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Mons Enrico Dal Covolo: “Rinnovato dialogo tra fede e ragione”.
Intervista ad Avvenire.
Intervista ad Avvenire di Mons Enrico Dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia
Università Lateranense. Dal Covolo: “La buona teologia poggia su quattro pilastri. La
Parola di Dio alla base, poi la tradizione della Chiesa. Quindi il magistero e infine
l’attenzione alle sfide del momento presente. L’efficace inculturazione passa attraverso lo
studio approfondito dei segni dei tempi, ai quali va data una risposta. Ci vuole sia la
cultura accademica, sia un’attenzione culturale ampia, che sappia incrociare la vita di tutti
i giorni.”
Mons. Enrico Dal Covolo
Testo integrale dell’articolo apparso su Avvenire l’8 marzo 2013.
Benedetto XVI lascia alla Chiesa del nostro tempo una grande eredità. «Paragonabile a
quella di un Leone Magno». E indica alle Chiesa del futuro una direzione di marcia. «Nuova
evangelizzazione e scelta preferenziale per i giovani». Parola del vescovo Enrico dal
Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense (cioè dell’Ateneo del Papa),
che del pontificato di Joseph Ratzinger dà in questa intervista ad Avvenire una lettura in
filigrana. Non senza un occhio al Conclave ormai imminente.
Qual è l’eredità di Benedetto XVI?
Secondo me consiste nella ricchezza e nella profondità del suo magistero. Sono anzi
convinto che per trovare una ricchezza così teologicamente fondata bisogna risalire ai
primi secoli cristiani. Penso ad esempio a papa Leone Magno, il più grande cristologo della
Chiesa di Occidente. Se poi dobbiamo dettagliare in che cosa consista questa ricchezza di
magistero, non ci sono dubbi: la cifra unificante è il dialogo totalmente rinnovato e
impostato su basi epistemologiche plausibili tra ragione e fede. Benedetto XVI ha allargato
i confini della ragione, perché una ragione che si ripiega su stessa contraddice l’idea
autentica di uomo. La ragione, per essere fedele a se stessa, deve aprirsi agli orizzonti
della fede e dell’amore.
Fa parte di questa eredità anche la rinuncia?
Sono convinto di si. Anzi, vorrei fare un paragone che a prima vista potrebbe sembrare
eccessivo. Così come alla luce della passione morte e resurrezione di Cristo leggiamo in
maniera nuova il messaggio evangelico, così il gesto finale del Pontefice ora emerito dà
una luce diversa a tutto il magistero che gli sta alle spalle. In particolare perché rimette a
posto con un gesto profetico la giusta scala dei valori, che parte dall’amore e dal servizio.
Un sublime gesto d’amore nei confronti di Cristo, della Chiesa e del mondo.
Lei quindi è d’accordo con quanti ritengono che l’inculturazione del Vangelo nella nostra
epoca sia stata la stella polare di questo pontificato?
Certo e posso confermarlo specie dopo aver partecipato al Sinodo per la nuova
evangelizzazione. Mi è rimasta nel cuore la lectio con cui Papa Ratzinger introdusse i lavori
nell’Aula sinodale, proprio il primo giorno. In quella occasione egli insisté su due parole:
professio e confessio. Ribadì cioè la fede non va solo professata, ma anche efficacemente
confessata, cioè testimoniata. Questa è la vera nuova evangelizzazione o, se vogliamo,
l’inculturazione della fede nel momento presente. E qui torna alla mente ciò che diceva
Paolo VI. L’uomo d’oggi non sa più che farsene dei maestri e se li ascolta è perché sono
dei testimoni. Tutto questo è espresso a chiare lettere anche nella esortazione Verbum
Domini.
Che significa inculturazione della fede?
Significa che la buona teologia – che deve permeare questa efficace inculturazione –
poggia su quattro pilastri. La Parola di Dio alla base, poi la tradizione della Chiesa che ha
un momento speciale nei Padri della Chiesa di cui Benedetto XVI era particolarmente
innamorato. Quindi il magistero e infine l’attenzione alle sfide del momento presente.
L’efficace inculturazione passa attraverso lo studio approfondito dei segni dei tempi, ai
quali va data una risposta. Ci vuole insomma sia la cultura accademica, sia un’attenzione
culturale ampia, che sappia incrociare la vita di tutti i giorni.
Quali sono oggi le sfide maggiori?
Innanzitutto c’è la grande sfida della secolarizzazione. Ricordo che il cardinale Wuerl,
relatore del Sinodo, parlò dello «tsunami della secolarizzazione», o meglio del secolarismo,
cioè l’aspetto deteriore della secolarizzazione. Ma io ho l’impressione che le prime vittime
di questo processo siano i giovani, per cui sono convinto che una delle sfide prioritarie del
nuovo Papa sarà proprio l’attenzione ai giovani. Perciò spero e prego che venga eletto un
Papa capace di raccogliere efficacemente l’eredità straordinaria di Benedetto XVI sul
versante teologico magisteriale e di trasferirla efficacemente al mondo dei giovani, anche
attraverso l’uso dei mass media e dei linguaggi tipicamente giovanili.
Internet e i social network ad esempio?
Si. Ma vorrei aggiungere che da salesiano ho trovato nel magistero di Benedetto XVI una
particolare sintonia con la dottrina pedagogica di don Bosco. Tutti sanno che il sistema
preventivo si basa su tre valori: la ragione, la religione e l’amorevolezza. A ben guardare il
magistero di Benedetto XVI si concentra intorno a questi valori. Si pensi alla ragione
allargata, e allargata agli orizzonti della fede, cioè alla religione e all’amorevolezza di cui
parla don Bosco. Perciò spero in un Papa capace di raccogliere queste sintonie profonde
con il mio fondatore e di tradurle in linee pedagogiche plausibili per un recupero alla
Chiesa delle generazioni giovanili.
Lei è dunque fiducioso in vista del Conclave?
Pienamente. La Provvidenza non si smentisce. Mi ricordo benissimo quando fu proclamato
in piazza San Pietro il nome di Wojtyla. Chi di noi immaginava che cosa sarebbe venuto
dopo? Ma è la prova che chi conduce la Santa Chiesa di Dio è Dio stesso. Noi siamo nelle
sue mani e le sue sono buone mani.
FONTE: Avvenire

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Enrico Dal Covolo: Intervista ad Avvenire, Rinnovato dialogo tra fede e ragione

  • 1. Mons Enrico Dal Covolo: “Rinnovato dialogo tra fede e ragione”. Intervista ad Avvenire. Intervista ad Avvenire di Mons Enrico Dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense. Dal Covolo: “La buona teologia poggia su quattro pilastri. La Parola di Dio alla base, poi la tradizione della Chiesa. Quindi il magistero e infine l’attenzione alle sfide del momento presente. L’efficace inculturazione passa attraverso lo studio approfondito dei segni dei tempi, ai quali va data una risposta. Ci vuole sia la cultura accademica, sia un’attenzione culturale ampia, che sappia incrociare la vita di tutti i giorni.” Mons. Enrico Dal Covolo Testo integrale dell’articolo apparso su Avvenire l’8 marzo 2013. Benedetto XVI lascia alla Chiesa del nostro tempo una grande eredità. «Paragonabile a quella di un Leone Magno». E indica alle Chiesa del futuro una direzione di marcia. «Nuova evangelizzazione e scelta preferenziale per i giovani». Parola del vescovo Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense (cioè dell’Ateneo del Papa), che del pontificato di Joseph Ratzinger dà in questa intervista ad Avvenire una lettura in filigrana. Non senza un occhio al Conclave ormai imminente. Qual è l’eredità di Benedetto XVI? Secondo me consiste nella ricchezza e nella profondità del suo magistero. Sono anzi convinto che per trovare una ricchezza così teologicamente fondata bisogna risalire ai primi secoli cristiani. Penso ad esempio a papa Leone Magno, il più grande cristologo della Chiesa di Occidente. Se poi dobbiamo dettagliare in che cosa consista questa ricchezza di magistero, non ci sono dubbi: la cifra unificante è il dialogo totalmente rinnovato e impostato su basi epistemologiche plausibili tra ragione e fede. Benedetto XVI ha allargato i confini della ragione, perché una ragione che si ripiega su stessa contraddice l’idea autentica di uomo. La ragione, per essere fedele a se stessa, deve aprirsi agli orizzonti della fede e dell’amore. Fa parte di questa eredità anche la rinuncia? Sono convinto di si. Anzi, vorrei fare un paragone che a prima vista potrebbe sembrare eccessivo. Così come alla luce della passione morte e resurrezione di Cristo leggiamo in
  • 2. maniera nuova il messaggio evangelico, così il gesto finale del Pontefice ora emerito dà una luce diversa a tutto il magistero che gli sta alle spalle. In particolare perché rimette a posto con un gesto profetico la giusta scala dei valori, che parte dall’amore e dal servizio. Un sublime gesto d’amore nei confronti di Cristo, della Chiesa e del mondo. Lei quindi è d’accordo con quanti ritengono che l’inculturazione del Vangelo nella nostra epoca sia stata la stella polare di questo pontificato? Certo e posso confermarlo specie dopo aver partecipato al Sinodo per la nuova evangelizzazione. Mi è rimasta nel cuore la lectio con cui Papa Ratzinger introdusse i lavori nell’Aula sinodale, proprio il primo giorno. In quella occasione egli insisté su due parole: professio e confessio. Ribadì cioè la fede non va solo professata, ma anche efficacemente confessata, cioè testimoniata. Questa è la vera nuova evangelizzazione o, se vogliamo, l’inculturazione della fede nel momento presente. E qui torna alla mente ciò che diceva Paolo VI. L’uomo d’oggi non sa più che farsene dei maestri e se li ascolta è perché sono dei testimoni. Tutto questo è espresso a chiare lettere anche nella esortazione Verbum Domini. Che significa inculturazione della fede? Significa che la buona teologia – che deve permeare questa efficace inculturazione – poggia su quattro pilastri. La Parola di Dio alla base, poi la tradizione della Chiesa che ha un momento speciale nei Padri della Chiesa di cui Benedetto XVI era particolarmente innamorato. Quindi il magistero e infine l’attenzione alle sfide del momento presente. L’efficace inculturazione passa attraverso lo studio approfondito dei segni dei tempi, ai quali va data una risposta. Ci vuole insomma sia la cultura accademica, sia un’attenzione culturale ampia, che sappia incrociare la vita di tutti i giorni. Quali sono oggi le sfide maggiori? Innanzitutto c’è la grande sfida della secolarizzazione. Ricordo che il cardinale Wuerl, relatore del Sinodo, parlò dello «tsunami della secolarizzazione», o meglio del secolarismo, cioè l’aspetto deteriore della secolarizzazione. Ma io ho l’impressione che le prime vittime di questo processo siano i giovani, per cui sono convinto che una delle sfide prioritarie del nuovo Papa sarà proprio l’attenzione ai giovani. Perciò spero e prego che venga eletto un Papa capace di raccogliere efficacemente l’eredità straordinaria di Benedetto XVI sul versante teologico magisteriale e di trasferirla efficacemente al mondo dei giovani, anche attraverso l’uso dei mass media e dei linguaggi tipicamente giovanili. Internet e i social network ad esempio? Si. Ma vorrei aggiungere che da salesiano ho trovato nel magistero di Benedetto XVI una particolare sintonia con la dottrina pedagogica di don Bosco. Tutti sanno che il sistema preventivo si basa su tre valori: la ragione, la religione e l’amorevolezza. A ben guardare il magistero di Benedetto XVI si concentra intorno a questi valori. Si pensi alla ragione allargata, e allargata agli orizzonti della fede, cioè alla religione e all’amorevolezza di cui parla don Bosco. Perciò spero in un Papa capace di raccogliere queste sintonie profonde con il mio fondatore e di tradurle in linee pedagogiche plausibili per un recupero alla Chiesa delle generazioni giovanili.
  • 3. Lei è dunque fiducioso in vista del Conclave? Pienamente. La Provvidenza non si smentisce. Mi ricordo benissimo quando fu proclamato in piazza San Pietro il nome di Wojtyla. Chi di noi immaginava che cosa sarebbe venuto dopo? Ma è la prova che chi conduce la Santa Chiesa di Dio è Dio stesso. Noi siamo nelle sue mani e le sue sono buone mani. FONTE: Avvenire