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Lingue, Scuola, Cittadinanza

Il documento esplora il rapporto tra lingua e cittadinanza nell'antica Grecia e Roma, evidenziando come Aristotele considerasse la lingua fondamentale per la formazione della polis e della comunità politica. Si discute delle differenze tra la democrazia greca, caratterizzata da esclusioni sociali, e la cittadinanza romana, che mostrava una maggiore apertura verso le lingue e le culture diverse. Infine, si sottolinea l'importanza della lingua come strumento di partecipazione e identità civica, sia in contesti greci che romani.

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Il documento esplora il rapporto tra lingua e cittadinanza nell'antica Grecia e Roma, evidenziando come Aristotele considerasse la lingua fondamentale per la formazione della polis e della comunità politica. Si discute delle differenze tra la democrazia greca, caratterizzata da esclusioni sociali, e la cittadinanza romana, che mostrava una maggiore apertura verso le lingue e le culture diverse. Infine, si sottolinea l'importanza della lingua come strumento di partecipazione e identità civica, sia in contesti greci che romani.

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Lingue, scuola, cittadinanza

Alle origini del rapporto tra lingua e cittadinanza: Grecia e Roma

1. Aristotele, logos e polis: la lingua è il fondamento della comunità sociale

● Sebbene l'origine linguistica della parola "cittadinanza" se è tutta interna alla tradizione
Latina, la nozione di cittadinanza ha come fondamento storico e teorico l'esperienza della
polis
- La vita delle Polis nei suoi risvolti di riflessioni teoriche e di pratica applicazione,
diventa il punto di riferimento costante della riflessione sulla nozione stessa di
cittadinanza
- secondo Aristotele nella Polis si afferma e si sviluppa la comunità politica come
organizzazione che discende dalla natura stessa dell'essere umano. infatti, la polis è
una necessità intrinseca dell'essere umano in quanto, a differenza degli altri animali
che pure possono vivere in gruppo, l'uomo è animale politikos. se l'uomo è un'animale
politico, lo è anche perché la polis, è un dato naturale ineluttabile
● È nella polis che si afferma e si sviluppa l'aspetto di comunità sociale, che corrisponde a
una qualità imprescindibile della natura stessa dell'essere umano
- Per Aristotele ciò che rende possibile la formazione della Polis, non come una
semplice aggregazione di individui, è proprio la ​lingua. ​Poiché consente discussioni
ed elaborazioni, la lingua e la naturale condizione di possibilità affinché gli uomini si
riconoscono e si organizzano in una comunità sociale
- solo gli uomini possono formare la polis; infatti la polis non è un mero aggregato di
individui, bensì una comunità sociale organizzata politicamente attraverso leggi e
regolamenti, e ciò accade in ragione del fatto che gli uomini sono per natura politici
proprio in quanto possiedono la lingua
> solo il linguaggio articolato e complesso degli esseri umani rende possibile le attività
politiche
● La lingua è la naturale condizione di possibilità affinché gli uomini si riconoscono E si
organizzino in una comunità politicamente ordinata
- in questa prospettiva il ruolo della lingua è ancora più evidente, poiché essa
accompagna ogni possibile sviluppo della polis
- la polis Può darsi Statuti, regolamenti e leggi in quanto i cittadini parlano tra loro,
discutono, intervengono, propongono e Redigono testi che hanno valore per tutta la
comunità
- Al linguaggio Aristotele assegnava una funzione fondante della società: tale funzione
è naturaliter, propria degli esseri umani e si riempie di significato non solo per la
potenza espressiva e speculativa della lingua verbale ma, specificamente, per la sua
Valenza sociale e politica
- la lingua non è, dunque, solo un elemento dirimente dell'uomo rispetto alle altre
specie, ma costituisce una prerogativa intrinseca dell'uomo in quanto animale politico
● La cornice teorica delineata da Aristotele costituisce un filo rosso che precorre, e percorre,
tutte le successive elaborazioni del rapporto tra lingua e cittadinanza, e si incrocia
inevitabilmente con il concetto di democrazia
- l'analisi dell'esperienza tra Polis greca consente di riflettere Almeno su alcuni aspetti
fondamentali del rapporto tra lingua e cittadinanza che poi ritroveremo un futuro
1. l'elemento fondativo della lingua che si amalgama ontologicamente con la
pratica e la costruzione degli strumenti della cittadinanza, con il ruolo di
cittadino e la possibilità di partecipare attivamente, di prendere la parola e
intervenire nell'assemblea democratica
2. l'atteggiamento verso gli stranieri e le loro lingue

2. Funzione politica della lingua e cittadinanza dell’antica Grecia

● Sebbene dobbiamo essere debitori alla Grecia della nozione stessa di democrazia occorre
ricordare che esistono differenze sostanziali nella concezione del rapporto tra lingua e
cittadinanza nelle democrazie moderne e l'esperienza delle polis greche, nelle quali, come
noto, non Era contemplata l'uguaglianza dei cittadini, che costituisce, al contrario, il
presupposto irrinunciabile degli attuali stati democratici
● L'aspetto principale riguarda la base di cittadini che partecipa attivamente alla discussione
assembleare dove si prendevano decisioni in una polis
- questo diritto veniva riservato ai maschi adulti è in grado di armarsi da sé. infatti, di
norma, la comunità greca della Polis seleziona i suoi membri sulla base della nascita,
del censo e del sesso: uomini, con Capacità contributiva e di partecipazione militare,
figli di entrambi i genitori appartenenti alla polis
- La democrazia, intesa come partecipazione politica, è dunque prerogativa di pochi
cittadini dotati di tutte le libertà; soltanto all'interno di questa ristretta cerchia vice un
eguaglianza di diritti
● Quesiti da porsi:
1. anche quando tutti liberi hanno la cittadinanza, come la esercitano i socialmente più
deboli?
2. Quali sono gli strumenti per esercitare effettivamente la cittadinanza pur in assenza di
adeguate risorse intellettuali e materiali?
- Le questioni richiamate hanno un collegamento diretto con l'educazione dei cittadini e il
ruolo che ha la lingua nell' esercizio del diritto di cittadinanza
● l'esigenza dello sviluppo delle capacità linguistiche per la partecipazione alla vita della Polis
viene percepito come un requisito importante ma solo per una parte della Comunità, Cioè
per coloro i quali possedevano i requisiti per esercitare cariche pubbliche
- Le abilità oratorie e rappresentano un elemento necessario, talvolta determinante, per
il successo politico nell'assemblea
> in genere, anche nei periodi di massima apertura, tali capacità rimanevano
appannaggio di membri di famiglie aristocratiche che avevano ricevuto un'istruzione
Specifica in tal senso
> il resto dei cittadini, che in teoria aveva gli stessi diritti, si limitava spesso ad alzare
la mano o a inserire le pietre nell'urna
● In questa prospettiva, a livello teorico, il ruolo della lingua riguarda quindi non solo il suo
valore fondativo della Polis, ma anche L'importante funzione che essa riveste come
quotidiana pratica della cittadinanza, Cioè in relazione al cittadino che, in teoria, ha il dovere
civico di partecipare alla vita della comunità attraverso la possibilità di prendere la parola e
intervenire nell'assemblea democratica
- la capacità linguistica, è retorica, si presenta, a tutti gli effetti, come un requisito
politico
- la pur ristretta democrazia greca esaltava, Dunque, nelle sue procedure decisionali il
tema dell'importanza della conoscenza e delle abilità linguistiche
● Ma nella vita della polis le capacità linguistiche, o più precisamente, La retorica come
scienza civile, sono essenzialmente prerogativa di una selezionata classe sociale
- Infatti, Sebbene le nozioni di democrazia e di cittadinanza caratterizzino l'esperienza
della polis, vi manca Tuttavia l'elemento principale che caratterizza la democrazia in
epoca contemporanea: l'uguaglianza dei cittadini
- il fondamento egualitario è, di fatto, un portato della concezione Democratica
moderna e a essa, sono consustanziali sia la nozione di partecipazione paritaria di
tutti i cittadini sia la concezione del ruolo propedeutico dell' educazione linguistica e
della scuola nel percorso di costruzione della cittadinanza
● Non essendoci Dunque l'idea dell'uguaglianza per come oggi la intendiamo nella
democrazia della Polis, la crescita delle capacità linguistiche viene percepita come un
requisito importante per il successo politico, necessario alla formazione del buon cittadino
Ma mai elaborato come un diritto educativo e/o linguistico da garantire a tutti i cittadini
● Tuttavia, nonostante queste limitazioni, l'esperienza greca consente di intravedere in nuce
l'importanza della Dimensione educativa e degli strumenti linguistici Per esercitare il diritto di
partecipazione democratica

Ai margini della polis

● riflessione riguardante il rapporto tra i greci e gli altri:


- la nozione di straniero per i greci è collegata alla lingua:​ barbari​, uno dei termini usati
dai greci per definire gli altri, fa notoriamente riferimento alla lingua: è un vocabolo a
raddoppiamento,​ Barbar-,​ dotato di un duplice significato a seconda dei contesti
"straniero" e "balbuziente"
- il termine è in realtà indoeuropeo e si trova anche in altre lingue
- anche se inizialmente non era necessariamente connotato negativamente, col tempo
viene usato dai greci per scandire la differenza di valore tra i greci e gli altri popoli
> per i greci, la superiorità scaturiva appunto dal maggior grado di civiltà che essi
avevano raggiunto proprio in relazione al valore che ha il linguaggio nella vita della
polis
● Ad ogni modo, indipendentemente dal valore che ha assunto col tempo la parola barbari, gli
stranieri erano categoricamente esclusi dalla cittadinanza
- in realtà i greci oltre che Barbarofoni, chiamavano gli stranieri Anche “alloglossos”
Appunto " parlanti un'altra lingua "
● Tuttavia, nemmeno la condivisione della lingua Era comunque una condizione sufficiente
per diventare cittadino della Polis, poiché l'appartenenza a una polis andava ben oltre la
condivisione della lingua, come dimostra Ad esempio la figura giuridica dei ​meteci
- I meteci sono una categoria di persone che soggiornano abitualmente in una polis,
Ma che pur godendo di alcuni diritti, non sono cittadini a pieno titolo nei lo possono
diventare anche se risiedono nella città per generazioni
- la loro importanza per la vita economica e sociale della città è enorme, poiché molti di
loro sono artigiani, ma vi sono anche ricchi mercanti e uomini d'affari: in pratica sono
parte integrante della fortuna stessa della polis
- sono barbari quelli che parlano un'altra lingua, ma molti meteci sono greci ma non
sono cittadini, me lo possono diventare i loro figli perché vige un rigido ius sanguinis
● La nozione di cittadinanza è il centro politico per i diritti, ma sovrasta in questo caso la
condizione linguistica
- Infatti, se a livello teorico il Logos è alla base della Polis della vita Democratica, e
quindi della comunità politica, Non basta la condivisione della stessa lingua a
determinare l'appartenenza a una comunità politica
- nel mondo delle polis, la chiusura greca nei confronti degli stranieri, o dell'altro in
generale, era decisa è basata su un'idea di cittadinanza coincidente con
l'appartenenza, intesa come valore primario da preservare per la forza della comunità
- gli altri, che pure fisicamente si trovano all'interno della Polis intesa come territorio
Urbano, cioè i meteci, gli stranieri E gli schiavi, non figurano punto nel quadro di
riflessione giuridica sulla cittadinanza

La cittadinanza romana, le lingue e gli altri


● La nozione di cittadinanza si trasferisce, Come molte altre cose, Dai Greci ai Romani, dove
però assume una traiettoria diversa
- Linguisticamente i termini​ polis e ​ ​ Civitas​ di per sé non hanno niente in comune (
Benveniste). sarebbe Infatti improprio far corrispondere l'esperienza greca a quella
romana, ma il legame è comunque evidente
> il termine​ Polis​ concentra in sé sia lo spazio fisico della città che la sua
configurazione di comunità sociale e politica formata dai cittadini
> il latino invece ha due termini distinti:​ urbs​ per la "città" come spazio fisico, e
Civitas ​per lo spazio politico definito da l'insieme dei cittadini​ (cives)
- Dalla nascita fino al suo estremo sviluppo, la civiltà romana si caratterizza per una
maggiore apertura nei confronti delle lingue e della cittadinanza
● Tutti gli studiosi concordano sul fatto che il tentativo di dare una definizione unitaria del Civis
nel mondo romano è praticamente impossibile
- cause: eventi e forme di governo che si sono succedute, variabilità politica, periodo
steso, ampiezza geografica notevole obbligano a una certa cautela nella
rappresentazione unitaria del cittadino e non consente una definizione unitaria del
concetto di cittadinanza
● Si è d'accordo su un punto: la chiusura greca nei confronti degli stranieri e dell'altro in
generale, era basata su un'idea di cittadinanza coincidente con l'appartenenza etnica,
intesa come valore primario da preservare per la forza della comunità. invece, ciò che
caratterizza la cittadinanza romana è un atteggiamento di segno opposto, di grande
apertura rispetto alla chiusura del mondo greco
- esempio epistola di Filippo V del 214 a.C indirizzata e cittadini di Larissa, durante la
seconda guerra punica
● Questa concezione estesa della cittadinanza è un orientamento politico che percorre tutta la
lunga esperienza romana: Roma fa della concezione della cittadinanza uno strumento
politico funzionale al proprio sviluppo ed al consolidamento del proprio potere, sia in Italia
che nelle province
- va ricordata la singolare peculiarità Romana che consentiva anche ai soggetti privati
di concedere la cittadinanza agli schiavi
● questa direzione di apertura è comunque costante nella progressiva estensione della
cittadinanza romana che, infine, nel ​212 d.C​, con la ​Costitutio antoniniana​ ​ viene
concessa a tutti i peregrines, cioè a tutti i popoli stranieri presenti all'interno del territorio
Imperiale
- in questo senso, tale esito è il suggello di un itinerario storico diffusamente seguito nei
secoli precedenti, che distingue nettamente l'esperienza Romana da quella greca
● Oltre alla cittadinanza, nell'esperienza Romana si registra un atteggiamento diverso sia nei
confronti delle religioni che delle lingue. In realtà questi aspetti sono collegati tra loro nel
segno di un'apertura sconosciuta al mondo greco
● l'atteggiamento di Roma riguardo alle lingue è radicalmente diverso
- nel mondo greco tutti coloro che avevano una lingua diversa erano definiti i barbari,
soprattutto in ragione della superiorità e del primato culturale e politico dei Greci
rispetto ai non elleni
- per i romani la nozione di Barbaro, anch’essa ereditata dal greco, non si associa
affatto alla lingua
● Del resto, l'aristocrazia romana era bilingue greco-latina. non solo la cultura greca ma
anche la lingua greca era parte fondamentale della formazione della classe dirigente
- nelle case patrizie e spesso anche nella classe media lavoravano schiavi pedagoghi
greci con la funzione di educare alla lingua e alla cultura greca, requisito quasi
necessario per il successo sociale e politico
● Ma anche rispetto alle altre lingue si può affermare con certezza che non vi fu mai un
atteggiamento di chiusura o di ostilità, né nei territori nei quali si estendeva l'ampio dominio
Romano, né a Roma, città internazionale dove si concentravano molte comunità straniere,
di immigrati
- Nei fatti l'impero era plurilingue: Roma non impone mai la propria lingua e nessun
popolo è mai costretto ad abbandonare la propria
- in effetti, le lingue non rilevano sul piano dell'acquisizione della cittadinanza: nelle
varie estensioni della cittadinanza romana, in nessun documento giuridico è richiesta
la conoscenza del latino o non vi è alcun cenno ad aspetti linguistici. nella realtà, nelle
molte regioni dell'impero si Parlavano lingue diverse; e coloro i quali erano ormai
giuridicamente cittadini Romani non sempre conoscevano in latino
● Naturalmente il latino era e rimaneva la lingua ufficiale di Roma, è la lingua più funzionale a
qualsiasi tipo di ascesa è successo sociale, ma non uno strumento politico impositivo
- in realtà, favorito dalla politica di apertura della cittadinanza collegata a una strategia
di logiche premiali e di coinvolgimento delle elites provinciali, il latino si diffonde nei
territori sotto il dominio Romano senza un disegno preordinato, fino a giungere a
sovrastare spesso le tradizioni linguistiche preesistenti
- Ad ogni modo le capacità linguistiche rimangono anche nell'esperienza Romana un
aspetto importante per la partecipazione politica dei cives, come testimonia il valore
che la retorica assume
● La concessione della cittadinanza Romana non si spinge mai fino a una partecipazione così
ampia dei cittadini come avvenuto nell’ ​Atene periclea​ della prima metà del​ V sec
- Non esiste a Roma qualcosa di paragonabile alla democrazia greca, che virgola pure
con tutte le sue limitazioni ideologiche, aveva individuato in potenza, ma mai esperito
fino in fondo, la possibilità di uno statuto di uguaglianza partecipativa dei cittadini
- difatti, per tutta l'epoca romana, e per buona parte del Medioevo, la​ democrazia​ come
parola scompare
> la​ res publica​ romana esprime l'idea di una "cosa di tutti ", così come la polis, ma è
altra cosa della democrazia greca, " governo del Popolo ", che non ha un corrispettivo
né linguistico né politico nel mondo latino
- Se per i greci Quando si diventa cittadini lo si è a tutti gli effetti, anche politici, a Roma non è
così: la piena cittadinanza a livello politico dipende dal successo sociale che però, a
differenza te la polis, nella Civitas romana è un percorso concretamente praticabile e aperto
> la cittadinanza romana è dunque una strada percorribile, che consente l'inclusione di
soggetti diversi e non è soggetta a un rigido diritto di nascita. non esiste un automatismo tra
l'essere cittadino e il godimento di tutti i diritti politici, ma è tuttavia notevole il fatto che ciò è
possibile a tutti
● La concezione di una cittadinanza flessibile crea un adesione emotiva che si rivela nella
ambizione nella speranza di far parte della Civitas a pieno titolo, senza che le proprie origini
siano un ostacolo insormontabile
- questo atteggiamento di apertura nei confronti degli schiavi, degli stranieri, dei
provinciali informa di sé la politica della cittadinanza, fornendo un modello
marcatamente diverso da quello Greco
- non si tratta solo di una strategia politica di consolidamento del potere, Ma di un
modello di cittadinanza lucidamente adottato che si rivela dotato di una dinamicità
sconosciuta al mondo greco
- ma è anche una rivendicazione in qualche modo di una Civitas che, seppur non
basata sull'uguaglianza, offre potenzialmente comunque a tutti le medesime
possibilità; e Rivendica come fattore di forza, come sua specificità originale è
originaria, proprio questa possibilità di commissione, di inclusione nella Civitas di
nuovi cives, indipendentemente dalla loro provenienza, anche al suo Massimo Livello
> esempio discorso ​imperatore Claudio (48 d.C)​ riportato da Tacito negli ​Annali
● Le esperienze greche e romane costituiscono la base sulla quale si svilupperà
l'elaborazione del concetto di Cittadinanza e del rapporto con le lingue, l'educazione, le
culture e le varie etnie. in modo diverso, Grecia e Roma, rappresentano modelli di
riferimento anche per i protagonisti della ​Rivoluzione francese

Cap. 2: Stato e lingue nell’età moderna: nascita di una questione

La nuova prospettiva del rapporto lingua, Stato e cittadinanza nell’età moderna

● La regolamentazione giuridica del rapporto tra le lingue dei cittadini e il potere non era in
realtà quasi mai stata affrontata fino alla nascita dello Stato
- secondo quanto afferma Pizzorusso, l'aspirazione dei popoli a dotarsi di
un'organizzazione statale ho già sulla condivisione di caratteri omogenei, tra i quali la
lingua
- lo Stato si configurerebbe così come una comunità su base più ampia, che conserva
tutto sommato gli stessi caratteri della città
- in questo caso, però, il valore identitario sociale della lingua viene a essere indicato
esplicitamente come il fattore decisivo per la definizione di quell’animus comunitario
alla base della Formazione dello Stato
● Nel progressivo cambiamento del paradigma amministrativo verso l'affermazione degli stati
nazionali è senz'altro vero che la lingua assumerà progressivamente un ruolo strategico
- tuttavia, l'aggettivo ​moderni​ Associato al sintagma ​stati nazionali​ potrebbe indurre un
equivoco. un equivoco è favorito dall'opinione diffusasi a partire dall'800 della
necessaria coincidenza tra lingua e stato
> In effetti, gli stati moderni non sono da confondere con i moderni "stati nazionali"
● Sarebbe Infatti un errore di prospettiva ritenere che la nascita degli stati moderni sia
conseguenza di una già preesistente omogeneità linguistica e culturale
- gli stati moderni che nascono nel 500, come Francia e Spagna, non presentano
affatto questi tratti di omogeneità etnica, linguistica e culturale che ne dovrebbe
essere il fondamento
- come nel resto dell'Europa e del mondo, nei mobili confini dei nascenti stati nazionali
vivono comunità linguistiche e culturali differenti, senza cioè quell’ Animus
comunitario dal Quale lo stato Nazionale ottocentesco trarrà una delle sue
giustificazioni ideologiche
● In ogni caso, la nascita dello Stato moderno darà origine a una maggiore riflessione sul
ruolo della lingua sia per l'organizzazione degli organi dello Stato sia per il rapporto con la
cittadinanza
- Ma sarà un processo lungo e non lineare che approderà solo dopo qualche secolo al
modello più diffuso per la rappresentazione del rapporto tra lingua e stato, tendente
Cioè a postulare una corrispondenza biunivoca tra lingua e stato
- Di certo non si può ascrivere questa idea all'elaborazione concettuale dello Stato
moderno nel periodo 500- 700
- anche se non c'è dubbio che in questo lungo periodo il rapporto tra la lingua lo Stato
si andrà definendo in modo più articolato rispetto al passato, Esso va visto
Innanzitutto in relazione alla nascita dello Stato come di una nuova forma di esercizio
del potere, per molti aspetti inedita rispetto alle precedenti
> ​grammatica de La lengua Castellana​ di ​Antonio De Nebrija
● La nuova proposta è importante non solo perché rappresenta un programma pedagogico di
diffusione di una stessa lingua in tutto il territorio dell'impero, ma anche per l'assunto politico
teorico che ne è alla base
- affermare che il destino della lingua sia indissolubilmente legato alle sorti del potere
spinge a far credere che il potere Imperiale per imporsi debba necessariamente
mirare all'unità linguistica dei suoi sudditi
> il modello di grammatica è il latino, così come il modello di impero è l'impero
romano
> L'idea che l'unità linguistica fosse un requisito del potere sovrano è estranea alla
tradizione antica e alla tradizione occidentale e lo resterà ancora per molto tempo

Lingue e Stato in Bodin: la cittadinanza e l’indifferenza linguistica del potere

● Con lo sviluppo dello Stato moderno si assiste a un ribaltamento del rapporto cittadino-
cittadinanza, che diventa Ora unidirezionale secondo la direttrice stato- individuo
- diminuita progressivamente l'importanza della città medievale, nello Stato moderno
La concezione del cittadino come parte attiva e consapevole della cittadinanza si
eclissa e la cittadinanza diventa sudditanza
- nel nuovo ordinamento politico è infatti allo Stato, o meglio al potere statale
rappresentato dal sovrano, che spetta la funzione di sintesi della comunità
> lo Stato rappresenta un potere politico che non è più espressione dell'insieme dei
cittadini, ma è tutto compreso nelle mani del re che è tale o in virtù della sua forza o
per volere divino. il potere del sovrano non è emanazione della volontà dei cittadini,
né è sottoposto alla sua approvazione
● Secondo questa impostazione, la condivisione di caratteri culturali comuni, Ivi compresa la
lingua, non rappresenta una base necessaria né, tantomeno, sufficiente per l'individuazione
di una realtà politica e amministrativa
- Non dalla lingua dunque, ma dall'obbedienza di scendere l'appartenenza a una
stessa comunità statale. il requisito essenziale per essere cittadini è quello di
riconoscere di essere sottoposti a uno stesso potere sovrano e non la condivisione di
una stessa lingua
● In effetti, durante i primi secoli di vita dello Stato moderno, cioè dal Cinquecento al
Settecento, il tema della sovranità E del rapporto tra sovrano e suddito non ha riguardato in
modo prioritario gli aspetti linguistici
- come accaduto per i Giuristi precedenti e come avverrà anche per molto tempo dopo,
​ ratta tutti gli aspetti della sovranità e
anche l'opera di ​Bodin​, ​ i sei libri dello Stato, T
dei rapporti tra il sovrano e i sudditi, ma nei quali non rientra mai in modo specifico il
tema della lingua
● Occorre tuttavia che vi sia un principio unificatore che vincoli sudditi, sebbene diversi per
lingua e per cultura, a una stessa comunità di cittadini
- per molti aspetti, la posizione riguardo alla diversità delle lingue ricorda l'esperienza
romana, ma tuttavia essa non è più accompagnata dalla Concezione della Civitas
romana come comunità politica. via un impostazione marcatamente diversa, poiché
ora l'accento è posto non tanto sulla partecipazione, sia pure in forme e modalità
gerarchizzate, ma sulla sudditanza
- in effetti, non è la stessa lingua, ma una stessa legislazione che deve accompagnarsi
alla sudditanza come una delle prerogative irrinunciabili dello Stato
> Bodin sottolinea infatti che solo condividere le stesse leggi è la condizione
necessaria perché vi sia cittadinanza, non la lingua
● In questa prospettiva, dunque, la lingua assume un aspetto secondario
- la cittadinanza, intesa come il rapporto tra cittadino è stato, non assegna alla lingua il
ruolo propulsivo implicito nella polis, né per l'esistenza dello Stato è necessaria una
scelta linguistica in senso unitario
- i cittadini possono essere di lingue diverse, di religione e cultura diversi, perfino di
origine diversa, purché siano governati da un potere sovrano unico per tutti e,
soprattutto, abbiano le stesse leggi
- tuttavia, si intuisce anche dalle parole di Bodin , che a livello amministrativo giuridico
postulano una necessaria unità
> sul piano concreto queste esigenze agiscono in favore di una progressiva presa di
coscienza dell'importanza della lingua rispetto all'esercizio del potere sovrano; E
infatti, proprio sul piano delle leggi si sviluppa l'esigenza di una lingua unitaria
all'interno dello Stato

La lingua delle leggi e lo Stato moderno

● Il primo documento di Conscia regolamentazione giuridica sulla lingua viene comunemente


individuato nell'ordinanza di​ Villers-Cotteres ​del ​1539
- In effetti, con questa ordinanza del re di Francia ​Francesco I ​ ha inizio la politica di
francesizzazione dello Stato
- l'ordinanza affermava che tutti gli atti giuridici dovessero essere redatti nella lingua
materna francese
● Per molti studiosi, si tratta dell'atto di nascita della lingua francese come lingua ufficiale è la
prima espressione della volontà di unificazione linguistica dei cittadini da parte di uno Stato.
in realtà, questa interpretazione semplifica in modo estremo una legge Cardinale per
l'analisi dell'evoluzione del rapporto tra lingue lo Stato
- Nei fatti, l'ordinanza inaugura la tendenza unificatrice della lingua del diritto, che
procede secondo una direttrice riconoscibile, senza Tuttavia raggiungere estremi di
rigidità ideologica
- In effetti, l'espressione​ lingua materna francese​ ha suscitato un lungo dibattito
interpretativo che ha impegnato linguisti e Giuristi, Ma che continua a non
raggiungere un accordo generale
> da un lato l'espressione viene interpretata come l'obbligo di usare la sulla lingua
francese negli atti giuridici, condannando l'uso sia del latino sia delle altre lingue
Allora presenti in Francia
> dall'altro, l'espressione potrebbe intendere che gli atti giuridici possono redigersi in
tutte le lingue materne del regno di Francia, come per esempio quelle parlate
all'epoca come basco, bretone, provenzale eccetera, purché non siano redatti in
latino
- In effetti, non esiste alcuna condanna esplicita delle altre lingue, il cui uso, al
contrario, viene ritenuto esplicitamente ammissibile In molti casi. l'ordinanza del 1539
non impedisce infatti che in molti atti amministrativi ufficiali si continuino a usare
lingue diverse dal francese
● L'uso del Francese nel diritto interferisce inevitabilmente con le altre lingue, ma Ciò avviene
tenendo conto della varietà delle situazioni politiche
- trattato dei Pirenei (1657) consente l'uso della lingua che è meglio preferiscono sia il
francese sia spagnolo, sia fiammingo o altre
- in Alsazia (1681) Viene riconosciuta una certa autonomia linguistica nella lingua del
diritto (territorio di lingua tedesca)
- Corsica (1768) viene affermata all'esigenza del uso esclusivo della lingua francese,
ma allo stesso tempo Viene riconosciuta la peculiare situazione linguistica: nel
consiglio Sovrano di Bastia 4 di 10 posti sono riservati a esponenti corsi, anche se
non francofoni e se accetterai l'uso dell'italiano negli atti giuridici
● Ad ogni modo, nonostante queste attenuazioni, non vi è dubbio che l'unificazione linguistica
proceda prioritariamente, e consapevolmente, nella lingua del Diritto, degli atti giuridici, delle
leggi, delle sentenze: cioè nel dominio che Bodin aveva individuato come necessario per lo
stato. ma una cosa la lingua del diritto, altra cosa sono le lingue effettivamente parlate dai
cittadini

La diversità linguistica nello Stato moderno

● Tutti gli interventi che riguardano la lingua avvengono Dunque all'interno della lingua,
scritta, del diritto. in effetti, la tendenza unificatrice della lingua giuridica non incide
direttamente sulle lingue parlate
- del resto, che la lingua francese sia usata negli atti amministrativi e anche una
conseguenza logica del fatto che per molte delle altre lingue parlate non esiste
un'analoga tradizione scritta
- la lingua del diritto si inquadra in una tradizione di lingua scritta formale che non
appartiene a tutte le lingue parlate. la discussione si svolge nei riguardi della lingua
degli atti giuridici, ma non riguarda la lingua quotidiana, Anzi le lingue quotidiane
● Non mancano Però alcuni interventi significativi con esplicite prese di posizione politica
nella direzione dell'unificazione linguistica. attraverso la lingua si ritiene, infatti, di poter agire
per formare dei buoni sudditi che si riconoscono nel potere del sovrano e Si delinea anche il
ruolo strumentale che può svolgere la scuola per fini di consenso di adesione al potere
1. Alsazia: Colbert (1666)​ dice di insegnare ai bambini la lingua francese, di modo che
in un primo tempo e si diventi così familiare come il tedesco, così che in un secondo
momento possa, se non eliminare del tutto il tedesco, rendere Comunque il francese
preferito dalla popolazione
- la scuola viene così chiaramente individuata come fattore decisivo per
l'assimilazione linguistica, la cui attuazione implica anche l'idea che
progressivamente le lingue materne siano eliminate a favore della lingua dello
Stato
- Ciò che conta registrare dal punto di vista teorico è la consapevolezza
dell'importanza della lingua e della scuola sul piano politico. non siamo ancora
all'elaborazione che vedremo durante la rivoluzione francese del rapporto
lingua- Ci cittadinanza, ma siamo certo distanti dall'indifferenza di Bodin
riguardo a ruolo della lingua
> in effetti, sebbene permanga La concezione del cittadino come suddito, si
vede comunque che, anche in questa prospettiva, la lingua assume Maggiore
rilievo.
> non basta avere le stesse leggi, ma sembra ora necessario far sentire ai
sudditi di appartenere a uno stesso gruppo, soprattutto attraverso la
condivisione in prima istanza della lingua. non si tratta di formare cittadini, o
un'idea di cittadinanza, ma di rafforzare la sudditanza facendo leva sulla lingua
come fattore di identificazione e di appartenenza
2. Corsica: ​Si prospetta lo stesso schema di rendere familiare la lingua francese al fine
di sostituire nel tempo La lingua locale e perdipiù sì impedisce di studiare in Italia
perché si vuole formare una classe dirigente che si riconosca integralmente nel nuovo
stato
- perciò si progettano scuole bilingui ma, per assicurare la formazione di
funzionare i fedeli allo stato, viene proibito ai giovani, che fino a quel momento
si formavano nelle università di Pisa Genova Roma o Padova, di studiare in
Italia
> di fatto anche in questo caso non si hanno effetti sul piano della lingua
effettivamente parlata in Corsica che In definitiva verrà rispettata
=> In entrambi i casi, Alsazia e Corsica, si trattava di proposte provenienti dall'alto, che
assegnavano alla scuola un ruolo del tutto strumentale alla formazione del consenso, per usare
una terminologia moderna. in quelle regioni storicamente potenzialmente ostili, il compito primario
assegnato alla scuola era quello di formare buoni cittadini, nel senso delineato da Bodin, cioè
sudditi Fedeli; e lo sarebbero stati ancora di più se avessero condiviso la lingua del sovrano.
questi tentativi, del resto marginali, di intervenire in modo diretto è definitivo sulla realtà
linguistiche e educative, all'epoca andarono incontro al fallimento
3. Roussillon: ​Nonostante le concessioni si pone ugualmente il problema della lingua
francese; Stavolta però non è lo stato, ma lo stesso consiglio sovrano del roussillon a
proporre l'istituzione di scuole bilingui
- in questo caso, la richiesta viene dalla periferia, senza imposizioni esplicite
provenienti dal centro del potere e la ragione che si inquadra in una prospettiva
complementare del rapporto tra lingua dello Stato e cittadini e dove la lingua
viene concepita come un requisito fondamentale per esercitare appieno i diritti
di cittadinanza
- infatti, la conoscenza del Francese è per i catalani del roussillon una condizione
necessaria per avere le stesse opportunità degli altri cittadini di accedere alle
più alte cariche della magistratura, così come accade nelle altre parti dello
Stato
> i nuovi cittadini non potrebbero Infatti ricoprire ruoli direttivi poiché la
mancata conoscenza della lingua rappresenta un oggettiva difficoltà. infatti, se
è vero che gli atti giuridici amministrativi possono anche essere scritti nella
lingua del luogo, rimane comunque fermo il fatto che tali atti devono essere
redatti principalmente nella lingua dello Stato
- si tratta di una richiesta che va apparentemente nella direzione di ottenere
parità di opportunità rispetto agli altri cittadini, ma in realtà non si tratta di una
rivendicazione nata da una sensibilità democratica
> La richiesta si inquadra piuttosto nell'ambito di una preoccupazione relativa
alla partecipazione alla gestione del potere delle classi più elevate, che
ambivano a ricoprire i più alti ruoli amministrativi e politici
- Ad ogni modo, anche nel caso del roussillon, le scuole bilingui andranno incontro
all'insuccesso anche per la mancanza di insegnanti Catalani in grado di insegnare il
francese
● Questa prospettiva, cioè la conoscenza della lingua dello Stato come fattore di potenziale
parità di opportunità tra i cittadini, rappresenta un interessante elemento di novità, che sarà
al centro del dibattito rivoluzionario dove l'affermazione del principio dell'eguaglianza tra i
cittadini incontrerà inevitabilmente il rapporto tra lingua, lingue e scuola
- Al di là di questi episodi marginali non si ha almeno fino al primo Settecento la
percezione di una politica coerente Per quanto riguarda l'educazione linguistica e la
scuola
- uno dei documenti più interessanti in questo senso è l'ordinanza di ​Luigi XIV​ del ​ 13
dicembre 1698​ che all'apparenza sembra presentare i caratteri innovativi
> ​tale ordinanza Infatti, obbliga i genitori a mandare i propri figli fino a 14 anni alle
Petites ecolé, Come venivano chiamate le scuole parrocchiali
> non sembri questo provvedimento, però, di stampo progressivo; Esso Infatti aveva
come primo obiettivo quello di sostituire le scuole protestanti con quelle cattoliche,
cosicché il processo di istruzione, quando avveniva, si inquadrava in un disegno di
indottrinamento religioso e politico
> in questa politica di istruzione obbligatoria, del resto, la scuola doveva formare
soprattutto di buon i sudditi del re e cattolici. Vi si appendevano solo i primi rudimenti
del Francese, Ma non si delineava in alcun modo una formazione linguistica tale da
prospettare avanzamento sociale e partecipazione politica
- Fino alla metà del Settecento, la scuola, al pari della lingua, non occupava un posto di
primo piano primario nella discussione politica
● Al di fuori di questi tentativi, peraltro poco efficaci, non si registrano atti politici tendente a
uniformare la lingua dei cittadini alla lingua delle leggi dello stato
- sotto questo aspetto, la politica linguistica della monarchia francese è, contrariamente
a un'opinione molto diffusa, improntata a un sostanziale rispetto della diversità
linguistica dei parlanti
- l'Unità perseguita è quella dell'obbedienza e della fedeltà al re e alle sue leggi, e
perciò l'unità linguistica è, in sostanza, vista come essenziale nella lingua del diritto
dell'amministrazione
- per il resto, lo Stato monarchico non Interviene a regolare giuridicamente la lingua
dei cittadini, se non episodicamente è di fronte a situazioni specifiche
● La vicenda della Francia è emblematica nel rapporto tra lingua è stato. lo Stato moderno di
per sé non presuppone l'esistenza di un'unica lingua. L'unico dato incontrovertibile è il fatto
che la sovranità appartiene al re; le eventuali aperture verso la diversità linguistica
discendono dalle sue prerogative
- non vi è niente che possa ritenersi come un riconoscimento di diritti linguistici
rivendicati a qualsiasi titolo, poiché tutti i diritti, compresi quelli linguistici, promanano
dal potere del sovrano
- è piuttosto nella concreta applicazione di tale sovranità, e secondo valutazioni di
opportunità politica, che il re può decidere se è come concederli
● La linea politica segue uno schema tendente a imporre l'uso esclusivo del francese come
lingua del diritto; Ma perfino in questo campo ciò non avviene attraverso una politica
radicale, ma attraverso mediazioni necessarie a seconda delle differenti situazioni politiche.
Per contro, non vi è alcuna politica linguistica coerente e consapevole che riguardi le
diverse lingue parlate
- In altre parole moderno, sia a livello teorico sia nelle concrete vicende storiche si
presenta come un organizzazione politica plurilingue: ciò è evidente per quanto
riguarda le lingue parlate, ma ha dei riscontri anche nella lingua del diritto, Dove si
registrano significativa apertura nei confronti delle lingue di minoranza
- del resto, la questione linguistica non è prioritaria nelle riflessioni dei teorici dello
Stato e dei Giuristi.
> lo diventa però durante l'esperienza della Rivoluzione francese, quando la dinamica
lingua- scuola- cittadinanza si esprime in tutta la sua rilevanza politica e sociale,
ponendo alcune questioni che permangono tutt’oggi al cuore del dibattito democratico

La rivoluzione francese
Il valore paradigmatico della Rivoluzione francese

● Come nessuna esperienza politica Futura potrà fare a meno di confrontarsi con la
rivoluzione francese nessuna Futura Dichiarazione dei Diritti potrà fare a meno di avere la
dichiarazione​ del ​1789 ​come modello di riferimento, così nessuna politica linguistica
educativa successiva potrai Luther e il confronto con l'esperienza rivoluzionaria
- L'esperienza della Rivoluzione francese Ha inoltre un valore paradigmatico perché
per la prima volta viene affrontato il nodo cruciale delle politiche educative linguistiche
nel senso moderno del rapporto tra lingue, scuola e cittadinanza
- con la rivoluzione emerge con chiarezza la consapevolezza del legame tra lingua e
cittadinanza. il ruolo della lingua come condizione Per l'esercizio dei diritti di
Cittadinanza e rapporto con la diversità linguistica sono avvenimenti che mutano
radicalmente la dinamica preesistente
● Con la​ dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino​ del ​1789​ vengono a
maturazione i principi del ​giusnaturalismo​ e la spinta riformatrice dell'​illuminismo
- La nuova Concezione della cittadinanza espressa nella dichiarazione pone la
lingua al centro del dibattito politico
- in effetti, il ruolo del ​citoyen​ per la definizione delle leggi, la possibilità uguale
per tutti di accedere ogni impiego pubblico secondo le proprie capacità, il
potere di controllo delle Finanze degli atti pubblici mutano radicalmente la
prospettiva precedente
- la conoscenza della lingua diventa una condizione imprescindibile; i principi di
liberté égalité e fraternitè proclamati dalla rivoluzione necessitano, per essere
realizzati, di mettere al centro della discussione politica la questione linguistica
scolastica
● Ora il rapporto tra individuo e stato non è più un semplice rapporto tra dominatore è
dominato, ma deve fare i conti con una nuova definizione della categoria del​ citoyen
associata ormai indissolubilmente la categoria stessa di uomo
- in effetti, la cittadinanza implica la partecipazione di ciascun cittadino la definizione
dell'ordinamento e delle regole della comunità
- la partecipazione dei cittadini alla definizione delle leggi, la possibilità uguale per tutti
di accedere a ogni impiego pubblico secondo le proprie capacità mutano
radicalmente la prospettiva precedente
- la legge, scritta con la maiuscola nella dichiarazione, non è prerogativa del re, e non
promana da lui, ma al contrario dalla volontà generale cittadini, che ora possono e
debbono essere parte attiva della nazione
● L'idea di Cittadinanza e di partecipazione richiama direttamente l'esperienza della
democrazia ateniese, alla quale rivoluzionari francesi avevano guardato come modello
- il cambiamento decisivo ed epocale è L'assunzione del principio dell'uguaglianza
come la base fondativa di tutto il discorso dei diritti legati alla cittadinanza
- tale principio di uguaglianza si impone la prima volta nella storia con una forza tale
che segnerà tutto il percorso dei diritti fino ai nostri giorni punto accanto a esso, vi è
una rinnovata espressione del principio di libertà
- la libertà, come principio generatore di diritti, e anche Libertà religiosa, di opinione, di
espressione, di comunicazione
- e nella dichiarazione È chiaramente delineata una prospettiva che vede il potere
pubblico e i suoi rappresentanti sempre controllabili, in ogni loro atto, per verificare
che tutto sia fatto per il bene collettivo
● In questa prospettiva, la conoscenza della lingua è necessariamente alla base dell'esercizio
di una cittadinanza che prevede una partecipazione e un impiego diretto del cittadino alla
vita economica sociale e politica del paese
- l'esercizio della cittadinanza così inteso presuppone inequivocabilmente un ruolo
decisivo delle lingue della scuola
- ma soprattutto si apre il tema politico del rapporto tra una cittadinanza egualitaria,
l'esigenza di conoscere la lingua nazionale e le altre lingue presenti sul territorio
francese

Le altre lingue nella Rivoluzione: una questione politica, teorica e pedagogica

● Tra i diritti dell'uomo sacri e inalienabili enunciati nella dichiarazione non compare il diritto
all'uso della propria lingua, anzi le parole lingua o linguaggio non compaiono mai nel testo
della dichiarazione
- Nei fatti, però, in modo del rispetto della lingua degli altri nel quadro dei diritti naturali
dell'uomo e l'esigenza di partecipazione dei cittadini alla vita della nazione si
presenta, per la prima volta nella storia, in tutta la sua complessità
● Il confronto con la diversità linguistica interna la Francia e l'esigenza di affermare e
difendere la rivoluzione mette allo scoperto la complessità del problema dei diritti linguistici
come diritti umani
- in realtà, al rapporto tra diversità linguistica e cittadinanza non era stato riconosciuto
inizialmente il peso determinante che invece avrebbe assunto durante tutto l'arco
dell'esperienza rivoluzionaria
- e in effetti, esisteva il problema di diffondere e far comprendere ai cittadini i decreti
dell'assemblea nazionale
● Inizialmente, nel 1790 si approva su proposta del deputato ​Bouchette​ un decreto che
stabilisce di tradurre i documenti rivoluzionari nei differenti Idiomi locali
- si tratta di una posizione molto moderna e avanzata che si scontra però con
oggettive difficoltà di applicazione; Innanzitutto, non ci sono le finanze per farlo con
costanza: molte delle lingue sono solo parlate e non hanno una tradizione scritta e
non c'è una sicura e stabile volontà di mantenere le lingue regionali
● Un'altra posizione, che poi diverrà maggioritaria, è quella sostenuta dall’​abbé
Gregoire(1750-1831)​: uno dei principali artefici della politica linguistica francese, difensore
dei diritti dei neri e degli ebrei, contrario alla schiavitù alla pena di morte si dimostra di
tutt'altro avviso nei confronti della diversità linguistica
- Gregoire Individua nella frammentazione linguistica della Francia un ostacolo
all'affermazione dei principi della rivoluzione, poiché i cittadini, non conoscendo il
francese, non avrebbero potuto comprendere i decreti nazionali, e quindi sarebbero
potuti diventare facile preda della controrivoluzione
- i dialetti Infatti, vengono visti sostanzialmente come un pericolo per la rivoluzione e
come una dannosa eredità dell'ancien regime, che ha volutamente mantenuto
nell'ignoranza la popolazione
- così, nel 1790 lancia un inchiesta relativa ai ​patois​ e ai costumi della gente di
campagna
> ​l'inchiesta consiste in un questionario di 43 domande che Mirano a verificare tra le
altre cose, la diffusione l'uso del Francese e se esso è insegnato un meno nelle
scuole
> Tuttavia, la concentrazione è solo le lingue locali, sui​ patois​ è l'obiettivo è quello di
misurare la loro forza in rapporto al francese
● 1791 Tayllerand ​Si esprime contro dialetti; Ma sotto questo aspetto la politica rivoluzionaria
rimane per ancora molto tempo contraddittoria
- nel 1792 vennero stampati 96 volumi di decreti e 18 volumi di atti costituzionali
Quando fu ordinato di stampare le traduzioni dei decreti nelle diverse lingue
● Ad ogni modo, la posizione prevalente, Favorita anche dalle vicende politiche che
dall'interno e dall'esterno minacciavano la rivoluzione, Sarà decisamente quella di
considerare la diversità linguistica come un pericolo politico per l'unità nazionale e per
l'affermazione dei principi egualitari della rivoluzione
- nel 1793 Gregoire nel suo discorso sull’​Education​ afferma chiaramente che estirpare
questa diversità di Idiomi è una questione di capitale importanza politica (rapporto
sulla necessità e i mezzi per annientare i​ patois​ - le lingue locali - e di universalizzare
l'uso della lingua francese
- Gregoire parte dalla constatazione della sostanziale ignoranza della lingua nazionale;
l'esigenza che tutti i cittadini debbano poter partecipare attivamente alla vita dello
Stato si scontra con la constatazione che la maggior parte degli abitanti, soprattutto
nelle campagne non conoscono il francese, ma parlano altre lingue, anzi il francese è
di fatto minoritario
- occorre Dunque affrontare con energia la questione, programmare un'educazione
linguistica unitaria che secondo Gregoire è uno dei principali problemi politici poiché
l'unità della lingua è parte integrante della rivoluzione
- per Gregoire l'unità linguistica è un bene Nazionale che appartiene di diritto e
indistintamente a tutti i cittadini della Repubblica; al contrario, la diversità linguistica
rappresenta una torre di Babele, un'estrema contraddizione rispetto alle posizioni
d'avanguardia che la Francia ha raggiunto in materia di libertà
● Ancora più esplicito è il​ Rapport du Comité de salut public sur les idiomes​ (1794)
Bertrand Barère de Vieuzac, ​Dove viene tematizzato in modo politicamente evidente il
rapporto tra il francese e le altre lingue e dove si vedono ancora una volta con estrema
chiarezza i termini politici del problema
- se la monarchia aveva tutto l'interesse a mantenere una frammentazione linguistica,
nella democrazia vi è l'interesse opposto
- lasciare i cittadini nell'ignoranza della lingua nazionale È tradire la patria, poiché
significa impedire loro di essere liberi e di essere cittadini a pieno titolo tra Nazione
presso un popolo Libero, la lingua deve essere una e la stessa per tutti
- per questo motivo, la condanna colpisce tutte le lingue che non sono il francese, ma
tra di esse, particolare attenzione è riservata alle lingue di minoranza, con una
caratterizzazione precisa per ciascuna di esse

Il terrore linguistico

● Con ​Barère​, ma soprattutto con ​Gregoire​,Viene consacrata una visione che postula
all'esigenza di una coincidenza tra lingua, Stato e Nazione che diventerà il modello
idrologico prevalente
- la libertà si realizza dunque in una sola lingua, le altre lingue sono di fatto un pericolo
sia per l'unità dello Stato che per le uguaglianza
● Stabilendo una forzata equivalenza (chi non parla francese non appartiene alla nazione ed
è un controrivoluzionario ostile alla libertà) si inaugura la stagione del cosiddetto​ terrore
linguistico​, cioè la persecuzione rivolta contro tutte le altre lingue
- sotto la pressione di conflitti interni e con l'esterno, il terrore linguistico a conseguenze
gravi soprattutto in ​Alsazia​ dove esistono vari circoli rivoluzionari composti da
cittadini di lingua tedesca. la difesa degli alsaziani mette a nudo la contraddizione di
una ideologia che considera la diversità linguistica come un pericolo
> gli alsaziani ricordano che molti di loro parlanti tedeschi hanno combattuto per la
Francia molto più dei parlanti francesi

Unità di lingua, nazione e Stato: nascita di un’ideologia

● La posizione di Gregoire o meglio del cosiddetto​ giacobinismo linguistico​, della necessità


di un’unità tra lingua, nazione E stato, Segna una delle più importanti novità teoriche
- la lingua è un fattore determinante per l'identità sociale e quindi del riconoscimento
dell'appartenenza a una comunità
- la nota etimologia di nazione rimanda alla nascita, cioè al momento iniziale
dell'avventura umana che, appunto, in quanto tale, è possibile proprio attraverso la
lingua sia sul piano individuale sia sul versante sociale
- il riconoscimento di appartenere a una comunità ha In effetti nella lingua uno dei suoi
elementi determinanti.
- questo legame non aveva però fino a quel momento ho avuto un esito che lo
postulasset come nesso necessario per la configurazione di uno Stato
> l'appartenenza a una comunità era stata sempre considerata un legame naturale,
che si sostanzia nella condivisione di caratteri omogenei dal punto di vista etnico,
linguistico e culturale, ma che non scaturisce dall'appartenenza a una stessa entità
amministrativa
● Tuttavia, proprio il forte valore riconosciuto alla lingua come uno dei fattori più importanti per
un comune sentire aveva prodotto una dinamica tendenzialmente orientata a favorire, o più
spesso a imporre, la diffusione della lingua dello Stato, vuoi per ricavare obbedienza dai
sudditi, voi per imporre la stessa legislazione nei territori amministrati
- Ma ciò era accaduto piuttosto come effetto dell'esistenza di uno Stato, non come un
suo presupposto
- Nei fatti, la lingua non era mai stata postulata come un fattore fondativo dello Stato,
ma era stata sempre considerata come un elemento inscindibilmente legato della
nazione
- di fatto, fino a quel momento Stato e Nazione non sono implicati a livello politico-
amministrativo, cosicché nemmeno la lingua, Stato e Nazione devono
necessariamente coincidere
● Con la posizione del cosiddetto giacobinismo linguistico avviene dunque uno spostamento
significativo Verso una tale coincidenza. lo Stato deve diventare anche nazione perché (ed
è questo il dato più innovativo) tutti i cittadini, non essendo più sudditi, devono possedere lo
stesso Animus comunitario nei confronti di uno stato nel quale sono tutti liberi e uguali e ciò
presuppone dunque, anche unità linguistica, altrimenti non si sarebbe liberi come gli altri
cittadini che parlano la lingua dello Stato, nei eguali perché non in grado di partecipare
pienamente alla vita dello Stato
● l'unità linguistica della nazione francese ha dunque un valore politico, che tuttavia non
sarebbe in contraddizione con la vocazione universale dei Principi rivoluzionari
- Infatti, sostiene Gregoire, è la situazione politica globale che non consente di sperare
di superare le distanze tra i popoli attraverso una lingua comune
- per fare della Francia non solo uno stato (era già) ma una nazione, è necessario che
in una repubblica una e indivisibile vi sia l'uso unico e invariabile della lingua della
Libertà
- anche in questo caso si tratta di una posizione che promana dal potere centrale, ma
la differenza con le posizioni del periodo precedente è netta
● In seguito al discorso di Gregoire, il​ comitato per l'istruzione pubblica​ emana un indirizzo
ai francesi, dove Si ribadisce chiaramente il valore politico e democratico dell'Unità
linguistica
- non si parla più di una lingua da imporre ai sudditi, ma di una lingua comune,
requisito necessario perché tutti i cittadini siano parte attiva della Repubblica e
riconoscano la loro appartenenza alla Repubblica come la loro Nazione e in questo
processo il ruolo dell'Istruzione è assolutamente centrale

La centralità della scuola

● Esprime bene queste posizioni ​Talleyrand​, che già in un discorso all'assemblea nazionale
del ​1791​ prospetta una linea che mette coerentemente insieme all'esigenza di conoscenza
della lingua nazionale e un'adeguata politica scolastica
- anche egli parte dalla constatazione che sia una stranezza il fatto che la lingua
nazionale sia rimasta inaccessibile a un gran numero di abitanti
- è quindi necessario agire sull'istruzione: Sarà compito della scuola primaria porre fine
a questa strana ineguaglianza, cosicché la lingua della Costituzione e delle leggi Sarà
insegnata a tutti
- conclude il suo intervento con un violento attacco ai dialetti
● La scuola, Dunque, viene individuata come lo strumento essenziale per mettere fine all’
ineguaglianza che, in rapporto alla cittadinanza, è essenzialmente anche ineguaglianza
linguistica
- La scuola insegnerà a tutti la lingua della Costituzione e delle leggi e eliminerà i
dialetti
- inoltre, perché cittadini siano davvero eguali, la scuola oltre a insegnare un'unica
lingua, deve essere anche obbligatoria, gratuita e soprattutto pubblica, Laica,
svincolata cioè dall'egemonia ecclesiastica
- così già nella​ Costituzione del 1791​ si prevede l'organizzazione di una istruzione
pubblica, comune a tutti i cittadini, gratuita per quanto riguarda le parti di
insegnamento indispensabili a tutti gli uomini
- in seguito, anche la​ costituzione del 1793 ​ribadirà l'importanza dell'istruzione
pubblica e gratuita
● Nicolas de condorcet (1792)​: denuncia l'inefficacia dell'Istruzione affidata alla chiesa e
mette in evidenza la situazione di analfabetismo tra popolazione
- insiste sull'importanza del diritto all'istruzione come uno dei fattori decisivi per una
reale politica di uguaglianza e di parità di opportunità tra cittadini: la sua più autentica
natura discende dall'idea universale di eguaglianza proclamata dalla dichiarazione
- per condorcet infatti, il diritto all'istruzione non agisce solamente per la concreta
realizzazione della politica Nazionale, ma per rendere effettiva, nella misura del
possibile, l'eguaglianza dei diritti
- per questo, propone che la gratuità dell'Istruzione pubblica non riguardi solo la scuola
elementare, come in Tayllerand, Ma sia estesa ai primi quattro gradi di scuola, fino al
liceo
> Solo in questo modo, cioè superando la semplice prima alfabetizzazione, ma
proseguendo nel percorso di studio fino a livelli superiori, si potranno dare i reali
opportunità formative ai cittadini e concreti strumenti critici per un esercizio
consapevole e dinamico della cittadinanza
- Con sorprendente visione pedagogica propone anche attività specifiche destinate agli
adulti per permettere loro di continuare l'istruzione per tutta la durata della vita
> si tratta di quella politica pedagogica che attualmente viene denominata​ longlife
learning​ la cui importanza era già ben chiara a condorcet, il quale affermava infatti
che con l'istruzione durante tutta la durata della vita, si impedirà che le conoscenze
acquisite nelle scuole svaniscano troppo rapidamente dalla memoria, si manterrà
nelle menti un'attività utile, si potrà anche mostrare L'arte di istruirsi da sé stesso
> Importanza dell’autoapprendimento
● In generale, le idee di condorcet si qualificano per le posizioni avanzate poi che propongono
un'educazione pubblica orientata maggiormente verso i principi universali e razionali della
rivoluzione più che sulla logica dell'appartenenza e sul pathos nazionalistico dei Giacobini
- In effetti, l'adesione ai valori della nazione, anche se si basa sugli stessi principi, non
deve Tuttavia esaurire l'azione dell'educazione. l'istruzione al contrario, deve fornire ai
cittadini Indipendenza di giudizio e strumenti per esercitare la loro capacità di critica e
di trasformazione della società
> sono questi gli aspetti che qualificano il rapporto tra l'istruzione e la cittadinanza
- In altre parole, l'eguaglianza diventa possibile Dunque solo grazie all'istruzione; Ma
come detto, viene più volte evidenziato come realizzazione di questo processo
Democratico sia necessariamente un'istruzione Laica, pubblica e gratuita: è questa
una delle eredità più importanti della riflessione sul rapporto lingua- scuola-
cittadinanza sviluppatasi durante la rivoluzione francese

Le eredità della Rivoluzione francese

● Il percorso di affermazione dei diritti durante l'esperienza rivoluzionaria costituisce lo sfondo


e la prospettiva di ogni possibile sviluppo del discorso sulla cittadinanza perché ci mette a
contatto con immagini profondamente diverse dell'individuo, dei diritti, della comunità
politica. niente più sarà come prima: i parametri che definiscono il discorso sulla
cittadinanza a partire dalla rivoluzione ci sono in qualche misura familiari: lo Stato, La
Nazione, la libertà, l'eguaglianza, i diritti
● allo stesso modo, le posizioni scaturite nel corso dell'esperienza rivoluzionaria forniranno le
basi teoriche del discorso politico Sul rapporto tra lingue, stato, scuola e cittadinanza
- anche in questi ambiti, si registra una cesura significativa con il passato, tanto che
dopo la rivoluzione l'idea giacobina che, come non può non esserci una politica
scolastica, così non può non esserci una politica linguistica e che ogni Stato deve
Darsene una , è universalmente riconosciuta
● Come per il percorso di affermazione dei diritti universali la dichiarazione del 1789 fornisce il
quadro concettuale di riferimento, così per il rapporto tra lingua, scuola e cittadinanza il
dibattito le posizioni scaturite nel corso dell'esperienza rivoluzionaria forniranno le basi
teoriche imprescindibili nelle esperienze future
- In altre parole, per come fu posto, il rapporto lingua/ lingue, scuola e cittadinanza
enuclea i termini della questione per come in futuro verrà affrontata, fino ai nostri
giorni
- i principi della conoscenza della lingua nazionale, della lingua ufficiale dello stato
come requisito essenziale di partecipazione alla vita pubblica del paese, del ruolo
della scuola in questo processo non verranno mai più abbandonati; in modo
problematico verrà affrontato il rapporto tra la lingua dello Stato e la diversità
linguistica
● La questione riguarda In primo luogo anche la pedagogia linguistica che origine adatta le
impostazioni di politica linguistica
- un grande merito della rivoluzione è aver riconosciuto l'importanza della conoscenza
della lingua nazionale per la realizzazione di un'effettiva uguaglianza tra i cittadini e
quindi avere una reale libertà
- Tuttavia, questo principio Democratico aveva avuto come correlato l'ostilità e la
diffidenza verso le altre lingue
- il Nodo da risolvere riguarda, punto le conseguenze educative derivate direttamente
dall'idea giacobina che opponeva l'unità linguistica al riconoscimento del valore della
diversità linguistica
> è a questa ideologia, basata su teorie Fallaci, che si ispira la pedagogia linguistica
in Europa e in Italia fino ai tempi recenti, e la cui Eco non è ancora spenta
● La rivoluzione francese origina sul piano teorico e giuridico numerosi campi di tensione che
costituiranno il paradigma della Riflessione politica nei secoli successivi
- il rapporto lingua- nazionalità- cittadinanza; la necessità di un'unica lingua nazionale;
il ruolo della lingua e dell'Istruzione Per l'esercizio dei diritti di cittadinanza; i rapporti
tra scuola, la lingua nazionale e la diversità linguistica: si tratta di temi che non
verranno più abbandonati nel corso della storia e che a tutt'oggi forniscono le
coordinate per affrontare i temi della cittadinanza e dell'Educazione linguistica
Dopo la Rivoluzione: dalla cittadinanza alla nazionalità

● i temi posti dalla rivoluzione diventano il cuore della discussione politica in tutta Europa. in
questa prospettiva, le due direttrici principi ve riguarderanno da un lato l'affermazione
dell'ideologia dell'Unità tra lingua, Stato e Nazione, dall'altro la dinamica propulsiva che
proviene dalla intangibilità del diritto alla libertà e del diritto all'uguaglianza
● le proposte rivoluzionarie si diffondono rapidamente suscitando spesso un grande
entusiasmo, ma anche nette opposizioni
- Su basi diverse, le voci più critiche si levano soprattutto in​ Inghilterra​ e in​ Germania
1. Inghilterra:​ si stigmatizza la traumatica rottura con il passato, rivendicando
una seconda linea di sviluppo dei diritti da inserire nell'alveo di una solida e
autonoma tradizione
2. Germania:​ Sì accoglie la proposta di congiunzione tra " libertà " e " unità
nazionale” e linguistica, Ma si contrasta Decisamente la negazione della storia
precedente proposta dalla rivoluzione opponendo all'ideologia di diritti basati
sull’individuo, l'ideologia del Popolo e dello Stato come sintesi primigenia dei
diritti dei singoli
● Su questo sfondo Si colloca anche tutto il discorso sulle questioni linguistiche ed educative
- in particolare, in tutto l'occidente il principio di nazionalità declinato secondo lo
schema giacobino della necessaria unità linguistica, Stato e Nazione diviene uno dei
Principi più importanti della vita politica
- in realtà, come abbiamo visto, il nesso lingua- Nazione poggia su una tradizione più
antica, e tuttavia il nuovo legame stabilito dalla rivoluzione tra il progresso dei diritti
civili e l'aspirazione all'autonomia delle nazionalità conferisce alla lingua un valore
politico concreto come segno e simbolo dell'unità nazionale
> in questa prospettiva, però, il rapporto tra lingua e ​citoyennete​ tende a scendere in
secondo piano, lasciando il campo all'avanzare delle ideologie nazionali
● Lo sviluppo dei diritti civili continua ad avanzare anche nel corso dell'800, quando
l'affermazione l'ideologia dello Stato- Nazione assegnerà un ruolo fondante alla lingua,
senza riconoscerle però un ruolo altrettanto strategico per la democrazia e la partecipazione
dei cittadini
- l'unità linguistica della nazione affermata dai Giacobini francesi finirà con la assumere
il valore di presupposto ideologico per la formazione di uno stato, senza implicare
però il correlato rivoluzionario dell'eguaglianza tra i cittadini
- il mutamento di paradigma verificatosi con la rivoluzione francese influenzerà
Definitivamente Anche il linguaggio politico

Lingua, Stato, nazione: alcuni riflessi lessicali e semantici

● Riflessi di questa nuova concezione dello Stato-nazione si hanno anche nel lessico e nella
semantica; sulla base lessicale​ nation,​ e più precisamente a partire dalla aggettivo
national​, si formano in francese parole nuove e locuzioni che poi diventeranno patrimonio
comune del lessico politico internazionale (vedi esempi)
- da un punto di vista cronologico,​ nationalté c​ ompare in Francia più o meno nello
stesso periodo della parola​ citoyenneté (1783),​ nel periodico ​Courier de l’Europe, a ​
opera di Beaumarchais, come traduzione all’inglese ​citizenship,​ Nel significato di
appartenenza di un cittadino come soggetto di diritti a uno stato
- inizialmente, la parola​ nazionalità​ aveva il senso di "sentimento nazionale", legato a
una nazione intesa come condivisione di caratteri culturali, etnici e linguistici, ma
ancora privo di legami necessari con lo Stato
- con questo significato, la parola nazionalità esisteva già sia in italiano sia in altre
lingue ma, nel corso dell'800, il senso della parola si modifica e Sul modello francese
nazionalità assumerà in seguito come significato primario quello di appartenenza di
una persona a una nazione determinata
● Il rapporto di appartenenza da parte di un cittadino a uno stato viene dunque espresso
attraverso una corrispondenza tra​ stato​ e ​ Nazione:​ per un individuo possedere la
cittadinanza o la nazionalità è giuridicamente la stessa cosa
- così, in italiano e in molte altre lingue,​ nazionalità ​e ​ cittadinanza​ diventano sinonimi
- in seguito, si affermerà anche la locuzione​ principio di cittadinanza ​ dove appare
evidente l'esito del processo: "principio il nome del quale ogni gruppo sociale avente
una stessa origine di cultura, di lingua, di storia, e che occupano un territorio
determinato, ha diritto all'indipendenza"
● La diffusione a partire dal francese nel lessico sia politico sia di uso comune dei termini
legati al nuovo corso semantico di​ nazione​ consente di notare plasticamente la
penetrazione del nesso​ lingua, Stato e Nazione​ nei parlanti
- questi nuovi usi della parola "nazionalità" avranno larga applicazione nella storia
successiva; il principio di nazionalità così definito sarà Infatti uno dei concetti politici
che segneranno la storia di tutto L'Ottocento e anche di buona parte del 900
● Tuttavia, il rapporto di​ cittadinanza​ che si esprime primariamente attraverso la​ nazionalità
come dimensione dell'appartenenza del cittadino allo stato-Nazione lascia in ombra ciò che
costituiva il nucleo fondamentale dell'esperienza rivoluzionaria
- per i rivoluzionari la cittadinanza è partecipazione e l'unità linguistica dei cittadini ne
costituisce un presupposto essenziale
- il concetto di nazionalità che si viene a imporre successivamente non esclude la
lingua, anzi la pone a fondamento dello Stato, ma ne riduce allo stesso tempo la forte
tensione egualitaria
- La lingua si presenta come un dato statico, collegato alla condizione storica di una
comunità o, quando questa è assente, da ricreare come aspetto complementare
all'appartenenza
● Gli stati-nazione ottocenteschi ereditano il principio rivoluzionario tra la necessità di una
politica linguistica e scolastica finalizzata a realizzare la necessaria unificazione linguistica,
ma non il lascito che connetteva tale politica al principio dell'uguaglianza e della
partecipazione democratica
- l'unità linguistica della nazione affermata dai Giacobini francesi finisce con l'assumere
il valore di presupposto ideologico per la formazione di uno stato, senza implicare
però l’inscindibile correlato dell'eguaglianza tra i cittadini
- inoltre, L’aver riconosciuto all'unità linguistica un ruolo strategico per la formazione
della nazione porta a guardare con sospetto tutte le espressioni di diversità linguistica
e in particolare quelle delle minoranze linguistiche
- in quest'ottica infatti, se la lingua costituisce un presupposto fondamentale per
l'esistenza di uno Stato, anche un gruppo sociale che condividono una stessa lingua
e uno stesso territorio potrebbe, sulle stesse basi, aspirare a un'analoga autonomia
amministrativa e dunque alla realizzazione di uno Stato
- così, seguendo questa linea di ragionamento, la conseguenza implicita sarebbe che
le diverse lingue che si parlano all'interno di uno stesso territorio rappresenterebbero,
in atto o in Potenza, un pericolo per l'unità dello Stato

La situazione italiana fino alla Seconda Guerra Mondiale

Prima dell’unità

● Le idee francesi hanno larga influenza nell'Italia pre-unitaria, dove però via una situazione
politica del tutto differente
- in Italia la frammentazione politica conferisce al principio dell'Unità tra lingua, nazione
e stato la fisionomia di un programma politico ambizioso, ma alquanto complesso
- l'idea stessa di nazione, come condivisione di caratteri omogenei a un popolo,
presenta caratteri problematici, tanto che Mazzini è spesso costretto a insistere
sull'esistenza di una Nazione Italiana come base della rivendicazione di indipendenza
● In questo senso, proprio la lingua, insieme alla conformazione geografica della penisola,
viene indicata come una delle prove più evidenti di unità nazionale
- nonostante vi siano proposte diverse per la configurazione del nuovo stato, l'Unità
della lingua non è mai messa in discussione. del resto, una delle motivazioni che
Mazzini oppone alle proposte federaliste per il nuovo stato, sia pure di segno diverso,
riguarda proprio l'aspetto linguistico
- effettivamente, per l'Italia esisteva una tradizione che riconosceva la lingua come
motore della richiesta di unità
> Tuttavia, tale tradizione si inscrive in un ambito ristretto, che riguardava soprattutto
le classi colte ed elevate
> fino all'unità, a livello Popolare al contrario, la lingua italiana rimane
sostanzialmente un oggetto estraneo, il cui contatto poteva essere garantito quasi
esclusivamente attraverso la scuola
● Sotto questo aspetto, però, le cresci riforme scolastiche di ispirazione illuministica della
seconda metà del Settecento non avevano avuto alcuna incidenza e la situazione non
migliora nemmeno nei decenni precedenti all'unificazione. nella penisola, il progresso dei
diritti indicato dalla rivoluzione sembra non aver toccato in modo Significativo il diritto
all'istruzione (vedi dati analfabetismo: solo nel Lombardo Veneto La situazione sembra
meno drastica)
- Nei fatti, e nessuna parte si ottengono risultati efficaci e nel complesso la scuola
rimane un'istituzione marginale
● L'Italia Dunque giungere all'unità in condizioni pessime riguardo all'istruzione e alla
diffusione della lingua nazionale. l'analfabetismo e al 75%; questo perché la tradizione solo
scritta e formale tra lingua italiana presuppone una formazione almeno post-elementare Per
acquisire concrete capacità di uso dell'italiano
- in realtà, Dunque, secondo te Mauro, solo il 2,5% della popolazione era in grado di
comprendere la lingua italiana. altri stimano invece al 10% i potenziali italofoni, ma la
sostanza non cambia
> nella maggior parte dei casi si parlava esclusivamente uno dei tanti dialetti o una
delle lingue di minoranza storicamente presenti sul territorio italiano: la diversità
linguistica è un fattore preponderante e caratterizzante del nuovo stato unitario
● Inoltre, le differenze linguistiche si sommano a ulteriori differenze di tipo sociale e culturale
- Il sentimento unitario che aveva dato impulso alla rivendicazione di indipendenza
proveniva Soprattutto dalle classi liberali e Borghesi, senza un analoga
consapevolezza a livello Popolare
- al nuovo stato tocca il compito di creare uno spirito Nazionale che rappresenta una
sintesi di tali differenze
- in questo senso, proprio la raggiunta unificazione ha intrinseci effetti positivi nella
diffusione della lingua comune
> l'organizzazione statale, dell'amministrazione al servizio militare, agisce di per sé
nella direzione della realizzazione di una maggiore unificazione
> ma è la scuola lo strumento ritenuto più idoneo a questo scopo. attraverso
l'insegnamento della lingua comune, alla scuola viene riconosciuto il compito primario
di realizzare, anche a livello Popolare, quel sentimento Nazionale che deve
accompagnarsi alla raggiunta unità statale
> in effetti, per la costruzione di un'identità Nazionale, la cui percezione È ancora
debole, la lingua Viene riconosciuta come un fattore indispensabile
● Anche in questo caso l'impostazione ideologica riflette posizioni già viste in Francia
- a differenza della Francia rivoluzionaria, però, il ruolo della scuola e della lingua non
si inscrivono nella prospettiva Democratica di partecipazione Attiva dei cittadini
- nell'Italia postunitaria, la scuola e la lingua non costituiscono il primo momento di un
più ampio percorso di cittadinanza; il ruolo dell'istruzione viene concepito
programmaticamente nella prevalente funzione della formazione di un sentimento di
appartenenza alla nuova Nazione Italiana

La politica linguistica e educativa dopo l’Unità

● La consapevolezza dell'importanza del compito della scuola per la diffusione della lingua
della nazione è da subito evidente. allo stesso tempo, si rivelano estremamente complessi i
problemi che occorre affrontare per rendere possibile il raggiungimento di un obiettivo
talmente esteso come quello di insegnare la lingua italiana a oltre il 90% della popolazione
- in considerazione di questa situazione, l'azione politica si svolge secondo alcune
direttrici:
> da un lato di ordine organizzativo e legislativo
> dall'altro di ordine pedagogico e didattico
● Il nuovo stato unitario basa la sua politica scolastica sulla​ legge Casati del 1859​, che dal
Regno piemontese viene estesa a tutta la nazione
- la legge prevedeva l'obbligo di istruzione solo per due anni, ma alcune sanzioni per
l'evasione dell'obbligo
- la successiva​ legge Coppino del 1877​ porta l'obbligo a 3 anni e istituisce sanzioni
per l'evasione dell'obbligo
- Nei fatti entrambe le leggi è vero scarsa efficacia nel combattere l'evasione scolastica
● Queste pur timide e limitate riforme trovano difficoltà oggettive di realizzazione, soprattutto
di natura socio-economica
- le difficili condizioni materiali di numerose famiglie sono di ostacolo alla frequenza
scolastica, poiché la lotta per trovare le risorse per la sopravvivenza quotidiana è
senz'altro Prioritaria (vedi testimonianze analfabetismo)
● In generale, l'organizzazione scolastica faceva fatica a darsi strutture e personale adeguato
al notevole sforzo che le si richiedeva
- Le condizioni materiali delle scuole erano precarie
- a ciò si aggiungeva anche un corpo insegnante nel complesso mal preparato e
demotivato, ma soprattutto malpagato dei comuni, a cui era demandato
finanziariamente l'organizzazione della scuola elementare
- spesso i comuni di campagna, dove viveva la maggior parte degli italiani, affidavano
il compito di maestro a religiosi o a personale la cui preparazione Non era né
specifica né verificata in alcun modo

Ritardi e riforme

● Nel 1910 l'analfabetismo risale al 46,2% della popolazione e l'evasione scolastica al 47%
- In effetti, nonostante un lento miglioramento generale, Nei fatti la scuola fallisce
l'obiettivo di garantire una frequenza scolastica generalizzata è connessa al compito
primario di realizzare attraverso la diffusione della lingua al sentimento di
appartenenza a una nazione unitaria
- fino a quel momento, la cittadinanza rimane un dato giuridico, di mera appartenenza
amministrativa
- la scuola non riesce davvero a ridurre le distanze culturali tra i cittadini delle varie
parti d'Italia né a garantire una sufficiente partecipazione politica
● Le riforme scolastiche del periodo giolittiano sono più organiche e prefigurerebbero
condizioni migliori per una più diffusa alfabetizzazione
- l'obbligo viene esteso a 12 anni, vengono istituite scuole serali e festive per analfabeti
(​ legge Orlando 1904​); le scuole elementari passano sotto la cura dello Stato per
sottrarle alla cronica difficoltà finanziaria dei comuni
- vengono istituite scuole reggimentali per i soldati di Leva e scuole carcerarie;
vengono stanziati fondi per biblioteche scolastiche e Popolari, per le scuole per
handicappati e per gli asili (​legge Credaro 1911)
- Si tratta forse del primo tentativo organico di riforma dell'organizzazione scolastica
che tiene conto, del resto delle nuove condizioni sociali e politiche
> in effetti, queste riforme, sollecitate in Italia come nel resto d'Europa anche dalla
pressione politica dei nuovi​ partiti socialisti​ sono la Punta più avanzata in senso
Democratico della legislazione italiana
● Anche se sarebbe stato necessario un tempo maggiore è un'applicazione più omogenea
perché si sviluppasse in tutta la sua potenzialità, la riforma ha comunque effetti positivi
- dal 1901 al 1921 gli analfabeti diminuiscono sensibilmente, dal 56% al 35%, con un
ritmo quasi doppio rispetto al quarantennio precedente
- naturalmente la situazione non è uniforme in tutta la penisola; le scuole funzionano
meglio nei grandi centri piuttosto che in campagna, Quando vi sono e soprattutto
dimostrano Maggiore efficacia nelle regioni settentrionali, dove però comincia a
delinearsi un Progresso industriale e la nascita di movimenti politici di ispirazione
Socialista
- nasce dunque già nel primo secolo di vita unitaria, e proseguirà anche oltre, un'Italia a
due velocità, anche per quanto riguarda l'istruzione (vedi dati pagina 65-66)

Scuola, cittadinanza e suffragio universale

● L'insufficiente azione della scuola e riflette in buona sostanza di ideologia liberale che aveva
prevalso in quasi tutta l'Europa ottocentesca
- la dinamica dei diritti aveva spinto verso un allargamento delle libertà, ma
l'impostazione politica non ha un impianto né una prospettiva democratica
- la cittadinanza si esprime in un ampliamento della base dei diritti, ma mantiene
ancora enormi diseguaglianze di partecipazione
- la tendenza a un mutamento della partecipazione politica attraversa tutto il​ XIX
secolo
>​ le trasformazioni sociali derivate dallo sviluppo della rivoluzione industriale e la
spinta della diffusione delle idee progressiste agivano nella direzione di una maggiore
partecipazione elettorale delle masse
> il suffragio universale, che è uno degli elementi più qualificante di una democrazia e
di una concezione realmente egualitaria della cittadinanza, era diventato un
argomento di discussione lotta politica
● La dinamica sociale e politica portò un graduale allargamento del Suffragio
- nel complesso la media Europea era tra il 30 il 40% della popolazione maschile
adulta, mentre il raggiungimento del voto femminile era ancora lontano e in quasi tutta
Europa si registra un allargamento analogo della possibilità di voto
- Tuttavia, il suffragio universale maschile si realizza solo in pochi paesi prima della
grande guerra e l'Italia È fra questi nel ​1913
● In questo processo di democratizzazione, l'istruzione è un fattore importante per almeno
due motivi:
1. per l’intuibile constatazione chi una maggiore istruzione avrebbe dato Maggiore
forza le classi operaie e contadine nella difesa dei loro diritti a cominciare da migliori
condizioni di lavoro
2. perché in molti paesi l'istruzione è direttamente collegata al diritto di voto e, insieme al
censo, agisce come freno all'estensione Democratica del Suffragio
● In Italia, nel​ 1861​ il diritto di voto viene riconosciuto agli uomini maggiori di 25 anni in grado
di leggere scrivere e che abbiano pagato le imposte per un importo non inferiore a 40 lire,
che equivale ad appena il 2,41% della popolazione italiana
- nel​ 1882​ il diritto di voto viene riconosciuto a tutti i maschi che abbiano compiuto 21
anni, che abbiano superato il biennio elementare obbligatorio o abbiano frequentato
la scuola reggimentale, oltre ad aver pagato imposte per almeno 19,8 lire all'anno
(7,78% della popolazione)
- nel​ 1912​ la legge stabilisce un suffragio quasi universale: possono votare tutti gli
uomini di 21 anni capaci di leggere e scrivere, mentre agli analfabeti e data la
possibilità di votare solo se hanno compiuto 30 anni di età. inoltre, il voto viene esteso
a tutti i cittadini che abbiano già prestato servizio militare (24,9% della popolazione)

Il percorso accidentato dell’istruzione

● La barriera dell’ analfabetismo impedisce alla maggioranza della popolazione di partecipare


alle elezioni e gli elettori che hanno requisito di censo sono in genere anche quelli che
possono accedere a livelli di Istruzione Superiore
- la politica scolastica giolittiana aveva avuto effetti positivi nell'azione della scuola
elementare, ma così come non aveva attenuato il divario nord-sud, così non aveva
stravolto né l'accesso Né la composizione sociale nei livelli di Istruzione Superiore
- In effetti, la scuola italiana riflette queste disuguaglianze sociali; l'accesso la scuola
secondaria costituisce in generale un contrassegno di classe; rispetto agli iscritti alla
scuola elementare la sproporzione con la scuola secondaria è enorme (vedi dati
pagina 68)
> La maggior parte dei bambini ragazzi continuano a rimanere fuori dalle aule ed è
evidentissimo lo squilibrio tra partecipazione maschile e femminile in ogni livello
scolastico
● Nei primi due decenni il decisivo impulso delle riforme giolittiane porta una quadruplicazione
degli iscritti alla scuola secondaria
- il primo decennio fascista interrompe il ritmo di crescita precedente, degli iscritti alla
scuola secondaria sono solo appena 2000 in più
- nell'anno scolastico 1936,1 e unico censimento quinquennale, gli iscritti alla scuola
secondaria aumentano considerevolmente, ma tuttavia non arrivano a raggiungere
nemmeno il 10% della corrispondente età scolare; solo nel 1951 si giunge al 18,1%
- una realtà minoritaria, dunque che conferma le notevoli differenze geografiche già
rilevate (vedi dati)
> si noti che anche in questo livello di istruzione la forbice tra nord e sud si allarga
invece di diminuire, ma è evidente anche lo squilibrio tra partecipazione maschile e
femminile in ogni livello scolastico
● La notevole differenza tra i livelli di istruzione, la persistenza dell'analfabetismo e la
insufficiente penetrazione dell'Istruzione elementare sono il corrispettivo di una dinamica
della cittadinanza che non percorre una coerente direttrice democratica
- le aperture in chiave di diritti, e tra essi il diritto all'istruzione, sono conseguenza di
mutamenti sociali e produttivi e, certamente, della pressione dei partiti socialisti, ma
non prefigurano un mutamento di ordinamento politico in chiave democratica
- le limitazioni al diritto di voto ne sono una chiara espressione, così come ne è Chiara
espressione la composizione sociale e la distribuzione della popolazione studentesca
- in questa prospettiva, l'istruzione Superiore è decisiva
> Classe limitato accesso alla scuola superiore è un evidente contrassegno di classe
che si accompagna un altro fattore determinante Per l'esercizio della cittadinanza che
la scuola superiore può garantire: la conoscenza della lingua
> Infatti, solo a coloro i quali frequentano le scuole secondarie inferiori e superiori si
può attribuire una linea di massima la qualifica di italofoni
> la scuola elementare non garantiva una tale conoscenza, spesso consentiva
solamente di superare la qualifica di analfabeta, ma di certo non garantiva strumenti
linguistici adeguati; cosicché gli studenti della scuola secondaria Rimangono fino a
tutta la prima metà del 900 quel nucleo minoritario che con il livello scolastico
Superiore possiate anche adeguate conoscenze linguistiche, cioè un requisito
essenziale per il pieno esercizio della cittadinanza
>> sotto questo aspetto l'Italia liberale e ovviamente, ancora meno il regime fascista
agiscono per coniugare il percorso scolastico con una partecipazione più diffusa dei
cittadini
● Questi due fattori avranno una funzione positiva nella direzione dell'allargamento del diritto
all'istruzione e dell'avanzamento del discorso sulla cittadinanza
- in questo senso, le differenze tra nord e sud, tra città e campagna, tra centro e
periferia sono il riflesso di una concezione della società che non ha assunto come
base ideologica il principio di uguaglianza, dove provare l'idea dell'istruzione e della
lingua in funzione soprattutto all'idea della cittadinanza come appartenenza e non ha
la cittadinanza come partecipazione
- l'esperienza del Fascismo accentuerà questa posizione, cristallizzandola
nell'ideologia totalitaria in base alla quale cittadinanza e diritti sono espressioni
dell'appartenenza al partito unico che, a sua volta, esprime l'ideale più alto della
nazione
● Nonostante i suoi limiti, Tuttavia, il nazionalismo liberale otto-novecentesco, Anche perché
incalzato dai partiti socialisti che premono per un attuazione reale del principio di
uguaglianza, porta comunque con sé l'impulso dinamico del percorso dei diritti di libertà
scaturiti dalla rivoluzione francese
- si tratterà però, di un processo lento e contrastato, e avrà il suo compimento solo
dopo la Seconda Guerra Mondiale
- il ventennio fascista, Infatti, arresta questa progressione e immobilizza la scuola nella
classica concezione nazionalistica senza aperture culturali e, ovviamente, ma anche
meno legate allo sviluppo di una partecipazione democratica

Lingua italiana, dialetti e altre lingue

● Oltre alle difficoltà socio-economiche e di organizzazione, allo scarso successo dell'azione


scolastica concorre anche il programma pedagogico adottato nell'Italia postunitaria
- la scuola viene da subito individuata come lo strumento più idoneo per la formazione
dei cittadini, o meglio di sudditi, che riconoscano o Acquisiscano attraverso la lingua
uno spirito Nazionale unitario
> se su questo punto vi era un accordo unanime, meno condiviso era il modo
attraverso il quale la scuola potesse effettivamente raggiungere Questo obiettivo
● Uno dei problemi teorici e pedagogici più rilevanti riguarda il rapporto tra lingua italiana e
dialetti, In genere il rapporto tra lingua nazionale e la diversità linguistica
- in realtà, la questione linguistica è perfino più ampia, poiché riguarda anche il
modello italiano da adottare e non solo come insegnarlo a scuola
- la cosiddetta "questione della lingua" non si era esaurita con l'unificazione politica e,
come è noto, alla querelle che si sviluppano i decenni postunitari partecipano
praticamente tutti i letterati e studiosi
> del resto, del legame tra unificazione politica e unità della lingua Erano
propugnatori consapevoli soprattutto i ceti colti e che ora si confrontano sul modo di
farla conoscere agli italiani
> occuparsi della lingua e della scuola costituisce un dovere civico e patriottico al
quale, in effetti nessuno sembra sottrarsi
- Tra essi un posto di rilievo occupa​ Alessandro Manzoni​ incaricato nel ​1867 ​Di
presiedere una commissione ministeriale su questi temi. scrive la relazione
conclusiva​ dell'Unità della lingua e dei mezzi per diffonderla (1868)
> nella relazione si legge in esordio una condanna della diversità linguistica in quanto
ostacolo all'unità, che deve il suo tributo ideologico all'ideologia giacobina
>In realtà in tutta la relazione si avverte la forte influenza francese; in effetti, la
condanna di dialetti e della diversità linguistica ripresa da Manzoni E dai manzoniani
riecheggia quasi Testualmente in molte prese di posizione
- Ascoli, De Sanctis, d'Ovidio ​ritenevano invece che si dovesse partire dalle reali
condizioni socio linguistiche e culturali dell'Italia
> le loro considerazioni partivano da presupposti diversi, che, appunto, ricollegavano
la questione della diffusione della lingua italiana e della scuola alla realtà sociale e
culturale dell'Italia
> le loro proposte educative, secondo cui occorreva partire dal dialetto per arrivare
gradualmente alla lingua, consentendo così di mantenere la ricchezza tradizionale dei
dialetti di rispettare il patrimonio culturale linguistico di ciascun alunno,
rappresentavano in realtà posizioni pedagogicamente avanzate, ma non furono
adottate
- In effetti prevalse la posizione ideologica di avversione nei confronti della diversità
linguistica; posizione dominante che informò la politica scolastica e linguistica italiana
praticamente senza interruzioni
● Durante il fascismo, Inoltre, l'ostilità verso la diversità linguistica si accentua e si coniuga
con una feroce politica di spoliazione linguistica delle minoranze, soprattutto quelle di
confine come quella​ slovena in Friuli​ e quella ​tedesca in Alto Adige​ (quest'ultima colpita
più duramente) e ritenute un pericolo per la nazione
- La politica di italianizzazione forzata, finalizzata a rimuovere il passato storico della
Regione per sostituirlo forzatamente con quello italiano, era particolarmente dura per
il legame con l'Austria in quanto stato confinante. ogni traccia della tradizione
linguistica autoctona venne quindi combattuta con ferocia
- Naturalmente, la scuola fu tra le istituzioni più toccate: l'insegnamento doveva
avvenire esclusivamente in lingua italiana e venne proibita all'esistenza di scuole in
lingua tedesca
- solo nel 1446 si giunse, con il patto Degasperi Gruber al riconoscimento della parità
di diritti rispetto a cittadini di lingua italiana, garantendo che l'insegnamento primario e
secondario nella propria lingua, ristabilendo i cognomi tedeschi e garantendo l’eguale
accesso alle amministrazioni pubbliche ai cittadini di lingua tedesca
● La lotta contro i dialetti si colloca Tuttavia su un'altro piano: gli italiani parlavano il dialetto,
ma non si poteva dubitare della loro appartenenza all'Italia
- il processo di acquisizione della lingua italiana equivaleva al completamento di una
cittadinanza già in atto, alla quale però adesso si aggiungeva il requisito necessario
dell'ideologia fascista
- per farlo occorreva continuare nella direzione di eliminare i dialetti, a cominciare dall'
educazione scolastica, ma nemmeno sotto questo aspetto il fascismo raggiunge i
risultati sperati
● Come abbiamo visto, la conoscenza della lingua procede lentamente e l'azione della scuola
risente, come nel passato delle difficoltà economiche della nazione, degli scarsi mezzi
finanziari e della spesso non adeguata preparazione degli insegnanti
- andiamo alfabeti continuano a essere un numero molto consistente e si continua a
parlare dialetto, che per la maggioranza degli italiani resta l'unica lingua di
comunicazione disponibile anche dopo la fine del ventennio
- Tuttavia questa particolare espressione di ostilità verso il plurilinguismo non
rappresenta un tratto inedito Ma, di fatto, Si colloca nel solco della tradizione dei
Principi già affermati durante la rivoluzione francese
> La didattica linguistica che bandisce da scuola e dialetti e che vede nella diversità
linguistica un ostacolo all'unità non è una prerogativa del Fascismo ma è, come per il
periodo precedente, la continuazione tra pedagogia linguistica giacobina
> del resto, non si tratta di un aspetto specificamente italiano né limitato all'ottocento,
poiché quell'ideale che vede nella lingua il simbolo dell'unità nazionale e nella scuola
il mezzo più adatto per realizzare l'unificazione linguistica è ancora pienamente
vigente in molti paesi, informa praticamente tutte le politiche linguistiche europee e
mondiali
- Non è dunque solo su questa base ti occorre valutare la politica scolastica del
Fascismo, quanto su la cesura che essa compie tra il percorso dell'affermazione dei
diritti individuali e sociali, quali quello all'istruzione, con la tensione verso una
cittadinanza democratica; tensione che, se pure contrastata, aveva contrassegnato
tutto il percorso di diritti nel corso dell'800 e del primo Novecento
● La scuola fascista procede su un piano diverso, svincolato dalla retorica dei diritti di
cittadinanza Per come si erano sviluppati precedentemente
- i contenuti primari riguardano l'esaltazione dell'uomo fascista e i riti e le cerimonie
sono finalizzati a creare identificazione emotiva prima ancora che politica
- La retorica che accompagna questa esaltazione identitaria trova nell'unità della lingua
una coerente corrispondenza
> la scuola doveva Dunque diffondere la lingua affinché gli italiani fossero finalmente
raggiunti dal messaggio fascista, ma la lingua faceva parte anch'essa di quel mito
autoctono che occorreva esaltare e preservare vietando perfino, come fu vanamente
fatto, l'uso di parole straniere
● La condanna della diversità linguistica si inscrive dunque lungo una linea già ben evidente
riconoscibile, che non si distanza in linea di principio da quella presente nell’Italia prebellica
- il fraintendimento pedagogico della scuola postunitaria aveva condannato i dialetti
come un fastidioso ostacolo rispetto al nuovo compito dello stato unitario; il fascismo
seguita su questa strada, ma aggiunge a questa visione l'eccezionalità del nuovo
corso per esaltare ancora di più l'ideale dell'Unità linguistica del paese come Nobile e
intangibile simbolo della storia nazionale

Cap. 5: Diversità linguistica, scuola e cittadinanza nei totalitarismi del


Novecento: analogie e differenze

● da queste premesse si potrebbe facilmente concludere Chi è un regime totalitario, ancor


più c'è uno stato liberale e uno stato democratico, non può che accentuare il riconoscimento
esclusivo di far concittadino in un'unica lingua nazionale
- La negazione del pluralismo politico si accorderebbe perfettamente con l'ideologia
giacobina di condanna dei dialetti e delle diversità linguistiche
- Tuttavia, l'ideologia linguistica giacobina si è molto diffusa, ma non è stata accolta né
in modo universale né in modo integrale
- Nei fatti, i tre grandi regimi totalitari del Novecento hanno espresso su questo punto
politiche linguistiche differenti
● Infatti, come è stato dimostrato, la​ Germania nazista​ non ha cercato di reprimere le
differenze culturali regionali, Anzi le hai esaltate come rappresentative della ricchezza
dell'ethos del Popolo tedesco
- del resto, l'ideologia politica della Germania ottocentesca aveva rifiutato il principio
astorico dei diritti umani universali propugnati dalla Rivoluzione Francese opponendo
proprio la specificità della storia del Popolo tedesco come originaria e autonoma fonte
del diritto di cittadinanza
- ciò non vuol dire, tuttavia, che il nazismo rifiuta il principio di nazionalità, poiché
Infatti, proprio sul presupposto ideologico di tale principio, cioè di unità tra lingua,
Stato e Nazione, Hitler Bazaar la rivendicazione di annessione alla Germania di
territori tedescofoni dei​ sudeti​ e della città di​ Danzica
> la contraddizione è del tutto apparente; è del tutto coerente, nella visione nazista,
dare importanza alle tradizioni culturali e linguistiche regionali, fermo restando però il
valore superiore del riconoscimento unitario in una lingua nazione e, soprattutto, in
un'ideologia politica
> ma per lo stesso motivo occorreva riportare nell'alveo della storia tedesca quelle
comunità di lingua tedesca che le vicende storiche avevano costretto a vivere
all'interno di altri Stati
● Ancora più interessante è la politica linguistica adottata dall’​Urss (unione delle
Repubbliche Socialiste sovietiche)​. all'indomani della nascita dell'Unione Sovietica si
pose, in scala molto maggiore, lo stesso dilemma che aveva avuto la Francia rivoluzionaria
- il territorio dell'ex Impero Russo conteneva al suo interno un elevatissimo numero di
etnie e lingue diverse; alcune di esse erano parlate da milioni di abitanti, mentre altre
da qualche decina di migliaia; molte di esse erano Prive di una tradizione scritta
- L’Urss optò per rispettare e appoggiare le lingue diverse e cercare di unificarle in
un'organizzazione politica di ordine Superiore e di intenzione rivoluzionaria
> questa scelta politica implico sforzi eccezionali sia sul piano economico sia sul
piano della ricerca linguistica e della pratica educativa
- Le molte lingue Chi erano solo parlate vennero descritte, classificate e normalizzate
attraverso la realizzazione di dizionari, grammatiche e la loro trascrizione nel sistema
di scrittura cirillico
> venne finanziata è stimolata la realizzazione di libri, periodici e altri mezzi di
comunicazione, anche nelle lingue di minore diffusione
- Per quanto riguarda l'insegnamento lo sforzo fa ancora più straordinario perché
venne garantita a tutti l'educazione iniziale nella prima lingua e al contempo lo studio
e l'acquisizione del russo, sia pure in proporzioni diverse a seconda dei territori
> Nelle repubbliche federate, infatti, l'insegnamento secondario può essere sia nella
lingua del luogo sia in russo, Inoltre i territori l'insegnamento secondario era solo in
russo
> di fatto, Dunque, vi fu una scelta verso l'educazione plurilingue, che di certo ha
comportato notevoli sforzi sia economici e di ricerca, sia di organizzazione scolastica
e formazione degli insegnanti e anche una politica realizzata con grande
determinazione ed efficacia
● Si tratta senz'altro di un fatto positivo è abbastanza unico nel panorama delle politiche
linguistiche del Novecento; Tuttavia il rapporto tra lingue, scuola e cittadinanza presuppone
che si guardi necessariamente anche all'educazione sia in relazione del rispetto delle lingue
di ciascun cittadino sia in relazione della sua autonoma e libera partecipazione democratica
- sotto questo aspetto, la scuola nell'Unione Sovietica viene concepita in funzione
dell'affermazione di una visione totalitaria della società
> non si tratta in questo caso di discutere dei Principi alla base della società
Sovietica, né delle finalità dichiarate, né infine dell'esito storico e concreto della
realizzazione di tali principi
- Ciò che occorre ricordare, accanto alla straordinaria Apertura verso la diversità
linguistica, e il fatto che proprio con la rivoluzione sovietica che emerge il ruolo
determinante di un soggetto collettivo: Il Partito Unico
> rispetto alla cittadinanza, l'esperienza Sovietica il pensiero leninista ridefiniscono
alla radice le condizioni dell'appartenenza proponendo il partito come il decisivo
tramite di riferimento per il soggetto, il parametro della sua identità politico-giuridica
- In questa prospettiva, dunque, la scuola nata dalla​ rivoluzione sovietica​, sia pure
nel opzione plurilingue, rimane comunque inevitabilmente e indissolubile mente al
servizio dell'ideologia del partito unico
> e tuttavia, vi sono, evidenti differenze di fondo, tra i vari sistemi totalitari, soprattutto
per ciò che riguarda i principi e le finalità dichiarate
> di là della sua effettiva realizzazione, in regime sovietico si pone in una linea di
continuità con la Dichiarazione dei Diritti del 1789 che si vogliono universali
> anche i principi della rivoluzione sovietica si basano sulla assolutezza del principio
di uguaglianza tra cittadini e popoli, che si proclama ora realizzabile soltanto
attraverso il socialismo, poiché in grado di superare il groviglio delle contraddizioni
nazionali nel quale era sposata la società liberale post rivoluzione francese, così da
realizzare la fiducia reciproca e la pace, la libertà nazionale e l'uguaglianza, la
pacifica convivenza e la fraterna collaborazione dei popoli
- Nei fatti, questo limite non verrà superato, poiché al di là di proclami di pace tra i
popoli, la federazione Sovietica rimarrà l'orizzonte politico operativo di riferimento,
come dimostreranno ad esempio la crisi ungherese del 1956 e la primavera di Praga
nel 1968
● Contrariamente a questa impostazione, il fascismo e il nazismo non si pongono come
portatori di valori universali, ma, al contrario, esaltano le specificità nazionali, fino
all'esasperazione nazista della razza pura, che dal 1938 accomuna incontestabilmente dei
regimi
- Ad ogni modo, nei regimi totalitari l'identificazione della comunità politica con il partito
incide profondamente sulla concezione dell'educazione e della scuola ritenute, ancora
una volta, essenziali per la realizzazione di un programma politico
> in effetti, che il controllo della scuola sia fondamentale per l'esercizio del potere
non rappresenta una novità storica e del resto, che la scuola fosse stata fino a quel
momento concepita come elemento decisivo per il controllo e l'indirizzo politico di una
nazione era chiarissima e rivoluzionari sovietici
- Zinoviev (1925)​, in un discorso al ​congresso degli insegnanti dell'URSS​ nel 1925,
aveva sottolineato che per il governo borgese il controllo della scuola e degli
insegnanti era stato necessario e vitale
> anche se si è tentato di mascherarlo con una pretesa neutralità, l'insieme di valori e
di contenuti proposti dalla scuola Borghese sono tutti orientati contro l'uguaglianza di
cittadini e soprattutto contro la classe operaia
> Ora, poiché l'educazione rappresenta un elemento essenziale nella visione
rivoluzionaria, la scuola, gli insegnanti devono finalmente essere formati secondo i
nuovi principi comunisti
● Non è di simile, del resto, l'idea della funzione della scuola nel fascismo e nel nazismo. a
livello di principio, riguardo le loro finalità, in tutti e tre i regimi, la scuola e l'educazione sono
viste come necessariamente in funzione della realizzazione dell'ideologia al potere
- in questo senso, i regimi totalitari estremizzano la disposizione al controllo dei regimi
Liberali, ma allo stesso tempo mutano radicalmente la natura della scuola
> il controllo della scuola nei regimi Liberali risultava necessario per mantenere il
controllo sociale, anche limitando gli accessi a livelli superiori, ma tuttavia
riconosceva la possibilità di istanze politiche diverse
> Tant'è vero che a partire dalla seconda metà dell'800 erano entrati a pieno titolo nel
dibattito politico i​ partiti socialisti​ come momento irrinunciabile di confronto sui diritti
in chiave Democratica, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione del suffragio
universale
> In questa direzione si muoveva, sia pure con alterne Fortune, la vita politica è
connessa la funzione della scuola
- Ora però, con i regimi totalitari, la scuola diventava uno strumento a esclusivo servizio
di una ideologia che si identifica con Il Partito Unico
- Tuttavia, mentre la scuola Sovietica agisce in maniera decisiva Anche verso un
Maggiore egualitarismo, sforzandosi perciò di garantire l'accesso a tutti, con
eccezionali risultati nella lotta contro l'analfabetismo, la stessa dinamica non si
registra con la scuola durante il ventennio mussoliniano, dove l'istruzione in chiave
fascista e nazionalista procede molto a rilento
● La torsione della scuola a servizio di un’ ideologia antidemocratica e anti universalistica, ma
al contrario alacremente protesa verso la celebrazione dell'unicità della nazione associata la
razza, trova il suo culmine nella scuola nazista
- Qui la nozione di cittadinanza viene sostituita completamente dalla elaborazione del
mito della razza pura
> la scuola e tutto il sistema educativo partecipano a questo sforzo, in ogni loro parte
in modo molto più pervasivo che nel fascismo
- La scuola nazionalsocialista è parte di un sistema che scandisce ogni momento della
vita tedesca e diventa anch'essa null'altro che un campo di dilatazione dell' apparato
culturale e propagandistico del regime
- le linee educative del regime nazista ruotano prioritariamente sull'educazione
razziale e sull'educazione fisica, oltre naturalmente sull'esaltazione della figura del
Fhurer
> la scuola nazista partecipa in prima linea al processo di militarizzazione della
società tedesca: oltre a formare elementi, deve addestrare alla battaglia e all'eroismo
patriottico; così come, senza soluzione di continuità, è tenuta a fare l'organizzazione
della​ gioventù hitleriana
> ogni forma del sapere viene declinata in funzione dell'educazione nazista, Dalla
storia fino all' aritmetica, con contenuti implicitamente razzisti e bellicisti e con
l'induzione aperta ad accettare la necessità del genocidio
- La nazistizzazione riguarda tutti i livelli scolastici e anche l'università dove vi è, oltre
all'allontanamento forzato dei docenti non allineati, anche una ridefinizione profonda
delle discipline accademiche in funzione della nuova ideologia razzista
● Anche se un così totale processo di funzionalizzazione della scuola alle parole d'ordine del
regime non si è verificato nell'esperienza italiana del Fascismo, la scuola italiana durante il
ventennio appartiene anch'essa a pieno titolo alle scuole di regime
- i contenuti della scuola di base fascista sono tutti rivolti all'esaltazione dell'italianità
fascista di recente conio, doveva anch'essa esaltare il mito della guerra e della
Battaglia come presupposto eroico della nazione e soprattutto il valore del suo Duce
Mussolini
- le scuole superiori e l'università sono meno appariscenti in questo senso, ma solo
perché di fatto continuano a interessare una minoranza
> Tuttavia, la loro funzione non si differenzia nelle finalità; si tratta sempre di
riconoscere il primato esclusivo del Fascismo: In altre parole, una scuola che formi
una nuova classe dirigente e che comunque accolga senza riserve la nuova ideologia
è la nuova concezione dello Stato-partito
> tale impostazione si era rivelata in tutto il suo potere di costrizione già nel ​1931
Quando fu imposto a tutti i professori universitari di sottoscrivere un giuramento di
fedeltà al regime fascista
> e si ripropose drammaticamente con le leggi razziali del​ 1938​, in particolare con il
regio decreto 1390 del 1938,​ provvedimenti per la difesa della razza nella scuola
fascista,​ convertito in legge nel​ 1939, ​quando l'accesso all'istruzione e
all'insegnamento viene proibito a tutti gli ebrei
● Il fascismo non realizzò una scuola efficiente e in questo campo, come in altri fallì.Ma ciò
non toglie che la scuola fosse diventata parte integrante nella macchina della propaganda
sotto il controllo del regime
- Per alcuni, il rapporto tra il fascismo la scuola sarebbe stato problematico, soprattutto
perché totalmente inefficace è incapace di raggiungere i propri stessi obiettivi o
perfino di darsi degli obiettivi, fino a spingere a dubitare della sua effettiva
fascistizzazione
> in realtà, fermarsi al livello dell'effettiva attuazione di un programma, perfino in parte
non coerente rispetto alle sue stesse finalità, non deve attenuare la valutazione circa
la portata delle idee alla base della concezione stessa d’istruzione fascista
- In primo luogo, è evidente che ciò non può valere per quello che subirono gli ebrei, i
Quali furono privati, Tra le altre cose, anche del diritto all'istruzione e all'insegnamento
- inoltre, sul piano delle idee e della concezione stessa dell'Istruzione della
cittadinanza, il fascismo impone un nuovo paradigma che, come per gli altri
totalitarismi, spezza la corrente progressiva affermata sin Europa fino ai primi decenni
del Novecento
> nel fascismo, infatti, la scuola esaspera la funzione di formazione del cittadino che
ora è pienamente nei suoi diritti Non tanto in quanto dichiara la sua appartenenza alla
comunità statale, ma soprattutto in quanto testimonia la sua adesione al partito, che
tende quindi a presentarsi come la fonte originaria del riconoscimento di diritti di
cittadinanza
- In questo senso, per il fascismo come per gli altri regimi totalitari, non rileva se tali
diritti rappresentino ideali condivisibili o meno, ciò che conta è che sono gli unici
possibili, ai quali è obbligatorio aderire per non diventare un pericolo è essere escluso
dalla comunità nazionale
- la scuola del Fascismo si stacca quindi decisamente dall'ideale di partecipazione
Democratica dei cittadini, anzi lo nega per sostituirlo con l'adesione a un partito e alla
venerazione del suo Duce
> il nuovo paradigma pedagogico è tutto definito in funzione di Questo obiettivo, così
che la scuola arretra decisamente nella sua funzione educativa per fare Maggiore
posto alla sua funzione di propaganda
> la scuola rimane Dunque privata di quella crescente tensione liberale che anche in
Italia, come nel resto d'Europa, si era sviluppata nei decenni post-unitari
● Ad ogni modo, dopo le esperienze politiche dei totalitarismi e soprattutto dopo la tragica
vicenda della Seconda Guerra Mondiale, le questioni della democrazia, della pluralità e
della libertà politica dei cittadini Vengono riportate al centro del dibattito politico
- e in questa prospettiva l'Italia deve riannodare il filo di un discorso interrotto prima di
aver preso una qualsiasi forma tra la scuola e l'educazione linguistica dei cittadini
- solo con la nascita della​ Repubblica Italiana (1946)​ e con il nuovo corso basato sulla
Costituzione (1948)​ diviene finalmente centrale il principio di uguaglianza tra i
cittadini, e l'istruzione e la lingua vengono riconosciuti come i presupposti di una reale
cittadinanza democratica

Parte 2: La costruzione della cittadinanza democratica

● A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale il tema della cittadinanza si pone in una
prospettiva che segna un cambiamento decisivo rispetto al passato. la cittadinanza si
definisce necessariamente in relazione con la democrazia e i diritti di Ciascun individuo, tra i
quali acquisiranno sempre maggiore rilevanza i diritti relativi alla lingua e all'istruzione
- in questa prospettiva , da un lato diventa necessario individuare a livello
internazionale un terreno comune e condiviso di principi che preservino l'umanità
dalle eventualità che si possa riproporre in qualche forma un'esperienza simile a
quella nazista
- dall'altro, sul versante dei rapporti tra stato e cittadino, diventa essenziale garantire
quei principi di libertà e di partecipazione negati dalle esperienze totalitarie del
ventesimo secolo
● Il punto di partenza di questa nuova era è rappresentato dalla ​dichiarazione universale
dei diritti umani del 1948
- Si pone in una linea ideale di continuità con quella del 1789; anche in questa, come in
quella del 1789, si riconosce una matrice giusnaturalistica, sia pure molto temperata,
ma tuttavia vi sono alcune significative novità
- innanzitutto, nel l'intitolazione non vi è più la parola​ cittadino​, poiché ora quelli che si
proclamano sono​ diritti universali degli esseri umani​ in quanto tali, non in quanto
cittadini di uno Stato
- inoltre, ora la base giuridica per il fondamento di quei diritti fondamentali si afferma
sul piano internazionale, non solo su presupposti filosofici e teorici dall'altro, si
afferma l'internazionalizzazione come base giuridica per il fondamento di quei diritti
> i diritti tornano Dunque a Porsi Come si sanse universali dell'uomo, Ma a differenza
della dichiarazione del 1789 non più fondati su un supposto diritto di natura ma solo
accordo tra gli stati e sul diritto che ne deriva
> In altre parole, i diritti fondamentali degli individui che vengono ora riaffermati
hanno sempre alla base il diritto naturale, e però Acquisiscono Maggiore forza
propulsiva perché si costituiscono sul piano normativo come principi prioritari rispetto
alla sovranità e agli interessi dei singoli stati
● Si determina così Un orientamento diverso, proiettato verso una concezione della
cittadinanza, che, sebbene ricordi in ultima istanza La concezione universalistica del 1789,
ora assume una prospettiva più concreta perché Soverchia l'ambito delle singole Nazioni
- in questo modo, prende forma un diritto internazionale dell' individui che dà
contenuto alla cittadinanza universale
> con le dichiarazioni internazionali Infatti i diritti fondamentali vengono riconosciuti
alle persone in quanto esseri umani e non in quanto cittadini di uno Stato

Cap. 6 Le nuove prospettive di cittadinanza nella Dichiarazione Universale dei


Diritti Umani del 1948

La Dichiarazione e l’uguaglianza linguistica

● Lo scopo ultimo della dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 è quello di
assicurare la convivenza pacifica fra gli Stati e garantire a tutti gli uomini i diritti fondamentali
espressi nella dichiarazione
- tutti gli individui, Dunque, in qualsiasi parte del mondo, per il solo fatto di essere
uomini o donne, sono titolari dei diritti presenti nella dichiarazione
- in questa prospettiva, il principio di eguaglianza tra i cittadini diventa irrinunciabile in
ogni forma di ordinamento statale e su questa base si sviluppa la nozione di
cittadinanza universale
● In effetti, con la dichiarazione del 1948 vengono finalmente poste su un piano di parità tutte
le diversità individuali, sia quelle di carattere naturale, come il sesso o la razza, sia quelle di
carattere culturale
- tra le diversità che non devono costituire alcuna forma di discriminazione compare
per la prima volta la​ lingua
- In questo modo, quantomeno a livello teorico, si scinde definitivamente il nesso
privilegiato lingua- stato- nazione che aveva caratterizzato l'ideologia liberale
ottocentesca della prima metà del 900
> l'articolo 2 Infatti afferma il principio di parità tra i cittadini: così che parlare un'altra
lingua Non deve dar luogo ad alcuna distinzione tra i cittadini di uno Stato
- La conseguenza teorica è per converso, il riconoscimento del principio di uno Stato
potenzialmente plurilingue, entro il cui territorio tutti i cittadini abbiano Dunque uguale
e riconoscimento giuridico indipendentemente dall'appartenenza linguistica
- nei fatti però, nella seconda metà del Novecento la diffidenza verso le lingue diverse
non viene eliminata
- Tuttavia, l'affermazione di tale principio universale a un'importanza notevole poiché
costituisce un principio giuridico fondamentale per ciascun singolo stato, che verrà in
seguito ribadito da tutte le costituzioni degli Stati aderenti all'onu
- ma il percorso per una sua reale attuazione è tutt'altro che concluso; il rapporto tra le
lingue e la cittadinanza continua Infatti a rappresentare un nodo politico cruciale, sia
per i singoli stati, sia per le istituzioni internazionali, come l'Unione Europea
> non c'è dubbio infatti che, per esempio, le lingue di minoranze e delle lingue degli
immigrati rappresentino oggi un terreno privilegiato per valutare le scelte di politica
sociale e educativa in funzione della cittadinanza

La dichiarazione e il diritto all’istruzione

● Tra i diritti fondamentali della dichiarazione universale vi è quello all'istruzione


> in realtà il diritto all'istruzione obbligatoria era emerso già nel secolo precedente (vedi
ripasso pagina 88)
- la configurazione dell'istruzione come Diritto sociale modifica il rapporto tra stato e
cittadini in questo campo
● A differenza di diritti cosiddetti "civili", che riguardano alcune Libertà individuali che non
presuppongono l'intervento Stato, i diritti Sociali presuppongono, al contrario, l'obbligo
dell'intervento dello Stato affinché ciascun singolo cittadino possa realmente esercitarli
- ciò non vuol dire che ci deve essere necessariamente un impegno diretto dello Stato
che, attraverso risorse adeguate interventi specifici, intervenga affinché a ciascun
cittadino sia concretamente garantito il proprio diritto all'istruzione
- sotto questo aspetto, l'istruzione pubblica, come necessità fondata sull'interesse
generale, viene intesa come una tra le prime istanze riformistiche democratiche
anche se essa Non viene né dovunque né mai interamente realizzata
● Perciò, nel quadro della nuova prospettiva Democratica delineata Sì nel dopoguerra, il
principio di eguaglianza si deve cimentare, alla prova dei fatti, anche con la persistenza di
notevoli diseguaglianze nell'ambito educativo
- in realtà, nella dichiarazione del 1948, Il diritto all'istruzione viene ridefinito in un
senso che accentua definitivamente il suo intrinseco valore sociale
> in questa direzione, il diritto all'istruzione è inserito in un contesto orientato in una
prospettiva più coerente rispetto all'impegno diretto dello Stato e pertanto viene
direttamente collegato all'esercizio della cittadinanza
- Dapprima l'articolo 21 Afferma il diritto alla partecipazione di ogni individuo al governo
del proprio Paese attraverso elezioni con suffragio universale e voto segreto
- Successivamente vengono individuati i diritti che caratterizzano la vita Democratica
degli individui, cioè gli ambiti nei quali essa dovrebbe realizzarsi pienamente
> il diritto all'istruzione (articolo 26) e quindi inserito nell'ambito dei diritti economici
sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua
personalità, introdotti dall'articolo 22
● Nella nuova ottica dei diritti, dunque, la scuola non è più concepita come uno strumento di
controllo dello Stato e finalizzato essenzialmente alla formazione di un'identità nazionale o
dell'affermazione di un'ideologia, come per il fascismo e nazismo
- l'istruzione è finalmente un diritto di ciascun cittadino affinché possa diventare parte
attiva all'interno della comunità politica e sociale
> in questo modo, l'istruzione si profila come cardine essenziale per il principio di
eguaglianza e per la partecipazione alla democrazia: cioè come condizione
necessaria per l'esercizio reale dei diritti di cittadinanza
- La concezione dello Stato come legittimato, Anzi obbligato, a intervenire nei temi di
carattere sociale contraddistingue di fatto il nuovo corso dei diritti e la compiutezza
della democrazia e il progresso economico e sociale degli individui si misurerà
sempre più anche attraverso la realizzazione di Diritti Sociali, Compreso quelli relativi
all'educazione e all'istruzione
- in questa prospettiva, la declinazione del diritto all'istruzione in funzione della
partecipazione democratica, dello sviluppo della propria personalità, insieme alla non
discriminazione riguardo la diversità linguistica e alla condizione sociale, sarà uno
degli ideali di riferimento nella storia della Repubblica Italiana

La democrazia come modello di riferimento universale


● Un altro aspetto rilevante della dichiarazione del 1948 è l'affermazione della democrazia
come l'ordinamento statale nel quale si possa effettivamente svolgere il principio di
uguaglianza tra i cittadini
- In effetti, Nella seconda metà del 900 l'organizzazione Democratica dello Stato
diventa il modello di riferimento per l'intera comunità internazionale
- uguaglianza e Democrazia sono i valori di base che meglio rappresentano questa
nuova fase della cittadinanza, almeno a livello teorico
- ma il livello di enunciazione teorica non sempre coincide con una effettiva Realtà o
una concreta volontà politica; molti stati Che si proclamano democratici e repubblicani
di fatto non garantiscono quei diritti di libertà e di partecipazione coessenziali alla
democrazia
> naturalmente non si può equiparare sul piano delle libertà democratiche la
situazione europea con i paesi ex colonie che erano da poco Giunti all'indipendenza,
ma non c'è dubbio che in linea generale, in quel momento, le democrazie occidentali
rappresentassero l'approssimazione più avanzata del modello Democratico
- Tuttavia, a ogni latitudine, la costruzione di un'idea di cittadinanza che riesca a
coniugare in modo maturo il riconoscimento delle diversità e i reali diritti di pari
opportunità è un'impresa assai difficile
> in effetti, anche molte democrazie occidentali hanno avuto difficoltà oggettive nel
dare concreta attuazione ha diritti come la parità di accesso all'istruzione e rispetto
della diversità linguistica

Cittadinanza, lingue e scuola nella Costituzione

● Per vedere come gli stati interpretano la dichiarazione del 1948 Bisogna vedere le
costituzioni
● in Italia, il ​referendum del 1946​ chiede di scegliere tra monarchia e repubblica
- la scelta per la Repubblica avviene con un suffragio universale; per la prima volta al
voto partecipano anche le donne
- il suffragio universale è uno degli elementi più importanti per la democrazia; il
principio di uguaglianza non può dirsi realizzato se Ciascun membro della comunità
non può esprimere la propria volontà nella scelta dei suoi rappresentanti. Tuttavia Il
voto è solo una delle espressioni del diritto del cittadino

Il plurilinguismo nella Costituzione

● La Costituzione italiana apre una nuova stagione rispetto al passato. sono Infatti diversi gli
articoli della Costituzione che riguardano direttamente o indirettamente il rapporto con la
lingua, e che evidenziano un chiaro orientamento verso il plurilinguismo
- il più esplicito in questa direzione è l’​ articolo 6​: La Repubblica tutela con apposite
norme le minoranze linguistiche
- ma in realtà, tale orientamento verso il pluralismo linguistico non corrisponde
semplicemente all'aspetto della tutela delle minoranze linguistiche
- Infatti, secondo Pizzorusso, Il principio enunciato nell'articolo 6 della Costituzione
rappresenta una risultante, una specificazione, di un impianto correntemente
improntato al valore della diversità linguistica e culturale, presenti nell’​ articolo 3
(eguaglianza formale e sostanziale)​ e nell’​ articolo 2 (principio pluralista)
> ​In effetti, l'articolo 2 afferma il principio secondo cui i diritti umani devono essere
garantiti a tutti sia come individui sia come appartenenti a un gruppo sociale
> ma è soprattutto nell'articolo 3, dove viene affermata l'eguaglianza in senso formale
e in senso sostanziale, che il tema delle differenze, anche linguistiche assume un
rilievo decisivo; Non solo per il principio di non discriminazione, ma anche per le
azioni da mettere in atto per eliminare le differenze che possono condizionare
l'effettiva uguaglianza
>> questi due principi contenuti nell'articolo 3 caratterizzano in senso innovativo la
costituzione italiana Anche rispetto la dichiarazione universale del 1948. la
costituzione italiana, entrata in vigore il primo gennaio 1948, anticipa di quasi un anno
la dichiarazione universale del 10 dicembre 1948
- Ma aldilà dell'aspetto cronologico, si evidenzia una connotazione più incisiva riguardo
al ruolo dello Stato per la realizzazione dell'uguaglianza. mentre molte altre
costituzioni, e anche nella dichiarazione del 1948, l'articolo che enuncia il principio
dell'uguaglianza si limita alla non discriminazione dei cittadini in base alle loro
differenze, Nella Costituzione italiana si afferma come compito della Repubblica la
necessità di eliminare gli ostacoli e le difficoltà che impediscono la piena
partecipazione dei cittadini alla vita della Repubblica
> Ciò Vale per la diversità linguistica Così come per quella relativa alla condizione
sociale
- Il richiamo alla condizione sociale è importante Poiché, se trasferiamo questa
corrispondenza alla situazione sociolinguistica dell'Italia nel dopoguerra, ritroviamo
sostanzialmente la già vista divisione classista tra dialettofonia come contrassegno
delle classi subalterne e l’italofonia collegata a una posizione sociale ed economica
più elevata
- Ora, però, rispetto al passato il tema della lingua si proietta su un concetto di
cittadinanza che presuppone che lo Stato si impegni direttamente a rimuovere gli
ostacoli di ogni tipo, linguistico e sociale, per il piano sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del paese
> secondo questa prospettiva, le differenze non devono costituire una difficoltà alla
realizzazione del uguaglianza ma, soprattutto, lo Stato deve agire direttamente e
concretamente affinché la diversità non si trasformi in vantaggio
> per il nostro discorso c'ho vuol dire intervenire affinché tutti i cittadini conoscono la
lingua comune, come essenziale condizione per la partecipazione, quale che sia la
loro condizione sociale linguistica di partenza

La Costituzione e le minoranze linguistiche

● Per quanto riguarda le minoranze linguistiche, la Costituzione italiana prospetta una via
diversa, più nitida e coraggiosa rispetto alla cautela della dichiarazione universale
- il tema del pluralismo linguistico non viene eluso dalla Costituente, che ne discute al
contrario in modo efficace e che, anche per la qualità della discussione, si assumerà
poi nella caratterizzazione della carta costituzionale una notevole rilevanza teorica e
giuridica
● Di minoranze si parla originariamente nei lavori della​ seconda sottocommissione,​ che
riguardano la definizione delle autonomie regionali
- la discussione si sviluppa in relazione alla concessione dell'Autonomia oltre che alle
2 regioni insulari (Sicilia e Sardegna) anche alle regioni di confine, come Valle d'Aosta
e Trentino Alto Adige (cui Si aggiungerà successivamente il Friuli) proprio per il loro
essere regioni mistilingui
- uno degli Interventi più interessanti si deve al repubblicano ​ Zuccarini​ che ha il merito
di prospettare efficacemente tutti i termini della questione
> Per prima cosa, la questione delle minoranze viene posta come di interesse
generale, non di pertinenza specifica delle regioni che avrebbero potuto agire in modo
difforme
> il problema non è solo di uniformità delle leggi sul territorio nazionale, ma di
individuare principi validi universalmente
> le minoranze linguistiche Poggiano sul valore fondamentale della Libertà di un
cittadino, anche di altra nazionalità, Ma che in prospettiva futura potrebbe far parte
della Repubblica
> Per questo, la tutela delle minoranze non può limitarsi solo a quelle garantite da
specifici trattati internazionali, Ma deve essere estesa a tutte quelle presenti Allora e
in futuro nella nostra Repubblica
- È molto significativo che, sulla base di questo tipo di argomentazioni, il tema delle
minoranze si distacchi progressivamente dall'ambito di discussione originario delle
autonomie locali per affermarsi come un'esigenza di carattere generale
> ancora più rilevante È il fatto che i principi relativi delle minoranze linguistiche siano
assunti come valori universali e come tali non subordinabili ad accordi internazionali,
né delegabili esclusivamente a norme regionali
● Concretamente, la proposta di un articolo specifico che riguardasse esplicitamente le
minoranze linguistiche venne dall'onorevole​ Codignola il primo luglio 1947, articolo 108-
bis
- nel corso dell'evoluzione della discussione sull'articolo, uno degli aspetti più
qualificanti è rappresentato dal fatto che il riconoscimento di diritti linguistici delle
minoranze non sarà più considerato argomento di pertinenza al ​Titolo V (Regioni,
province e comuni)​ della P ​ arte seconda della Costituzione​ riguardante
l’ordinamento dello Stato
- La seconda parte dell'articolo proposto da Codignola cadrà perché ritenuta
pleonastica, essendo per definizione la Costituzione Fonte normativa
gerarchicamente superiore e dalla quale procedono tutte le altre leggi dello stato
- La prima parte dell'articolo verrà invece modificata e approvata il 22 luglio 1947 nella
forma " La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche" e
diventerà definitivamente l'articolo 6 della parte prima della Costituzione, quella
relativa ai principi fondamentali
> l'inserimento della tutela delle minoranze linguistiche nei principi fondamentali
ribadisce quindi che il plurilinguismo non rappresenta un tema marginale per la nostra
Costituzione, ma costituisce, consapevolmente, uno dei valori determinanti per la
democrazia sui quali si fonda la Repubblica Italiana
> la Costituzione dell'Italia, uscita dalla guerra e dal dominio fascista, propone nuova
concezione dello Stato che, innanzitutto, ora è Democratico, ma che, soprattutto
riconosce le minoranze linguistiche come parte integrante dello Stato assegnando
loro un valore fondativo
● Ernest Renan ​Nella nota conferenza tenuta alla Sorbonne nel ​marzo del 1882​ dal titolo
Qu’est-ce que c’est une nation?​ Aveva sostenuto che i fattori comunemente posti a
fondamento di una nazione, come la razza, la lingua, gli interessi, l’affinità religiosa, la
geografia, le necessità militari, in realtà non sono sufficienti
- già bisogno di riconoscersi in una volontà comune che, sottolinea Renan, in contrasto
con la tradizione giacobina, prescinde dall'unità linguistica
- le differenze linguistiche, dunque, le minoranze linguistiche non rappresentano un
pericolo per la nazione, poiché la nazione si forma su basi che sovrastano le
inevitabili divergenze per convergere in valori e principi comuni sedimentatisi e
condivisi nel corso della storia, tra i quali soprattutto la capacità di dimenticare dissidi
e conflitti
- La Nazione è un'anima, un principio spirituale costituita da due cose: ricordi comuni e
volontà di continuare insieme
> certo la lingua non è un dato indifferente, ma per molti aspetti posteriore: è
Sicuramente un fattore che favorisce il sentimento Nazionale ma non è il fattore
determinante
● Cassese​ osserva, giustamente, che le idee di Renan furono un punto di riferimento
importante per quel mutamento di prospettiva che permetterà di inserire la tutela delle
minoranze linguistiche nei principi fondamentali della Costituzione
- Tuttavia, a leggere gli interventi nel dibattito su questo specifico articolo nei lavori
dell'assemblea costituente, si ravvisa una tensione ideale che si basa soprattutto sulla
consapevolezza del plurilinguismo costitutivo del nostro paese e, senza dubbio,
anche sulla tensione universalistica dei diritti che soggiace a tutto l'impianto
costituzionale
- in questa prospettiva, l'articolo 6 assume un ruolo paradigmatico, non solo per la
collocazione nei principi fondamentali, ma propriamente per la sua formulazione
> Se guardiamo al testo, alla sua asciuttezza, Infatti, Notiamo che non vi sono
indicazioni su quali tipi di minoranze, se di confine, storiche, eccetera; l'articolo finisce
con un punto, e questo lascerebbe intendere che anche la tutela delle lingue
dovrebbe/ potrebbe estendersi delle nuove comunità di immigrati che sono, di fatto,
anch'esse minoranze linguistiche
> e del resto, in questa direzione più ampia e generale sembrava andare l'intervento
del Costituente Zuccarini

Minoranze linguistiche e confronto con altre Costituzioni

● Nessun riconoscimento delle minoranze linguistiche si trova nella ​costituzione francese


del 27 ottobre del 1946​, dove non viene mai nemmeno menzionata la lingua
- nemmeno nella ​Costituzione del 1958​ della cosiddetta​ quinta Repubblica​, ancora
alla base dell'ordinamento attuale, vi sono accenni alla ufficialità della lingua francese
né alle minoranze
- né si trova tracce di aperture simili a quella italiana nella legge fondamentale della
Repubblica tedesca del 1949​, la ​Germania dell'ovest​, dove compare Tuttavia la
lingua come elemento non discriminatorio
- significativamente invece si trova un più articolato principio riguardo alle minoranze
linguistiche nella costituzione dell'altra Germania, ​la repubblica democratica
tedesca​ o ​Germania dell'est​ sempre nel ​1949
> ciò non sorprende, Se si tiene conto della politica linguistica a favore del pluralismo
promossa dall'Unione Sovietica, al cui blocco politico appartiene dal ​1947 ​la
Germania orientale
>l'individuazione di una tutela positiva nella scuola e nell'amministrazione evidenzia,
oltre che un avanzata consapevolezza, anche un Orientamento giuridicamente
positivo nei confronti delle minoranze linguistiche
● Ma in generale, in quasi tutte le costituzioni dell'Europa occidentale dell'epoca per le
tematiche linguistiche non si va oltre un generico principio di non discriminazione; lo
sviluppo dei diritti linguistici non viene trattato
- tuttavia, non sembrano omissioni involontarie; in effetti, il tema del pluralismo
linguistico evidenzia comunque un disagio reale, perché mette in rilievo la
contraddizione latente tra la proclamazione di diritti universali e l'effettiva realtà
sociolinguistica all'interno dei singoli paesi europei, dove i diritti delle minoranze
linguistiche sono raramente riconosciuti
● Il legame tra lingua e nazionalità, declinato in chiave di esclusiva reciprocità (come
accaduto in Europa fino alla prima metà del Novecento) si scontra inevitabilmente, oltre che
con la realtà linguistica, con i nuovi principi che delineano una cittadinanza che non trova
più nella lingua il suo collante ideale
- nel nuovo clima il legame di unicità tra stato- lingua- Nazione perde di rilevanza,
almeno a livello formale, poiché sopravanzato da principi superiori
- la lingua nazionale non viene più identificata come il fattore determinante della
cittadinanza: tutti i cittadini sono uguali e quindi la cittadinanza prescinde
definitivamente dalla lingua
● l'affermazione del principio di uguaglianza sembra superare (Ma di fatto oscura) la diversità
linguistica: non essendo più la lingua motivo di discriminazione non occorrerebbe
aggiungere altro dal punto di vista di principi generali
- in realtà, l'assenza di riferimenti espliciti nelle costituzioni riguardo alle minoranze
linguistiche testimonia una difficoltà reale di accettazione politica della diversità
linguistica e una persistente diffidenza nel riconoscimento delle minoranze
- questa difficoltà teorica aveva avuto del resto un peso anche nella dichiarazione del
1948, dove, nell'impossibilità di trovare un accordo tra le grandi potenze, le questioni
relative alle minoranze furono prudentemente accantonate

Lingua e dialetti nella Costituzione

● Nella costituzione non c'è nessun articolo che dichiari la lingua italiana come lingua ufficiale
- in realtà non se ne avverte il bisogno; l'italiano come lingua della pubblica
amministrazione, della scuola e della comunicazione pubblica è un dato storico
indiscutibile
● Tuttavia, nel ​1948 ​Il numero di cittadini che conoscono la lingua italiana è ancora esiguo
- al momento della proclamazione della Repubblica la lingua più conosciuta e parlata
continua a essere il dialetto, che è l'idioma Quotidiano di circa il 90% dei cittadini
italiani
> si ripropone Dunque una questione in parte già vista al momento dell'unificazione:
uno stato in cui i cittadini non conoscono la lingua nazionale
> Ma se all'epoca il fine primario era di fondare attraverso la lingua l'appartenenza
alla nazione, Ora si tratta di inquadrare questi temi nel più ampio Orizzonte della
partecipazione Democratica e della pari dignità dei cittadini senza distinzione di lingua
● Nemmeno dei dialetti si fa menzione nella Costituzione
- di dialetto si parla però nella Costituente, nel dibattito relativo alle autonomie locali,
più precisamente in relazione alla istituzione delle Regioni
> in questo ambito, il dialetto assume, in realtà non tanto Paradossalmente, il valore
che d'abitudine viene assegnato alle lingue nazionali
> infatti, come l'unità linguistica era posta alla base dell'Unità e dell'Indipendenza
della nazione, così la comune appartenenza dialettale veniva indicata come una delle
ragioni per l'istituzione di una determinata regione
- a ben vedere, Dunque, viene riaffermato il principio secondo il quale la lingua
costituirebbe una base etnica e culturale per rivendicazioni di tipo politico e
amministrativo
- In verità, l'argomento di discussione è di tutt'altra natura, riguardo all'assetto
amministrativo dello Stato; in questa circostanza il dialetto rappresenta una
questione marginale, spesso usata in modo del tutto strumentale
> in nessun caso, comunque, nelle pur ampie discussioni furono mai espresse
posizioni dialettofobiche
● la mancata esplicitazione del valore del dialetto come espressione della diversità linguistica
e culturale del paese lascia aperta ancora una volta tutta una serie di atteggiamenti
contrapposti
- tuttavia, non è sul piano giuridico, ma sul piano didattico e pedagogico che il rapporto
italiano- dialetto verrà sviluppato in misura più ampia
> la scuola Infatti rappresenta meglio di ogni altra istituzione lo strumento essenziale
per la realizzazione degli obiettivi egualitari e di progresso indicati dalla costituzione

La Costituzione e la scuola come diritto universale

● La scuola ereditata dal fascismo è una scuola assolutamente inadeguata rispetto alle finalità
della nuova Democrazia
- ​Concetto Marchesi​, nella relazione sui p ​ rincipi costituzionali riguardanti la cultura e
la scuola,​ durante lavori della prima sottocommissione, sottolinea gli insuccessi della
politica scolastica che aveva lasciato larghi strati della popolazione nell’
analfabetismo o con soli pochi anni di istruzione
- l'istruzione obbligatoria si era rivelata Dunque irrisoria per mala volontà politica o di
incapacità, e ciò non solo per il numero elevato di analfabeti, ma anche per il numero
altrettanto elevato di coloro i quali non vanno oltre la terza media, il limite sufficiente a
ottenere il certificato di proscioglimento dell'obbligo durante il fascismo
> nel 1951, Infatti, tra analfabeti e senza la terza elementare, si tratta ancora di 25
milioni di Italiani su 42
● Ora però che si tratta di pensare alla scuola nella nuova società italiana, i tre anni sono a
maggior ragione insufficienti e assolutamente inadeguati
- ora la nuova Democrazia mette sullo stesso piano tutti i cittadini che esercitano il loro
diritto politico senza limitazioni in base al censo, all'istruzione o al sesso
- Quindi, dato il bassissimo livello di alfabetizzazione, secondo Marchesi, Il fatto è che
l'elettore più ignorante vale quanto il più elevato; egli lega l'espressione del voto
come diritto del cittadino alla necessità di una sua buona formazione attraverso la
scuola
- infatti, la democrazia si costruisce con il buon funzionamento della scuola; se la
scuola non funziona bene la stessa democrazia risulta inficiata
- non si tratta di limitare la democrazia, che è tale perché tutti i cittadini hanno gli stessi
diritti politici, Piuttosto è necessario che, attraverso un'istruzione adeguata, tutti i
cittadini di ogni parte della penisola siano intelligentemente consapevoli del loro
nuovo È fondamentale ruolo nella democrazia
- la scuola deve quindi combattere l'analfabetismo ma allo stesso tempo deve fornire a
tutti i cittadini gli strumenti necessari, linguistici e concettuali per una effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
paese, così come prescritto dall'articolo 3
● Uno dei nodi concettuale in questo senso riguarda la durata dell'obbligo scolastico
- la Costituzione lo stabilisce in 8 anni, comprendendo Cioè anche la scuola post
elementare
- non si tratta di una reale novità, al contrario sarebbe stato ben strano che la soglia
fosse inferiore, dato che perfino Nella proposta di riforma di gentile l'obbligo scolastico
era posto fino al quattordicesimo anno di età
> Tuttavia il fascismo disattese totalmente questa norma, Ma la Repubblica non può
farlo perché tradirebbe i principi stessi sui quali poggia
● oltre alla durata dell'obbligo, però, uno dei temi importanti è a chi affidare la responsabilità
della scuola dal punto di vista amministrativo e finanziario
- prevale però la nuova prospettiva Democratica che implica un intervento attivo dello
stato alla cui azione esclusiva spetta la formazione dei cittadini: il ruolo della scuola è
talmente rilevante che l'istruzione Non può essere né decentrata né posta sullo
stesso piano dell'Istruzione privata (all'epoca rappresentata quasi esclusivamente da
l'istruzione Cattolica)
- in altre parole, data l'importanza strategica per la democrazia, Per l'uguaglianza e la
libertà dei cittadini, la scuola deve rimanere sotto il controllo dello Stato
● appare chiaro Dunque fin dall'inizio che l'istruzione sia un diritto essenzialmente sociale,
tant'è che nelle prime proposte fatte in commissione l'incipit dell'articolo recitava: l'istruzione
è un bene sociale, da garantire a tutti
- la nuova scuola deve eliminare gli squilibri sociali e geografici (soprattutto lo storico
ritardo del Sud) e superare finalmente la persistente impostazione classista che era
per durata fino ad allora
- e perciò tutti devono avere la possibilità di accedere a tutti i gradi dell'Istruzione, non
solo a quella obbligatoria, quale che sia la condizione sociale degli alunni
● su questi punti vi sarà un accordo generale e nella Costituzione sarà esplicitamente
affermato il principio che lo Stato deve destinare le risorse necessarie per aiutare i Capaci e
meritevoli anche se privi di mezzi a raggiungere i più alti gradi dell'istruzione
- In pratica nasce quello che in seguito verrà chiamato ​diritto allo studio​; è una
posizione importante poiché, inserito nella costituzione all'​articolo 34​, il diritto allo
studio diventa un principio inderogabile al quale tutte le amministrazioni dello Stato e
gli enti locali dovranno necessariamente fare riferimento e che, in teoria, nessuna crisi
economica potrebbe cancellare
- la scuola è aperta a tutti​: questo fatto ribadisce il carattere universale di questo
diritto, superando ancora una volta la possibile restrizione del godimento di tale diritto
in funzione dell'appartenenza giuridica allo Stato
- la costituzione e ribadisce con semplicità che l'istruzione appartiene a quei diritti
inviolabili dell'uomo Ricordati nell'articolo 2 della Costituzione come essenziali per lo
sviluppo della personalità di Ciascun individuo
- è significativo infatti che pur essendo inserito nella sezione della Costituzione
dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, il diritto all'istruzione venga concepito come
esteso a tutti, a prescindere dal requisito della cittadinanza
● i principi proclamati nella costituzione non sono di per sé risolutivi; la dichiarazione di un
diritto non implica di fatto la sua attuazione
- Sia per quanto riguarda le minoranze linguistiche, sia per quanto riguarda l'accesso
alla lingua italiana e il rapporto con i dialetti occorre guardare a quanto concretamente
accade
- con una differenziazione importante: per quanto riguarda le minoranze, il principio
della tutela è esplicitamente espresso, sebbene sia lasciato a una successiva
determinazione; per quanto riguarda lingua e dialetti, al contrario non vi è alcuna
determinazione specifica
- in effetti, se pare evidente a tutti che la conoscenza della lingua italiana costituisce
un fattore decisivo per il progresso individuale e sociale, In quali termini considerare il
dialetto rispetto a questo obiettivo rimarrà negli anni successivi un tema controverso

Capitolo 8: La ricostruzione della cittadinanza

Dopo la Costituzione: dall’appartenenza alla partecipazione

● i Primi anni della Repubblica sono stati i primi anni in cui gli italiani hanno vissuto una
democrazia moderna, alla quale certo non erano stati preparati né dalla monarchia sabauda
né dalla dittatura fascista; anche la scuola deve essere riformata
- per tutto L'Ottocento e per metà del 900, la scuola era stata concepita con un ruolo
subalterno rispetto al potere statale, secondo cui la formazione del cittadino
coincideva sostanzialmente con il riconoscimento dell' appartenenza a una comunità
- ora la scuola rappresenta un'istituzione che fa parte, al pari di tutte le altre, delle
istituzioni della nuova repubblica democratica
- nella nuova era, la scuola non è più un supplemento di un potere allotrio, Ma è
consustanziale alla Repubblica: un organo dello Stato che concorre alla definizione
stessa della democrazia
● I principi costituzionali forniscono lo sfondo teorico sul quale deve muoversi anche la politica
linguistica e educativa
- l'affermazione dell'uguaglianza dei cittadini e l'apertura verso la diversità linguistica si
scontrano con fattori oggettivi
> da un lato, Le condizioni materiali ed economiche non favoriscono un diffuso
accesso all'istruzione
> dall'altro, vi è la necessità di elaborare una nuova educazione linguistica e nuovi
programmi scolastici che corrispondano, idealmente e praticamente, alle finalità
educative della nuova era democratica
- la scuola repubblicana dipende dall'evoluzione di questi due fattori necessariamente
intrecciati
● Qualunque tipo di azione educativa doveva partire da una realtà sociolinguistica i cui tratti
essenziali, ceteris paribus, erano pressoché gli stessi rispetto al momento dell'unificazione
- in effetti, l'Italia repubblicana continua a dover far fronte al persistente problema di un
concreto deficit di strumenti linguistici e educativi essenziali per l'esercizio della
cittadinanza
- i punti cruciali rimangono quelli consueti: la lotta contro l'analfabetismo, innalzamento
dei livelli di istruzione e diffusione della lingua comune
● questi obiettivi si scontrano anche con il fatto che la complessità del contesto economico e
sociale costituiva un ulteriore fattore di difficoltà; il censimento del 1951 rivela un paese
statico, in ritardo rispetto alle altre nazioni sviluppate
- e dove al suo interno persistono disomogeneità eclatanti e rimane inalterata una
lunga storia di divari regionali sogni aspetto a partire da quello economico
- tali differenze si manifestano anche nei modelli alimentari, nelle condizioni abitative e
igieniche, nella disponibilità di acqua corrente ed elettricità; in questo contesto, la
difficoltà del compito della scuola nel perseguire la crescita generale del livello di
conoscenze della popolazione a fare con tutta evidenza

Il quadro sociolinguistico

● Questa situazione si riflette nei dati relativi al livello di istruzione; il censimento del 1951 a
testa che andiamo alfabeti e i senza titolo sono oltre il 65% della popolazione e questo dato,
che corrisponde più o meno a coloro i quali erano ancorati al uso quasi esclusivo del
dialetto, conferma la stretta relazione tra il livello di istruzione e conoscenza dell'italiano
- i dati analitici restituiscono l'immagine di un paese con ancora drammatici squilibri tra
nord e sud; soprattutto per i livelli bassi tale dislivello assume dimensioni clamorose
● ciò che denunciava ​Giuseppe Lombardo Radice​ all'inizio del Novecento, Cioè a dire la
enorme distanza tra le varie zone del paese, continuava a costituire un ulteriore elemento di
disuguaglianza
- le regioni meridionali continuano ad accusare un ritardo scandalosamente cresciuto
perfino al confronto con il momento dell'unificazione
● le condizioni generali del paese influenzano inevitabilmente il raggiungimento degli obiettivi
educativi
- non è dunque un percorso agevole quello che la scuola deve affrontare nel quadro di
una politica per la cittadinanza Democratica di fronte a condizioni economiche e
culturali di questo tipo, Dove cioè le condizioni essenziali, primarie, della conoscenza
della lingua comune e della sconfitta dell'evasione dell'obbligo erano aldiqua
dall'essere raggiunte
- Tuttavia, esiste anche un altro piano di riflessione necessario, che riguarda il modello
di cittadino riflesso dall'organizzazione scolastica E dai programmi ministeriali
> poiché, come più volte ripetuto, la scuola è lo strumento più potente per la
formazione del cittadino, è opportuno vedere come la scuola repubblicana si comincia
a organizzare per quello che riguarda i programmi scolastici

I primi programmi per le scuole elementari

● In realtà, l'esigenza di riformare la scuola viene affrontata prima della Costituzione,


all'indomani della ​Liberazione ​alleata di Roma Nel giugno del 1 ​ 944 ​e prima della definitiva
sconfitta del nazifascismo nell'aprile del 1945
- i ​programmi washburne​, pubblicati nel m ​ aggio 1945​, quando c'era ancora la
monarchia, rivelano chiaramente l’impronta sociale propria della scuola deweyana e
costituiscono una reale novità sia dal punto di vista Pedagogico che politico
- la loro importanza consiste nella definizione del rapporto tra la funzione della scuola e
l'idea di cittadinanza che ne deriva
- si tratta senz'altro di una delle proposte più avanzate in termini di principi democratici
e di cittadinanza
● nei programmi washbourne, l'istruzione elementare viene esplicitamente definita come la
base per la formazione del cittadino in vista di una sua consapevole partecipazione politica
- l'accento più forte riguarda le indicazioni pedagogiche di Chiara impronta
democratica: la scuola viene definita come una comunità sociale aperta e paritaria e
l'apprendimento come un percorso di partecipazione attiva da parte di tutti; La scuola
è un elemento indispensabile per questa nuova fase politica
- non basta peraltro sconfiggere l'analfabetismo, ma si deve mirare a garantire
conoscenze più durature e consapevoli
- è dunque uno spirito laico, un insieme di qualità civili e politiche che deve essere
coltivato a scuola
> novità non di poco conto, che di lì a poco verrà letteralmente ribaltata dai successivi
i programmi
● altrettanto innovativo è l'orientamento dell'Istruzione in una dimensione più ampia, che
travalica i confini statali
- il processo educativo è inserito nella prospettiva di un superamento dei particolarismi
nazionali
- viene inoltre abolita la distinzione operante durante il fascismo tra scuole rurali e
scuole urbane, poiché, dicono esplicitamente i programmi "i problemi educativi e
sociali non possono sostanzialmente distinguersi in relazione all'ambiente in cui
L'alunno vive "
● l'attenzione necessaria alla Reale situazione degli alunni e della scuola giunge fino a non
proporre un orario ufficiale delle lezioni, ma dare solo indicazioni generali da sviluppare in
relazione alle realtà locali
- va detto comunque che, nonostante gli aspetti largamente positivi, nei programmi
washburne vi sono pochi accenni alla diversità linguistica e al dialetto
> nonostante il nodo lingua- dialetto continuasse a essere, per la situazione
sociolinguistica del paese, un aspetto decisivo per il successo formativo, esso non
riceve attenzioni specifiche
> Solo nella parte riguardante la scuola materna si accenna alle espressioni dialettali
come difetti da correggere
● l’impronta democratica si esprime chiaramente anche nel riconoscimento del diritto di
iniziativa degli alunni nelle attività da proporre, con la possibilità di modificare il lavoro
dell'insegnante
- gli alunni, oltre a proporre argomenti di studio, potranno anche decidere le modalità
di partecipazione alla gestione della classe, attraverso il meccanismo del referendum
- nella scuola, dunque, si vota democraticamente, cosa che non era mai accaduto fino
ad allora nel resto della società
● la scuola prefigurata da questi programmi è decisamente diversa rispetto alla tradizione
precedente, poiché esprime una concezione dell'educazione che ha come fondamento il
nuovo concetto di autogoverno al quale deve ispirarsi l'ordinamento disciplinare e didattico
della scuola
- si tratta, nel complesso, di una visione culturale e pedagogica che afferma
Decisamente la centralità della scuola come istituzione libera e autentica espressione
della democrazia, un luogo dove la cittadinanza si sperimenta quotidianamente con la
partecipazione
I programmi Ermini

● Nella realtà, i programmi Washburne appaiono Per molti versi quasi un salto ideale rispetto
alla realtà complessa e arretrata dell'Italia del dopoguerra
- vi furono molte difficoltà oggettive che ne frenarono l'applicazione; i tempi e
soprattutto le persone (va ricordata l'inadeguatezza di un corpo docente formatosi
durante il fascismo) non erano maturi per realizzare un mutamento del genere
- la scuola prefigurata dalle proposte della commissione Washburne, sebbene in
sintonia Con quanto avrebbe pochissimi anni dopo indicato la Costituzione non ebbe
mai modo di realizzarsi
● In effetti, i primi programmi scolastici interamente dentro la storia della Repubblica sono i
programmi Ermini​ del ​1955​, che nascono Dunque all'interno del nuovo quadro di valori
sancito dalla costituzione
- ma Ciò nonostante Essi non contengono il medesimo impulso alla partecipazione
Democratica e rispetto ai programmi Washburne rappresentano un momento di
arresto, anzi di arretramento, nella visione dinamica della scuola per la cittadinanza
- nella premessa è ricordato il necessario legame tra formazione scolastica e
partecipazione dei cittadini
> tale tipo di finalità viene presentata come anteriore a ogni altra funzione
> Tuttavia, questa Laica premessa viene subito chiarita in senso opposto, poiché è la
religione cattolica a essere indicata come il Prius valoriale della scuola primaria
- l'accento al valore della cittadinanza a fare quindi complementare, quasi retorico, e
rispetto al ruolo preminente assegnato alla religione cristiana Cattolica come
fondamento e coronamento dell'Educazione elementare, riproponendo lo stesso
principio già presente nei programmi scolastici durante il fascismo
> nei programmi Infatti si legge che la formazione ha, per dettato esplicito della legge,
come suo fondamento e coronamento l'insegnamento della dottrina Cristiana
secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica
- Inoltre, non vi è alcuna apertura sulla diversità linguistica; Anzi, per quel che
riguarda il dialetto si registra una volontà di eliminarlo, non esente però da
contraddizioni
> l'invito è ad accogliere All'inizio, le espressioni dialettali degli alunni, ma l'insegnante
non deve mai rivolgersi in dialetto agli alunni
> situazione difficile da sostenere Nei fatti E comunque contraddetta da
un'indicazione didattica relativa al canto Corale, Dove, appunto, sono ammessi anche
i canti in dialetto
> di fondo però rimane evidente l'impostazione anti dialettale dei programmi che
insistono sulla necessità di abbandonare il dialetto
● insomma, l'impostazione pedagogica è Chiara: disabituare gli alunni al dialetto
- fatica vana dato che il dialetto è rimasto più usato dell'italiano fino agli anni Ottanta e
ancora oggi è conosciuto e usato da oltre Metà della popolazione
● ad ogni modo, in generale, nel testo vi sono pochi accenni alla funzione della scuola per la
formazione del cittadino secondo i principi costituzionali
- la premessa richiama un unica volta la Costituzione, ma solo per quanto riguarda gli
otto anni di scolarità obbligatoria
- nessun altro riferimento vi trova posto, così come non è merce la funzione della
scuola come aspetto essenziale della costruzione della partecipazione democratica
- non vi è nessun accenno ai valori democratici; né la parola democrazia né l'aggettivo
Democratico compaiono mai nel testo
- comunque, con i programmi Ermini (che rimarranno in vigore fino al ​1985​) non si
afferma ancora, come ci si aspetterebbe almeno a livello formale, l'idea di una scuola
che ha saldamente le sue basi nella nuova Costituzione Democratica e il tema della
cittadinanza appare come un richiamo retorico più che teorico molto sullo sfondo
- questi programmi resisteranno fino al 1985, quando cioè il contesto socio culturale
italiano sarà del tutto diverso

Maggiore accesso all’istruzione e storici ritardi

● Già durante gli anni 50, Comunque, vi sono segnali interessanti, che riflettono Una
tendenza positiva alla scolarizzazione; la frequenza aumenta nelle scuole elementari e il
raggiungimento della licenza elementare diventa assiduo e non più riservato a una
minoranza
- tuttavia, nonostante una maggiore spinta all'istruzione, nell'anno scolastico 1954/55
gli scritti alle scuole post elementari non superano il 40% delle leve anagrafiche
● il percorso verso la scolarizzazione, ormai avviato, non era privo di contraddizioni
- infatti, se da un lato aumentava il numero di coloro che frequentavano le aule
scolastiche, dall'altro rimaneva sempre molto elevato il numero di coloro che ne
rimanevano esclusi
- più contenuti sono I mutamenti nei livelli post elementari
- sul complesso di questi dati, relativi all'intera popolazione, vi era anche il peso della
fascia più adulta della popolazione che era in massima parte analfabeta o priva di
titolo
● Ad ogni modo, cresce, anche se in modo lieve, anche il numero degli iscritti al livello post
elementare che rappresenta la soglia minima per un più stabile possesso della lingua
- questo aspetto diventa ancora più importante, soprattutto perché, a differenza del
mancato assolvimento dell'obbligo scolastico durante il fascismo (limitato a 3 anni di
scuola nelle aree rurali, che però rappresentavano la parte largamente più ampia
della popolazione) la Costituzione decreta l'obbligo a 8 anni di scolarità e in effetti si
registra una maggiore affluenza alla scuola elementare
- tale Maggiore afflusso, destinato ad aumentare nei decenni successivi anche in
relazione con le già accennate trasformazioni socio-economiche, è di fatto del terreno
di prova decisivo per la scuola e l'educazione linguistica in funzione della
partecipazione democratica
● la scuola elementare continuava a costituire Il primo necessario prerequisito, ma di certo
non sufficiente per un concreto percorso di cittadinanza per tutti gli alunni
- lo snodo decisivo dei livelli post elementari rimaneva però non risolto né a livello di
organizzazione scolastica né sul piano dei programmi educativi

La grande Riforma della scuola media unificata

● In questa prospettiva avviene la riforma della scuola media statale; il ​31 dicembre 1962
con la legge numero 1859 viene istituita la nuova scuola media unificata, una delle più
importanti riforme scolastiche del dopoguerra
- come ricorda, l'articolo 1 della legge, la scuola media unificata nasce Infatti per
mettere finalmente in pratica i principi costituzionali E in particolar modo quelli relativi
all'attuazione dell'articolo 34, soprattutto per quanto riguarda l'istruzione obbligatoria
di 8 anni
● in precedenza, era previsto che il triennio dell'Istruzione post elementare avesse percorsi
distinti per chi era destinato già da subito al lavoro E chi poteva proseguire gli studi
- gli alunni avrebbero dovuto scegliere tra il cosiddetto " avviamento professionale "è il
percorso che avrebbe consentito la continuazione degli studi
- vi era Dunque, prima del l'assolvimento dell'obbligo scolastico, un divario formativo tra
i cittadini che andava contro lo spirito della Costituzione, che prevede uguali
opportunità di crescita culturale
- in altre parole, se la Costituzione stabilisce che per la formazione di tutti i cittadini
sono necessari almeno 8 anni di scolarità obbligatoria, una divisione del percorso
così precoce deve essere vista come una distorsione del principio di uguaglianza
> tanto più che in genere la scelta per la continuazione del percorso di studio
seguitava a privilegiare le classi più elevate
● perciò, se la scuola e la Repubblica hanno il compito di formare cittadini e se la
Costituzione prescrive che ciò debba avvenire attraverso 8 anni di scolarità, mantenere la
divisione di tale percorso durante il periodo dell' obbligo avrebbe voluto dire mantenere un
divario di conoscenze che avrebbe di fatto impedito una egualitaria partecipazione
democratica e tutto ciò rappresenta una contraddizione di fatto rispetto al secondo comma
dell'articolo 3 della Costituzione
- ma costringere ha una scelta così prematura, e definitiva, avrebbe voluto anche dire
privare gli alunni delle opportunità di crescita e di partecipazione delineate sia
dall'articolo 34, nella parte che afferma che "i Capaci e i meritevoli, anche se privi di
mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi", sia, a nostro avviso, dal
secondo comma dell'articolo 4, che recita: "ogni cittadino ha il dovere di svolgere,
secondo le prof , un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società "

Lavoro minorile e scuola

● Legata alla Riforma vi è anche l'esigenza di combattere la piaga del lavoro minorile; per
definizione, ogni riforma che riguarda l'obbligo dell'Istruzione riguarda necessariamente il
lavoro minorile, cioè la determinazione dell'età minima per l'ingresso al lavoro
- già nel corso dell'800, in relazione alla crescita dei diritti, Se affronto spesso il
rapporto tra istruzione obbligatoria e lavoro minorile e l'Italia Fu uno dei primi paesi a
dotarsi nel ​1886 ​di una legge specifica, evidentemente inapplicata come molte altre
● la scolarità obbligatoria e la scuola media unificata avevano come fine anche quello di
salvare i bambini dal lavoro e dalla delinquenza per inserirli in un percorso di
scolarizzazione di cittadinanza
- se in questo caso, Fortunatamente, ci fu una minore opposizione, si deve proprio alle
nuove condizioni economiche e alle prospettive di crescita, Che fecero sorgere la
consapevolezza, anche nel comparto industriale, della necessità di una migliore
formazione generale per gli alunni
- in Italia, però, il problema era di proporzioni notevoli, sulle quali non sarebbe stato
possibile incidere in modo efficace in poco tempo
- la legge sulla scuola media unificata non riuscirà, infatti, nel breve periodo a impedire
il proliferare dello sfruttamento del lavoro minorile, la cui permanenza era Favorita
anche da una certa contraddittorietà a livello legislativo, poiché ammetteva deroghe
> secondo una stima del Ministero del Lavoro, condotta su un campione di piccola
aziende, nel 1971 i lavoratori con meno di 15 anni erano circa 240.000
> altre indagini svolte nel corso degli anni settanta confermano la persistenza del
fenomeno, in genere sottovalutato, soprattutto nelle aree più depresse

Le classi differenziali: il disagio sociale come colpa sociale?

● La Riforma del ​1962 ​istituiva anche le classi differenziali, destinate ai cosiddetti "​disadatti
scolastici "​
- in linea di principio, le classi differenziali erano state istituite per prevedere anche per
le scuole medie un percorso formativo per i portatori di handicap, che prima si
fermava alle elementari
- infatti, la commissione che doveva decidere l'inclusione degli alunni in queste classi
era composta, Secondo la legge, da due medici di cui almeno uno competente in
neuropsichiatria, psicologia o materia affini, e un esperto in pedagogia
> nella realtà, Tuttavia, si diffuse la pratica di destinare alle classi differenziali anche
alunni che presentavano disagi sociali
> In molti casi, la scuola media rigettava dal regolare percorso formativo molti alunni,
spesso dialettofoni e comunque provenienti da un ambiente familiare privo di mezzi
economici e culturali, anziché integrarli in un percorso unitario, come avrebbe voluto
lo spirito della legge
> tanto più che l' inserimento nella classe differenziale aveva spesso Per l'alunno una
conseguenza negativa dal punto di vista psicologico, dell'autostima, per l'ovvia
equiparazione tra le difficoltà scolastica e il disagio psicologico

Il dito e la luna

● Più che di questi problemi, molta parte dell’intellettualità italiana fu impegnata in un intenso
dibattito sull’abolizione del latino
- Di fronte a un’evasione scolastica elevatissima e un’evidente disuguaglianza nelle
opportunità educative e di carriera scolastica, per molti la preoccupazione maggiore
fu il fatto che la riforma prevedeva, all’articolo 2, che il latino non fosse più materia
obbligatoria ma che diventasse opzionale al terzo anno

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