Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
18 visualizzazioni4 pagine

Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta) - I' Vo Pensando, Et Nel Penser M'assale - Wikisource

Il poema di Petrarca esprime una profonda riflessione interiore sul dolore e la ricerca di conforto attraverso la preghiera e la contemplazione. L'autore si confronta con la sua vulnerabilità e il desiderio di liberarsi dalle illusioni terrene, mentre si sente attratto da una bellezza ideale. La tensione tra il desiderio di amore e la consapevolezza della mortalità permea il testo, evidenziando la complessità dell'esperienza umana.

Caricato da

Ioana Caloian
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
18 visualizzazioni4 pagine

Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta) - I' Vo Pensando, Et Nel Penser M'assale - Wikisource

Il poema di Petrarca esprime una profonda riflessione interiore sul dolore e la ricerca di conforto attraverso la preghiera e la contemplazione. L'autore si confronta con la sua vulnerabilità e il desiderio di liberarsi dalle illusioni terrene, mentre si sente attratto da una bellezza ideale. La tensione tra il desiderio di amore e la consapevolezza della mortalità permea il testo, evidenziando la complessità dell'esperienza umana.

Caricato da

Ioana Caloian
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 4

Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)/I'

vo pensando, et nel penser m'assale


< Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)
Questo testo è completo.

Francesco Petrarca - Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)


(XIV secolo)
I' vo pensando, et nel penser m'assale

◄ Arbor victorïosa trumphale Aspro core et selvaggio, et cruda voglia ►

I’ vo pensando, et nel penser m’assale


una pietà sí forte di me stesso,
che mi conduce spesso
ad altro lagrimar ch’i’ non soleva:
ché, vedendo ogni giorno il fin piú presso, 5

mille fïate ò chieste a Dio quell’ale


co le quai del mortale
carcer nostro intelletto al ciel si leva.
Ma infin a qui nïente mi releva
prego o sospiro o lagrimar ch’io faccia: 10

e cosí per ragion conven che sia,


ché chi, possendo star, cadde tra via,
degno è che mal suo grado a terra giaccia.
Quelle pietose braccia
in ch’io mi fido, veggio aperte anchora, 15

ma temenza m’accora
per gli altrui exempli, et del mio stato tremo,
ch’altri mi sprona, et son forse a l’extremo.

L’un penser parla co la mente, et dice:


- Che pur agogni? onde soccorso attendi? 20

Misera, non intendi


con quanto tuo disnore il tempo passa?
Prendi partito accortamente, prendi;
e del cor tuo divelli ogni radice
del piacer che felice 25

nol pò mai fare, et respirar nol lassa.


Se già è gran tempo fastidita et lassa
se’ di quel falso dolce fugitivo
che ’l mondo traditor può dare altrui,
a che ripon’ piú la speranza in lui, 30
che d’ogni pace et di fermezza è privo?
Mentre che ’l corpo è vivo,
ài tu ’l freno in bailia de’ penser’ tuoi:
deh stringilo or che pôi,
ché dubbioso è ’l tardar come tu sai, 35

e ’l cominciar non fia per tempo omai.

Già sai tu ben quanta dolcezza porse


agli occhi tuoi la vista di colei
la qual ancho vorrei
ch’a nascer fosse per piú nostra pace. 40

Ben ti ricordi, et ricordar te ’n dêi,


de l’imagine sua quand’ella corse
al cor, là dove forse
non potea fiamma intrar per altrui face:
ella l’accese; et se l’ardor fallace 45

durò molt’anni in aspectando un giorno,


che per nostra salute unqua non vène,
or ti solleva a piú beata spene,
mirando ’l ciel che ti si volve intorno,
immortal et addorno: 50

ché dove, del mal suo qua giú sí lieta,


vostra vaghezza acqueta
un mover d’occhi, un ragionar, un canto,
quanto fia quel piacer, se questo è tanto? -

Da l’altra parte un pensier dolce et agro, 55

con faticosa et dilectevol salma


sedendosi entro l’alma,
preme ’l cor di desio, di speme il pasce;
che sol per fama glorïosa et alma
non sente quand’io agghiaccio, o quand’io flagro, 60

s’i’ son pallido o magro;


et s’io l’occido piú forte rinasce.
Questo d’allor ch’i’ m’addormiva in fasce
venuto è di dí in dí crescendo meco,
e temo ch’un sepolcro ambeduo chiuda. 65

Poi che fia l’alma de le membra ignuda,


non pò questo desio piú venir seco;
ma se ’l latino e ’l greco
parlan di me dopo la morte, è un vento:
ond’io, perché pavento 70

adunar sempre quel ch’un’ora sgombre,


vorre’ ’l ver abbracciar, lassando l’ombre.

Ma quell’altro voler di ch’i’son pieno,


quanti press’a lui nascon par ch’adugge;
e parte il tempo fugge 75

che, scrivendo d’altrui, di me non calme;


e ’l lume de’ begli occhi che mi strugge
soavemente al suo caldo sereno,
mi ritien con un freno
contra chui nullo ingegno o forza valme. 80

Che giova dunque perché tutta spalme


la mia barchetta, poi che ’nfra li scogli
è ritenuta anchor da ta’ duo nodi?
Tu che dagli altri, che ’n diversi modi
legano ’l mondo, in tutto mi disciogli, 85

Signor mio, ché non togli


omai dal volto mio questa vergogna?
Ché ’n guisa d’uom che sogna,
aver la morte inanzi gli occhi parme;
et vorrei far difesa, et non ò l’arme. 90

Quel ch’i’ fo veggio, et non m’inganna il vero


mal conosciuto, anzi mi sforza Amore,
che la strada d’onore
mai nol lassa seguir, chi troppo il crede;
et sento ad ora ad or venirmi al core 95

un leggiadro disdegno aspro et severo


ch’ogni occulto pensero
tira in mezzo la fronte, ov’altri ’l vede:
ché mortal cosa amar con tanta fede
quanta a Dio sol per debito convensi, 100

piú si disdice a chi piú pregio brama.


Et questo ad alta voce ancho richiama
la ragione svïata dietro ai sensi;
ma perch’ell’oda, et pensi
tornare, il mal costume oltre la spigne, 105

et agli occhi depigne


quella che sol per farmi morir nacque,
perch’a me troppo, et a se stessa, piacque.

Né so che spatio mi si desse il cielo


quando novellamente io venni in terra 110

a soffrir l’aspra guerra


che ’ncontra me medesmo seppi ordire;
né posso il giorno che la vita serra
antiveder per lo corporeo velo;
ma varïarsi il pelo 115

veggio, et dentro cangiarsi ogni desire.


Or ch’i’ mi credo al tempo del partire
esser vicino, o non molto da lunge,
come chi ’l perder face accorto et saggio,
vo ripensando ov’io lassai ’l vïaggio 120

de la man destra, ch’a buon porto aggiunge:


et da l’un lato punge
vergogna et duol che ’ndietro mi rivolve;
dall’altro non m’assolve
un piacer per usanza in me sí forte 125

ch’a patteggiar n’ardisce co la morte.

Canzon, qui sono, ed ò ’l cor via piú freddo


de la paura che gelata neve,
sentendomi perir senz’alcun dubbio:
ché pur deliberando ò vòlto al subbio 130

gran parte omai de la mia tela breve;


né mai peso fu greve
quanto quel ch’i’ sostengo in tale stato:
ché co la morte a lato
cerco del viver mio novo consiglio, 135

et veggio ’l meglio, et al peggior m’appiglio.

◄ Arbor victorïosa trumphale ▲ Aspro core et selvaggio, et cruda ►


voglia

Edizione: Francesco Petrarca, Canzoniere, testo critico e introduzione di Gianfranco


Contini, annotazioni di Daniele Ponchiroli, Torino, Giulio Einaudi editore, 1964
(«Nuova Universale Einaudi», 41)

Estratto da "https://it.wikisource.org/w/index.php?
title=Canzoniere_(Rerum_vulgarium_fragmenta)/I%27_vo_pensando,_et_nel_penser_m%27assale&oldid=3305112"

Potrebbero piacerti anche