Microsoft SQL Server 2016 a beginner's guide Sixth Edition Petkovic All Chapters Instant Download
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Contents at a Glance
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Index
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Contents
Introduction
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Identifiers
Delimiters
Comments
Reserved Keywords
Data Types
Numeric Data Types
Character Data Types
Temporal Data Types
Miscellaneous Data Types
Storage Options
Transact-SQL Functions
Aggregate Functions
Scalar Functions
Scalar Operators
Global Variables
NULL Values
Summary
Exercises
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Altering a Table
Removing Database Objects
Summary
Exercises
Chapter 6 Queries
SELECT Statement: Its Clauses and Functions
WHERE Clause
GROUP BY Clause
Aggregate Functions
HAVING Clause
ORDER BY Clause
SELECT Statement and IDENTITY Property
CREATE SEQUENCE Statement
Set Operators
CASE Expressions
Subqueries
Subqueries and Comparison Operators
Subqueries and the IN Operator
Subqueries and ANY and ALL Operators
Temporary Tables
Join Operator
Two Syntax Forms to Implement Joins
Natural Join
Cartesian Product
Outer Join
Further Forms of Join Operations
Correlated Subqueries
Subqueries and the EXISTS Function
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tali asprezze imputavansi i Gesuiti; ma quando ad essi fu tolta la
censura e concentrata nella Polizia, molto di peggio si provò.
Se ne esacerbavano gli animi; le sêtte interzavano le fila: ne
seguivano processi da una parte, dall’altra quella depravazione del
senso morale che nobilita l’assassinio col titolo di politico; e vuolsi
che nel 22 ottocento persone perissero tra sul patibolo come liberali,
e vittime di questi; nove teste di settarj rimasero molti anni esposte a
San Giorgio di Palermo. S’aggiunsero tremuoti e scoscendimenti e
sbocchi di torrenti [8]. Alla pubblica indignazione si diè
soddisfacimento rinviando il Canosa e surrogandogli il cavaliere
Luigi Medici, uomo di rara abilità e bersaglio di tutti i partiti; ma se
minore la fierezza, non fu diverso il modo. Il codice abolì il marchio e
le confische; alla pena di morte pose quattro gradazioni, secondo
che il reo mandasi al patibolo vestito di giallo o di nero, calzato o
scalzo; stabiliva l’eguaglianza di tutti in faccia alla legge, ma nel 26
s’introdusse una giurisdizione privilegiata pei delitti politici.
Ferdinando, vissuto tra due secoli, de’ quali non intese l’immensa
distanza, morì d’apoplessia (1825 gennajo) dopo sessantacinque
anni di un regno, perduto tre volte con vergogna, e altrettante
ricuperato con sangue. Gli successe Francesco, che aveva favorito
la costituzione come vicario del regno nel 1820, e protestato contro
l’occupazione straniera, la quale diminuì al suo venire, e presto
cessò, surrogandovi quattro reggimenti svizzeri, capitolati per
trent’anni, e che costavano cinquecensessantamila ducati all’anno,
oltre un milione e settecentonovantaduemila di primo stabilimento.
Dal palazzo usciva un tristo fiatore; gravosa l’ingerenza de’
favoriti [9]; di sfacciatissima corruzione erano stromento un Viglia e
una Desimoni camerieri, de’ cui baratti il re celiava, e — Fate buoni
affari ma presto, chè io ho poco da campare».
E in fatto fra breve succedeva nel paterno seggio Ferdinando II
(1830 9 9bre), fratello della duchessa di Berry e di Cristina di
Spagna, rinomate per vigorìa di volontà e complicazione d’avventure
pubbliche e personali. Non avendo colpe da mascherare nè vendette
da esercitare, egli cominciò coll’amnistia, e mostrossi voglioso di
dominare assoluto, ma di attuare il ben pubblico e di «rimediare le
piaghe». Senza finezze diplomatiche, si tenne indipendente
dall’Austria, fino a non volere con essa trattato di commercio nè di
proprietà libraria. Scarso d’educazione, ma scevro delle trivialità
avite, col pagare chi lodasse il Governo mostrava credere
all’efficacia di quelli che pur derideva col titolo di pennajuoli.
Conservò la Corte in una costumatezza esemplare, sbrattatala
dagl’ingordi favoriti del padre; amò monsignor Oliveri suo maestro,
Giuseppe Caprioli prete, il Cocle arcivescovo di Patrasso: fatti perciò
capri emissarj quando venne di moda l’esecrare, com’era a principio
il lodare. Oltre le pensioni improvvidamente o turpemente assegnate
da’ suoi predecessori, gl’impieghi erano così esorbitatamente
retribuiti, che i ministri toccavano dodicimila ducati, e quello degli
affari esteri altrettanti di soprappiù per la rappresentanza. Il re li
gravò di tasse progressive, che giungevano fino al cinquanta per
cento; egli stesso rinunziò a trecensessantamila ducati che suo
padre prevaleva per eventuali beneficenze; disserrò gran parte delle
caccie regie e le costose uccelliere; condonò o alleggerì le pene per
colpe di Stato; dava udienza a tutti; percorse il Regno
modestamente, alloggiando ne’ conventi, sedendo a tavola coi
magistrati paesani, ballando con popolane, e dicendo motti e
lusinghe. Scoppiato il cholera, accorse da un viaggio, e si mescolò
colla plebe, e ne mangiò il pane per assicurarla contro i pretesi
avvelenatori. Altre sventure pubbliche diedero esercizio alla sua
pietà: nel 30 i tremuoti disastrarono la Calabria Citeriore, facendovi
ducensessantatre morti e centottantadue feriti: l’eruzione dell’Etna
nel 43 è memorabile perchè la lava invase anche terreni coltivati, si
buttò in un bacino d’acqua, che a quel tocco sciogliendosi in vapore,
tempestò di lapilli l’intorno, uccidendo settantacinque persone,
ferendone moltissime.
Ferdinando rinnovò l’esercito collocandovi molti uffiziali rimossi; e
parlava coi soldati, esercitavali, partecipava alle fatiche; ma i due
reggimenti di Siciliani trovò tanto indomabili che li dovette sciogliere.
V’aggiunse la guardia urbana, corpo civico, allestito a servire di
guarnigione qualora l’esercito si muovesse. Ebbe eccellenti fonderie
di cannoni e un corpo topografico, che associava le sue operazioni
con quelle del rinomato osservatorio.
L’amministrazione civile concentravasi nel ministero dell’interno, che
abbracciava istruzione, agricoltura, commercio, beneficenza, lavori,
e l’elezione agli uffizj municipali e ai consigli distrettuali e provinciali.
Era affidato a Nicola Santangelo, astuto ingegno e degl’ingegni
fautore, che faceva fare un dizionario della lingua, un giornale del
Regno, ma che sapeva come al suo posto possa lucrarsi. Il Faldella
ministro sulla guerra, D’Andrea sulle finanze [10], Intonti sulla Polizia
erano persone valenti, come il presidente Pietracatella; in periodica
adunanza discutevano gli affari più rilevanti, che poi ciascuno
mandava a compimento; indi nel consiglio di Stato preseduto dal re,
decidevansi quelli trattati da essi. Nel 42 furono aggiunti ministri
senza portafoglio, fra cui Giustino Fortunato, già attizzatore politico e
allora indocilito all’obbedire, e l’insigne giurista Nicola Niccolini: ma
invece di nuovi lumi, ne derivarono sconcordie e diminuzione
dell’autorità ministeriale.
La lista civile non era prefinita, ma vi colavano gli avanzi delle varie
casse; talchè per gratificarsi il re si facevano anche sconvenevoli
sparagni. L’istruzione era affidata ai Gesuiti, ma l’Università
conservò il fiore e l’indipendenza, tanto più da che fu lasciata facoltà
a chiunque d’aprire scuole, le quali davano campo agli studiosi di
mostrarsi, o scuotevano l’inerzia dei vecchi professori col confronto
di giovani, che il re e il pubblico conoscevano: e veramente, oltre gli
antiquarj che ivi sono in casa loro, benemeriti cultori vi ebbero la
filosofia e le scienze civili. La procedura pubblica produsse avvocati
eloquenti, desiderosi di brillare in più nobile ringhiera. La giunta
suprema pe’ reati di Stato era bestemmiata, eppure quando fu
abolita nel 46, venne rimpianta ricordando quai valent’uomini la
componevano, e come avesse saputo assolvere.
I titoli di nobiltà screditavansi ogni giorno, e sin dal 1821 fu permesso
vendere i possessi feudali di Sicilia, gravati dalle soggiogazioni; il
che suddivise le proprietà, agevolò i passaggi, immigliorì i fondi.
Quelli di manomorta furono pareggiati; quelli di regio patronato,
assegnati per benefizio ecclesiastico, fu imposto si dessero in
enfiteusi, a quote non maggiori di quattro salme; provvedimento del
medioevo, che rinnovavasi nell’intento di ristabilire la popolazione e
la minuta possidenza. Toglievansi le servitù agrarie e la promiscuità
dei possessi; provvedeasi all’immenso Tavoliere di Puglia, ai fondi
comunitativi, ad estirpare i litigj feudali; e il Governo e le
Commissioni provinciali studiavano a introdurre metodi e prodotti
nuovi.
Gli Ordini religiosi, ripristinati da Ferdinando I appena tornò, e dotati
con beni demaniali, erano un terzo di quei che prima della
Rivoluzione; il clero, non isproporzionato ai bisogni, perdè lo spirito
ostile a Roma, che nel secolo passato lo facea ligio al potere. I
pescatori del corallo, tanto numerosi che fu per essi compilato il
Codice Corallino [11], vanno diminuendo; ma crescono le navi
mercantili e l’esercito. I solfi, oro della Sicilia, erano privativa regia
fino al 1808, quando il re non riservossi che di permettere le nuove
cave. D’allora ne crebbe la produzione, e insieme i prezzi, attesa la
ricerca di Francia e Inghilterra per fabbricare la soda: nel 1832 se ne
asportarono seicento quintali, nel 34 seicensettantasei, presto
novecentomila: onde allettati i capitalisti, la produzione superò lo
spaccio. Il Governo allora (1838) stipulò colla società francese Taix e
Aycard, che questa ne comprasse seicentomila quintali a due ducati
o due e mezzo; per gli altri trecentomila darebbe un tenue compenso
ai produttori; essa potrebbe rivenderlo a quattro ducati o quattro e
mezzo; e all’erario pagherebbe quattrocentomila ducati, che
doveano andare in isconto del consumo rurale, dazio gravitante
sull’agricoltura.
Da questa privativa sentiansi pregiudicati i proprietarj delle solfare; e
l’Inghilterra, invocando l’accordo del 1816 che la eguagliava ai
meglio privilegiati, chiese trecentomila sterline per danni derivatine a’
suoi negozianti. Due anni si disputò, e il re, sempre geloso
dell’indipendenza, volle mostrarla anche in faccia a quella gran
Potenza, e rispettare i contratti, anzichè avventurarsi a quella libertà
di commercio, che avrebbe prevenuto le collisioni; al tono
minaccioso rispose con dignità, sentire dalla parte sua la giustizia e
Dio, e fidare più nella forza del diritto che nel diritto della forza. Ma
ecco la flotta inglese chiudere i porti di Sicilia, affrontar Napoli,
prendere varj legni sino nel porto: il conflitto pare inevitabile, quando
la Francia interpostasi compone la differenza, abolendo il contratto
col Taix, gravando l’uscita dei solfi di venti carlini al quintale,
obbligando il Regno a dare compensi e ai negozianti francesi e
agl’inglesi [12]. Viltà, colpe, mangerie della Corte e dei ministri, furono
le grida di que’ che pretendono dai caffè governare il mondo: il re
conobbe la necessità di accrescere la marina, e proteggere l’esposta
capitale; e procacciossi la flotta più robusta che veleggiasse il
Mediterraneo.
Il debito pubblico si alleggerì con annue estrazioni; si spensero anzi
tempo due milioni e mezzo di sterline imprestati nel 1824 a Londra;
la banca dello Stato prosperò, fino a salirne le azioni al centrenta.
Nel 44 l’annua rendita dei dominj di qua del Faro ammontava a
ventisette milioni e mezzo di ducati; e il debito pubblico eccedeva
appena il capitale di ottantasei milioni, cioè poco più d’un triennio di
rendita. Nel 31 si fondò la Banca fruttuaria, di seicentomila ducati in
diecimila azioni; poi altre pel prosperamento dell’industria e del
commercio, crebbero di numero e di valore; sebbene per mala
amministrazione decadessero. Nel Regno si fece il primo saggio di
battelli a vapore (1832); il primo ponte di ferro sul Garigliano, al
costo di settantacinquemila ducati; la prima strada ferrata italiana
(1839) da Napoli a Castellamare; la prima illuminazione pubblica a
gas. Si migliorò il porto di Brindisi; si moltiplicarono trattati colle
Potenze; si alleggerirono le dogane; si favorì la marina mercantile
con privilegi, talchè, mentre nel 1825 non v’avea di qua dal Faro che
4800 legni, nel 39 se ne trovarono 6803, e 2371 siciliani, portanti
21,3198 tonnellate, con 52,514 marinaj. Sulle strade si fecero
almeno decreti, e ben trentasette ne vennero ordinate nella sola
Sicilia per lo sviluppo di novecentosedici miglia.
La beneficenza pubblica ha nella sola Napoli la rendita di tre milioni
di ducati; l’Albergo dei Poveri basta a quattromila persone: ma
istituzioni stupende, come questa, come l’Annunziata, deterioravano
nello sperpero e nella malversazione; nè fu applicato il bell’ordine
che, istituendo dappertutto depositi di mendicità, voleva vi fosse
annesso un orto modello.
Incamminato il popolo al meglio, il pittoresco dei costumi irregolari
dava luogo al civile, e appena il curioso vi trovava que’ lazzaroni,
quelle nudità, quei briganti, di cui si farciscono ancora i viaggi
romanzeschi e le descrizioni per udita. Il vulgo è tuttavia chiassoso
ma non insubordinato, gajo ma non dissoluto: gli altri vizj era a
sperare si correggerebbero mercè dell’istruzione e de’ pubblici lavori.
Un paese di sei milioni d’abitanti, e capace di cento milioni di tasse,
a che non poteva aspirare? Ma i Napoletani si ricordavano che
Ferdinando I, ritornando nel 1815, aveva promesso una costituzione,
l’avea giurata nel 20, poi mentita: i Siciliani non sapevano
dimenticare la Carta del 1812 e i privilegi antichissimi; spiaceva quel
corpo di Svizzeri, stipendiato contro i sudditi; la bassa e invereconda
corruzione che dagli infimi impiegati giungeva ai sommi; l’esorbitante
potere della Polizia, il cui ministro disponeva di diecimila gendarmi,
fior dell’esercito, sicchè poteva fin meditare il cambiamento della
monarchia. Così fece Intonti, che blandì i liberali, e tentò persuadere
il re a dare la costituzione, esagerandogli la possa delle società
segrete; ma un bel giorno eccolo destituito, surrogandogli Del
Carretto, la cui robustezza ridusse il Governo a Polizia. I gendarmi
potevano arrestare, perquisire, accusare, testimoniare, ottenendo
intera fede: fin la pena delle verghe fu ristabilita, ed applicavasi
immediatamente. Eppure le masnade non erano scomparse, e col
Talarico, che per dodici anni padroneggiò la Sila, il Governo dovè
calare a patti, e fattagli grazia, gli assegnò per ricovero l’isola di
Lipari, e diciotto ducati il mese a lui, dodici a’ suoi compagni. Peggio
estendevansi le società segrete, delle quali avrem molto a dire.
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