015 l'accordo di Parigi è il primo accordo universale e giuridicamente

vincolante sui cambiamenti climatici. Stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi

cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e

proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1.5°C. Inoltre punta a rafforzare la capacità dei

29
paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi. In

particolare, l’accordo di Parigi, ha visto 195 paesi impegnarsi a mantenere l'aumento

globale della temperatura a meno di 2°C al di sopra dei livelli preindustriali.

Il vertice G7 tenutosi in Germania nel giugno 2015, come parte del loro maggiore impegno

a migliorare i loro sforzi per facilitare la transizione verso un modello economico circolare

basato sulla gestione sostenibile dei materiali, ha chiesto di elaborare una relazione per

individuare le soluzioni più promettenti per l'efficienza delle risorse per tutti i paesi

sviluppati, recentemente industrializzati e in via di sviluppo. Il principale messaggio del

rapporto è che muoversi in direzione dell’economia circolare offre vantaggi sia dal punto

di vista economico che ambientale. Sottolinea l'importanza di unire le forze

immediatamente e di sostenerla in diversi settori e a più livelli. Emerge che il ruolo centrale

per la transizione verso la circolarità è l’innovazione tecnologica di prodotto e di processo,

stimolata da adeguata strumenti ed incentivi pubblici. Il design sostenibile, piramide

gerarchica nella gestione dei rifiuti, maggiore responsabilità del produttore, l’aumento del

valore dei prodotti, ecologia industriale, costituiscono altri tasselli per raggiungere il

nuovo modello circolare.

I grandi del G20 nel Luglio 2021, hanno approvato il documento finale di lavori su Clima,

Ambiente ed Energia nel quale viene adottata la visione per l’economia circolare per

rafforzare la cooperazione multilaterale nell’innovazione circolare. Si punta a ridurre

l’impronta ambientale e a raddoppiare la circolarità dei materiali con un obiettivo

volontario da raggiungere entro il 2030. Il documento inoltre rappresenta un contributo

reale per raggiungere e garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo. Si vuole,

inoltre, rafforzare gli investimenti nelle attività del capitale naturale, promuovere sinergie

tra i flussi finanziari destinati al clima, alla biodiversità e agli ecosistemi e allineare gli

investimenti verso lo sviluppo e la crescita sostenibili. In particolare, attraverso il lavoro

30
su una roadmap pluriennale sulla finanza sostenibile portato avanti dal Sustainable Finance

Working Group del G20.

L’incontro mette insieme i cosiddetti grandi della Terra, ovvero i 20 Paesi che

producono l’80% del Pil mondiale e l’85% delle emissioni di anidride carbonica.

L’accordo del 2021, sostanzialmente consolida l’accordo di Parigi del 2015.

Nel G20 la grande ambizione dell’Italia è conciliare la tutela dell’ambiente con il progresso

e il benessere sociale, porre gli ecosistemi e le risorse naturali al centro dell’agenda

politica, con un approccio coordinato per affrontare le crisi globali, anche dopo il Covid-

19, e con un percorso scientifico comune. La Presidenza italiana, consapevole del proprio

ruolo, ha presentato proposte importanti sul piano globale per stimolare la comunità

internazionale verso obiettivi più ambiziosi, in ragione e a parziale compensazione

dell’avvenuto slittamento di alcuni vertici chiave a causa dallo scoppio della pandemia.

La discussione al G20 si articola in tre principali macro-aree:

1. Biodiversità, protezione del capitale naturale e ripristino degli ecosistemi. La

Presidenza italiana pone particolare attenzione al tema della tutela degli Oceani e dei Mari,

(materiale plastico abbandonato o disperso in ambiente marino e costiero), alla difesa e al

ripristino del suolo, alla tutela delle risorse idriche e alle soluzioni basate sulla natura e

sugli ecosistemi per affrontare le sfide globali.

2. Uso efficiente delle risorse ed economia circolare. La Presidenza intende promuovere

il concetto di economia circolare a livello globale ed evidenziare come essa possa

contribuire in modo significativo alla sostenibilità dei consumi e delle produzioni, con un

forte coinvolgimento dei giovani, promuovendo il dialogo, la cooperazione,

l'apprendimento congiunto e i partenariati sull'ambiente costruito e le città, sulla

31
prevenzione dello spreco alimentare, sui settori della moda e del tessile, al fine di

scambiare esperienze, conoscenze e tecnologie innovative.

3. Finanza verde in cui si mira a supportare il riallineamento dei flussi finanziari in linea con

lo sviluppo sostenibile, in particolare verso la biodiversità e la preservazione degli ecosistemi.

Inoltre puntiamo a rafforzare gli investimenti da tutte le fonti verso le attività che rafforzano il

capitale naturale, sostenendo la divulgazione finanziaria e promuovendo una transizione

ecologica del settore finanziario attraverso l'organizzazione di un dialogo per contribuire alla

Roadmap della finanza sostenibile del G20.

2.5 Piano d’azione UE per lo sviluppo della finanza sostenibile

Per ottenere i risultati per una transizione verso un sistema economico e finanziario sempre

più sostenibile, sono necessari sempre più investimenti sia pubblici che privati, volti a

finanziare le attività che saranno protagoniste del cambiamento. Attualmente, in ambito

europeo è stata riconosciuta la priorità di impegno verso un obiettivo target di impatto climatico

neutrale entro il 2050. A questo scopo nel 2020 in una sua dichiarazione, la Presidente della

Commissione Europea, Ursula Von der Leyen ha presentato un nuovo piano di investimenti, il

Patto Verde Europeo, (Green Deal), nel quale riconosce la necessità di una maggiore

mobilitazione degli investimenti pubblici e privati. Il piano presentato è finalizzato a mobilitare

almeno 1 000 miliardi di euro, e indicherà la rotta da seguire e provocherà un'ondata di

investimenti verdi. La Commissione, tuttavia, aveva già avviato un piano di orientamento dei

flussi di capitale pubblici e privati verso investimenti sostenibili, istituendo nel dicembre 2016

un gruppo di esperti al quale era stato assegnato il compito di produrre delle linee guida per lo

sviluppo della finanza sostenibile in Europa, l’High Level Expert Group on Sustainable

32
Finance. Le raccomandazioni principali possono essere ricondotte alla definizione di un sistema

comune di classificazione delle attività definite sostenibili, come è possibile leggere dalla

relazione del gruppo, allo scopo di incrementare la fiducia da parte degli investitori e permettere

alle imprese di “comprendere meglio quali attività possono essere considerate investimenti

sostenibili”. Integrare e migliorare la divulgazione in materia da parte delle istituzioni

finanziarie e delle imprese e migliorare la trasparenza sarà quindi l’aspetto chiave e sarà

propedeutico alla creazione di una strategia europea di finanza sostenibile. Le raccomandazioni

del gruppo costituiscono l’input alla realizzazione di un lavoro che vede protagonista la

Commissione Europea, e la definizione del Action Plan on Sustainable Growth, il piano

d’Azione per finanziare la crescita sostenibile. L’Action Plan aiuta a delineare una strategia

europea verso la transizione green e sottolinea il ruolo della finanza in questa direzione, è

articolato in 10 punti:

1. Arrivare alla definizione di un linguaggio comune, con l’introduzione di una tassonomia UE

per la finanza sostenibile, ovvero una classificazione condivisa delle attività economiche

ritenute sostenibili.

2. creare standard ed etichette, (green labels), con l’ausilio di certificazioni che attestino la

qualità verde del prodotto finanziario e garantiscano la credibilità del mercato.

3. promuovere, aumentare gli investimenti in progetti sostenibili tramite una efficace politica

di divulgazione in materia di infrastrutture sostenibili.

4. incorporare la sostenibilità già nel momento in cui si fornisce consulenza in materia di

investimenti, includendo le preferenze del cliente in termini di scelta al momento del servizio

di consulenza;

33
5. sviluppare parametri di sostenibilità con il miglioramento della trasparenza tramite lo

sviluppo e costruzione di benchmark sostenibili.

6. integrare meglio la sostenibilità nelle valutazioni e nella ricerca, incoraggiando le società di

rating all’implementazione dei criteri ESG (environmental, social and governance) nella

propria attività di mappatura e calibrazione del rischio funzionali all’elaborazione delle proprie

scale ordinali;

7. chiarire i doveri degli investitori istituzionali e dei gestori patrimoniali; proponendo una

legge che includa i criteri di sostenibilità nella definizione di “dovere fiduciario”, al fine di

vincolare gli investitori ad agire nel massimo interesse dei beneficiari.

8. Possibilità di introdurre delle riduzioni dei requisiti patrimoniali minimi sugli investimenti

sostenibili.

9. rafforzare l’informativa sulla sostenibilità armonizzando i propri sistemi di reportistica

aziendale con le raccomandazioni relative la Task Force on climate-related Financial

Disclosure del Financial Stability Board e migliorare cosi la qualità e trasparenza della

rendicontazione extra-finanziaria delle imprese.

10. favorire un modello di governance aziendale sostenibile mediante l’integrazione dei criteri

ESG nel processo decisionale del CDA ed attenuare la visione a breve termine degli investitori

nel mercato dei capitali con l’intento di promuovere un approccio di lungo periodo compatibile

con gli obiettivi sostenibili.

In tali criteri è possibile individuare tre finalità prevalenti. Le prime cinque sono finalizzate a

riorientare i flussi di capitale verso gli investimenti sostenibili , le successive sono improntate

all’integrazione della sostenibilità nella gestione del rischio e le ultime sono volte alla

promozione della trasparenza e della visione di lungo termine delle attività economiche e
34
finanziarie. La Commissione gradualmente ha cercato di portare attuazione a ciascuno dei

punti dell’Action Plan iniziando con il primo punto, la creazione di una tassonomia europea

delle attività sostenibili.

Al fine di aprire una finestra di dialogo tra i rischi derivanti dai cambiamenti climatici e le stesse

organizzazioni del mercato e di pervenire ad un dissolvimento dei rischi climatici , a fine 2015

è stata costituita, ad opera del FSB (Financial Stability Board), la Task Force on Climate-related

Financial Disclosure (TCFD). La principale iniziativa perseguita dal FSB era quella di

procedere ad una progressiva ed efficace valutazione dei rischi finanziari indotti dai

cambiamenti climatici ed incitare ad una transizione verso un’economia a basse emissioni di

carbonio. I rischi transitori associati, come il calo della domanda di prodotti ad alta intensità di

carbonio, il prezzo del combustibile stesso, la regolamentazione e le perturbazioni del mercato

stanno già influenzando gli investimenti. Tramite questo organismo è stato dunque possibile

sviluppare una serie di raccomandazioni, che individuano i principi guida per le imprese da

seguire nella redazione della rendicontazione non finanziaria. In questo modo, grazie alla

diffusione di una “non-financial disclosure”, aumenta l’informativa fornita agli investitori e più

in generale ai portatori di interesse aziendali al fine di captare la resilienza aziendale di fronte

a scenari eterogenei. La Task Force nel 2017 ha divulgato delle raccomandazioni da integrare

nella reportistica da fornire ai propri stakeholders facenti riferimento a quattro elementi

aziendali :

1. Governance;

2. Strategia;

3. Gestione dei rischi;

4. Metriche e obiettivi.

35
Lo schema si articola in undici raccomandazioni specifiche relative alle quattro aree

individuate. Relativamente alla prima area, quella della governance, il testo raccomanda di

sottolineare la struttura della governance aziendale e il ruolo del management sui rischi e le

opportunità collegati al clima. Fondamentale è quindi capire quale è il compito del CDA nella

gestione e nella supervisione in questa direzione. In secondo luogo, è necessario, nella propria

reportistica, andare a rendere pubblica la strategia aziendale di breve, medio e lungo periodo in

relazione agli impatti attuali e prospettici derivanti da rischi ed opportunità legati al clima. Il

framework si basa sulla distinzione tra i rischi fisici e i rischi di transizione derivanti dalla

decarbonizzazione delle economie e in più si serve di un modello di simulazione basato

sull’analisi di scenari per comprendere il potenziale impatto dei rischi futuri. Il presidio quindi

di scenari alternativi, storici o prospettici, sono basilari al fine di pervenire alla definizione di

una strategia. É facilmente intuibile quindi che il tema alla base della pianificazione finanziaria

e strategica non dovrà essere più quello tradizionalmente condiviso della reciprocità, il dare e

l’avere, quanto più si fa strada il tema della responsabilità, una maggiore consapevolezza degli

impatti futuri delle azioni quotidiane. Attuare una strategia attrattiva e responsabile sarà quindi

fondamentale per l’azienda nel momento dell’approccio con il mercato finanziario.

Fondamentale sarà, come raccomandato dalla Task Force nel terzo ambito, fornire una

rendicontazione del processo mediante il quale l’azienda identifica, quantifica e gestisce i rischi

legati al clima e di come questi processi vengono integrati nel rischio complessivo dell’azienda.

Per ultimo, le aziende sono tenute a pubblicare le metriche ed i relativi obiettivi per valutare e

gestire i rischi e le opportunità, fornendo una valutazione in relazione alla performance rispetto

a tali obiettivi. Per favorire l’implementazione delle raccomandazioni nella reportistica

aziendale due organizzazioni responsabili della creazione di standard di reporting, il SASB e il

CDSB, hanno pubblicato una documentazione supplementare alla reportistica per facilitarne

l’attuazione, il cosiddetto "TCFD Implementation Guide". Infatti, come è possibile leggere da

36
un’intervista pubblicata sul sito di Borsa Italiana alla CEO della Sustainability Accounting

Standards Board, Madelyn Antoncic, "Le aziende, stanno dimostrando un forte interesse nel

gestire la propria esposizione al rischio legato al clima aderendo alle raccomandazioni della

TCFD. Tuttavia, pochi hanno una chiara comprensione di come implementare tali

raccomandazioni" (Borsa Italiana, 2019). Sinteticamente, in maniera schematica, le

precedentemente citate raccomandazioni possono essere riassunte nella seguente tabella:

Figura 6

37
La definizione corretta di investimento sostenibile e responsabile viene data dal Forum per la

Finanza sostenibile, organismo non profit italiano che si occupa di promuovere la divulgazione

degli investimenti sostenibili con l’obiettivo di integrare i criteri relativi ai tre pilastri della

finanza sostenibile, ESG (Environmental, Social, Governace), all’interno dei processi di

investimento. Il testo del forum dà la seguente definizone: “l’Investimento Sostenibile e

Responsabile è una strategia di investimento orientata al medio lungo periodo che, nella

valutazione di imprese e istituzioni, integra l’analisi finanziaria con quella ambientale, sociale

e di buon governo, al fine di creare valore per l’investitore e per la società nel suo complesso”.

C’è da precisare però che, nonostante la definizione faccia riferimento all’ambito ambientale

sociale e di governance , nella pratica risulta più comune accostare tali tipologie di investimenti

prettamente al primo pilastro, quello ambientale. Gli altri due ambiti necessitano sicuramente

di una maggiore attenzione da parte delle istituzioni per facilitarne la comprensione e

applicazione. L’orizzonte temporale che l’investitore deve considerare quando decide di attuare

una strategia sostenibile tende ad aumentare a discapito di strategie perseguite da investitori che

focalizzano il proprio interesse esclusivamente sul rendimento dell’operazione anziché

considerare l’impatto relativo ai tre pilastri.

Chi sceglie infatti di considerare i criteri ESG nei propri investimenti si servirà, al fine di

valorizzare il proprio set informativo, dell’integrazione dell’analisi finanziaria con quella

ambientale, sociale e di governance. La funzione obiettivo dell’investitore si amplia

responsabilmente e consente la realizzazione valore per sè stesso e contribuisce anche alla

creazione del valore dell’impresa. La Global Sustainable Investment Alliance (GSIA), a questo

proposito, ha individuato per la prima volta nel 2012, all’interno del suo report biennale, la

Global Sustainable Investment Review, una classificazione globale delle strategie di

investimento sostenibile e responsabile si può applicare a tutte le asset class e secondo diverse

38
strategie, adottabili anche contemporaneamente per uno stesso portafoglio di investimento, di

cui le più diffuse sul mercato italiano risultano le seguenti illustrate nell’immagine sottostante:

Figura 7

39
Le prime tre strategie elencate fanno riferimento ad un approccio basato sulla selezione, positiva

o negativa, degli emittenti. Le strategie di esclusione si esplicitano, per l’appunto,

nell’esclusione da un fondo o da un portafoglio titoli di prodotti finanziari facenti capo a settori

o società, o più in generale a contesti eticamente e moralmente ritenuti non responsabili. Si può

a titolo esemplificativo far riferimento all’industria bellica e nucleare e ad alto potenziale

inquinante. Tale strategia risulta di semplice attuazione da parte dell’investitore e può essere

considerata la prima strategia responsabile storicamente applicata. A conferma del fatto, il

primo fondo di investimento etico-sostenibile, il Pioneer Found, realizzato a Boston nel 1928

utilizzava, quale strategia di gestione del fondo proprio l’esclusione del settore del tabacco e

degli alcolici.

La seconda strategia citata è quella che ha alla base l’inclusione nello stock picking di prodotti

conformi a normative e standard internazionali (OCSE, UNICEF, ILO). Si tratta di effettuare,

in questo caso, una selezione positiva degli emittenti. Ultima strategia che può essere

considerata in termini di valutazione negativa o positiva degli emittenti è quella del Best in

Class. In questo caso si vanno a considerare realtà parallele in termini di settore, attività,

produzione e fatturato e si effettua una selezione dell’emittente con caratteristiche migliori, in

termini di osservanza ESG. Vengono selezionate solo le aziende più virtuose per ogni settore

economico. Nessun settore viene escluso dall’analisi, neanche quelli più controversi.

L’investitore sceglie le società che fanno il massimo sforzo per integrare criteri ambientali,

sociali e di governace nella propria attività, indipendentemente dal settore di appartenenza, oltre

che a valutare la performance finanziaria. Questo approccio, come intuibile, aiuta a favorire la

concorrenza e sprona le società di ogni settore all’integrazione dei criteri ESG, anche allo scopo

di essere incluse nei migliori indici di sostenibilità . Secondo Ecofin, negli ultimi otto anni

questa strategia ha visto una forte crescita di portafogli coinvolti, con un tasso di crescita

40
annuale composto CARG del 20% solo in Europa, questa strategia risulta essere una delle più

diffuse tra gli investitori dopo l’esclusione.

La quarta strategia individuata è quella degli investimenti tematici. Questa strategia si traduce

nella selezione, da parte dell’investitore di asset collegati ad aspetti specifici della sostenibilità.

Come è possibile osservare dagli studi di Ecofin, gli investitori negli ultimi anni stanno

focalizzando la propria attenzione principalmente a favore del cambiamento climatico e

relativamente al tema idrico. Sebbene la strategia sia di facile attuazione, e si osserva un CAGR

in crescita, la sua diffusione, almeno in Europa risulta essere irregolare, con una concentrazione

maggiore soprattutto tra Italia, Belgio e Spagna.

Più relativamente orientata alla sfera societaria invece, risulta essere la strategia

dell’engagement. L’investitore in questo caso, o nel caso del risparmio gestito, l’asset manager

cerca di trovare un punto di incontro, un dialogo diretto con l’emittente. L’obiettivo è di influire

attivamente nei vari ambiti aziendali o mediante l’attuazione del diritto di voto, in termini di

azionista, o scegliendo un modello di engagement più “soft” mediante un rapporto di

interazione con il management in relazioni a tematiche ESG. La strategia però, che sposa bene

la volontà degli investitori che per la prima volta approcciano agli investimenti sostenibili è

l’impact investing. La subordinazione del rendimento finanziario all’obiettivo specifico di

generare un impatto sociale è la chiave di questo approccio. La dimensione dell’impact

investing è aumentata significativamente negli ultimi anni, anche grazie al GIIN (Global Impact

Investing Network), un’organizzazione che si occupa promuovere la conoscenza di

investimenti facilitandone così la diffusione tra gli investitori. Caratteristiche alla base in questo

caso, che vanno a differenziare questa da altre strategie di investimento responsabile sono

l’intenzionalità dell’investitore, la misurabilità dell’impatto e l’addizionalità di valore. Nel

nostro paese questa strategia ha trovato largo campo di applicazione rispetto altri paesi.

41
2.6 Tassonomia dell’UE

Le emissioni globali di gas serra dovrebbero subire una riduzione del 50% nel prossimo

decennio perché il mondo abbia la possibilità di rimanere a +1,5 gradi di riscaldamento

globale ed evitare in questo modo le conseguenze catastrofiche. E’ necessario il presidio di

nuovi strumenti per consentire la transizione verso un’economia più sostenibile. A questo fine

la necessità di arrivare a definire un linguaggio comune per la classificazione a livello

europeo delle attività economiche ritenute eco-compatibili corrisponde al primo punto

declinato dall’Action Plan della Commissione Europea. Obiettivo della Commissione è quindi

fare chiarezza nel mercato, evitando che si possano includere nella definizione di sostenibile

anche attività economiche.

Il Final report of the Technical Expert Group on Sustainable Finance, definisce la tassonomia,

è stato reso pubblico nel marzo del 2020 da parte del TEG, un gruppo di 35 esperti e 100

consulenti tecnici in materia finanziaria e sostenibilità precedentemente costituito dalla

Commissione Europea. All’interno del documento reso noto sono elencati i sei obiettivi

ambientali che sono alla base del contributo che le attività devono implementare al fine di

essere classificate come compatibili e sono :

1. mitigazione del cambiamento climatico;

2. adattamento al cambiamento climatico;

3. sostenibilità e protezione delle risorse idriche e marine;

4. transizione verso un’economia circolare;

5. prevenzione e controllo dell’inquinamento;

6. protezione e ripristino di biodiversità ed ecosistemi.

42
Un’attività economica può essere ritenuta eco compatibile qualora riesca a contribuire in

maniera positiva ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali sopra citati, non implichi danni

significativi rispetto ad uno qualsiasi degli altri cinque obiettivi ambientali e rispettino

alcune garanzie minime (ad esempio, le Linee guida OCSE sulle imprese multinazionali e i

principi guida delle Nazioni Unite su attività economiche e diritti umani).

Per ogni attività eco compatibile la tassonomia stabilisce delle soglie di performance, ovvero

dei criteri tecnici di screening al fine di andare ad individuare le attività sostenibili e quindi

che possono essere considerate allineate in relazione ai primi due obiettivi ambientali,

mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. La tassonomia infatti prevede due

periodi di applicazione, nella prima fase vi è la tassonomia relativamente alle attività che

contribuiscono agli obiettivi climatici, quindi mitigazione ed adattamento, mentre ci sarà da

aspettare almeno un anno in più per l’adozione della tassonomia relativamente alla parte dei

contributi agli altri quattro obiettivi ambientali. Analizzando il profilo della mitigazione dei

rischi climatici, ovvero quel processo finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas serra,

CO2, il TEG ha individuato tre attività in base alla relazione delle stesse con le emissioni

prodotte. Si possono quindi individuare:

1. Attività che prevedono già basse emissioni di carbonio (low carbon), in quanto il

livello di Co2 emessi risultano essere bassi o pari a zero, perfettamente compatibili

con un’economia perfettamente sostenibile. I criteri di screening tecnico sul livello

di emissioni Co2 prodotti per Kwh, sono stabili e definiti in un orizzonte

temporale di lungo termine. Un esempio pratico di tali attività è il settore

dell’energia rinnovabile o il trasporto a basse emissioni.

2. Attività che contribuiscono alla transizione verso un’economia green, esse

risultano essere economicamente essenziali ma sono ancora legate ad una quantità

di emissioni da ridurre in maniera progressiva per raggiungere l’obiettivo di


43
emissione zero entro il 2050. Si tratta di attività relative all’industria pesante, ad

esempio produzione di acciaio, alluminio, materiale per l’edilizia. In questo caso i

criteri di screening tecnico sono soggetti a periodiche rivalutazioni e revisioni.

3. Le attività dell’ultimo punto, fanno riferimento alle attività funzionali al

raggiungimento di basse emissioni di carbonio e che consentono prestazioni low

carbon. Vengono definite attività “abilitanti” e possono far riferimento alla

produzione di elementi da implementare in istallazioni a basse emissioni.

Per molte attività economiche sarà necessario un periodo di transizione e la

tassonomia può in questo senso venire in soccorso a tutti quei settori che non

possono essere definiti low carbon. Infatti, la percentuale green, in termini ad

esempio di fatturato, può aumentare significativamente mediante l’utilizzo dei

criteri di allineamento delle attività. Per quanto riguarda l’obiettivo di adattamento

al cambiamento climatico, la tassonomia prevede l’inclusione di tutte quelle

attività che non arrechino danni agli altri obiettivi ambientali. Il TEG ha quindi

elaborato una serie di criteri tecnici di screening, descritti in un allegato tecnico,

che ne va ad analizzare le varie applicazioni per ciascuna attività relativa a ciascun

settore, individuati nella classificazione NACE (nomenclatura delle attività

economiche). Il TEG riconosce oltre 70 attività che possono essere ricondotte a

sette settori riassunti nella seguente figura:

44
Figura 8

Nel settore manifatturiero sono individuate attività volte a perseguire l’obiettivo ambientale

della mitigazione, quindi relative alla produzione di presidi a bassa emissione, come nel caso

della produzione di strumentazione per il settore eolico ma anche attività dell’industria

pesante, in transizione, che necessitano di una forte riduzione delle emissioni prodotte. Invece

guardando al settore energetico, vengono considerati allineati con la tassonomia quelle attività

in cui la produzione di elettricità con emissioni lungo il ciclo di vita sono inferiori a 100

grammi di Co2 per KWh prodotto. Sono incluse quindi per esempio le attività del settore

solare, idroelettrico, eolico. Il settore nucleare viene invece escluso dalla tassonomia, non

per perché non vada a rispettare i criteri relativi alle emissioni, quindi la soglia individuata di

100 grammi di Co2 equivalent per KWh prodotto, ma in quanto le scorie radioattive prodotte

da tali attività possono essere nocivi per la salute e per le biodiversità, andando quindi ad

45
intaccare negativamente quelli che sono alcuni tra i sei obiettivi ambientali. La tassonomia

può essere definita quindi come un insieme di attività economiche che favoriscono la

mitigazione e l’adattamento ad affrontare le criticità dei futuri eventi climatici avversi. Essa

risulta però essere al momento incompleta, gli altri quattro obiettivi ambientali necessitano di

uno sviluppo articolato da implementare alla documentazione già esistente. Per questo

motivo, e coerentemente con la natura flessibile e dinamica della tassonomia, la Commissione

Europea ha previsto l’allungamento del periodo di attività del TEG e la costituzione di una

Platform on Sustainable Finance, che sostituirà il TEG proseguendone i lavori. Nei mercati

finanziari, l’utilità della tassonomia risulta essere rilevante per tutti quegli operatori finanziari

che desiderano calcolare la sostenibilità delle attività a cui rivolgono i propri investimenti, sia

a livello individuale che collettivo, e quindi andare a calcolare l’allineamento alla tassonomia

del proprio portafoglio di investimenti. Al fine di arrivare ad una corretta valutazione, relativa

all’allineamento di una o più società o un portafoglio di investimenti, tornerà certamente utile

la consultazione dell’allegato tecnico fornito dal TEG, che contiene, un elenco completo dei

criteri di screening tecnico rivisti o aggiuntivi per le attività economiche che possono

contribuire in modo sostanziale alla mitigazione o all’adattamento al cambiamento climatico.

In un esempio, del TEG final report on the EU Taxonomy 2020, di valutazione dell’allineamento

alla tassonomia di un portafoglio titoli, costituito da 3 titoli, che investe in società A, B e C con

ponderazioni 25%, 25%, 50%, si vanno ad analizzare i settori ricoperti da tali società e si

valuta poi, in base ai criteri tecnici di screening quali tra questi settori possono essere

considerati allineati con la tassonomia. Inoltre, se è dimostrato che l’azienda non produce

danni significativi agli altri obiettivi ambientali, tenendo conto delle ponderazioni di ciascun

investimento, si perviene ad uno score percentuale di allineamento del portafoglio

complessivo alla tassonomia del 42,5% nell’esempio citato. Questo dato aumenta

46
positivamente qualora tutte o alcune attività detenute siano state emesse da società totalmente

o quasi allineate alla tassonomia.

Figura 9

Tutte le documentazioni che il TEG ha elaborato potranno essere tradotte dalla Commissione

Europea in quella che sarà la legge europea che andrà a definire ufficialmente la tassonomia

delle attività eco compatibili e funzionali ad effettuare scelte di investimento più sostenibili e

consapevoli. La lotta al cambiamento climatico è una delle priorità nell’agenda dell’Unione

Europea. La pandemia mondiale dal punto di vista climatico ha portato ad una riduzione

complessiva delle emissioni pari al 17%.

47
CAPITOLO 3 - L’economia circolare nelle imprese

3.1 Modelli di business circolari


Le aziende oggi sono in grado di utilizzare le risorse naturali in modo più efficiente, mentre i

mercati dell’usato e i tassi di riciclo sono elementi da migliorare su scala globale. L’economia

circolare può svolgere un ruolo vitale per risolvere la scarsità delle risorse, nonché i problemi

ambientali e sociali, ma ha bisogno di peculiari modelli di business, poiché quelli esistenti non

sempre sono efficienti in tale prospettiva. Bisogna, dunque, migliorare il metodo e il processo

di innovazione del modello di business circolare. Ciò vale soprattutto per le grandi imprese,

nate con una decisa impronta produttiva all’economia lineare, mentre, le start up sono favorite

perché esse nascono già “circolari” e non devono implementare modelli e processi in una

struttura organizzativa già esistente e consolidata .

I modelli di business aziendali non sono impostati per introdurre pratiche virtuose

di responsabilità sociale e ambientale che generino rispettive ricadute sul territorio. Molto

spesso le aziende puntano esclusivamente al profitto e non al benefit per le risorse, i

collaboratori e al territorio che le ospita. Questo fattore incide sull’adozione di approcci

circolari nelle aziende.

Se attentamente misurata, progettata e integrata, l’economia circolare è un modello promettente

per l’ambiente, per i consumatori, per le imprese e i governi, in quanto può ridurre gli sprechi

inutili e le emissioni dannose ed ottenere più valore dai prodotti.

Le aziende provano a coniugare la crescita economica con la tutela dell’ambiente, delle risorse

e degli ecosistemi naturali, attraverso lo sviluppo di modelli di business innovativi circolari. Il

modello di business descrive le logiche secondo cui un’organizzazione crea, distribuisce e

48
raccoglie valore per un obiettivo di mercato e allo stesso tempo cattura da esso un valore

adeguato per raggiungere gli obiettivi di redditività aziendali.

Nel report “Circular Advantage Innovative Business Models and Technologies to Create Value

in a World without Limits to Growth”, sono stati individuati cinque modelli di business da

implementare con i quali perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile e integrare il paradigma

dell’economia circolare. Questi modelli di business rappresentano un’opportunità di produrre

valore e aumentare i profitti, riducendo gli sprechi, migliorando le prestazioni, l’efficienza, la

produttività e fidelizzando i consumatori, sempre più sensibili alle questioni ambientali. Il

rispetto dell’ambiente e degli ecosistemi, dunque, non va in contrasto con la crescita economica,

ma, in quest’ottica, è un obiettivo complementare a quello di aumentare fatturato e utili.

Figura 10

49
1. Forniture circolari (Circular supplies). Il modello di business incentrato sulle forniture

circolari è particolarmente rilevante per le aziende che usano materie prime scarseggianti,

poiché questo modello prevede che tali risorse vengano sostituite con input di risorse

completamente rinnovabili, riciclabili o biodegradabili. Royal DSM43, ad esempio, ha

sviluppato un bioetanolo cellulosico in cui i residui agricoli (pannocchie di granturco,

gusci, foglie e gambi) vengono convertiti in combustibile rinnovabile. Il bioetanolo

cellulosico ha creato una nuova fonte di entrate, riducendo al contempo le emissioni,

creando posti di lavoro e rafforzando la sicurezza energetica nazionale. Le forniture

devono provenire totalmente da risorse rinnovabili, da fonti di riuso e da materiali riciclati,

riciclabili, biodegradabili o compostabili che si basano a loro volta su cicli produttivi

circolari per quanto riguarda produzione e consumo. Il modello in questione favorisce un

uso minore di risorse non rinnovabili e inoltre spinge alla riduzione della produzione di

rifiuti.

2. Recupero delle risorse (Resource recovery). Il modello di business aziendale di recupero

delle risorse, sfrutta le innovazioni tecnologiche per recuperare e riutilizzare gli output di

risorse che eliminano la perdita di materiale e massimizzano il valore economico. Il

modello include il riciclaggio a circuito chiuso, la simbiosi industriale e le progettazioni

dalla culla alla culla, per le quali i materiali di scarto vengono rielaborati in nuove risorse.

In questo modello il prodotto giunto a fine vita viene ritirato dall’azienda per essere

reimpiegato nuovamente. Può essere riutilizzato intero, anche dopo un’eventuale fase di

manutenzione, o possono essere utili solo alcune delle sue parti. Il ritorno dei flussi di

risorse è fondamentale per questo modello e inoltre potenziali rifiuti vengono trasformati

in nuovo valore grazie a servizi innovativi di riuso e riciclo. L’innovazione nella

50
tecnologia di riciclaggio si sta evolvendo rapidamente e consente la produzione di prodotti

di alta qualità con ottime prestazioni di sostenibilità.

Un esempio dell’applicazione di questo modello è la Walt Disney World Resort, che invia

rifiuti alimentari da ristoranti selezionati nel suo complesso a un vicino impianto di

digestione anaerobica. I rifiuti organici vengono convertiti in biogas rinnovabili per

generare elettricità, e il materiale solido rimanente viene trasformato in fertilizzante.

L'energia generata contribuisce a potenziare la Florida centrale, compresi gli hotel ed i

parchi a tema del Walt Disney Resort. Un altro esempio è Starbucks che trasforma i fondi

di caffè in prodotti di uso quotidiano usando batteri per generare acidi che possono essere

usati in una gamma di prodotti come detergenti, bioplastiche, medicinali.

3. Estensione della durata del prodotto (Product life extension). Il modello di estensione

della vita del prodotto aiuta le aziende a estendere il ciclo di vita dei propri prodotti per

garantire che essi rimangano economicamente utili. Il materiale che altrimenti andrebbe

sprecato viene mantenuto o addirittura migliorato, attraverso la rigenerazione, la

riparazione, l’aggiornamento o il re-marketing. Estendendo la durata della vita del

prodotto il più a lungo possibile, le aziende possono tenere il materiale fuori dalla discarica

e scoprire nuove fonti di reddito. In questo modello i prodotti vengono progettati per avere

un ciclo di vita più lungo. Fase fondamentale è la progettazione del prodotto, dove può

essere molto utile applicare i principi di modularità, per permettere un’eventuale

manutenzione o sostituzione di componenti più facilitata, aggiornarne le funzioni o

addirittura per un restyling estetico. I materiali e i prodotti della prossima vita funzionano

quando un’azienda può recuperare e ricondizionare in modo efficiente i suoi prodotti dopo

l’uso e quindi immettere gli stessi prodotti sul mercato per guadagnare un secondo o un

terzo reddito.

51
Ad esempio l’attività di rigenerazione di Caterpillar, attraverso la restituzione dei

componenti e sulla loro rigenerazione/riparazione in condizioni o qualità identiche a

quelle preesistenti, si riduconio così costi, sprechi, emissioni di gas serra e necessità di

approvvigionamento di input grezzi.

4. Condivisione di piattaforme (Sharing Platforms). Il modello di piattaforma di

condivisione è incentrato sulla condivisione di prodotti e assets con basso tasso di utilizzo.

Le aziende che sfruttano questo modello possono massimizzare l’uso dei prodotti che

vendono, migliorare la produttività e la creazione di valore. In questo modello si parla di

utenti che utilizzano tra loro piattaforme di condivisione per tipologie di prodotti, prodotti

specifici o per la proposta di idee. Negli ultimi anni grazie all’avanzamento prorompente

della digitalizzazione questo modello ha preso sempre più piede. Gli attori di questo

sistema sono individui, enti pubblici, organizzazioni e imprese che insieme partecipano

attivamente al modello di sharing per creare valore anche attraverso la diffusione di

informazioni. Ad esempio Airbnb è il servizio online che abbina persone in cerca di case

vacanze con proprietari che mettono a disposizione le proprie abitazioni.

Un altro esempio è la piattaforma di Sfridoo, è la prima piattaforma online italiana dedicata

allo scambio di sfridi, avanzi di magazzino e cespiti aziendali per far incontrare aziende e

non-profit nel mercato di condivisione dell’economia circolare.

5. Prodotto come servizio ( Product as a service). Attraverso il prodotto come modello di

business del servizio, i clienti utilizzano i prodotti con un accordo di leasing o di tipo pay-

for-use rispetto all’approccio tradizionale buy-to-own. Questo modello è interessante per

le aziende che hanno costi operativi elevati e la capacità di gestire la manutenzione di quel

servizio e di ricatturare il valore residuo alla fine del ciclo di vita del proprio output. Il

52
modello in questione viene utilizzato ad esempio per auto, streaming multimediale,

attrezzature sportive. Piano piano si sta facendo largo anche nei settori di abbigliamento,

arredamento, oggettistica, giocattoli e imballaggi. Nel modello viene utilizzato un

contratto chiamato “pay per use”, un sistema che permette di pagare un servizio in base al

suo utilizzo, dove i prodotti non vengono più acquistati ma vengono utilizzati da uno o più

utenti. Per questo modello di business, i venditori di prodotti abbracciano l’idea di vedere

se stessi come fornitori di servizi di leasing, noleggio, affitto e non più vendita della

proprietà di un oggetto. In alcuni casi ciò ha portato non solo a una copertura efficace

contro la volatilità dei costi, ma anche a una relazione con i clienti più stabile e a un

aumento della crescita.

Philips, ad esempio, sta sperimentando questo nuovo business: vendendo l’illuminazione

come servizio, l’azienda mira a raggiungere più clienti, mantenendo la proprietà delle luci

e delle attrezzature in modo che i clienti non debbano pagare i costi iniziali

dell’installazione. Un altro esempio è il caso Vodafone che ha ideato un servizio di

noleggio dell’ultima versione di smartphone per un anno, con la possibilità di continuare

a cambiarlo con una versione più recente. Vodafone agisce come raccolta dei vecchi

telefoni e raggruppamento di materiali, ma dal punto di vista commerciale crea anche

relazioni più profonde con i clienti.

Il passaggio a un’economia veramente circolare potrebbe richiedere una combinazione di tutti

e cinque i modelli di business descritti e una grande quantità in termini d’innovazione di

prodotti e servizi. Anche i consumatori e i responsabili politici hanno un ruolo centrale. Ma ciò

che dimostrano questi modelli di business è che è possibile ripensare il modo in cui produciamo

e utilizziamo gli oggetti. Le aziende che stanno iniziando ora potrebbero definire il futuro delle

attività sostenibili, consentendo la prosperità globale su un pianeta affollato con risorse limitate.

53
In questo periodo sono tante le imprese, gli imprenditori e i nuovi progetti d’impresa che si

stanno avvicinando ai temi dell’economia circolare.

3.2 Fare economia circolare


I grandi cambiamenti dei rischi biologici e climatici devono indurre le aziende ad adottare

strategie di medio, lungo periodo all’insegna della sostenibilità e dell’economia circolare e

proprio i fondi di investimento su cui la finanza sta puntando in questo periodo sono legati a

queste aziende.

Grazie all’economia circolare si può parlare di “vantaggio circolare“, traducibile in risparmi

economici, nuove partnership strategiche e nuovi servizi / prodotti che guardano a un mercato

e ad un audience tutta nuova e sempre più attenta alle tematiche della sostenibilità. L’economia

circolare è un concetto olistico. Coinvolge tutti gli aspetti strategici e operativi di un’azienda.

Fare economia circolare significa coinvolgere tutta l’azienda e non un solo comparto o una

business unit. Tutte le risorse aziendali devono essere consapevoli rispetto a ciò che l’economia

circolare può rappresentare nel cambiamento dei modelli di consumo ed erogazione di servizi

e prodotti aziendali. Una visione unica agevola l’impresa al raggiungimento di risultati

economici, ambientali e sociali, di grande impatto. Fare economia circolare non è un’attività

dove viene coinvolto un solo ambito o settore dell’impresa ma coinvolge tutti i reparti aziendali,

a partire proprio da una visione strategica di medio e lungo periodo.

Di seguito vi sono le azioni che un’impresa può intraprendere per cominciare ad approcciare a

questo cambiamento di un nuovo modello economico pratico, sostenibile e resiliente.

54
o Formare i collaboratori. Si realizzano dei workshop in azienda e si utilizzano diversi

strumenti che aiutano l’azienda a comprendere i processi di resilienza del proprio

business e di prevedere anche i cambiamenti a cui dovrà guardare. Bisogna aiutare gli

individui e i gruppi di lavoro ad immaginare un futuro auspicabile a partire dalla visione

elaborata, procedendo a ritroso fino al momento presente. Avere come punto di

riferimento il modello circolare consente a tutti i dipendenti di poter affrontare un

cambiamento epocale e di aver chiari i target che l’azienda si sta ponendo al fine di

diventare sempre più sostenibile. Inoltre, sul modello learning-by-doing (imparare

facendo), si fanno emergere quelle che sono le problematiche e allo stesso tempo le

soluzioni a problemi già individuati in alcuni reparti: dalla customer care, logistica,

amministrazione, fino alla gestione dei residui di produzione.

o Istituire il bilancio di sostenibilità.

L’Unione europea nel Libro verde della Commissione (2001) definisce il Bilancio di

Sostenibilità come: “L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche

delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.

Mentre l’Italia ha fissato una definizione nazionale per questo impegno aziendale: “Il Bilancio

Sociale è l’esito di un processo con cui l’amministrazione rende conto delle scelte, delle

attività, dei risultati e dell’impiego di risorse in un dato periodo, in modo da consentire ai

cittadini e ai diversi interlocutori di conoscere e formulare un proprio giudizio su come

l’amministrazione interpreta e realizza la sua missione istituzionale e il suo mandato”.

Il bilancio di sostenibilità fissa target, strategie di riduzione dell’impatto ambientale e strategie

d’impatto sociale. Questo strumento consente di comunicare sia esternamente agli stakeholder

l’ impegno e gli obiettivi, oltre che a puntare l’attenzione di tutte le risorse aziendale allo scopo

sostenibile dell’attività aziendale. Queste attività hanno ricadute sia sul territorio sia sulla

55
società circostante. Dunque è importante sottolineare quale sia la visione dell’azienda e

comunicarla in maniera adeguata.

o Progettare prodotti e servizi in ottica “Eco”.


L’economia circolare non solo guarda alle strategie e al modello di business, ma anche ai

materiali impiegati per l’erogazione di un servizio o la vendita di un prodotto. Difatti, per

evitare sprechi, una fase molto importante del ciclo di vita di un prodotto è proprio

la progettazione.

La progettazione in ottica Ecodesign deve tener presente proprio del ciclo di vita degli oggetti

dall’approvvigionamento e impiego delle materie prime, che devono essere riutilizzabili,

biodegradabili, riciclabili e non tossiche, alla loro lavorazione nel processo produttivo e alla

distribuzione, che devono rispettare la direttiva dell’UE sull’ecodesign (2009/125/CE), in

termini di efficienza energetica (ridotto consumo energetico nella fasi produttive) e di ridotto

impatto ambientale.

Nella fase di progettazione sono utili strumenti tecnici e riconosciuti a livello internazionale

come ad esempio l’LCA. Grazie ad un LCA – Life Cycle Assessment (analisi del ciclo di vita

di un prodotto) si riesce ad individuare come e dove migliorare le performance ambientali di

un prodotto o servizio. Le performance ambientali implicano impatti positivi sui costi di

gestione ed approvvigionamento, oltre alle conseguenti marginalità sul servizio o prodotto

erogato. Migliorare il modello di business e le performance di un prodotto vanno a vantaggio

dell’ambiente ma anche della competitività e della resilienza delle aziende.

o Supportare iniziative di Simbiosi Industriale, prevede la messa in condivisione,

all’interno dei distretti, di materie (intese come scarti di produzione), energia e

conoscenze.

56
E’ un modello che, dovrebbe nascere naturalmente come necessità per evitare

sprechi. Purtroppo però viene spesso ignorato a causa delle complesse dinamiche aziendali sui

processi di produzione e approvvigionamento, perciò vengono inserite figure che facilitano

questo dialogo.

Considerare nuovamente i distretti industriali e un nuovo rapporto tra aziende che producono

oggetti ed erogano servizi, è la chiave per fare davvero economia circolare.

Avere degli scarti che possono essere utili per altre aziende sul territorio locale o nazionale, è

un ottimo modo per realizzare processi di risparmio aziendale e tramutare uno scarto in una

risorsa per altre realtà che potrebbero prendere quel residuo come nuova materia prima.

o Riutilizzo device ed asset aziendali

Per un’azienda di servizi non è sempre immediato comprendere come fare economia circolare

e non sapendo da dove cominciare, si concentrano sulla digitalizzazione dei documenti cioè

smaterializzazione della documentazione cartacea per evitare sprechi di materia. Ma bisogna

tener presente che il mondo digitale viene fruito attraverso dispositivo come pc, tablet,

smartphone. Spesso le imprese si trovano a dover cambiare i propri device per aggiornare la

tecnologia e i software che utilizzano. I dispositivi hanno un utilizzo tra i 3 e i 5 anni e vengono

generalmente smaltiti o mandati a riciclo, però questi oggetti possono ancora trovare un mercato

dove poter essere ancora utilizzati.

Infatti nel mercato dei ricondizionati è offerta la possibilità a quell’oggetto di essere utilizzato

per tutta la sua via utile, e si evitano anche gravosi costi di smaltimento per l’azienda. Per

il remarketing i device devono essere correttamente immagazzinati, inventariati e testati, oltre

a provvedere alla cancellazione dei dati sensibili aziendali e controllare quali sono i corretti

partner che ritirano quello specifico prodotto.

57
Inoltre fare economia circolare in azienda significa anche coerenza in ogni aspetto, anche

su invenduto, cespiti, oggetti e asset aziendali. Il poter mettere a sistema tutti quelli che possono

essere gli oggetti di proprietà di un’azienda, si dimostra un modo per evitare costi di

smaltimento e impatti ambientali. Un sistema basato sulla condivisione interna all’azienda per

riutilizzare oggetti è un ottimo modo per responsabilizzare tutti gli utenti ed evitare anche nuovi

acquisti, all’insegna del mantenimento di oggetti ancora utili.

L’esempio dell’azienda Sfridoo ha studiato una soluzione per la condivisione interna dei cespiti

e asset aziendali attraverso una piattaforma aziendale in cui possono partecipare tutte le risorse

per la condivisione di oggetti ancora utili all’impresa.

3.3 Modello ideale e modello reale

Fino ad ora si è analizzato come dovrebbe essere il modello ideale dell’economia circolare, un

modello chiuso che purtroppo però alcune volte non riflette la realtà del sistema produttivo reale

dell’azienda. Nonostante vengano attuate molte iniziative volte alla circolarità, enormi quantità

di scarti e rifiuti vengono comunque prodotte in ogni fase del modello circolare. Per questo

motivo si è ancora molto lontani dall’idea di poter recuperare, riutilizzare o riciclare tutto ciò

che finisce per essere scartato, la chiusura del ciclo quindi non viene raggiunta. Nel sistema

produttivo circolare reale vi è quindi una fuoriuscita di materiale che potrebbe essere utile e di

grande valore se riutilizzato, recuperato o riciclato. Oltre ad esserci ancora un grande limite

nella capacità di recupero vi è anche un quantitativo in eccesso di materie prime utilizzate nella

filiera produttiva. L’economia circolare non presuppone solo la possibilità di riutilizzare,

recuperare o riciclare gli scarti, ma anche per l’opportunità di prevenirli con una riduzione di

quantità e flusso di materie prime e risorse naturali nel ciclo economico. Bisognerebbe quindi

58
diminuire il flusso di materie prime in ingresso per far aumentare la possibilità di recuperare

una quantità maggiore di scarti. Il GEO (Green Economy Observatory) ha fatto una ricerca

relativa alla circular economy incentrata sulla scoperta delle cause dell’inefficienza del modello

circolare. Esse sono molteplici e possono riguardare varie fasi del modello circolare:

• Asimmetrie informative cioè mancanza di conoscenza riguardo gli impatti ambientali causati

da prodotti e/o servizi che quindi vengono sottovalutati.

• Maggiori priorità ad obiettivi di breve periodo e mancanza di progettazione sul lungo termine,

come ad esempio un obiettivo di miglioramento ambientale.

• Barriere di mercato, una delle più grandi barriere è sicuramente la distorsione del prezzo dei

prodotti che non riflette i costi di impatto ambientale delle filiere produttive. Le imprese che

inquinano di più non investono nell’innovazione per diminuire l’impatto ambientale e quindi

hanno dei costi inferiori, di conseguenza possono applicare a prodotti e servizi dei prezzi minori

ed essere avvantaggiati nella scelta del consumatore che preferisce un prodotto o un servizio

più conveniente.

• Abitudini e cultura, molti consumatori hanno l’abitudine di acquistare prodotti non riciclati

perché hanno la convinzione che abbiano una performance migliore rispetto a prodotti creati

con materie riciclate. Inoltre vi è ancora una profonda cultura del consumo che crea difficoltà

alla circular economy.

• Geografia e sviluppo infrastrutturale: le grandi distanze e l’estensione dei confini geografici

dovuta alla globalizzazione intralciano la gestione e il movimento dei prodotti a ritroso nella

supply chain. Risulta complesso per il produttore iniziale recuperare, smaltire o riutilizzare i

resi dei prodotti

• Possono verificarsi freni alla velocità di sviluppo dell’innovazione tecnologica riguardo la

circolarità.

59
• Possono essere poste limitazioni di natura normativa che complicano la chiusura del ciclo e

quindi la buona riuscita del modello circolare.

3.4 Il ruolo del design nei modelli circolari

Il design ricopre un ruolo fondamentale per lo sviluppo di beni la cui produzione sia improntata

ai principi dell’economia circolare. Con un design appropriato, o ancora meglio, con un “eco-

design”, la vera innovazione circolare parte già dalla fase di concezione, progettazione e

sviluppo di un prodotto o di un servizio, quando sono adottate decisioni che possono incidere

significativamente sulla sostenibilità del prodotto durante il proprio ciclo di vita. Pertanto, nella

fase in cui il prodotto è concepito e progettato devono essere condotte delle opportune

valutazioni preliminari, nelle quali devono essere configurati possibili scenari di mercato, oltre

che valutare i requisiti di sostenibilità ambientale e di sostenibilità economica del prodotto. E’

fondamentale basarsi su approcci di Life Cycle Thinking, cioè compiere analisi e valutazioni,

applicando metodologie che tengano conto degli impatti generati lungo tutto l’intero ciclo di

vita del prodotto e non solo focalizzando l’attenzione sulla fine del suo ciclo di vita. Lo sviluppo

di un nuovo prodotto concepito alla luce dei principi della circular economy deve avvenire,

dunque, seguendo le regole dell’ecodesign e attraverso l’impiego di strumenti che permettono

di valutarne i diversi impatti ambientali. L’eco-design prevede che il prodotto sia possibile

smontarlo agevolmente nei suoi diversi componenti per poterli recuperare e reimpiegare, anche

in relazione alle tipologie di materiali impiegati. Con questo tipo di design ogni prodotto deve

essere concepito come modulare perché ciò consente la sostituzione delle parti, il recupero e

riuso, sia del prodotto che dei suoi componenti presi singolarmente. La riparabilità e la

manutenzione sono parte essenziale del progetto, in quanto il prodotto deve poter essere riparato

60
con la sostituzione delle parti tecnologicamente obsolete o danneggiate e deve poter essere

mantenuto in modo da consentire l’allungamento del suo ciclo di vita. Le sostanze pericolose,

tossiche o altamente inquinanti devono essere sostituite con altre che non contengano sostanze

nocive, in modo da rendere più facilmente riciclabili i prodotti. Tuttavia, per molti prodotti,

ancora permane la presenza di specifiche sostanze pericolose, poiché essa è dettata dalla

necessità di garantire determinate prestazioni e caratteristiche, anche di durabilità, che, sulla

base delle attuali conoscenze e tecnologie disponibili, non possono essere raggiunte con

sostanze alternative. Concludendo, per quanto il design non possa da solo salvare il mondo,

l’80% dell’impatto ambientale esercitato dai prodotti, dai servizi e dalle infrastrutture viene

determinato sempre allo stadio progettuale. Le decisioni prese in questa fase innescano processi

che determineranno la qualità dei prodotti, i materiali e le energie necessarie per la loro

produzione, le modalità del loro utilizzo, la loro destinazione a fine ciclo di vita. Per questo il

ruolo del design, in un’ottica di circolarità, è di primaria importanza. Riassumendo, rimane la

necessità di concepire a monte un product design funzionale che faciliti il conseguimento

dell’obiettivo finale, ovvero l’allungamento della vita del prodotto e puntualizzi i requisiti a cui

la progettazione del prodotto dovrebbe attenersi. Tra i requisiti principali vi sono : il “design

for attachment and trust”, che indica un bene creato per essere esteticamente amabile anche nel

lungo termine cosi che il consumatore non senta la necessità di rimpiazzare per seguire le

tendenze; il “design for maintenance and repair”, che determina la facilità di riparazione di un

dispositivo agevolare il disassemblaggio); il “design for standardization and compatibility”, che

mira a realizzare articoli con elementi compatibili anche con altri prodotti; il “design for

durability”, che riguarda la resistenza fisica di un oggetto agli shock esterni.

61
3.5 Misurare l’economia circolare
La misurazione di ogni attività economica è necessaria per valutarne i risultati, bisogna definire

se è un’attività efficiente o inefficiente. Anche le attività dell’economia circolare hanno bisogno

di ciò e per una corretta misurazione occorrono dei parametri precisi su cui basarsi, altrimenti

sarebbe impossibile misurare i risultati in termini economici o di salvaguardia delle risorse. Per

la circular economy è fondamentale misurare la sua circolarità in quanto consente di stabilire il

valore concreto delle azioni perseguite e da perseguire, valutando soprattutto la sostenibilità

economica, ambientale e sociale in riferimento alla gestione delle risorse. Per calcolare al

meglio la circolarità di prodotti, servizi o aziende è necessario determinare dei parametri che la

quantifichino, in base alla gestione delle risorse rinnovabili e non rinnovabili. E’ più semplice

misurare la quantità di materiali utilizzati o il consumo di energie rinnovabili e non, invece lo

è meno la misurazione dell’estensione della vita del prodotto o l’attività di condivisione. Per

la misurazione della circolarità esistono vari metodi nel mondo, tutti legati però da un principio

che li accomuna, la redazione di un bilancio input – output. In questo bilancio ci sono 5 elementi

fondamentali dell’economia circolare che possono essere calcolati attraverso determinati

indicatori. Per facilitare l’identificazione economica del risultato finale è opportuno che venga

rapportato con un unico indice di circolarità, che deve tenere conto di:

o Circolarità del flusso di risorse impiegate, ad esempio se gli input saranno materiali ed

energia rinnovabili, oppure materiali da riciclo o provenienti dalla filiera del riuso. Per

gli output guardo se saranno materiali che verranno riciclati, riusati o che finiranno

semplicemente in discarica.

o Circolarità nella fase d’uso di un prodotto o servizio. Per l’estensione della vita del

prodotto guardo il suo grado di condivisione, l’efficienza energetica, i consumi o

l’impatto ambientale. Con questi dati è possibile calcolare un bilancio di circolarità,

calcolando costi e benefici per la gestione delle risorse, di un prodotto, un servizio,

62
un’azienda, un paese o qualsiasi altra organizzazione operante nella circular economy.

La finalità di questa misurazione è dare trasparenza al mercato cercando di smascherare

le imprese, organizzazioni o istituzioni che creano false informazioni per costruirsi

un’immagine positiva sul profilo ambientale distogliendo l’attenzione dalle azioni o dai

prodotti che hanno degli effetti negativi sull’ambiente.

Figura 11

63
La misurazione della circolarità è a livello Macro da applicare al sistema del Paese, invece

Micro da applicare al sistema delle imprese, organizzazioni e di altre attività pubbliche o

private. Il livello macro guarda la produttività delle risorse e consumo di materie prime,

generazione, gestione e riciclo di rifiuti. A livello micro, vanno valutate le imprese, la Pubblica

Amministrazione ed altri soggetti privati grazie ad un bilancio che prevede il numero di risorse

naturali utilizzate per quel che riguarda la sostenibilità economica e ambientale. Le imprese

creano in maniera autonoma un bilancio riguardante la propria circolarità. Risulta fondamentale

che il livello macro e il livello micro abbiano un termine di misurazione comune per facilitare

lo scambio reciproco di risultati e favorire il confronto di papabili obiettivi comuni per il

miglioramento delle filiere dei prodotti. Misurare la circolarità di un prodotto o servizio deve

essere l’obiettivo di tutte le aziende per prendere atto delle quantità e tipologie di risorse naturali

impiegate.

L’applicazione di modelli di business circolari consente di ridurre i rischi complessivi di un

investimento eliminando le criticità tipiche di un modello lineare di sviluppo. In particolare, la

riduzione dei rischi in relazione all’approvvigionamento degli input, ai cambiamenti climatici

e regolatori, sia a livello europeo che nazionale. Si tratta di fattori di rischio strettamente

correlati fra loro perché la minore dipendenza da materie prime scarse e la riduzione dei

consumi energetici e idrici determinano un minore impatto ambientale, portando le imprese ad

essere sempre più allineate con gli orientamenti normativi europei e nazionali. La riduzione

della dipendenza da materie prime vergini permette inoltre di ridurre i rischi di

approvvigionamento, riducendo la dipendenza dai mercati globali e i relativi rischi legati a

cambiamenti geopolitici, alla regolamentazione del commercio internazionale e alla logistica.

Inoltre il rischio di business è attenuato perché tali approcci permettono di adattare l’offerta ai
64
cambiamenti nell’orientamento dei consumatori che sono sempre più attenti al consumo di beni

a basso impatto ambientale.

La fase di transizione dai modelli di business lineari a quelli di business circolari comporta un

aumento dei costi legati ad ingenti investimenti iniziali per ricerca e sviluppo, istituzione di

piattaforme di logistica inversa e per l’impiego di personale qualificato con competenze

specifiche. Superata la fase iniziale, vi è una complessiva diminuzione dei costi sostenuti.

Per quanto riguarda il profilo dei ricavi, i modelli di business circolari portano a un loro

aumento nel medio-lungo periodo. Tale crescita dipende in massima parte dall’aumento della

competitività aziendale, dal migliore posizionamento sul mercato dal punto di vista qualitativo

e di performance ambientali, e dalla fidelizzazione del cliente.

I modelli di business circolari, nel loro complesso, determinano significativi cambiamenti nei

flussi di cassa in entrata e portano ad un loro incremento nel lungo periodo. I flussi di cassa in

uscita, al contrario, aumentano nel breve periodo, in riferimento agli investimenti, per poi

ritornare stabili nel lungo termine. Le dinamiche dei flussi di cassa sono influenzate dal tipo di

modello di business circolare adottato. Ad esempio, i modelli del prodotto come servizio e della

condivisione determinano una radicale redistribuzione dei flussi di cassa, diluendo le entrate in

tempi lunghi e determinando quindi una modifica sostanziale dei profili di reddittività.

Complessivamente, l’applicazione di modelli di business circolari consente una migliore

sostenibilità economico-finanziaria nel medio-lungo periodo.

L’adozione di modelli di business circolari, può mettere al riparo da aumenti della pressione

fiscale legata all’utilizzo di risorse vergini e di sistemi inquinanti. Permette, inoltre, di ridurre

l’impatto ambientale aziendale negativo e, di conseguenza, di ridurre gli eventuali oneri fiscali

applicati a tali impatti. Esistono anche opportunità di accesso a benefici fiscali nel caso in cui i

modelli circolari siano implementati in partnership con organizzazioni del Terzo Settore, le

65
quali beneficiano di agevolazioni fiscali in quanto attive nell’erogazione di servizi di interesse

generale.

I modelli di business circolari possono accompagnarsi a notevoli cambiamenti in termini dei

profili di proprietà dei beni e degli asset e, di conseguenza, delle relative responsabilità civili.

Si presenta quindi la necessità di gestire i rischi con prodotti assicurativi innovativi. Per

esempio, i modelli di prodotto come servizio e di condivisione possono determinare un aumento

degli oneri per il mantenimento della proprietà degli asset in capo al produttore. Sui costi

assicurativi incidono, le caratteristiche specifiche degli impianti e le attività condotte negli

stessi, con situazioni che possono essere valutate solo caso per caso. Complessivamente, la

diminuzione del rischio può comportare la riduzione dei costi assicurativi.

Negli ultimi anni, le decisioni d’investimento di molti investitori, sia istituzionali che privati,

sono sempre più legate ai temi della sostenibilità, e in maniera crescente all’economia circolare

nello specifico.

3.6 Il Life Cycle Assessment

Essendoci la necessità di misurare la sostenibilità ambientale con metodi scientificamente

affidabili, nasce l’innovativa filosofia di pensiero Life Cycle Thinking (LCT) che considera un

prodotto come un insieme di operazioni, di flussi di materiali e di energie in input e output,

associati a tutti gli step del suo ciclo di vita, dalla progettazione all’utilizzo, fino al fine vita. Da

questo concetto si sviluppa come principale strumento operativo, specie in campo ambientale,

la metodologia Life Cycle Assessment (LCA). L’approccio Life Cycle Thinking (LCT) e la

metodologia Life Cycle Assessment (LCA) sono alla base delle politiche ambientali e a

supporto delle decisioni di business correlate con la Produzione e il Consumo Sostenibile.

66
Il Life Cycle Assessment (valutazione del ciclo di vita) è un metodo che valuta un insieme di

interazioni che un prodotto o un servizio ha con l'ambiente, considerando il suo intero ciclo di

vita che include le fasi di preproduzione (estrazione dei materiali), produzione, distribuzione,

uso, riciclaggio e dismissione finale. La procedura LCA è standardizzata a livello internazionale

dalle norme ISO 14040 e 14044.

La metodologia di valutazione Life Cycle Assessment (LCA) rappresenta uno strumento di

grande supporto alla sostenibilità dei prodotti e all’economia circolare, poiché permette

di confrontare strategie diverse e scegliere le soluzioni più vantaggiose per attuare una politica

aziendale fortemente improntata al rispetto della sostenibilità ambientale.

La metodologia è perciò una base affidabile per la valutazione di tali impatti ambientali e per

la definizione di azioni orientate alla produzione e consumo sostenibili. Essa consente di

ottenere informazioni sulle prestazioni energetico-ambientali dei prodotti lungo il loro ciclo di

vita e individuare opzioni di miglioramento delle prestazioni ambientali dei prodotti. La LCA

permette di avere una visione globale del prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita includendo

anche taluni impatti normalmente ignorati o trascurati come quelli connessi allo smaltimento.

La LCA rappresenta uno dei pilastri principali delle politiche Europee volte all’uso sostenibile

delle risorse, alla produzione e consumo sostenibili, all’etichettatura ambientale, alla

progettazione eco-compatibile (eco-design), all’innovazione, alla prevenzione dei rifiuti e al

loro riciclo.

L’analisi del ciclo di vita serve ad identificare le opportunità di migliorare gli aspetti ambientali

dei prodotti nei diversi stadi del loro ciclo di vita e scegliere indicatori rilevanti di prestazione

ambientale con le relative tecniche. L’Analisi del Ciclo di Vita è una compilazione e

valutazione attraverso tutto il ciclo di vita dei flussi in entrata e in uscita, nonché dei potenziali

impatti ambientali, di un sistema di prodotto.

67
Di seguito sono elencati alcuni risultati ottenibili tramite LCA:

o Miglioramento delle prestazioni ambientali di prodotti, ai vari livelli del ciclo di vita e

individuazione dei punti critici migliorabili.

o Comunicazione dei benefit ambientali di un prodotto tramite Dichiarazione Ambientale

di Prodotto

o Valutazione delle diverse politiche ambientali e comparazione di soluzioni alternative,

sostituzione e riduzione di sostanze pericolose, scelta di materiali.

o Supporto alle decisioni prese da aziende private/pubbliche, da istituzioni governative e

non (pianificazione strategica, definizione delle priorità, progettazione/redesign di

prodotti processi) e

contribuire, con dati quantitativi robusti e verificabili, ad orientare le scelte dei decisori

verso soluzioni che riducano gli impatti ambientali in modo significativo .

La struttura di LCA è suddivisa in quattro momenti principali:

1. Definizione degli obiettivi e del contenuto: è la fase preliminare in cui sono definiti gli

obiettivi e il campo di applicazione dello studio, è l’unità funzionale dove vengono

definiti i confini del sistema studiato, il fabbisogno di dati, le assunzioni e i limiti, chi

esegue e a chi è indirizzato lo studio, quale funzioni o prodotti si studiano, i requisiti di

qualità dei dati. Si stabilisce quindi il contesto in cui la valutazione deve essere effettuata

e si individuano i limiti e gli effetti ambientali da sottoporre a revisione per la

valutazione.

2. L’analisi d’inventario consiste nella raccolta di dati e nelle procedure di calcolo volte

a quantificare i flussi in entrata e in uscita rilevanti di un sistema di prodotto, in accordo

all’obiettivo e al campo di applicazione. Vengono identificati e quantificati l’uso di

68
energia, acqua, materiali e le emissioni nell’ambiente (ad esempio, le emissioni

nell’aria, lo smaltimento dei rifiuti solidi, scarichi di acque reflue).

3. Valutazione degli impatti del ciclo di vita ha lo scopo di valutare la portata dei

potenziali impatti ambientali utilizzando i risultati dell’analisi di inventario del ciclo di

vita. Quindi consiste nel valutare i potenziali effetti umani ed ecologici dall’utilizzo di

energia, acqua, materiali e le emissioni ambientali individuati nell’analisi

dell’inventario.

4. Interpretazione: è un procedimento sistematico volto all’identificazione, qualifica,

verifica e valutazione dei risultati delle fasi di inventario e di valutazione degli impatti,

al fine di presentarli in forma tale da soddisfare i requisiti dell’applicazione descritti

nell’obiettivo e nel campo di applicazione, nonché di trarre conclusioni e

raccomandazioni.

Figura 12

69
Una valutazione LCA aiuta a selezionare un prodotto o un processo che determina il minimo

impatto per l’ambiente. Perciò in fase di scelta si ha più consapevolezza delle prestazioni

ecologiche degli oggetti considerati.

Inoltre i dati LCA identificano il trasferimento degli impatti ambientali da un oggetto ad un

altro (ad esempio, processi che eliminano le emissioni dall’aria spostandole nelle acque reflue)

o da una fase all’altra del ciclo. Questa capacità di spostare e documentare gli impatti ambientali

aiuta un qualsiasi decisore o gestore ambientale nel processo di selezione di prodotti o processi.

Però la valutazione LCA può essere molto dispendiosa in termini di risorse e di tempo

impiegato. In funzione del grado di approfondimento che si vuol impiegare, la raccolta e

disponibilità dei dati in input possono essere problematici ed influenzare pesantemente

l’accuratezza dei risultati finali.

Pertanto, è importante valutare la disponibilità dei dati, il tempo necessario per condurre lo

studio e le risorse finanziarie richieste a fronte dei benefici previsti dalla valutazione del ciclo

di vita.

Le origini del Life Cycle Thinking risalgono agli anni ‘60, quando furono redatti i primi bilanci

energetici, sotto la spinta di una crescente preoccupazione per i problemi relativi all’esauribilità

delle risorse e alla produzione di reflui industriali. A fine anni ’60, alcuni ricercatori intuiscono

che per analizzare efficacemente le problematiche ambientali connesse ai sistemi produttivi

occorre utilizzare metodi scientifici che esaminino tutti gli step della filiera dall’ estrazione

delle materie prime, produzione, imballaggio, utilizzo, fine vita, comprese le fasi intermedie di

trasformazione e trasporto. La denominazione LCA arriva solo più tardi, quando ci si rende

conto che l’interesse deve spostarsi dai singoli step produttivi al sistema nella sua interezza e

complessità. Il focus cambia da processo a sistema prodotto. Fino ad allora l’attenzione è

incentrata sull’analisi dei singoli processi o componenti separatamente. Si trascura il fatto che

i benefici ottenuti localmente in una fase possano influenzare le prestazioni altrove, all’interno

70
del sistema tecnologico o al di fuori della filiera (sfera ambientale). Il rischio di una visione

riduttiva è quello di non ottenere risultati migliorativi nel complesso, o addirittura di peggiorare

il bilancio generale. Quindi per effettuare un valido bilancio occorre tenere presente tutte le

fasi, valutando sia i benefici che i potenziali svantaggi.

Negli anni ’70, negli Stati Uniti, si sviluppano le prime applicazioni della teoria LCT. Uno dei

primi studi di LCA è stato sviluppato dalla Coca Cola Company nel 1969 con l’obbiettivo di

determinare le conseguenze ambientali della produzione di diversi tipi di contenitori per

bevande e di identificare quale materiale (plastica, vetro o alluminio) e quale strategia di

impiego a fine vita del contenitore (a perdere o a rendere) fosse migliore dal punto di vista

ambientale cioè con il minor impatto in termini di emissioni, consumo di risorse e più

ecocompatibili. Lo scopo era in ultima battuta confrontare le prestazioni dei diversi materiali

impiegati per le medesime applicazioni.

Nel frattempo, in Europa, si sviluppa un approccio simile denominato Ecobalance e viene

pubblicato il “manuale di Analisi Energetica” di Bouestead e Handcock (1979). Esso riporta

una prima descrizione della procedura che trova ancora la sua validità nell’attuale procedimento

LCA. Negli anni ’80 e ’90, le crisi petrolifere, le emergenti problematiche ambientali, la

destinazione dei rifiuti, il riscaldamento globale, la limitatezza delle risorse, le crisi energetiche,

costringono ad abbandonare la teoria economia classica e favoriscono l’affermarsi del nuovo

concetto di “sviluppo sostenibile”. I ritmi con cui l’umanità sfrutta le risorse ambientali

superano il tasso di rigenerazione delle stesse perciò l’interesse delle aziende nei confronti

dell’ambiente cresce e cominciano così ad affermarsi diverse tecniche per analisi di tipo

ambientale come l’analisi LCA, e altri metodi basati sull’approccio Life Cycle Thinking, quali

il Life Cycle Costing (LCC), l’Environmental LCC, il Life Cycle Accounting.

71
Gli anni ’80 riscontrano una situazione di grande confusione perché rapporti ambientali

effettuati sugli stessi prodotti contengono risultati spesso contrastanti questo perché tali studi si

fondano su dati, metodi e terminologie differenti. Appare evidente la necessità di implementare

delle linee guide chiare per l’applicazione delle differenti metodologie. Conseguentemente,

negli anni ’90 prende il via il processo di standardizzazione dei vari metodi, sotto il patrocinio

della Society of Environmental Toxicology and Chemistry che fornisce un contributo rilevante

a tale processo, elaborando le prime linee guida LCA raccolte in “A code of practice” (1993) e

costituisce diversi gruppi di lavoro in Europa e in Nord America, con l’intento di diffondere la

conoscenza e promuovere sviluppi ulteriori della metodologia LCA. Nello stesso anno la

International Organization for Standardization (ISO) prende la leadership del processo. I due

trovano un valido partner per questa missione nell’UNEP (United Nations for Environmental

Programme) che nel 1996 pubblica un rapporto dettagliato sullo stato di applicazione

dell’analisi LCA, definendola una tecnica innovativa di valutazione di impatto ambientale. Il

risultato più importante dell’impegno della comunità scientifica e di suddetti enti è la

pubblicazione, nel 1998, delle norme tecniche della serie ISO 14040, che costituiscono un

quadro di riferimento per la definizione e l’applicazione della metodologia LCA riconosciuto e

accettato al livello internazionale. La prima definizione del termine Life Cycle Assessement

viene proposta durante il Congresso SETAC (Society of Environmental Toxicology and

Chemistry) nel 1990: “un processo oggettivo di valutazione dei carichi ambientali connessi con

un prodotto, processo o attività, condotto attraverso l’identificazione e la quantificazione

dell’energia e dei materiali impiegati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente, per valutare l’impatto

di questi usi di energia e materiali e rilasci nell’ambiente, e per vagliare e realizzare le

opportunità di miglioramento ambientale. La valutazione include l’intero ciclo di vita del

prodotto, processo o attività, includendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la

fabbricazione, il trasporto e la distribuzione, l’uso, il riuso, la manutenzione, il riciclo e lo

72
smaltimento finale." Una definizione standardizzata si può oggi trovare nella norma UNI EN

ISO 14040 (2006): “A compilation and evaluation of the inputs, outputs and the potential

environmental impacts of a product system throughout its life cycle.”

73
CAPITOLO 4 - AZIENDE ALLE PRESE CON L’ECONOMIA CIRCOALRE

1.1 Origini dell’azienda Ikea

IKEA è membro di Circular Economy 100 Programme o CE100, una piattaforma

internazionale multi-stakeholders fondata dalla Ellen McArthur Foundation per

promuovere la conversione a un modello circolare di economia. CE100 riunisce

insieme un centinaio tra imprese, istituzioni governative ed accademiche, innovatori

e affiliati emergenti. L’ambizione di IKEA è di contribuire alla realizzazione

dell’Economia circolare attraverso la chiusura dei cicli di materiali derivanti sia da

processi interni che da altre fonti esterne. Inoltre punta all’incremento dei servizi

post-vendita offerti ai propri clienti e collaboratori così da consentire loro di

conservare, riparare, riutilizzare e riciclare i propri mobili e complementi di arredo.

Per IKEA ciò si traduce nell’abbattere e sostituire progressivamente il modello

“take-make-dispose” ovvero lineare con il concetto di economia circolare, in cui i

rifiuti non sono considerati tali ma possono essere trasformati in nuove risorse

applicando i principi 3R della scala gerarchica dei rifiuti.

La sigla IKEA è l’acronimo delle iniziali del nome e cognome del suo fondatore,

Ingvar Kamprad, più le iniziali del villaggio dove è cresciuto Elmtaryd Agunnaryd

(Svezia).

La società, che oggi è un colosso mondiale, presenta ancora un indissolubile legame

con Kamprad (deceduto nel 2018), con la Svezia e con lo stile e la filosofia del

fondatore ovvero tagliare i costi superflui, sprecare poco o nulla, vendere prodotti

ed accessori per l’arredamento che abbiano un discreta qualità ed un prezzo

74
accessibile a tutti. Attualmente i prodotti IKEA sono venduti in 345 negozi sparsi in

42 Paesi del mondo.

Ingvar Kamprad ha fondato IKEA nel 1943 all’età di 17 anni, vendendo

inizialmente penne, portafogli e cornici , in seguito comprò una fattoria abbandonata

nella quale cominciò a costruire mobili, realizzò il primo catalogo di sole sedici

pagine con le illustrazioni dei mobili in vendita. Da quel momento la società iniziò

a specializzarsi in mobili e complementi d’arredo, sviluppando un proprio

assortimento esclusivo che forniva articoli di design a prezzi accessibili per qualsiasi

ceto sociale. La prima innovazione di IKEA fu quella di vendere i mobili che i clienti

avrebbero montato da sé, in modo da abbattere i costi di assemblaggio, di trasporto,

di magazzino giacché un mobile smontato non occupa lo spazio dello stesso già

assemblato. Kamprad improntava il suo business già in modo più sostenibile degli

altri produttori dell’epoca, anche perché il legno (di betulla, di larice e di pino) usato

per i mobili proveniva dalle foreste nordiche di facile rimboschimento caratterizzate

da rapido accrescimento, per cui l’impiego di questi tipi di legname non comporta

rischio di deforestazione. Nel 1963 la società apriva il primo negozio fuori dai

confini svedesi, nella vicina Norvegia. Per ridurre ulteriormente i propri costi e

proporre prodotti ancora più economici, dal 1968 la società iniziò a sostituire il legno

con il più economico truciolato per molti dei suoi mobili e nel decennio successivo

iniziò ad espandersi in tutti i Paesi del mondo, anche al di fuori dei confini

dell’Europa. In Italia il primo negozio IKEA è stato aperto nel 1989 e, ad oggi, sul

territorio nazionale sono presenti ben 21 negozi. L’Italia è il terzo Paese, dopo Cina

e Polonia, in cui la società acquista le materie prime da utilizzare per la produzione

degli arredi.

75
Kamprad ha sempre seguito la stessa filosofia IKEA per tutta la sua vita ovvero

frugalità, semplicità, autosufficienza, efficienza, lotta allo spreco. In quest’ottica, il

Gruppo IKEA si è impegnato a produrre una quantità di energia rinnovabile pari a

quella consumata per lo svolgimento delle proprie attività. Dal 2009 il Gruppo IKEA

ha investito 1,7 miliardi di euro nell’energia rinnovabile con 416 turbine eoliche

proprie e circa 750.000 pannelli solari installati sui tetti degli edifici dei propri store.

4.2 Attitudine alla circolarità di IKEA


Le motivazioni che spingono IKEA ad attuare l’economia circolare nel proprio business sono:

o Andar incontro alle esigenze e aspettative dei clienti, fornendo esperienze di

utilizzo dei prodotti sempre migliori sotto il profilo della sostenibilità

trovando e usando nuovi materiali più sostenibili.

o Garantire l’accessibilità a lungo termine alle risorse naturali, fronteggiando

in maniera proattiva il problema della loro scarsità e la volatilità dei prezzi

delle materie prime;

o Ridurre, e quando possibile eliminare, l’impatto ambientale attraverso

modelli virtuosi di azione e business;

o Accrescere la fiducia e la percezione di qualità da parte dei consumatori.

In IKEA il concetto di circular economy comprende tre aree differenti di azione e

sviluppo per il prolungamento della vita di un prodotto:

76
1) la ricerca di modalità innovative di design, approvvigionamento, produzione e

distribuzione; 2) il supporto ai clienti IKEA; 3) il coinvolgimento di clienti e

collaboratori IKEA nell’intento.

L’azienda fornisce ai propri clienti soluzioni per facilitare il mantenimento e il

riutilizzo di un prodotto nel tempo così il rifiuto diventa uno status da evitare. Le

soluzioni che IKEA offre, vanno da istruzioni chiare e semplici per la manutenzione

e la riparazione dei prodotti, alla fornitura di parti di ricambio, fino alla possibilità

di poter condividere, noleggiare, rivendere un prodotto. In alcuni paesi, tra cui

l’Italia, già da diversi anni è attivo il servizio di “Ritiro dell’Usato IKEA”, i soci

IKEA possono riportare il proprio mobile usato nei punti vendita dell’azienda per

una rivalutazione dell’oggetto, se in buono stato viene corrisposto un voucher che il

cliente può spendere per nuovi acquisti, mentre l’azienda rivende il mobile rivalutato

in un angolo occasioni apposito. In questo modo il prodotto acquista una seconda

vita ed è disponibile a prezzo vantaggioso per altri utenti.

Negli anni l’azienda ha predisposto un efficiente sistema chiamato reparto

Recovery, che ha come obiettivo quello di evitare che prodotti difettosi o lievemente

danneggiati diventino immediatamente rifiuti. E’ una specie di “officina” di negozio

che si occupa di re-imballare e rimettere in vendita articoli imperfetti non

commerciabili a prezzo pieno ma funzionali e in buone condizioni. La funzione

Recovery, ha evitato che oltre 20.000 metri cubi di materiale diventasse rifiuto.

In IKEA il design è pensato per un’economia circolare, presuppone che un prodotto

venga creato pensando al suo fine vita, o meglio facendo sì che non finisca in

discarica ma possa essere il più duraturo possibile, facilmente riparabile dunque

riutilizzabile, fatto con materiali riciclabili e ulteriormente valorizzabili una volta

compiuto il ciclo di utilizzo.

77
Deve valere il principio da rifiuto a nuova risorsa.

Quando in IKEA non si ha la possibilità di usare risorse rinnovabili, ricorrono a

materiali riciclati o riciclabili. In questo modo si prevede il ripensare le catene di

risorse ovvero tutto ciò che può essere riutilizzato all’interno del sistema IKEA deve

rimanere all’interno del sistema, così da ridurre i consumi di risorse vergini,

minimizzare i costi, massimizzando l’accessibilità alle risorse, e semplificare la

complessità della logistica di approvvigionamento. Gli obiettivi principali sono

infatti garantire l’accessibilità alle materie prime secondarie, ridurre i costi

all’interno della catena del valore, consentire a IKEA di essere flessibile nella scelta

tra materie prime o materie riciclate rimanendo competitivi, e assicurarsi di essere

una buona azienda che ispiri fiducia nei collaboratori e nei consumatori. I risultati

attesi consistono nel sviluppare e testare nuove soluzioni e materiali e sviluppare

una politica di gestione a lungo termine implementando un piano strategico.

Un esempio concreto è quello del film plastico proveniente da rifiuti di imballaggi

generato nei negozi e centri di distribuzione IKEA che viene riciclato al fine di

produrre il sottomano da scrivania IKEA. In generale, i flussi interni di materiali,

provenienti dalle operazioni delle unità IKEA costituiscono materiali di elevata

qualità e di grande valore per il riciclo.

Nel biennio 2010-2012 IKEA e WWF collaborarono per analizzare e testare le

opportunità e le sfide per la chiusura dei cicli di materiali. Il progetto rivelò che il

riciclo viene valutato sulla base dei volumi, del peso e delle percentuali di recupero,

ma il focus sulla qualità dei materiali è basso. I cicli di riciclaggio che incrementano

la qualità e il valore dei materiali nel tempo sono preferibili e sono uno dei

prerequisiti essenziali perché un materiale possa essere usato in maniera circolare.

78
Questo vale purché si analizzino anche tutti gli eventuali impatti sociali, ambientali,

economici derivanti dai processi di riciclo.

I rifiuti in cartone e in plastica sono tra i materiali con il maggiore potenziale per

essere re-impiegati come materie prime seconde, nei cicli produttivi, compresi la

realizzazione di prodotti IKEA. L’azienda orientandosi alla circolarità, ha

cominciato a ripensare i propri processi, dai materiali usati, al tipo di energia per

alimentare i negozi ed i processi di lavorazione, fino a studiare il modo di prolungare

la vita dei prodotti riparandoli, riutilizzandoli e riciclandoli.

In tutta la catena del valore, la società si è posta l’obiettivo di usare risorse

rinnovabili e riciclate nel modo più efficiente possibile, per creare valore anziché

rifiuti. Inoltre, si aumenta il ciclo di vita dei prodotti dandogli nuova vita quando i

clienti decidono di non utilizzarli più.

Cambiare una linea di produzione richiede investimenti notevoli e ciò deve avvenire

gradualmente nel tempo.

Per contribuire alla transizione verso la circular economy, l’azienda studia la

progettazione di intere linee di prodotti, pensando non solo a tutto il loro ciclo di

vita, ma anche alla loro seconda vita e, in più, si comincia a produrre anche usando

materiali rinnovabili, riciclati e ricavati da fonti più sostenibili.

I prodotti devono durare finché il cliente ne ha bisogno, essere di facile

manutenzione e semplici da riparare, riutilizzare, rimontare e riciclare. Nel

precedente capitolo si è parlato dell’importanza del design nella progettazione dei

beni improntata ai principi dell’economia circolare, poiché la vera innovazione in

senso circolare parte già dalla fase di progettazione e sviluppo di un prodotto che

deve tenere conto della sua sostenibilità durante il proprio ciclo di vita, del suo riuso

e della sua adattabilità a soluzioni che invitino il consumatore a non disfarsene. Nella

79
consapevolezza che per essere circolari bisogna considerare i rifiuti una risorsa,

IKEA sta cercando di riciclare il più possibile materiali residuati delle sue

produzioni che altrimenti sarebbero rifiuti. Le ante per il guardaroba REINSVOLL,

ad esempio, sono state realizzate in legno riciclato, rivestito con una lamina in

plastica anch’essa riciclata ottenuta da bottiglie in PET, creando una linea

sostenibile ed allo stesso tempo di qualità e stile.

In IKEA si lavora per allungare il ciclo di vita dei prodotti offrendo ai clienti diverse

possibilità per dare una seconda vita ai mobili come ad esempio rinnovarli

riverniciandoli, ripararli mettendo a loro disposizione i pezzi di ricambio, oppure

restituirli usufruendo del servizio di trasporto aziendale, per donarli ad

organizzazioni sociali. Il risultato è zero rifiuti, ma anche incremento della

reputazione del marchio e della customer satisfaction. Il ritiro dei mobili usati per

essere rivenduti, è un’iniziativa IKEA che prende il nome di Second Life, ai clienti

vengono dati in cambio dei buoni da spendere nello stesso store dove i mobili erano

stati conferiti.

I componenti per alcune linee di cucine vengono prodotti da plastica dalle raccolta

differenziata, che viene fusa e applicata a pannelli di legno riciclato dando vita ad

un laminato particolarmente resistente e facile da pulire si da cosi vita ad un laminato

riciclato che possiede gli stessi requisiti di qualità del materiale vergine, e ad un eco-

business davvero circolare.

Questo modo di riciclare è un passo importante per Ikea verso l’obiettivo di un

business circolare che garantisca nuove possibilità di utilizzo per materie prime

seconde.

Questa modalità non espone l’ impresa a costi elevati, ma si investe in Ricerca e

Sviluppo e l’azienda cosi facendo non introduce al suo interno nessun nuovo

80
impianto, né modifica quelli esistenti per dare il via ad una nuova linea produttiva.

Potrà farlo dopo che la domanda del prodotto si sarà consolidata o lasciare che il

prodotto continui ad essere realizzato su commissione, implementando un nuovo

business senza apportare modifiche alla propria struttura produttiva.

Pertanto, si può avviare un business innovativo all’insegna della circolarità anche

senza investire in macchinari e processi produttivi all’interno della propria

organizzazione, ma commissionando la produzione ad imprese esterne, facendo così

venire meno una delle barriere che ostacolano alla transizione delle imprese già

esistenti sul mercato verso una produzione improntata ai principi dell’economia

circolare.

Nel Report di Sostenibilità IKEA-Italia viene dichiarato l’impegno dell’azienda ad

attingere sempre più a materie prime seconde per la realizzazione dei suoi prodotti

in un’ottica di circolarità. Fondamentali per il successo e per la crescita stessa di

IKEA come business sono le materie prime di cui si compongono i prodotti. La

tutela e la garanzia dell’accessibilità̀ di materiali quali legno e cotone hanno

un’importanza particolare. FSC (Forest Stewardship Council) e BCI (Better Cotton

Initiative) sono i due standard applicati rispettivamente a legno e cotone. Nel corso

degli ultimi anni Ikea ha costantemente incrementato la percentuale di raccolta

differenziata dei negozi, generando nuove opportunità nell’ambito della green

economy ed un guadagno elevato. IKEA non solo ricicla, ma aiuta a riciclare. Per

tutti i clienti IKEA riciclare diventa facile grazie ai servizi forniti dall’azienda, che

permettono di smaltire in modo responsabile alcuni tipi di rifiuto. In questo ambito

s’inserisce la campagna “RI-COTONA la tua casa”. I clienti IKEA sono stati

incentivati a portare nei negozi tutti i loro articoli di cotone, come ad esempio

lenzuola e coperte. Per ogni articolo riportato è stato consegnato un voucher che ha

81
permesso ai clienti di acquistare nuovi prodotti IKEA e di dare una seconda vita ai

vecchi articoli. Inoltre, il reparto “recovery” come accennato prima, offre un servizio

fondamentale nella riduzione del quantitativo di rifiuti, re-imballando alcuni articoli

e commercializzandoli come prodotti ancora funzionanti ma con piccole

imperfezioni. Il report monitora tale performance con il Recovery index, ovvero il

rapporto fra la merce recuperata ed il totale di quella non più vendibile.

4.3 L’azienda Barilla

Barilla è una multinazionale italiana che opera nel settore alimentare, è presente ed

esporta i suoi prodotti in più di 100 Paesi. L’azienda nasce nel 1877 a Parma

dall’idea di Pietro Barilla. Oggi Barilla è leader mondiale per quanto riguarda il

mercato della pasta inoltre in Europa è la migliore per quel che riguarda la

produzione di sughi pronti, in Italia per i prodotti da forno, in Francia nel mercato

del pane morbido e nei paesi scandinavi nel mercato dei pani croccanti.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile include 17 grandi obiettivi e alcuni di

questi riguardano i modelli alimentari, nei quali spesso vi sono sistemi di

produzione, distribuzione e consumo non sempre sostenibili. Degli esempi sono: la

riduzione del consumo di risorse ed energie non rinnovabili, il contenimento del

riscaldamento globale e la riduzione degli sprechi lungo tutte le filiere. Barilla, con

la strategia “Buono per Te, Buono per il Pianeta”, cerca di raggiungere degli

obiettivi di sviluppo sostenibile. Il suo contributo si basa sul miglioramento

dell’efficienza dei processi produttivi con lo scopo di ridurre le emissioni di gas

82
serra e dei consumi d’acqua e lo sviluppo di progetti atti alla promozione di pratiche

agricole più efficienti e sostenibili in tutte le filiere della multinazionale.

Nel 2009 la Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) ha elaborato

il modello della Doppia Piramide che tratta le principali questioni riguardanti il cibo

nella situazione ambientale, economia e sociale, e riguardo alla salute delle persone

e del Pianeta. Lo scopo è di ricordare l’importanza delle scelte alimentari che vanno

ad incidere sul nostro benessere e su quello ambientale. Nella piramide alimentare i

cibi sono disposti in ordine di frequenza, periodicità di consumo consigliata per la

salute della persona. Alla base della piramide, vi sono alimenti più nutrienti e sani,

nella punta invece sono presenti alimenti con maggior apporto energetico e che

dovrebbero essere consumati con meno frequenza.

Nella piramide ambientale i cibi sono disposti in base alla loro impronta ecologica

ovvero in base al loro impatto ambientale, riguardo alla quantità d’acqua utilizzata,

emissioni di CO2 e al consumo delle risorse naturali. La struttura della doppia

piramide vuole dimostrare che gli alimenti che dovrebbero essere consumati con

maggiore frequenza per la propria salute sono gli stessi alimenti che hanno un minor

impatto ambientale, mentre i cibi che hanno un maggior impatto sul Pianeta sono gli

stessi che andrebbero consumati con moderazione. L’obiettivo di Barilla è di offrire

ai propri clienti soltanto prodotti che stanno alla base della piramide ambientale.

83
Figura 13

Per gestire in modo efficace gli impatti sul Pianeta, è fondamentale considerare tutta

la filiera dai fornitori ai clienti. Barilla parla di filiera integrata, ovvero le fasi di

acquisto, produzione, logistica e distribuzione devono sempre essere analizzate e

gestite nel loro complesso, così da lavorare in modo sinergico e ottimizzare le azioni.

Anche il controllo del ciclo di vita dei prodotti risulta un’analisi importante per

verificare l’eventuale impatto ambientale. Il momento di maggior impatto

ambientale avviene durante la coltivazione di materie prime e durante la cottura dei

prodotti. L’azienda perciò promuovere pratiche legate all’agricoltura più efficienti e

sostenibili e inoltre praticano controlli negli stabilimenti di produzione riducendo

negli anni emissioni, consumi e scarti. Un esempio è lo sviluppo tecnologico dello

stabilimento di sughi più innovativo e all’avanguardia nella sua categoria, a

84
Rubbiano che rispetto a stabilimenti analoghi produce emissioni CO2 del 39% in

meno, consumi idrici del 72% in meno e inoltre ricicla il 95% dei rifiuti che produce.

Barilla ha sviluppato sistemi di coltivazione più efficienti e sostenibili, capaci di

apportare prodotti di maggiore qualità e sicurezza considerando ambiente e

condizioni economico-sociali degli agricoltori. Barilla cosi genera una riduzione di

sprechi e consumi e procura agli agricoltori una maggior resa di produzione ad un

minor costo.

Per quel che riguarda gli imballaggi o le confezioni del marchio Barilla vi è un dato

interessante, il 99% di essi è composto da materiale riciclato. Le principali linee

guida riguardanti il packaging sono la riduzione della quantità di materiali di

packaging, l’utilizzo di imballi riciclabili, l’uso di materiali provenienti da foreste

gestite in modo responsabile e la progettazione del packaging in base all’impatto

ambientale durante il ciclo di vita del prodotto. L’azienda inoltre punta ad utilizzare

soltanto materiali riciclati. Per fare questa scelta è necessario individuare dei

materiali che posseggano le capacità per poter essere riciclati. Barilla per aiutare ed

istruire i propri clienti nell’operazione di riciclo delle confezioni, ha creato dei

simboli da applicare sul packaging in modo che il consumatore possa riconoscere

immediatamente il compartimento cui destinarlo. Barilla progetta i suoi nuovi

packaging mediante l’uso dell’LCA (Life Cycle Assessement o Analisi del Ciclo di

Vita) che fa valutare meglio l’impatto ambientale e confronta le opzioni possibili

con quelle attuabili.

Un altro importante programma di Barilla per l’economia circolare prende il nome

di progetto “CartaCrusca” iniziato nel 2013. Questo progetto consisteva nel recupero

della crusca, proveniente dalla macinazione di grano, orzo, segale e altri cereali, e

nella sua successiva lavorazione, insieme alla cellulosa, per farla diventare materia

85
prima nella produzione della carta. Fu un progetto innovativo, non era semplice

riciclo della carta, ma era molto più legato al concetto di circolarità. Consisteva nella

riduzione del consumo di materie prime attraverso il recupero, riutilizzo e riciclo di

scarti di produzione. Si valorizzava un sottoprodotto cioè la crusca, uno scarto

proveniente dalla macinazione dei cereali che altrimenti sarebbe stato destinato alla

vendita alle industrie mangimistiche e produttrici di biogas.

La crusca perciò veniva reinserita nel ciclo produttivo ritrasformandolo in nuova

materia prima utile ad altri processi di produzione. Barilla per realizzare questo

progetto divenne partner della cartiera Favini che era ideale per aiutare nel processo

di recupero della crusca inutilizzabile come alimento. Unendo le competenze, le due

aziende creano cosi un progetto innovativo ed ecologico, individuando il residuo più

adatto, purificandolo, per renderlo compatibile con il tessuto fibroso della carta. Il

risultato fu che il 20% della cellulosa proveniente da albero viene sostituito dalla

crusca e l’emissione di CO2 si riduce. In pratica i residui di crusca della macinazione

del grano Barilla, inutilizzabili per l’alimentazione, vengono consegnati come

materia prima seconda alla cartiera Favini, che trasforma il sottoprodotto in materia

prima per la produzione di una carta di alta qualità. Oggi Barilla utilizza CartaCrusca

per creare i suoi packaging rinnovabili e biodegradabili, ma anche per documenti

interni o oggetti promozionali. Il progetto CartaCrusca è stato presentato come

esempio virtuoso di economia circolare al meeting dei Ministri dell’Ambiente

dell’Unione Europea nel luglio del 2014, proprio perché applica alla lettera un

modello di economia circolare, la simbiosi industriale, il sistema che coinvolge

industrie separate con il fine di portare dei vantaggi competitivi ad entrambi grazie

allo scambio di materia, energia, acqua e sottoprodotti, grazie alla collaborazione tra

le imprese e le opportunità di sinergia disponibili in una stessa area geografica ed

86
economica. E’ una strategia per l’ottimizzazione dell’uso delle risorse attraverso la

quale due o più industrie tradizionalmente separate condividono delle risorse, il

sottoprodotto di una diventa la risorsa dell’altra.

87
Conclusione

L’elaborato ha avuto per oggetto l’economia circolare e vuole dare una panoramica su che cos’è

questo fenomeno e sui modelli di business che le aziende possono adottare per essere in linea con il

nuovo paradigma. Il nostro pianeta manda dei chiari messaggi, stiamo sfruttando l’ecosistema

più di quanto esso possa offrire. Si sono sfruttate materie prime indiscriminatamente, come se

il pianeta, avesse riserve illimitate e le mettesse a disposizione per sempre, e sempre in maggiori

quantità ed in più, non ci si è curati della mole crescente di rifiuti che l’ecosistema non è in

grado di smaltire. Ecco che serve un cambio di rotta, produrre meno rifiuti con una gestione

più responsabile di questi. Il continuo sfruttamento delle risorse naturali, il crescere della

popolazione, le eccessive emissioni di CO2, i consumi sempre più esagerati e gli sprechi

continui di materia ci stanno portando alla distruzione del nostro Pianeta. Risulta sempre più

necessario un cambiamento del modello economico attuale, quello lineare implementando il

modello dell’ Economia Circolare. La circular economy oltre a poter generare vantaggi dal

punto di vista ambientale può allo stesso tempo incrementare i profitti delle imprese, e portare

benefici anche allo stile di vita dei consumatori. Il riciclo dei rifiuti e la loro reintroduzione nel

ciclo produttivo è un passo importante dell’economia circolare, ma non esiste un modo unico

per partecipare alla circular economy che sia più giusto degli altri. Le aziende possono attuare

una politica circolare scegliendo il modello di business più adatto a loro, non bisogna

dimenticarsi l’importanza del design per prodotti che possono essere disassemblati, la

concezione del prodotto come servizio, l’impiego di risorse disponibili, il recupero, il riuso,

l’estensione del ciclo di vita del prodotto.

Questo nuovo modello cerca di eliminare il concetto di “rifiuto” riconoscendo che tutto ha un

valore.

88
Dal lato delle imprese, pertanto, sono necessarie innovazioni di sistema in quanto vi è bisogno

che esse transitino, in termini di innovazione di prodotto e di processo, verso modelli più

sostenibili di produzione, modelli che prevedano la diminuzione dei rifiuti fino alla loro totale

scomparsa. L’economia circolare sta ricevendo un’attenzione crescente in tutto il mondo, quale

unico modo per superare il modello di produzione e consumo dell’economia lineare, basato

sulla crescita senza freni, sull’aumento costante dello sfruttamento delle risorse e sulla

produzione incessante di rifiuti. Promuovere l'adozione di modelli di produzione in un sistema

economico circolare, significa aumentare l’efficienza dell’uso delle risorse, prestando

particolare attenzione ai rifiuti urbani ed industriali, al fine di ottenere un migliore equilibrio ed

una maggiore armonia tra economia, ambiente e società. Il processo di transizione verso

l’economia circolare, tuttavia, necessita, a monte, di politiche adeguate e chiare, di un approccio

top down che coinvolga tutti i livelli, comprendendo anche l’educazione dei cittadini-

consumatori. Inoltre le imprese devono ripensare al proprio modo di produrre, arrivando a

progettare processi e prodotti che partano dall’impiego, come materia prima, di quello che

prima era considerato rifiuto. I prodotti dovranno essere ripensati, in chiave di eco-design, di

allungamento del loro ciclo di vita e di riparazione e riuso. In questo modo si aiuta anche

l’economia e l’occupazione; infatti, si creano posti di lavoro nella filiera del trattamento dei

rifiuti che diventano materie prime seconde. L’innovazione sta alla base del cambiamento del

business, essa prevede investimenti in ricerca e sviluppo, trasformazione delle filiere,

allargamento del mercato, ma soprattutto un cambiamento di mentalità. Spesso il management

aziendale è poco informato o restio all’innovazione, inoltre vi sono ostacoli di natura

economica, giacché innovare significa investire e, non aspettarsi un ritorno immediato

dell’investimento. Sicuramente le start up sono favorite poiché esse nascono già con una

business di idea circolare ed innovativa e spesso riescono ad ottenere finanziamenti che le

accompagnano a sviluppare il loro business plan. Anche le grandi imprese che decidono di

89
innovare sono favorite, perché ad esse non mancano le risorse per implementare nuovi business,

come si è visto per IKEA, potendo fare affidamento su capitali propri o di rischio e debito. Nel

panorama della transizione verso una produzione che preveda la chiusura del cerchio, quelle

che appaiono penalizzate sono le piccole e medie imprese e questo, è frequente nel caso

dell’Italia, il cui tessuto imprenditoriale è costituito per la maggior parte proprio da questa

tipologia di imprese. Programmi di sostegno e di incentivazione a livello statale potrebbero

aiutare le imprese piccole già esistenti a trasformare la loro attività improntandola ai canoni ed

ai principi dell’economia circolare, altrimenti rischierebbero di uscire dal mercato in tempi non

lunghi. In conclusione nessun azienda può sentirsi impossibilitata ad intraprendere un percorso

che porti alla circolarità, le sfide che ancora rimangono aperte non possono e non devono

intralciare gli sforzi verso la ricerca di un modello che possa arginare l’urgente problema

ambientale che oggi si sta riscontrando.

90
RINGRAZIAMENTI

Mi sento in dovere di dedicare qualche riga in questo spazio del mio elaborato alle persone

che hanno contribuito, con il loro supporto, alla realizzazione dello stesso e che mi sono stati

vicini in questo percorso di crescita personale e professionale.

Innanzitutto vorrei ringraziare la mia università, la facoltà di Economia e Commercio G. Fuà,

nella quale ho passato cinque anni indimenticabili.

Un sentito grazie al mio relatore la professoressa Camilla Mazzoli, per la sua immensa

pazienza, disponibilità e tempestività ad ogni mia richiesta, per i suoi indispensabili consigli,

per le conoscenze trasmesse durante tutto il percorso di stesura dell’elaborato, ha saputo

guidarmi, con suggerimenti pratici, nelle ricerche e nella stesura della tesi, mi ha seguita in

ogni step della realizzazione dell’elaborato, fin dalla scelta dell’argomento dandomi cosi’ la

possibilità, tramite questo elaborato, di approfondire un tema che è sempre rientrato tra i miei

interessi.

Ringrazio infinitamente i miei genitori che mi hanno sempre sostenuto, appoggiando ogni mia

decisione, fin dalla scelta del mio percorso di studi, e per avermi permesso di portare a

termine gli studi universitari.

Un grazie di cuore a mio marito, che grazie a lui ho superato i momenti più difficili, senza i

suoi consigli e senza il suo supporto morale non sarei mai potuta arrivare fin qui.

Grazie a tutta la mia famiglia per esserci sempre stati soprattutto nei momenti di sconforto.

Infine, dedico questa tesi a me stessa, ai miei sacrifici e alla mia tenacia che mi hanno

permesso di arrivare fin qui.

Un enorme grazie a tutti! Algida.

91
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